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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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04/11/2011 00:59

Anche se nella commedia antica il termine veniva usato come insulto, l’Apostolo non lo adoperò sicuramente in senso spregevole, ma per far comprendere a questi fratelli che quando hanno dato ascolto e si sono lasciati influenzare dai giudaizzanti, hanno agito come persone che non capivano la portare di quello che veniva loro detto e dove li volevano portare. Siccome Paolo sapeva molto bene che questa gente volevan portare gli etnicocristiani all’osservanza della legge, con la prima domanda che rivolge loro, vuole sapere chi li ha ammaliati per non ubbidire alla verità. Il termine [ Ebaskainein ] significa «stregare, incantare, ammaliare».

Giustamente qualcuno ha pensato che in fondo non aveva agito un’arte di persuasione umana, ma addirittura una potenza demoniaca, che li aveva talmente accecati da portarli a dimenticare la loro esperienza cristiana. L’attacco di quest’azione, in fin dei conti, non era fatto alla persona di Paolo, ma alla verità, cioè all’evangelo di cui l’Apostolo era stato costituito da Dio banditore (1 Timoteo 2:7). Davanti a un simile atteggiamento, l’Apostolo non si dà pace come questi fratelli hanno potuto deviare, pensando soprattutto che a loro, davanti ai cui occhi è stato ritratto (La Nuova Riveduta e la CEI hanno tradotto rappresentato Gesù Cristo crocifisso.

«Agli occhi dei Galati il Crocifisso fu presentato nel tempo in cui l’Apostolo — svolgendo la sua missione fra di loro — annunciò ad essi l’evangelo della croce di Gesù, che è sola capace di portare la salvezza; quindi il [ proegraf ] = (descrivere , delineare, dipingere. Bando pubblico, nel senso della proclamazione pubblica. Quest’ultimo significato è da preferire, per il fatto che a Paolo
«difficilmente poteva interessare una «pittura» delle sofferenze del Crocifisso. Gli interessava piuttosto la validità e la innegabile dimensione pubblica del suo messaggio sulla croce, dal quale i Galati si erano lasciati distogliere da un inconcepibile «ammaliatore») [Cfr. H. Balz, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Vol 2. col. 1108; G. Schrenk, GLNT, Vol. 2, col. 680-682],

non indica una descrizione affettuosa, pietistica della passio Iesu, (passione di Gesù) specialmente della sua crocifissione, e non si riferisce alle profezie veterotestamentarie sulle sofferenze del Messia (il Servo di Dio!), ma alla predicazione della croce, che risuona pubblicamente nel mondo, quindi anche fra i Galati». «Isous Christos estaurmenos = (Gesù Cristo crocifisso) è la formula riassuntiva, che indica l’evento decisivo della salvezza e, come tale, il contenuto centrale del kerygma paolino». Dicendo proegraf = (proclamazione pubblica) l’Apostolo rappresenta «in senso figurato la sua precedente predicazione orale di Cristo crocifisso, da lui svolta presso i Galati, come uno scritto o una lettera che egli allora ha scritto... sotto i loro occhi» [Ibidem, pag. 329, nota 11].

Con la seconda domanda, contenuta nel (v. 2), Paolo tocca da vicino l’esperienza cristiana dei Galati per ciò che riguarda la loro conversione. L’Apostolo sa che i Galati, con la loro conversione a Cristo, avevano ricevuto lo Spirito, allusione chiarissima allo Spirito Santo. Ai fini dell’argomentazione che Paolo fa, non ha nessuna importanza stabilire se lo Spirito Santo quei cristiani l’hanno ricevuto per l’imposizione delle mani, (dello stesso Paolo secondo la prassi apostolica?) (cfr. Atti 8:17; 19:6).

A lui interessa sapere se questo Spirito l’hanno ricevuto mediante le opere della legge o attraverso la predicazione della fede. Anche se non c’è la risposta alla domanda dell’Apostolo, per Paolo e per tutti quelli che credono ed accettano il messaggio evangelico, così come ci è tramandato dal N.T., la risposta è categoricamente: per la predicazione della fede. Se Paolo fa riferimento a una esperienza cristiana che i Galati avevano fatto, non è per discreditarli o insinuare il dubbio nella loro mente, ma è essenzialmente per far comprendere loro quanto siano stati insensati a prestare attenzione ai giudaizzanti che li volevano distrarre dalla verità dell’evangelo e condurli all’osservanza della legge, senza riflettere che così agendo, è come se essi stessi rinnegassero la loro esperienza cristiana.

Questo testo paolino, può insegnarci qualcosa che riguarda la vita pratica di ogni giorno. Ogni autentico cristiano, — che presuppone anche un’autentica conversione —, ha alla base della sua vita cristiana, una esperienza spirituale che lo contraddistingue dagli inconvertiti. Le esperienze spirituali possono essere diverse, questo però non significa che si possa concepire un vero cristianesimo privo di una esperienza spirituale.

