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Domenico34 - La Fede - IV. La fede di Enoch

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    Domenico34
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    00 19/11/2010 14:26
    Per incoraggiare la lettura di quanto viene pubblicato, sezioniamo il capitolo, dando un intervallo di un giorno, in modo che il lettore che leggerà la prima sezione, saprà che il giorno successivo ci sarà la continuazione. Mi auguro che questa iniziativa, sia di gradimento a tutti. Grazie!


    Capitolo 4



    La fede di Enoch



    Per fede Enoch fu trasferito in cielo perché non vedesse la morte, e non fu più trovato perché Dio lo aveva trasferito; prima infatti di essere portato via, egli ricevette la testimonianza che era piaciuto a Dio (Ebrei 11:5).

    Basta un solo versetto, che la lettera agli Ebrei dedica a questo patriarca, per descrivere la sua vita, prima e dopo il suo trasferimento in cielo da parte di Dio. In Luca 3:37, Enoch viene presentato come uno degli antenati di Cristo e l’epistola di Giuda, 14,15, parla della sua profezia. Per conoscere più intorno a questo pio uomo, dobbiamo rivolgerci al libro della Genesi.

    1. LA VITA DI ENOK FINO A SESSANTACINQUE ANNI

    A differenza della lettera agli Ebrei che dedica un solo versetto per parlare di Enoch, il libro della Genesi, ne dedica 6: due riguardano la nascita e da chi nacque e 4 descrivono quello che fece e come si comportò. Ecco quello che si dice di quest’uomo:

    Jared visse centosessantadue anni, e generò Enoch.
    Dopo aver generato Enoch, Jared visse ottocento anni e generò figli e figlie.
    Enoch visse sessantacinque anni e generò Methuselah.
    Dopo aver generato Methuselah, Enoch camminò con DIO trecento anni e generò figli e figlie.
    Così, tutto il tempo che Enoch visse fu di trecentosessantacinque anni.
    Or Enoch camminò con DIO; poi non fu più trovato, perché DIO lo prese
    (Genesi 5:18,19,21-24).

    La vita di Enoch, così come appare dal racconto della Genesi, si può dividere in due parti: il primo frammento comprende i suoi sessantacinque anni vissuti per se stesso, nell’intimità della sua famiglia e il secondo, i trecento anni, vissuti con Dio in un rapporto di consacrazione e di comunione con Lui.

    Tenendo presente questi due elementi che caratterizzarono la vita terrena di questo patriarca, la fede che la lettera agli Ebrei presenta di quest’uomo, acquista più significato, e può aprire gli occhi di una qualsiasi persona, su ciò che riguarda la finalità e lo scopo che si dà alla vita umana. All’età di sessantacinque anni, Enoch, viene presentato dal racconto biblico, come un uomo che ha moglie e figli.

    Se si deve considerare il matrimonio di quest’uomo, all’età di sessantatre o sessantaquattro anni, non ci viene dato di sapere, dal momento che non sappiamo con esattezza, se Methuselah, il primogenito di Enoch, nacque dopo il primo anno di matrimonio o passarono alcuni anni.

    Anche se la Bibbia ci fornisse la data del matrimonio di Enoch e l’anno della nascita di Methuselah, cioè non avrebbe nessun significato, perché quest’uomo, fino all’età di sessantacinque anni, ci viene presentato come un essere umano che visse in quell’epoca. I sessantacinque anni dei quali il Sacro testo fa esplicito riferimento, servono solamente, a nostro avviso, a stabilire che:

    1) Sino a quell’età Enoch, visse la sua vita per se stesso,
    2) per sua moglie,
    3) per la sua famiglia - forse da poco tempo formata - e che di Dio e del camminare con Lui, non c’è ancora la minima traccia nella sua vita.

    Per l’età che vivevano gli uomini di quei tempi, si può affermare che i sessantacinque anni di Enoch, rappresentavano una piccolissima percentuale. Se invece, questi anni si trasferiscono all’età moderna, si può parlare benissimo di una vita umana vissuta senza Dio e lontana da Lui.

    Credo che valga la pena pensare nella maniera moderna, e vedere nei sessantacinque anni di Enoch, il tipo di quelle persone che vivono la loro vita, pensando a se stessi e alle loro famiglie, senza preoccuparsi di Dio e delle sue vie. Si sa con estrema certezza, che ai giorni nostri, ci sono tante persone che vivono la loro vita come se Dio non esistesse per loro, come se non ci fossero realtà spirituali cui pensare e come se dopo la morte, non ci fosse l’eternità.

    Considerando l’umanità nel suo insieme, da un punto di vista generale, si vedono le persone della nostra era, intente e protese per ogni attività che le tiene impegnate, mentalmente e manualmente; gente che corre a destra e a sinistra nelle svariate operosità secolari; persone che pensano solamente come acquistare ricchezza, posizioni sociali riguardevoli; gente che cerca di assicurarsi il benessere in mille modi; individui che pensano solamente al piacere e al divertimento; popolo che vive la propria vita come se questa dovesse durare eternamente sulla terra.

