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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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20/10/2011 00:05

I deboli nella fede,

«non sono — diciamolo subito — persone che «pretendono di essere salvate e di diventare beate mediante le loro opere»; «essi vogliono vivere soltanto della loro fede, ma — per poterlo fare — vogliono prendere certi particolari provvedimenti; poiché essi non si sentono capaci di farlo senza servirsi di quel parapetto, di quei principi, e quegli esercizi, giacché senza questa piccola iniziativa personale temono di decadere dalla grazia» (Barth III) [Cfr. Frederick F. Bruce, L’epistola di Paolo ai Romani, pag. 297].

La questione dei deboli nella fede, riguardava su quello che si mangiava. Il credente forte mangiava di tutto, mentre quello debole, per paura di venir meno nella sua vita cristiana, si limitava a mangiare solo legumi. Il forte non aveva riguardo al giorno, dato che per lui non c’erano giorni particolari, mentre il debole faceva differenza tra un giorno e l’atro. Come si può vedere, c’era un problema nella comunità romana: le due parti di credenti non agivano secondo lo spirito cristiano, che è quello di essere tollerante l’uno verso l’altro, ma si comportavano a discapito dell’unità e peggio ancora giudicavano.

Senza dubbio, qualcuno avrà messo al corrente l’Apostolo che, nella Chiesa, c’era questo atteggiamento discordante. Paolo, rendendosi conto che i fratelli non stavano agendo secondo lo spirito cristiano, li esorta a cambiare atteggiamento nei riguardi dei deboli nella fede. Il debole, dice lui, non deve essere giudicato, per quello che egli fa e per come vede le cose; deve essere accolto con amore, con gentilezza e con tolleranza, onde evitare che prenda il sopravvento quello spirito di animosità, che crea senza dubbio disprezzo, l’uno verso l’altro. In altre parole l’Apostolo vuole dire questo: Il fratello debole nella fede, non ha tanta conoscenza per come valuta le cose e per come si comporta davanti ad esse; però è sempre un fratello, per il quale Cristo ha dato la Sua vita per lui, cioè è un fratello che è stato salvato per grazia, nella identica maniera come lo sono stati gli altri. Ragione per cui deve essere trattato senza fare dispute o giudicare le sue opinioni, ma come fratello in Cristo che, crescendo nella sua conoscenza e maturandosi nella sua esperienza cristiana, saprà vedere la sua debolezza, e, riconoscendola, potrà chiedere l’intervento di Dio nella sua vita per emanciparsi. Qualunque sia il giudizio che si formula nei confronti di un credente, abbiamo sempre bisogno di ricordarci delle parole di Gesù: Non giudicate, affinché non siate giudicati (Matteo 7:1).

31) Romani 14:22:


Hai tu fede? pistin Tienila per te stesso davanti a Dio; beato chi non condanna se stesso in ciò che approva.

La raccomandazione che l’Apostolo fa riguarda essenzialmente a non
porre intoppo o scandalo al fratello (v. 13), perché se il tuo fratello è contristato a motivo di un cibo, tu non cammini più secondo amore; non far perire col tuo cibo colui per il quale Cristo è morto (v. 15).

Siccome il regno di Dio non è mangiare e bere, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo (v. 17), e poiché il credente deve perseguire le cose che contribuiscono alla pace e alla edificazione reciproca (v. 19), ne consegue che non bisogna distruggere l’opera di Dio per il cibo (v. 20). La fede, di cui parla il verso 22, è una fede personale, di cui non la si può imporre a nessuno.

32) Romani 14:23:

Ma colui che sta in dubbio, se mangia è condannato, perché non mangia con fede; [ pistes] or tutto ciò che non viene da fede [ pistes] è peccato.

Siccome la fede fa superare certi pregiudizi che potrebbero nascere circa il mangiare certi cibi e previene certi condizionamenti, e, poiché il dubbio porta alla condanna, perché non si mangia con fede, ne consegue che tutto ciò che non viene da fede è peccato. Davanti a questa categorica affermazione paolina, dobbiamo stare molto attenti per non cadere in questo pericolo, che porterebbe tragiche conseguenze all’anima.

33) Romani 16:26:

e ora manifestato e rivelato fra tutte le genti mediante le Scritture profetiche, secondo il comandamento dell’eterno Dio, per indurli all’ubbidienza della fede [ pisteōs ]

In base alla frase mediante le Scritture profetiche,

«Harnack riteneva queste parole come un’aggiunta ortodossa a una dossologia marcionita — ed anche un’aggiunta malfatta perché, se il mistero era stato «tenuto occulto fin dai tempi più remoti» (versetto 25) e solo ora era stato manifestato, come avrebbe potuto esser fatto conoscere mediante gli scritti dei profeti? Harnack non era l’unico a rilevare questa difficoltà; ma la soluzione che egli prospetta non è la sola possibile. «Per quanto i profeti avessero precedentemente insegnato tutto quello che Cristo e gli apostoli hanno spiegato, essi lo avevano insegnato in modo talmente oscuro, quando lo si paragoni con la splendente chiarezza che ha la luce del vangelo, da non doversi sorprendere se vien detto, delle cose ora rivelate, che prima erano state nascoste» (Calvino). Paolo, e gli altri apostoli con lui, si servivano abbondantemente delle «Scritture profetiche» nella loro predicazione del vangelo; ma potevano comprendere e spiegare quelle Scritture solo alla luce della nuova rivelazione in Cristo (cfr. 1 Pietro 1:10-12)» [Cfr. Frederick F. Bruce, L’epistola di Paolo ai Romani, pagg.345,346].

Si continuerà il prossimo giorno...
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