La vita cristiana, così come viene presentata e insegnata dalle sacre Scritture, non consiste nell’apprendimento di tante nozioni teologiche più o meno approfondite; essa ha, come segno distintivo che la caratterizza, autentiche esperienze, non emozionali e sentimentali, ma dimostrazioni di cambiamenti di vita, di rapporti personali con Dio, di vita gioiosa proveniente dalla manifestazione dello Spirito Santo. Tutto questo naturalmente, non può essere mai attribuito al merito e allo sforzo umano, esso va sempre attribuito a Dio e alla sua grazia che Egli largisce. Davanti alla minaccia di una seduzione o traviamento qualsiasi, vale molto tenere ferma la propria esperienza spirituale e non rinnegarla mai.

5) Galati 3:5:


Colui dunque che vi dispensa [Il termine greco [ epichorēgón ], la N. Riveduta e la CEI lo rendono amministrare; G. Ricciotti e A. Martini lo traducono dare; mentre le versioni Inglesi, si orientano sui concetti di: dare, somministrare, supplire, provvedere. Secondo R. Mahoney, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, Vol. 1 col. 1360, il termine in questione significa: concedere, accordare, porgere, sostenere, appoggiare. Tra questi significati, l’autore crede che il termine in Galati debba avere il significato: somministrare, mettere a disposizione, o, semplicemente, dare, lo Spirito e opera tra voi potenti operazioni, lo fa mediante le opere della legge o mediante la predicazione della fede? [ pistes].

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06/11/2011 00:12

In quest’altro versetto c’è un’altra domanda, la quinta per esattezza che l’Apostolo ha già rivolto ai Galati; ne farà altre due nel corso di questo capitolo. Anche se a quest’altra domanda i Galati non hanno risposto, c’è sempre qualcosa di nuovo che viene specificato, su cui vale la pena riflettere. Nel (v. 2) si parla che i Galati hanno ricevuto lo Spirito, e che questo Spirito non l’hanno ottenuto mediante le opere della legge In questo verso, oltre a ritornare a parlare dello stesso Spirito, si aggiungono specificatamente le potenti operazioni. Nel (v. 2) con la menzione del ricevimento dello Spirito, vi sono sottintesi anche le manifestazioni dello Spirito, ciò si può accettare in linea di massima; però bisogna precisare che non sempre ricevendo lo Spirito, vi sono le manifestazioni miracolose, intese come doni dello Spirito.

Nel caso dei Galati, Paolo non lascia nessun dubbio, specifica chiaramente che col ricevimento dello Spirito, vi sono state anche le potenti operazioni, o come si dice comunemente i miracoli. I Galati, quindi, non sono ricordati solamente come credenti nella cui vita si è verificato qualcosa che li ha portati a fare delle vere esperienze spirituali: il cambiamento della loro vita, la relazione personale con Dio, la vita gioiosa ed esuberante della presenza dello Spirito in loro, ma anche hanno visto con i loro occhi le manifestazioni miracolose. Tenendo presente queste cose, i Galati avevano diverse cose da raccontare come esperienze che essi avevano fatte. Ora, giustamente, l’Apostolo domanda:

Colui che vi ha dato lo Spirito e con esso ha operato tra voi potenti operazioni, lo ha fatto mediante le opere della legge o mediante la predicazione della fede?

C’è una sola risposta a questa domanda: mediante la predicazione della fede. Se l’Apostolo avesse chiesto ai Galati qualcosa riguardante il sapere, la conoscenza, cose che quei credenti non tutti forse sarebbero stati in grado di rispondere, perché non tutti probabilmente si trovavano sullo stesso livello di conoscenza, difficilmente quei credenti avrebbero potuto rispondere alle domande dell’Apostolo. Paolo domandava qualcosa che loro avevano, qualcosa i cui occhi avevano visto; insomma, qualcosa che aveva a che fare con la loro personale esperienza.

Se era chiaro che l’esperienza dei Galati non poteva essere fatta risalire alle opere della legge, perché a rigore, —loro prima di diventare cristiani erano pagani —, quindi non conoscevano la legge come la conoscevano i giudei, questi ragionamenti che l’Apostolo rivolge loro, oltre a toccare da vicino la loro esperienza personale, essi erano più che sufficienti per far comprendere loro che si troverebbero sulla strada sbagliata nel seguire ed accettare quello che i giudaizzanti gli avevano presentato, cioè l’obbligo di osservare la legge Poiché i Galati non hanno dato nessuna risposta alle domande di Paolo, ora è lui stesso che risponde con la prova delle Scritture.

2. L’AFFERMAZIONE DELLA SCRITTURA

6) Galati 3:7:


sappiamo pure che coloro che sono dalla fede [ pistes] sono figli di Abrahamo.

È molto significativo che Paolo citi Abrahamo per formulare la prova scritturale per convalidare quello che egli ha detto nei versetti precedenti. Siccome in precedenza l’Apostolo ha parlato ripetutamente delle opere della legge e di fede, quella fede in Gesù Cristo, naturalmente, che è il canale attraverso il quale si ricevono la salvezza e tutti i benefici ad essa connessi, Abrahamo è il personaggio ideale che può provare che quello che egli ricevette da Dio, non l’ottenne per mezzo delle opere della legge, ma unicamente per fede. Tenuto conto che in questo capitolo tre il nome del patriarca Abrahamo viene ripetuto 8 volte, l’Apostolo passa subito a provare con la Scrittura e lo fa usando i metodi dell’esegesi rabbinica [Giustamente Alan Cole, nel suo commento all’epistola ai Galati dice: «Gli studiosi moderni si spazientiscono spesso per ciò che essi chiamano una esegesi «rabbinica»; ma un poco di pazienza rivelerà quasi sempre i principi teologici pertinenti. Qui non vi è nulla di forzato e nessuna difficoltà» (cfr. pag. 118)].