    Se a queste persone si parla di Dio, delle Sue vie e della Sua volontà, possibilmente rispondono che non hanno tempo da dedicare alle cose di Dio, non hanno tempo per consacrare la loro vita a Dio, e peggio ancora, non hanno tempo per pensare alla loro salvezza e al destino eterno della loro anima. Di loro si può applicare benissimo la parola di Paolo:

    La cui fine è la perdizione, il cui dio è il ventre e la cui gloria è a loro vergogna; essi hanno la mente rivolta alle cose della terra (Filippesi 3:19).

    Sicuramente i primi sessantacinque anni della vita di Enoch, non ci parlano solamente di un uomo che fino a quell’età visse per se stesso, per sua moglie e per la sua famiglia, non lasciando trapelare niente che potesse collocarlo nel numero di quelli che si interessavano di Dio, ma ci parlano anche di una svolta che si verificò nella vita di quest’uomo. È difficile parlare di una crisi di coscienza nella vita di Enoch all’età di sessantacinque anni, dal momento che il Sacro testo non fornisce nessuna notizia relativa a questa situazione.

    Ma se consideriamo la nascita di Methuselah, che avvenne all’età di sessantacinque anni e la specificazione che fa la S. Scrittura che “Enoch camminò con DIO trecento anni”, possiamo supporre, con ogni probabilità, che a cominciare da quella data, si sarà verificato nella vita di questo patriarca, quello che comunemente si dice: “Una crisi di coscienza”.

    Tutte le crisi di coscienza sono motivate da serie e profonde riflessioni, che portano di solito l’uomo, a considerare la sua vita, il modo come l’ha vissuta, soprattutto dal punto di vista religioso e di Dio e la prospettiva che si presenta per il futuro.

    Nulla c’impedisce di pensare che Enoch, all’età di sessantacinque anni, abbia cominciato a riflettere, e riflettere seriamente intorno al suo modo di vivere e perché fino a quel tempo non ha assegnato posto nella sua vita a Dio e alle sue cose. Forse avrà detto a se stesso: ho sessantacinque anni e durante questi anni, non mi sono mai dato pensiero di Dio, né interessato delle Sue cose. Sono vissuto solamente per me stesso, per la mia famiglia; ho cercato le cose della vita, impegnandomi in tanti fronti, ma ho ignorato Dio e le Sue vie, e non ho mai pensato di camminare in loro. Da oggi in poi mi decido di “camminare con Dio”.

    Questo ragionamento che Enoch fece, oltre a rivestire un carattere “personale”, parlava di una ferma determinazione riguardante il futuro. Ammesso per scontato che Enoch entrava in una crisi di coscienza che l’ha indotto alla riflessione e alla decisione, era sempre una faccenda personale, che riguardava solamente la sua vita e non includeva l’esistenza della sua famiglia.

    Che cosa avrà pensato sua moglie e come avrà reagito davanti a questo nuovo indirizzo che si proponeva suo marito? Nulla ci viene detto dalla S. Scrittura, circa una possibile reazione negativa da parte della moglie di Enoch. E, ammesso per ipotesi, che la moglie di Enoch si pronuncia contro suo marito per quello che si proponeva di fare, si può benissimo intravedere la ferma volontà del marito, nel volere “camminare con Dio”.

    Nell’eventualità che la moglie di Enoch si fosse opposta alla decisione del marito di voler cambiare il modo di vivere, e che Enoch avesse avuto la possibilità di conoscere quello che Giosuè disse al popolo d’Israele al confine della terra promessa, sicuramente avrebbe fatte sue le parole, anche se non avesse potuto usarle interamente come le disse Giosuè, avrebbe sicuramente detto: quanto a me, servirò l’Eterno (Giosuè 24:15). Dal momento che Enoch decise di cambiare modo di vivere, appariva chiaro davanti a sé cosa comportasse un simile cambiamento.

    1) Sul piano prettamente personale, per ciò che riguardava i suoi sentimenti, il suo modo di comportarsi, tutto apparirà diverso, perché diversa era anche la prospettiva che si presentava davanti a lui e la sua finalità. Quando si pensa ad una persona che si converte a Dio, nel senso come il N.T. presenta questa verità, si può meglio comprendere e valutare la conseguenza della svolta della vita di Enoch, e si può ugualmente immaginare quello che si verifica nell’esistenza del nuovo convertito.

    Non è soltanto questione di un cambiamento interiore, si verificano anche mutamenti esteriori, che tutti possono vedere e controllare. Usanze che prima si tenevano come cose sacre, si mettono da parte; certi vizi che caratterizzavano la vita, come per esempio, l’ubriachezza, la dissoluzione, la disonestà, vengono eliminati, per assegnare posto alla continenza, ad una condotta dignitosa e all’onestà. Certe cattive compagnie che conducevano a commettere certi crimini, vengono soppresse e rimpiazzate con persone che servono Dio e camminano nel suo timore.

