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4. I TRECENTO ANNI CHE ENOCH CAMMINÒ CON DIO

Forse per gli uomini che vissero ai tempi antichi, dei quali la durata della loro vita era composta di diverse centinaia di anni, i trecento anni di esistenza che Enoch camminò con Dio, potevano essere considerati una parte minore, rispetto a tutti gli altri anni che rimaneva (diciamo trecento anni, perché tanti furono gli anni che Enoch utilizzò per camminare con Dio. I suoi primi sessantacinque anni, furono utilizzati per altri scopi ed altri fini).

Ma per Enoch, quei trecento anni, parlavano di tutto il tempo della sua vita.
In altre parole, Enoch, poteva dire: quando all’età di sessantacinque anni ho preso la decisione di vivere la mia vita in maniera diversa di come l’avevo vissuta, tutti gli altri anni, che furono trecento, li utilizzai a camminare, non da solo, ma con Dio.

Spostando il racconto di Enoch ai nostri tempi, dato che nessuno ai nostri giorni vive trecento anni, la valutazione che si potrebbe fare è quella di parlare di tantissimi anni dedicati con Dio. Questa però non è l’esatta interpretazione che si darebbe ai trecento anni di Enoch.

Se invece, consideriamo i trecento anni di Enoch, come il totale di tutti gli anni che visse, a cominciare dai sessantacinque anni, data in cui ebbe inizio un nuovo corso di vita, come anni utilizzati con Dio, si può subito scorgere la costanza e la perseveranza, che contrassegnò la vita di questo patriarca. La Bibbia dice che:

Meglio la fine di una cosa che il suo inizio (Ecclesiaste 7:8).

Inoltre, quello che conta davanti a Dio non è tanto il principio di una cosa quanto la sua fine. Ecco perché Gesù poteva dire alla chiesa di Smirne:

Sii fedele fino alla morte e ti darò la corona della vita (Apocalisse 2:10).

E inoltre:

Chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato (Matteo 10:22).

I trecento anni di vita che Enoch dedicò nel camminare con Dio, ci parlano inoltre che quest’uomo seppe fare una giusta e assennata valutazione del tempo che aveva a sua disposizione. Non giova a niente pensare al periodo in cui non si è convertiti. Sì, è vero, che si può rimpiangere gli anni trascorsi lontano dal Signore, e dire con sincera convinzione: oh! Se avessi conosciuto il Signore prima, forse non avrei fatto quello che ho fatto e non mi sarei comportato come sono vissuto!

Dal momento che si accetti il Signore come personale Salvatore e si decide di camminare in “novità di vita”, in un determinato anno dell’esistenza, consideriamo quella data come inizio di un nuovo corso di modo di vivere. Il resto degli anni, fino alla morte, se si sapranno utilizzare per camminare con Dio, saranno quelli che determineranno la sorte dell’eternità.

5. LA fede DI ENOCH E LA VALUTAZIONE DI DIO

A differenza del racconto della Genesi che parla dei trecento anni che Enoch camminò con Dio, l’Epistola agli Ebrei, omettendo questo particolare, preferisce inserire un nuovo elemento che dà valore a tutto il tempo che Enoch camminò con Dio: la sua fede. Stando alla struttura di Ebrei 11:5, la fede di Enoch, non viene messa in relazione col suo camminare, ma col suo “trasferimento in cielo”. Che significa ciò? Si deve forse pensare che durante tutti i trecento anni che Enoch camminò con Dio, non aveva fede ma l’ebbe solamente quando Dio lo prese?

È inconcepibile pensare ciò. Anche se il racconto della Genesi non dicesse niente della fede di quest’uomo il fatto stesso però che Enoch venga presentato come un essere umano che ha rapporti di comunione e di amicizia con Dio, e la testimonianza stessa che viene resa prima che fosse trasferito in cielo, che era piaciuto a Dio, tutto ciò è una prova più che sufficiente per dimostrare che nella vita di quest’uomo era la fede che lo sosteneva nella sua perseveranza. Ha ragione Thomas Hewitt, quando afferma: “Per ottenere l’approvazione e la benedizione di Dio è necessaria la fede”.

La testimonianza che Enoch ricevette, (anche se non viene specificato da chi la ricevette, crediamo si tratti di Dio) prima del suo trasferimento in cielo, è un elemento che parla, non solo del fatto che il modo di camminare di Enoch, piaceva a Dio, ma era anche la proclamazione più solenne della valutazione che Dio faceva della vita di quest’uomo.

Ai fini di Dio, non contano le valutazioni che possono fare Tizio e Caio, anche se sono in molti a parlare bene di una persona. L’uomo valuta a seconda che vede e comprende, e non sempre la sua valutazione è scevra di preconcetti. Quella che però fa Dio, è ben diversa da quella che fa l’uomo, per la sua portata e soprattutto per la sua obiettività.

Si continuerà il prossimo giorno...