«Ciò vale in particolare anche per l’esempio di Abrahamo — da lui scelto e che gli sta tanto a cuore — e per la sua esposizione in Galati 3:6-18. Mediante tale esempio egli fonda la sua teologia della giustificazione partendo dalla Scrittura e dimostra che — secondo la Scrittura — la giustificazione proviene «dalla fede» e non dalle opere della legge [Nella pericope Galati 3:6-13 Paolo cita sei passi dell’A.T.: Genesi 15:6 = Galati 3:6; Genesi 12:3 = Galati 3:8; Deuteronomio 27:26 = Galati 3:10; Abuc. 2:4 = Galati 3:11; Levitico 18:5 = Galati 3:12; Deuteronomio 21:23 = Galati 3:13. A questo proposito J. Blank osserva: «Tutte queste citazioni scritturistiche non sono stralciate arbitrariamente, ma sono scelte secondo criteri oggettivi chiaramente riconoscibili, che come principi ermeneutici determinano la selezione e l’esegesi. Lo si vede dal fatto che esse corrispondono precisamente all’antitesi fede-opere della legge». (F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 336-337, nota 5)].

Si comincia col dire che Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu messo in conto di giustizia (v. 6). Il credere di Abrahamo, per Paolo, è la fede in azione. È su questa base che Dio mette in conto di giustizia al patriarca. Infatti, la fede è sempre: certezza di cose che si sperano, dimostrazione di cose che non si vedono (Ebrei 11:1). Se poi si considera il passo parallelo di (Romani 4:9), in cui viene detto:

Ora dunque questa beatitudine vale solo per i circoncisi, o anche per gli incirconcisi? Perché noi diciamo che la fede fu imputata ad Abrahamo come giustizia,

si capisce subito che tra fede dell’epistola ai Romani e credere dell’epistola ai Galati non c’è nessuna differenza. Stabilito come prova scritturale che l’accreditamento di giustizia Dio lo fece ad Abrahamo sulla base della fede, mentre sostenere che si possa riceverla sulla base delle opere della legge, per l’Apostolo significa andare contro le Scrittura, l’unica base solida su cui deve essere fondata la vita cristiana.

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07/11/2011 00:05

Stabilito fermamente questo punto di partenza, l’Apostolo può allargare il suo orizzonte e precisare che i figli di Abrahamo sono quelli dalla fede. Anche Gesù, ai suoi giorni, parlando con i Giudei, usò la stessa argomentazione, (cfr. Giovanni 8:33-44). Si pensa che non è improbabile che Paolo conoscesse la tradizione di quella conversazione. Ma anche ammesso che l’Apostolo non la conoscesse, stabilire che i figli di Abrahamo sono quelli che provengono dalla fede, non vale solo per convalidare la sua argomentazione, illuminare le menti dei suoi lettori, ma serve anche per dimostrare che i suoi oppositori, i giudaizzanti che hanno ammaliati i Galati, non stanno seguendo il padre Abrahamo sulla via della fede, anche se gli stessi, probabilmente girando di casa in casa, dicevano: «Siamo noi i veri figli di Abrahamo, noi che ci atteniamo alla legge».

Il prossimo versetto dimostrerà chiaramente che questo tipo di vanto, basato essenzialmente sull’aspetto fisico, cioè sulla discendenza umana, non ha nessuna importanza davanti a Dio, conoscitore appieno dei cuori umani.

7) Galati 3:8:


E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato le nazioni mediante la fede [ pistes] diede prima ad Abrahamo una buona notizia: Tutte le nazioni saranno benedette in te.

Facendo riferimento alla Scrittura, quale fonte di prova per le affermazioni paoline, l’Apostolo vuole mettere in evidenza che esiste uno stretto legame o come più precisamente, un filo conduttore tra le Scritture e Dio che ne è l’ispiratore. In effetti, se esistevano le Scritture, — allusione agli scritti dell’A.T. che erano allora gli unici scritti divini a cui fare riferimento per provare una dottrina —, lo erano principalmente perché Dio le aveva date. In virtù dell’Onniscienza di Dio e del fatto che Egli vede le cose prima che esse si verifichino, nel piano della sua volontà ha stabilito che le nazioni sarebbero state giustificate mediante la fede. La promessa di Benedizione fatta ad Abrahamo è quella che si legge in Genesi 12:3: Tutte le nazioni saranno benedette in te. Nell’interpretazione di Paolo, questa è veramente una buona notizia che Dio volle dare al patriarca.

8) Galati 3:9:

Perciò coloro che si fondano sulla fede [ pistes] sono benedetti col fedele Abrahamo.