    L’indifferenza e l’incuranza per le cose di Dio, vengono messe da parte per sostituirle con un sincero zelo e con una puntigliosa premura. Tutto è nuovo: nei sentimenti, nei propositi, nella volontà, e anche nel modo di vivere. Tutto si accorda e si manifesta, secondo il detto della Scrittura:

    Se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, tutte le cose sono diventate nuove (2 Corinzi 5:17).

    2) Sul piano della famiglia, per ciò che concerne la relazione che intercorre tra marito e moglie, il rapporto tra genitori e figli, subisce un cambiamento, soprattutto quando si pensa ad uno sposo che va in giro cercando altre donne, ad una moglie che non sa cosa significhi “sottomissione”; a dei genitori che non hanno avuto amore e premura per i loro figli; a dei ragazzi che non sanno cosa significhi “ubbidire”.

    Supponendo che nella vita di Enoch, prima del suo cambio di rotta, si manifestassero quelle carenze di cui si fa spesso riferimento per le persone inconvertite, ora si può vedere che tutto è diverso, che l’atteggiamento è cambiato ed è cambiato anche il modo di vivere.

    In virtù della svolta della vita di Enoch, anche le sue conseguenze sono evidenti e benevoli, sia per quanto riguarda la sua esistenza personale che quella della sua famiglia. Un membro di una famiglia che decide di camminare con Dio, attraverso una sincera conversione, avrà inevitabilmente una buon’influenza sul resto.

    Si continuerà il prossimo giorno...
    [Modificato da Domenico34 21/11/2010 18:37]
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    Domenico34
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    00 20/11/2010 20:01
    2. LA VITA DI ENOCH, DOPO I SESSANTACINQUE ANNI

    Per ogni azione che l’uomo si presta a compiere, c’è sempre un momento nel quale si inizia. Non sono soltanto i vari progetti di lavoro, i vari impegni programmati e messi a punto, le varie mete che si vorranno raggiungere, che sono oggetto di un inizio nel tempo, sono anche le varie iniziative, i vari propositi e determinazioni, che impegnano seriamente la vita, su un piano prettamente spirituale, che hanno un inizio nel tempo e una fine nell’eternità.

    Per Enoch, in cui già era maturato nella sua mente e nel suo cuore il proposito e la determinazione di dare corso ad una nuova vita, arriva il momento in cui questa sua decisione si traduce in azione visibile e concreta. Non è qualcosa che ha da fare con la sua famiglia, con i suoi conoscenti; è un qualcosa che riguarda la sua vita: la sua decisione e i suoi propositi.

    Non ha bisogno del parere favorevole o del consenso, dell’uno e dell’altro, per iniziare la nuova vita, è una faccenda che riguarda lui solo, e se lui è già pronto e deciso, può avere inizio il nuovo corso nella sua vita. Il Sacro testo precisa che:

    Dopo aver generato Methuselah, Enoch camminò con Dio trecento anni e generò figli e figlie..

    Nella vita di ogni persona che vuole seriamente prendere a cuore le cose di Dio, c’è sempre un “dopo”. Un proverbio dice: “Meglio tardi che mai”. A questo punto è bene precisare che nonostante che Enoch diede corso ad un nuovo modo di vivere, la sua vita di famiglia continuò il corso come prima, senza nessun’interruzione o cambiamento di sorta. Ne è prova il fatto che dopo che Enoch cominciò a camminare con Dio, “generò figli e figlie”.

    Crediamo opportuno fare certe considerazioni che hanno il loro peso e la loro importanza, sia per quanto riguarda la fede che si professa e sia per le implicazioni che inevitabilmente ne seguono sul piano prettamente sociale. Certuni pensano che una volta che si accetta di camminare con Dio, ciò equivale ad una vera e propria “conversione a Dio”, oppure quando si decide di consacrare la propria vita al servizio del Signore, la persona debba rinchiudersi in un monastero, lontano dalla famiglia, per meglio realizzare i suoi propositi e le sue aspirazioni.

    Altri credono che bisogna fare l’eremita, e vivere la vita come se si fosse “fuori del mondo”. Altri ancora pensano, che condurre una vita di “astinenza sessuale”, sia la cosa ideale, per non aderire alle varie concupiscenze della carne.

    Coloro che ragionano in questa maniera, non se ne accorgono che si trovano su un sentiero fantasioso, privo di un minimo di coerenza con la realtà della vita pratica, per non parlare di un puro fanatismo che getta nel ridicolo e nel disprezzo la conversione a Dio e la relativa professione di fede in Lui.

    Quando si vuole apparire davanti agli altri “troppo spirituali”, o come persone “veramente consacrate a Dio”, si finisce, non solo coll’essere “fanatici”, ma si corre il rischio, dimenticando certe cose basilari della Scrittura, di far dire alla alla Bibbia quello che essa non dice e concepire un cristianesimo a modo proprio. Prendiamo in considerazione le parole di Gesù:

    Io non chiedo che tu li tolga dal mondo, ma che tu li preservi dal maligno ( Giovanni 17:15).