Siccome nei (vv. 7,8) l’Apostolo ha stabilito che i veri figli di Abrahamo sono quelli provenienti dalla fede e che le nazioni saranno giustificate mediante la fede, il (v. 9) oltre ad avere senso di conclusione, vuole essere anche la dimostrazione che in base alla Scrittura, la promessa di benedizione si concretizzerà e si fonderà esclusivamente sulla fede, e non sulle opere della legge Se a questo punto si considera Romani 4:13, che dice:

Infatti la promessa di essere erede del mondo non fu fatta ad Abrahamo e alla sua progenie mediante la legge, ma attraverso la giustizia della fede,

la dimostrazione scritturale acquista più peso per tutta l’argomentazione che Paolo fa, per dimostrare ai Galati, quanto sia errato che una qualsiasi benedizione si possa ricevere diversamente da quello che la Scrittura afferma ed ha stabilito come norma per tutti gli uomini di ogni nazione.

9) Galati 3:11:

Poiché è manifesto che nessuno è giustificato mediante la legge davanti a Dio, perché: «Il giusto vivrà per la fede [ pistes].

I versetti 10 e 11 possono essere parafrasati così:

«Tutti quelli che si danno da fare per essere accettati da Dio sulle basi dell’adempimento di ciò che la legge comanda, sono sotto la maledizione di Dio. Ciò è chiaro dalla Scrittura che dice: ‘Chiunque fallisce nello star saldo su ogni cosa scritta nel libro della legge, e nel farla, è sotto la maledizione di Dio’. È perfettamente chiaro che nessuno raggiunge la posizione di giusto con Dio per mezzo della legge, perché la Scrittura dice: ‘Colui che raggiunge la posizione di giusto per mezzo della fede vincerà la vita’» [Cfr. Alan Cole, l’Epistola di Paolo ai Galati, pag. 122].

Dal momento che Paolo può dimostrare con la Scrittura che coloro che si fondano sulle opere della legge sono sotto la maledizione,

perché sta scritto: «Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle» (v. 10) (cfr. Deuteronomio 27:26),

il volere sostenere la validità delle opere della legge, ai fini della salvezza o più precisamente della giustificazione, per l’Apostolo significa andare contro quello che è scritto nella stessa legge Onde dare una ulteriore dimostrazione di quello che egli sta dicendo, citando Abacuc 2:4 il quale stabilisce che il giusto vivrà per la fede, l’Apostolo presenta la sua interpretazione del passo scritturale, per maggiormente avvalorare la sua argomentazione.

«Paolo omette il complemento pronominale, perché tutto il suo interesse si concentra su ek pistes, che egli interpreta nel senso della sua teologia della fede, ossia in base all’antitesi fede-opere della legge Inoltre è da considerare che il concetto di «vivere» (zsetai) per Paolo comporta implicazioni diverse da quelle presenti in Abacuc 2:4; quando parla di «vivere», l’Apostolo pensa specialmente alla «vita in Cristo» (cfr. Galati 2:20). Una semantica orientata solo alla diacronia conduce a risultati erronei; essa trascura che Paolo con la citazione di Abacuc 2:4 introduce implicazioni che provengono dalla sua convinzione di fede cristiana. Ciò riguarda tanto il concetto di «vivere» quanto in particolare quello di «credere». Per Paolo pistis è effettivamente ancor più di ciò che significava ’emûnâ nel concetto veterotestamentario-giudaico. Ora per lui la fede è soprattutto fede in Gesù Cristo, ingresso nella comunione con Cristo, addirittura un «essere in Cristo» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 356-357, nota 72].

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[Modificato da Domenico34 07/11/2011 00:08]
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08/11/2011 00:11

Per Paolo, considerata la dichiarazione scritturistica e la sua precisa formulazione, che per mezzo della legge nessuno viene giustificato presso Dio, ciò è un fatto evidente. Tutto questo naturalmente basta per dimostrare con la Scrittura che quello che egli sta affermando intorno alla fede, non rappresenta in ultima analisi il frutto della sua fantasia o della sua speculazione teologica, ma il risultato di una equilibrata esegesi, viste e valutate le Scritture citate, soprattutto da un punto di vista cristiano.

10) Galati 3:12:


Ora la legge non proviene dalla fede, [ pistes] ma «l’uomo che farà queste cose vivrà per mezzo di esse».

«Quando egli dice che la legge non si basa sulla fede, non sta riferendosi alla legge in sé, ma alla legge vista come supposto mezzo per guadagnare il favore di Dio attraverso il «merito» [Cfr. Alan Cole, l’Epistola di Paolo ai Galati, pag. 126].

Infatti la legge si basa sul principio del «fare», dell’adempimento. La Scrittura che l’Apostolo cita in questo passo, cioè Levitico 18:5 dice:

Osserverete i miei statuti e i miei decreti, mediante i quali chiunque li metterà in pratica, vivrà. Io sono l’Eterno.

Altri testi ripetono le stesse cose, come per es. Ezechiele 20:11,13,21. I profeti però devono prendere atto che Israele non si è attenuto a quello che Dio aveva detto loro, cioè non hanno ubbidito ai comandamenti divini, anzi li hanno spesso trasgrediti. «I profeti dicono anche: spesso Israele non ha voluto comprendere la volontà salvifica di Dio! Ha più volte opposto un rifiuto a Jahvé! Specialmente Ezechiele denuncia che Israele non ha adempiuto le prescrizioni della legge; cfr., ad es. 20:13, 16,21,27» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 361]. Se a questi detti del profeta si aggiungono quelli di (Isaia 1:2) e Osea 11:2, nonché le preghiere penitenziali di Esdra 9:10 e di Neem. 1:7, il quadro appare alquanto fosco.

«Ad ogni modo, circa la legge data da Dio, Paolo pensa come i profeti. Egli conosce il fallimento d’Israele e di tutti gli uomini di fronte alle esigenze del Dio santo. Tuttavia Galati 3:12 non dice che Israele non abbia cercato di «fare» ciò che Dio aveva ordinato. Per principio egli constata «piuttosto», in base alla Scrittura, che nella legge si tratta di «fare», e perciò secondo lui la legge «non è da fede». Nella legge rientra per necessità essenziale il «fare», nella fede invece il «credere»; ciò posto, «l’Apostolo esclude l’idea del compromesso fra i due principi». Eppure proprio a un tale compromesso mirava il controevangelo degli avversari» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 362-363].

11) Galati 3:14:

affinché la benedizione di Abrahamo pervenisse ai gentili in Cristo Gesù, perché noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede. [ pistes].

Dal momento che Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, essendo diventato maledizione per noi (poiché sta scritto: «Maledetto chiunque è appeso al legno») (v. 13), (cfr. Deuteronomio 21:23), ora l’Apostolo può concludere che quello che non è stato possibile ottenere per mezzo delle opere della legge, si può ricevere mediante la fede. La benedizione di Abrahamo, e con essa la promessa dello Spirito, secondo il modo di intendere dell’Apostolo, non può arrivare ai gentili e quindi realizzarsi nella loro vita, se non in Cristo Gesù.

Il motivo perché Paolo afferma che Cristo è diventato maledizione per noi, è stato, non solamente per riscattarci dalla maledizione della legge, ma anche perché potessimo ricevere la promessa dello Spirito. La venuta dello Spirito era stata promessa dai profeti, per il futuro tempo della salvezza, tanto per il Messia stesso (Isaia 11:2) quanto per Israele (Isaia 32:15; 44:3; 59:21; Ezechiele 11:19; 36:26; 39:29) e anche per i popoli (Giole 3:1). Anzi il dono del Pneuma (termine greco per designare lo Spirito Santo) è la primizia (Romani 8:23) o la caparra (2 Corinzi 1:22; 5:5; Efesini 1:14) della futura salvezza totale. Tutto questo naturalmente si potrà ricevere solamente mediante la fede, in mancanza della quale non sarà possibile pensare all’adempimento della promessa di benedizione fatta ad Abrahamo per tutte le nazioni. Cristo come causa principale e la fede come mezzo per appropriarsi: ecco i due inseparabili elementi per ricevere la benedizione della promessa dello Spirito.

3. LA VERA FUNZIONE SALVIFICA DELLA LEGGE

12) Galati 3:22:

Ma la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, affinché fosse data ai credenti la promessa mediante la fede [ pistes] di Gesù Cristo.

Nei vv. 22-25, Paolo descrive la vera funzione della legge in vista della salvezza che si ha per la fede in Cristo Gesù.

Si discute sul significato del termine [ sunēkleisen ] che l’Apostolo adopera, per sapere, fra i tanti significati che ha, quale sia quello per Galati 3:22. Infatti, il temine in questione significa:

1. chiudere, rinchiudere. -
2. ridurre alle strette, costringere; al pass. essere stretto, premuto, costretto. -
3. legare, serrare, collegare insieme strettamente. -
4. rinchiudere, circondare, bloccare; imprigionare; al pass., essere circondato, bloccato. -
5. mettere di fronte in lotta o in gara. -
6. intrans., stringere, premere, incalzare [Secondo il Vocabolario Greco-Italiano].

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09/11/2011 00:16

Secondo C. Buzzetti, significa: rinchiudere (qlcu. come prigioniero Romani 11:32); trattare come prigioniero (Galati 3:22,23); prendere (pesce) [Cfr. C. Buzzetti, Dizionario base del Nuovo Testamento, pag. 151]. Per il Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, il suo significato è: raccogliere, rinchiudere, chiudere insieme. [Cfr. Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, col 1437]. Per O. Michel:

«sembra invece che Paolo abbia davanti a sé chiaramente l’immagine di una prigione, il che può far pensare alla chiusura dei morti nello sheol. Come i morti nella prigione degli inferi attendono la resurrezione e il giudizio, così Paolo vede gli uomini chiusi nella prigionia del peccato, dove la legge avrebbe la funzione di custode del carcere» [Cfr. O. Michel, GLNT, Vol XII, col. 1426].