    Il fatto che Gesù faccia una simile richiesta al Padre, è già una prova abbastanza significativa, per insegnarci che il discepolo, non deve concepire l’idea di estraniarsi dalla vita normale di questo mondo, ma deve sapere svolgere la sua missione, che consiste nel predicare l’evangelo di Cristo, ad un creato che vive lontano da Dio e che è pieno di manifestazioni del maligno. L’apostolo Paolo, rivolgendo la sua ferma esortazione alla chiesa di Corinto, per l’intolleranza morale che avevano permesso tra di loro, concludeva con queste parole:

    Vi ho scritto nella mia epistola di non immischiarvi con i fornicatori,
    ma non intendevo affatto con i fornicatori di questo mondo, o con gli avari, o con i ladri, o con gli idolatri, perché altrimenti dovreste uscire dal mondo.
    Ma ora vi ho scritto di non mescolarvi con chi, facendosi chiamare fratello, sia un fornicatore...
    (1 Corinzi 5:9-11).

    Quando poi ha dovuto dare una risposta ad una precisa domanda, circa i rapporti sessuali, tra marito e moglie, l’apostolo è molto preciso e anche obbiettivo.

    Il marito renda alla moglie il dovere coniugale, e ugualmente la sposa allo sposo.
    La moglie non ha podestà sul proprio corpo, ma il marito; nello stesso modo anche lo sposo non ha podestà sul proprio corpo, ma la moglie.
    Non privatevi l’uno dell’altro, se non di comune accordo per un tempo, per dedicarvi al digiuno e alla preghiera; poi di nuovo tornate a stare insieme, affinché Satana non vi tenti a causa della vostra mancanza di autocontrollo
    (1 Corinzi 7:3-5).

    Il rapporto tra marito e moglie, per ciò che riguarda la vita sessuale, così come Paolo l’ha definito, non può essere cambiato a proprio piacimento, senza correre il rischio di annullare la Parola di Dio e rovinare la vita di due coniugi. È molto rischioso dettare leggi e intromettersi nella vita sessuale di due sposi, per dire loro “come” devono comportarsi nel rapporto sessuale e in quale maniera consumarlo. Coloro che hanno fatto ciò, col pretesto di avere più conoscenza, e quindi suggerire i giusti metodi da adottare nel rapporto sessuale, hanno creato più problemi di quanti ne hanno risolto.

    La norma di Paolo, che poi è quella di Dio, valida per tutta la cristianità di ogni epoca, di ogni generazione e a tutti i livelli, unica nel suo genere in tutto il N.T. è sufficiente per regolare il rapporto sessuale nell’ambito del matrimonio. Nessun’astinenza sessuale è consentita, scritturalmente parlando, se non di comune accordo.

    D’altra parte, la vita matrimoniale, che è anche rapporto sessuale, è un’esistenza a due, essi devono sapere come donarsi l’uno all’altro, anche se uno dei due, preferirebbe l’astinenza. Un diverso modo di concepire il rapporto sessuale nel matrimonio, che non tenga conto di questo divino principio, si espone a seri pericoli, sia sul piano psicologico e fisico che su quello morale, ma soprattutto rappresenta una seria minaccia per la stabilità di una famiglia.

    Si continuerà il prossimo giorno...
    [Modificato da Domenico34 20/11/2010 23:31]
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    Domenico34
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    00 21/11/2010 23:32

    3. IL SIGNIFICATO DI “CAMMINARE CON DIO”

    Enoch, decidendo di camminare con Dio, non solo espone la sua volontà a proposito di questa nuova situazione determinatasi nella sua vita, ma ci permette di interpretarla come un’azione personale e spontanea, senza pensare ad una forza esterna che cerca di esercitare una certa pressione.

    Cerchiamo di spiegarci meglio. Nel racconto biblico, con quei pochi testi che disponiamo, non c’è una minima traccia che faccia pensare che Dio, in un determinato momento della vita di Enoch, gli abbia ordinato di camminare con Lui.

    Questo non significa affatto che Dio non nutre piacere che Enoch camminasse con Lui, né che Egli disapprova la sua compagnia. Immaginiamo per un attimo, il significato che avrebbe avuto, se Dio ordina ad Enoch di camminare con Lui.

    L’argomentazione più logica e più coerente, da parte di Enoch, sarebbe stata la seguente: ho ricevuto un ordine da Dio che mi ha intimato di camminare con Lui. Non avendo altra scelta, ho accettato il suo ordine, e mi sono messo a camminare con Lui. Ai nostri occhi e alla nostra meditazione Enoch non apparirebbe un uomo che agisce con un atto libero della sua volontà, decidendo spontaneamente, ma un essere umano, forse spaventato da un ordine divino, che intraprende un nuovo modo di camminare.

    Che valore avrebbe avuto per Dio, vedersi un uomo al suo fianco, senza che questi avesse potuto manifestargli la sua scelta, derivata da una ferma decisione e spontaneità di camminare con Lui? No! Per Enoch, non si trattava di un ordine, ma di una scelta personale e spontanea, che lo portava a valorizzare quella nuova situazione, per la quale si era impegnato a camminare con Dio.