Infine, per F. Mussner, in considerazione degli enunciati che Paolo produce dall’A.T. nella sua lettera ai Romani 3:9-19, quali:

Abbiamo infatti dimostrato precedentemente che tanto Giudei che Greci sono tutti sotto peccato, come sta scritto: «Non c’è alcun giusto, neppur uno. Non c’è alcuno che abbia intendimento, non c’è alcuno che ricerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti sono divenuti inutili; non c’è alcuno che faccia il bene, neppure uno (Salmo 14:3; 53:1-3). La loro gola è un sepolcro aperto, con le loro lingue hanno tramato inganni, c’è un veleno di aspidi sotto le loro labbra (Salmo 5:9; 140:3); la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza (Salmo 10:7); i loro piedi sono veloci per spandere il sangue; sulle loro vie c’è rovina e calamità, e non hanno conosciuto la via della pace (Proverbi 1:16; Isaia 59:7); non c’è il timore di Dio davanti ai loro occhi» (Salmo 36:1). Or noi sappiamo che tutto quello che la legge dice, lo dice per coloro che sono sotto la legge, affinché ogni bocca sia messa a tacere e tutto il mondo sia sottoposto al giudizio di Dio.

«Dunque, poiché trova questi dati di fatto attestati dalla e nella Scrittura, l’Apostolo può dire che la Scrittura «rinchiuse» tutto sotto il peccato. Dal momento che la «Scrittura» giudica che tutti senza eccezione soggiacciono al dominio del peccato, essa ha in certo qual modo «rinchiuso» tutto sotto il peccato. Il termine sunēkleisen è usato metaforicamente; esso esprime un giudizio della Scrittura emette. Quindi, poiché si tratta di un giudizio che la Scrittura, sembra che sunēkleisen in Galati 3:22 si debba tradurre con «racchiudere insieme» anziché con «chiudere dentro» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 392-393, note 42,43].

Facendo un controllo delle varie traduzioni, italiane ed inglesi, notiamo che i traduttori hanno dato al termine sunēkleisen, il senso del «rinchiudere». Infine, questo significato si adatta meglio a quello che lo stesso Paolo dice nei vv. 23,24 cioè che la legge ha svolta la funzione di «custode» e di «precettore». Questo però non significa sottovalutare il giudizio che formula la Scrittura quando dichiara, senza mezzi termini che, tutti gli uomini, Giudei e pagani siano peccatori. Il concetto di «inclusione» appare evidente, anzi dà più importanza a tutta l’argomentazione che l’Apostolo fa sotto il profilo storico-teologico-salvifico, specie quando lo si confronta col passo parallelo di Romani 11:32.

Col termine Scrittura, (gr. graf) è certo che si vuole alludere a tutti gli scritti dell’A.T., e non solamente a una parte di essi. Questi scritti infatti, avendo autorità divina, oltre a formulare un severo giudizio su tutta l’umanità, senza escludere nessuno, nel dichiarare che tutti gli uomini sono peccatori, hanno svolto la funzione di rinchiudere ogni cosa sotto peccato, con un preciso scopo e con una chiara finalità affinché fosse data ai credenti la promessa mediante la fede di Gesù Cristo. Questa precisazione che fa l’Apostolo, serve per farci comprendere essenzialmente la funzione che ha svolto la Scrittura, in vista della promesa. Che questa promessa sia da collegare con v. 21 il quale parla della [ dicaiosun ] = giustizia, che viene data ai credenti mediante la fede di Gesù Cristo, non c’è nessun dubbio; anzi, per dirla col Mussner, si tratta della «fede cristiana, la fede nel Crocifisso e Risorto» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 395].

13) Galati 3:23:


Ora, prima che venisse la fede pistin noi eravamo custoditi sotto la legge, come rinchiusi, in attesa della fede pistin che doveva essere rivelata.

Anche se i tre versetti, cioè 23-25 formano un’unità, come dimostra anche la loro struttura formale, preferiamo trattarli separatamente, non solo per non interrompere la nostra numerazione sulla fede nell’epistola ai Galati, ma anche e soprattutto perché possiamo esprimerci, mettendone in risalto il contenuto di ogni singolo versetto. All’enunciato iniziale del v. 23 (ma prima che venisse la fede...) corrisponde esattamente quello che sta all’inizio del v. 25 (ma, da quando è venuta la fede...). L’arrivo della fede — che non c’era prima, ma venne poi — decide anche del rispettivo rapporto con la legge; prima della venuta della fede, e dopo la sua venuta della fede. Ciò che in merito viene ancora specificato serve a indicare la vera funzione della legge nell’epoca precedente la venuta della fede.

Non è un puro caso accidentale — come si potrebbe dire — se l’Apostolo in questi tre versetti 23-25, adoperi il termine legge (gr. nomon) anziché Scrittura (graf). Se nel v. 22 Paolo ha detto chiaramente che la Scrittura ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, i vv. 23-25 ci fanno vedere la maniera con cui la legge ci ha trattati prima della venuta della fede. Se egli chiama in causa la legge, lo fa essenzialmente perché tutti comprendano — e i Galati destinatari della lettera non ne sono esclusi —, che la legge, lungi dal dare la salvezza per il fatto che non possiede i mezzi per darla, poiché essa fu aggiunta a causa delle trasgressioni (v. 19), tuttavia, secondo la spiegazione che dà l’apostolo Paolo, essa svolge però una funzione di custodia, «una specie di custodia precauzionale» e provvisoria, in attesa che si riveli la fede. Quindi, si può ulteriormente precisare che la legge svolge una funzione limitata nel tempo; ed è limitata anche nel contenuto [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 397,400, note, 58, 71].