    In altre parole, non fu Dio a chiedere ad Enoch di camminare con Lui, ma fu Enoch a decidere di camminare con Dio. Quest’elemento deve essere tenuto in considerazione, per meglio valutare il significato del “camminare con Dio”.

    Mettendo da parte tutta l’argomentazione teologica che si potrebbe fare sul concetto di “camminare”, e come applicarla nella vita cristiana, cerchiamo di valutarla e capirla nella maniera più spicciola e pratica nello stesso tempo. Camminare con Dio significa uno spostarsi a piedi a due: tu, (io e chiunque) e Dio. La Bibbia dice che Due valgon meglio di uno solo (Ecclesiaste 4:9). Dal momento che si decide di camminare con Dio, non si è più soli, si è in compagnia anche per ciò che concerne la vita spirituale.

    Si può andare benissimo incontro a tantissime dispiacevoli cose: venir meno nell’animo, scoraggiarsi, smarrirsi, perdere il proprio entusiasmo, affievolirsi nelle varie attività, indebolirsi nell’amore, sentirsi abbandonato da tutti, e tante volte da Dio stesso. Vivere invece con la consapevolezza che non si è soli, questo solo elemento, è più che sufficiente per mantenere la persona in uno stato di una certa tranquillità e sicurezza. Camminare con Dio, significa anche rapporto di comunione reciproca con Lui.

    Quando si considera il rapporto di “comunione” che intercorre tra l’uomo e Dio, specialmente quando si tiene presente l’insegnamento del N.T. che presenta Dio come Padre, si può maggiormente capire quanto sia importante per l’uomo avere comunione con Lui. Non si tratta di pensare ad un monarca seduto su uno splendido trono, o ad una persona altolocata che mantiene una certa distanza; si tratta invece di pensare ad un Padre che vuole trasmettere il calore del suo amore e la premura del suo interessamento, verso proprio figlio. Se Dio è Padre, la comunione che si ha con lui, non è quella di un comune padre terreno, ma l’unione col “Padre nostro celeste”

    Camminare con Dio, infine, significa: onore, privilegio. Se si considera il privilegio e l’onore che si ha, quando si può camminare in compagnia con una persona importante della terra, si può ben valutare il privilegio e l’onore che Enoch ebbe nel camminare con Dio, il creatore e il sostenitore di tutte le cose. Per Enoch non era soltanto questione di solo privilegio ed onore, implicava anche la sfera dell’amicizia.

    Solo le persone che entrano in un rapporto personale con Dio, possono capire ed esperimentare che cosa significhi, camminare assieme a Dio, avere una relazione di comunione con Lui, godere l’onore e il privilegio della sua compagnia ed entrare in un rapporto di amicizia. Tutto questo è racchiuso nelle tre parole: “Camminare con Dio”.

    Si continuerà il prossimo giorno...
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    Domenico34
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    00 22/11/2010 20:44

    4. I TRECENTO ANNI CHE ENOCH CAMMINÒ CON DIO

    Forse per gli uomini che vissero ai tempi antichi, dei quali la durata della loro vita era composta di diverse centinaia di anni, i trecento anni di esistenza che Enoch camminò con Dio, potevano essere considerati una parte minore, rispetto a tutti gli altri anni che rimaneva (diciamo trecento anni, perché tanti furono gli anni che Enoch utilizzò per camminare con Dio. I suoi primi sessantacinque anni, furono utilizzati per altri scopi ed altri fini).

    Ma per Enoch, quei trecento anni, parlavano di tutto il tempo della sua vita.
    In altre parole, Enoch, poteva dire: quando all’età di sessantacinque anni ho preso la decisione di vivere la mia vita in maniera diversa di come l’avevo vissuta, tutti gli altri anni, che furono trecento, li utilizzai a camminare, non da solo, ma con Dio.

    Spostando il racconto di Enoch ai nostri tempi, dato che nessuno ai nostri giorni vive trecento anni, la valutazione che si potrebbe fare è quella di parlare di tantissimi anni dedicati con Dio. Questa però non è l’esatta interpretazione che si darebbe ai trecento anni di Enoch.

    Se invece, consideriamo i trecento anni di Enoch, come il totale di tutti gli anni che visse, a cominciare dai sessantacinque anni, data in cui ebbe inizio un nuovo corso di vita, come anni utilizzati con Dio, si può subito scorgere la costanza e la perseveranza, che contrassegnò la vita di questo patriarca. La Bibbia dice che:

    Meglio la fine di una cosa che il suo inizio (Ecclesiaste 7:8).

    Inoltre, quello che conta davanti a Dio non è tanto il principio di una cosa quanto la sua fine. Ecco perché Gesù poteva dire alla chiesa di Smirne:

    Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita (Apocalisse 2:10).

    E inoltre:

    Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato (Matteo 10:22).

    I trecento anni di vita che Enoch dedicò nel camminare con Dio, ci parlano inoltre che quest’uomo seppe fare una giusta e assennata valutazione del tempo che aveva a sua disposizione. Non giova a niente pensare al periodo in cui non si è convertiti. Sì, è vero, che si può rimpiangere gli anni trascorsi lontano dal Signore, e dire con sincera convinzione: oh! Se avessi conosciuto il Signore prima, forse non avrei fatto quello che ho fatto e non mi sarei comportato come sono vissuto!

    Dal momento che si accetti il Signore come personale Salvatore e si decide di camminare in “novità di vita”, in un determinato anno dell’esistenza, consideriamo quella data come inizio di un nuovo corso di modo di vivere. Il resto degli anni, fino alla morte, se si sapranno utilizzare per camminare con Dio, saranno quelli che determineranno la sorte dell’eternità.

    5. LA fede DI ENOCH E LA VALUTAZIONE DI DIO

    A differenza del racconto della Genesi che parla dei trecento anni che Enoch camminò con Dio, l’Epistola agli Ebrei, omettendo questo particolare, preferisce inserire un nuovo elemento che dà valore a tutto il tempo che Enoch camminò con Dio: la sua fede. Stando alla struttura di Ebrei 11:5, la fede di Enoch, non viene messa in relazione col suo camminare, ma col suo “trasferimento in cielo”. Che significa ciò? Si deve forse pensare che durante tutti i trecento anni che Enoch camminò con Dio, non aveva fede ma l’ebbe solamente quando Dio lo prese?

    È inconcepibile pensare ciò. Anche se il racconto della Genesi non dicesse niente della fede di quest’uomo il fatto stesso però che Enoch venga presentato come un essere umano che ha rapporti di comunione e di amicizia con Dio, e la testimonianza stessa che viene resa prima che fosse trasferito in cielo, che era piaciuto a Dio, tutto ciò è una prova più che sufficiente per dimostrare che nella vita di quest’uomo era la fede che lo sosteneva nella sua perseveranza. Ha ragione Thomas Hewitt, quando afferma: “Per ottenere l’approvazione e la benedizione di Dio è necessaria la fede”.

    La testimonianza che Enoch ricevette, (anche se non viene specificato da chi la ricevette, crediamo si tratti di Dio) prima del suo trasferimento in cielo, è un elemento che parla, non solo del fatto che il modo di camminare di Enoch, piaceva a Dio, ma era anche la proclamazione più solenne della valutazione che Dio faceva della vita di quest’uomo.

    Ai fini di Dio, non contano le valutazioni che possono fare Tizio e Caio, anche se sono in molti a parlare bene di una persona. L’uomo valuta a seconda che vede e comprende, e non sempre la sua valutazione è scevra di preconcetti. Quella che però fa Dio, è ben diversa da quella che fa l’uomo, per la sua portata e soprattutto per la sua obiettività.

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    00 23/11/2010 20:50

    6. LA NUOVA RESIDENZA CHE DIO FISSA PER ENOCH

    Dato che tra Dio ed Enoch c’era un rapporto di comunione e di amicizia, non sarà stato difficile a Dio comunicare ad Enoch la sua intenzione di trasferirgli la sua residenza.

    Un’insegnante della Scuola Domenicale, spiegando alla sua classe la scomparsa di Enoch, la presentò nel seguente modo. “Un giorno Enoch fece una lunga passeggiata con Dio, e dopo di aver camminato tanto, Dio disse ad Enoch: siamo lontano dalla tua casa, la mia si trova più vicino della tua, vieni nella mia abitazione”.

    Tutto quello che si può argomentare, cercando di usare parole più adatte alla realtà del trasferimento di Enoch in cielo, ha lo scopo di farci capire quello che successe in quel giorno, quando Dio decise di trasferire la residenza di Enoch, dalla terra al cielo.

    Il ragionamento pressappoco, si sarà svolto nel seguente modo: “Senti Enoch, son passati tanti anni, esattamente trecento, da quando tu hai deciso di camminare con me. In tutti questi anni ho apprezzato molto la tua determinazione e la tua perseveranza. Ho anche notato che non ti sei tirato indietro durante tutti questi anni.

    So che la tua decisione di camminare con Me, è scaturita dal fatto che mi ami e hai fiducia in me. Un simile atteggiamento, che da me è stato apprezzato, merita una giusta ricompensa. La ricompensa che ti voglio dare è il trasferimento dalla terra in cielo.

    Per trecentosessantacinque anni sei vissuto sulla terra, accanto a tua moglie e ai tuoi figli, nella tua casa che ti sei costruita. Ora voglio portarti in un luogo dove tu non sei stato mai e di cui non conosci né i suoi abitanti né le cose che vi sono.

    Ti dico subito che questo luogo si chiama il cielo, dove c’è il mio trono; dove ci sono milioni di esseri angelici; dove è sempre giorno, perché la notte non esiste, dove c’è una grandissima città di cui non hai la minima idea della sua straordinaria grandezza e del fatto che è costruita con oro puro, simile a cristallo trasparente, le cui porte sono di perle e la piazza di oro puro. In questo posto non esiste il mare; non ci sono malattie e dolori; i pianti e i travagli non si conoscono, come neanche qualsiasi forma di sofferenze, compreso quella che produce la morte, dato che la stessa morte non si conosce in questo luogo.