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10/11/2011 00:23

A questo punto non si può condividere la convinzione che avevano gli ebrei, circa la funzione vigilatrice della legge. Secondo la Lettera di Aristea (sec. 1 a.C.) Dio ha dato la legge agli ebrei, «affinché noi non intrattenessimo familiarità alcuna con nessuno degli altri popoli». Dunque la legge doveva proteggere Israele dal contatto col paganesimo ambientale. Secondo Rabbi Eleazar (270 ca.), la Torà è stata data al Sinai come muro di cinta per Israele. Secondo Galati 3:23 la legge non ha nulla a che fare con questa funzione.

Facendo riferimento alla fede, sotto l’aspetto di una rivelazione, l’Apostolo vuole dire che durante tutto il tempo che la legge svolgeva la funzione di custodia, la stessa fede, oltre a non essere presente, non si era ancora fatta conoscere, per il semplice fatto che si doveva aspettare il compimento del tempo (Galati 4:4), cosa che avvenne con la venuta del Figlio di Dio. Siccome è la fede in Cristo Gesù che porta con se la salvezza, giustamente Paolo non conosce una fede astratta, svincolata dalla storia.

14) Galati 3:24:


Così la legge è stata nostro precettore per portarci a Cristo, affinché fossimo giustificati per mezzo della fede [ pistes].

Il v. 24, usando il termine [ paidaggos ] che etimologicamente significa «guida di ragazzi. Il [ paidaggos ] va distinto dal [ didascalos ] («insegnante») che propriamente istruisce. Si deve perciò intendere [ paidaggos ] nel senso di sorvegliante/precettore rigoroso [Cfr. G. Schneider, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, col. 713]. Lo scopo perché Paolo usa questo termine è per continuare il discorso che ha cominciato col v. 23 e farci vedere nello stesso tempo un altro aspetto della funzione della legge.

A parte che la funzione del [ paidaggos ] è limitata nel tempo, non bisogna pensare che la legge svolgendo la funzione pedagogica, abbia educato «per Cristo». Una simile funzione della legge in senso positivo, Paolo non la conosce. Per lui, «l’epoca della legge è il tempo del peccato e della morte, certo non un tempo privo di speranze, perché Dio non ha mai annullato il suo testamento promissorio» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 401]. Siccome l’Apostolo specifica che la funzione pedagogica della legge era quella di condurci a Cristo (N. Riveduta e CEI), affinché fossimo giustificati per mezzo della fede, ne consegue che oltre a quello che ha fatto la legge non poteva fare. Che la giustificazione non poteva essere attribuita alla legge, Paolo lo aveva perentoriamente escluso, quando aveva affermato: nessuno è giustificato mediante la legge davanti a Dio (3:11). Quello che non era possibile realizzarlo ed ottenerlo mediante la legge, è stato realizzato ed ottenuto per mezzo della fede.

15) Galati 3:25:

Ma, venuta la fede, [ pistes] non siamo più sotto un precettore.

Dal momento che la funzione pedagogica della legge era limitata nel tempo e anche nel contenuto, una volta che è venuta la fede, — che nel contesto di quello che dice la lettera ai Galati, la fede si trova sempre legata a Cristo Gesù e mai separata da lui — non c’è nessun bisogno che la legge continui a svolgere la sua funzione; quindi non c’è nessuna necessità di continuare ad essere sottoposti ad essa.

«Paolo vuole forse dire che soltanto «noi» (i credenti) non si trovano più sotto il «pedagogo», mentre invece tutti gli altri (ad es., i popoli pagani non ancora evangelizzati) continuano a sottostarvi? A questa domanda non viene data alcuna risposta nel nostro passo, perché l’Apostolo effettivamente tiene conto solo della situazione dei credenti. «Ma il fatto che ‘noi’ non siamo più sottomessi alla legge dimostra anche che il predominio della legge è stato infranto radicalmente e — se lo s’intende esattamente — per ‘principio’; è la prova che Cristo è diventato la sua fine (Romani 10:4) nel vero senso della parola e per il cosmo nella sua totalità. Perciò, se la legge — nonostante la venuta della fede nel mondo — si manifesta come una potenza assai reale, ciò non dimostra che essa abbia ancora un potere inconcusso, ma soltanto che il mondo non ha ancora riconosciuto e afferrato la realtà delle cose, ossia lo spodestamento della legge in Cristo e la possibilità della fede come trionfo sulla legge» (Sclier) [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 404].

16) Galati 3:26:

perché voi tutti siete figli di Dio per mezzo della fede [ pistes] in Cristo Gesù.

Oltre ad essere l’ultimo riferimento della serie della fede in questo capitolo terzo della lettera ai Galati, questo testo riveste la sua particolare importanza per la motivazione che l’Apostolo adduce, al termine della sua lunga argomentazione. Se Paolo ha detto chiaramente che la legge ha perso il suo predominio, in virtù della venuta della fede, ora può addurre la vera motivazione: perché siete figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù.