    Mi dirai: il luogo dove ti voglio portare, è troppo stupendo e meraviglioso per te, e che tu non avevi la minima idea che ti avrei fatto questo ragionamento, elevandoti a questo grande onore di venire ad abitare nello stesso luogo dove io mi trovo.

    Devo precisarti che, a parte che non sei tu che mi hai chiesto una simile ricompensa, te la voglio dare ugualmente, non però basandomi suoi tuoi meriti, ma principalmente in virtù della mia bontà e della mia grazia. “Signore, stento a credere a tutto quello che mi hai detto; le parole mi vengono meno, non saprei cosa dirti.

    Se qualcuno dei miei conoscenti mi avesse fatto il ragionamento che tu mi hai fatto, e mi avesse proposto il cielo come la mia nuova residenza, probabilmente non avrei creduto, ritenendolo un luogo di fantascienza, soltanto concepibile con l’immaginazione e la fantasia umana.

    Nonostante che la mia capacità di intendere sia molto limitata e che non tutto sia chiaro davanti a me, pur nondimeno, dato che ho fiducia in te, in conseguenza del fatto che sono tanti gli anni che sono stato insieme a te, accetto la tua proposta di trasferimento dalla terra al cielo, come mia nuova residenza”.

    Se abbiamo usato un’argomentazione al pari di un comune ragionamento che si fa tra gli uomini, l’abbiamo fatto, non per divagare con parole della fantasia e dell’immaginazione umana, ma per cercare di capire e spiegare la frase: “Per fede Enoch fu trasferito in cielo”.

    Il trasferimento in cielo di Enoch, avvenne per fede, che equivale a fiducia, ciò vuol affermare che Enoch non rimase passivo davanti alla proposta del suo trasferimento.
    Usiamo il termine “proposta”, non perché la troviamo nel testo, ma perché esprime meglio di ogni altra parola, il ragionamento che Dio fece con Enoch, prima che avesse eseguito il suo trasferimento.

    D’altra parte, dietro il rapporto di comunione e di amicizia che intercorreva tra Dio ed Enoch, è impensabile che Dio prenda per forza Enoch, senza rivolgergli una parola e senza permettergli di dire qualche cosa.

    Si tenga presente che nel passo di Ebrei 11:5, non abbiamo la descrizione della cattura di una persona che viene trasportata da un luogo ad un altro, come prigioniero di guerra; abbiamo il racconto di un trasferimento in cielo da parte di Dio, di un uomo che prima di essere trasferito, riceve la “testimonianza che era piaciuto a Dio”.

    Solo valutando e vagliando bene tutta l’argomentazione che abbiamo fatto, e soprattutto tenendo presente il valore della frase: Per fede Enoch fu trasferito..., si può agevolmente accettare il termine “proposta” che abbiamo adoperato in questa esposizione.

    Si continuerà il prossimo giorno...
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    Domenico34
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    00 24/11/2010 17:34

    7. PERCHÈ ENOCH FU TRASFERITO IN CIELO

    Per fede Enoch fu trasferito in cielo perché non vedesse la morte.

    Stando a quello che dice la Bibbia, sono due gli uomini tra il genere umano che non hanno visto la morte: Enoch ed Elia. Nonostante vi sia una legge universale che decreta: E come è stabilito che gli uomini muoiano una volta (Ebrei 9:27), nondimeno Dio ha voluto accordare una grazia particolare a questi due uomini per non fargli vedere la morte, o come si direbbe figurativamente, per non fargli attraversare il fiume Giordano.

    Non rientra nel nostro scopo di lavoro, discutere perché questi due uomini furono esentati dalla morte, per un certo tempo, pensando soprattutto ad una antichissima interpretazione di Apocalisse 11, che è anche un’interpretazione dei nostri giorni che vedeva e vede nei due testimoni, Enoch ed Elia, soprattutto per metterli alla pari con la legge universale di Ebrei 9:27.

    Lo scopo principale del nostro lavoro, è mettere in risalto la fede, tenendo presente che “senza fede è impossibile piacere a Dio”. Sotto questo profilo, cerchiamo di far notare i vari elementi che caratterizzarono la vita degli uomini elencati in Ebrei 11, e che ai nostri giorni come sempre, possono essere motivo d’ispirazione a percorrere il sentiero della fede. In questo capitolo stiamo parlando di Enoch, ed è giusto che ci occupiamo di lui e della sua fede.

    Crediamo che solo l’eternità potrà rispondere adeguatamente, alla domanda, perché Enoch non vide la morte? Tenendo presente il fattore fede, il trasferimento in cielo di Enoch, acquista più significato, per il fatto che se non ci fosse stato il cambiamento di sede, Enoch, al pari degli altri, avrebbe visto la morte. Nel caso specifico, non vediamo un tentativo di Enoch ad evitare la morte, ma una precisa volontà divina che la attua.

    Si sa con estrema certezza che la morte è la conseguenza del peccato. Paolo ha esposto dogmaticamente questa verità quando afferma:

    Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per mezzo del peccato la morte, così la morte si è estesa a tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato (Romani 5:12).

    Non si può pensare minimamente di escludere Enoch dal numero degli uomini, senza che “l’universalità del peccato” sia seriamente minata. Enoch era un membro della famiglia umana, un figlio di Adamo, e, come tale, un peccatore come tutti gli altri. Anche se la Bibbia non parli che Enoch fu perdonato del suo peccato, pensando all’ambiente in cui egli visse e a quello che Dio fece con Adamo quando gli provvide un “vestimento”, e, pensando soprattutto alla sua fede, c’è da presupporlo, anche se non abbiamo tutti i termini per spiegarlo e stabilire su quale base sia avvenuto.

    Una cosa è certa: dato che la nuova residenza era il cielo, Dio stesso che lo trasferì, avrà pensato di munirlo di un certificato che attestasse che Enoch, nonostante figlio di Adamo, quindi peccatore, in virtù della grazia di Dio, veniva perdonato, e, quindi, con il pieno diritto di entrare e stabilirsi nella nuova abitazione, il cielo. Se poi si pensa a Gesù Cristo, l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, preordinato prima della fondazione del mondo, diventa più facile vedere la grazia del perdono che Enoch ottenne.

    Quando Dio parlò ad Enoch di volerlo trasferire in cielo, sicuramente gli avrà spiegato che in conseguenza di questa nuova situazione, veniva risparmiato dal “vedere la morte”. Se l’Epistola agli Ebrei specifica: perché non vedesse la morte o come dice un’altra traduzione: “In modo da non vedere il decesso”, appare chiaro quale fu il vero scopo del trasferimento di Enoch in cielo.

    8. UN’APPLICAZIONE SPIRITUALE PER I CRISTIANI DI OGGI

    Tutto quello che si legge nell’A.T. (fatti ed eventi), anche se non tutto è compatibile con l’insegnamento del N.T., (vedi per esempio i vari sacrifici ai tempi di Mosè e tutto il cerimoniale liturgico), ogni cristiano, tuttavia, dovrebbe sempre cercare di scoprire una corrispondenza sul piano spirituale, ma soprattutto su quello della fede, elemento che unisce l’A.T. e il N.T. in un vincolo indissolubile.

    Enoch, uomo di fede, può insegnarci un’importante verità pratica, per quanto riguarda il nostro camminare con Dio. Il cielo, luogo nel quale quest’uomo è stato trasferito, fu la diretta conseguenza del suo costante camminare con Dio.

    È vero che ai nostri giorni ci sono quelli che non credono al cielo come dimora di tutti quelli che credono al vangelo e all’opera che Cristo venne a compiere per la salvezza dell’umanità; al luogo dove saranno asciugate tutte le lagrime versate sulla terra; dove i dolori, le malattie e ogni sorta di sofferenza, morale e fisica, saranno assenti in modo totale; dove si godrà lo splendore della gloria di Dio e di Gesù Cristo; al luogo dove la morte non separerà più i suoi abitanti; dove il sangue innocente non sarà più sparso e dove i soprusi e le angherie non avranno motivo di esistere; dove il canto e il giubilo, non saranno più oscurati da avversità e prove; dove la gioia sarà piena e duratura e dove la felicità sarà eterna.

    E per coloro credono al vangelo, e accettano l’opera che Gesù Cristo venne a compiere, con la sua morte e la sua risurrezione, e lo ricevono nella loro vita come il loro personale Salvatore, per loro c’è una gloriosa promessa, fatta dallo stesso Gesù:

    Il vostro cuore non sia turbato; credete in Dio e credete anche in me.
    Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, ve lo avrei detto; io vado a prepararvi un posto.
    E quando sarò andato e vi avrò preparato il posto, ritornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sia io sia anche voi
    (Giovanni 14:1-3).

    Non tutti i credenti avranno il privilegio e l’onore di non vedere la morte, come avvenne per Enoch. Sappiamo però, con assoluta certezza, che al ritorno di Cristo, ci saranno quelli che avranno questo privilegio, secondo quello che dice la Parola di Dio.

    Ora fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate contristati come gli altri che non hanno speranza.
    Infatti, se crediamo che Gesù è morto ed è risuscitato, crediamo pure che Dio condurrà con lui, per mezzo di Gesù, quelli che si sono addormentati.
    Ora vi diciamo questo per parola del Signore: noi viventi, che saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo coloro che si sono addormentati,
    perché il Signore stesso con un potente comando, con voce di arcangelo e con la tromba di Dio discenderà dal cielo, e quelli che sono morti in Cristo risusciteranno per i primi;
    poi noi viventi, che saremo rimasti, saremo rapiti assieme a loro sulle nuvole, per incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre col Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole
    (1 Tessslonicesi 4:13-18).

    PS: Se ci sono delle domanda da fare, sentitevi liberi dal formularle; da parte nostra saremo felici di rispondere.