Il fatto però che l’Apostolo affermi: voi siete tutti figli di Dio, (un chiaro riferimento ai Galati, in maniera particolare, in procinto di sottomettersi di nuovo alla podestà del pedagogo, indottivi dagli avversari di Paolo), non vuol dire affatto che si è «diventati» figli, solo perché è cessata la sottomissione al pedagogo; vuole solamente dire: siete diventati maggiorenni, dal momento che già eravate figli nel passato, ora però, siete adulti, siete liberi. Tutto ciò naturalmente per mezzo della fede in Cristo Gesù.

«La figliolanza divina dei credenti è mediata e causata (dia) dalla fede: questo stato di cose, o meglio: questo processo, si compie però interamente «nella sfera di Cristo Gesù», e non altrove» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 406].

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11/11/2011 00:06

17) Galati 5:5:

Noi infatti in Spirito, mediante la fede, [ pistes] aspettiamo la speranza della giustizia.

Con la stesura del capitolo cinque, l’apostolo Paolo rivolge ai Galati un caloroso appello a rimanere saldi nella condizione della libertà cristiana, che Cristo ha loro procurato. Rivolgendo una simile esortazione, l’Apostolo vuole portare i Galati a riflettere seriamente sulla loro fede in Cristo, e vuole essere anche l’evidenza di una esperienza spirituale che hanno fatto, quando Cristo li ha liberati, indipendentemente da quello che i giudaizzanti hanno detto loro e dall’influenza che hanno subito nella loro vita. In altre parole, Paolo vuole dire a questa fratellanza: Voi, fratelli, non potete ignorare la vostra esperienza né sottovalutarla, come se non fosse successo nulla nella vostra vita.

Siccome Cristo ha operato una vera liberazione nella vostra vita, rimanere saldi in questa libertà cristiana, significa in ultima analisi manifestare sentimenti di apprezzamento e di gratitudine verso Colui, cioè Cristo, che vi ha procurato questo immenso bene spirituale. Ritornare invece ad essere sotto il giogo della schiavitù, facendovi circoncidere, equivale a rinnegare la vostra esperienza spirituale, e, lo stesso Cristo, per ciò che riguarda il vostro futuro, questo non vi gioverà nulla. Ma come se queste parole, abbastanza severe, non bastassero, l’Apostolo aggiunge:

Voi che cercate di essere giustificati mediante la legge, vi siete separati da Cristo; siete scaduti dalla grazia (v. 4).

Davanti al contenuto del v. 5, si impone un necessario chiarimento, poiché lo stesso non è stato unanimamente tradotto, ne consegue che in base alla traduzione che si segue, si possono interpretare le parole di Paolo in modo diverso di come egli le intendeva. Ecco, qui di seguito riportiamo il testo greco e le varie traduzioni:

[meis gar pneumati ek pistes] elpida dicaiosuns apecdechometha ].

(G. Diodati) Perciocché noi, in Ispirito, per fede, aspettiamo la speranza della giustizia.
(N. Diodati) Noi infatti in Ispirito, mediante la fede, aspettiamo la (G. speranza della giustizia.
{Luzzi; N. Riveduta) Poiché, quanto a noi, è in spirito, per fede, che aspettiamo la speranza della giustizia.
(Marietti) Quanto a noi, è dallo Spirito e in virtù della fede che attendiamo la speranza della giustizia.
(CEI) Noi infatti, per virtù dello Spirito, attendiamo dalla fede la giustificazione che speriamo.
(A. Martini) Imperoché noi dallo Spirito per la fede aspettiamo la speranza della giustizia.
(G. Bonaccorsi) noi, con lo Spirito dalla fede riceviamo speranza di giustizia.
(G. Ricciotti) Noi, infatti, per spirito da fede aspettiamo speranza di giustizia.
(Paideia) Infatti noi aspettiamo per Spirito da fede la giustizia sperata.

Le traduzioni inglesi, traducono tutti il termine [ pneumati ] = Spirito, con lettera maiuscola.

Davanti a questa panoramica, la prima osservazione che facciamo riguarda la parola spirito che alcuni traduttori, cioè, Luzzi, la N. Riveduta e Ricciotti, hanno scritto in lettera minuscola, sottolineando che non si tratta dello Spirito di Dio o dello Spirito Santo, altrimenti il termine in questione sarebbe stato scritto con la lettera maiuscola, come del resto è stato fatto per tantissimi altri passi del Nuovo Testamento.

Luciano Deodato, nel suo breve commento a questo passo, scrive:
«- In spirito: altri traducono, più correttamente, «dallo Spirito attraverso la fede» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 404]. Lo Spirito Santo rende cioè possibile l’attesa della fede» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag.. 406].

Se col termine [ pneumati ] l’Apostolo vuole riferirsi allo Spirito di Dio, — come tutto lascia pensare — non è corretto scriverlo con lettera minuscola. Anche la frase «in Spirito», va preferita a quella «dallo Spirito» o «dello Spirito» se si vuole mettere in risalto l’azione dello Spirito di Dio.
Giustamente Alan Cole, osserva:

«Ma il peso del versetto, per quel che concerne Paolo, non sta nella seconda parte, per quanto essa possa essere interessante per noi. Tutta quanta la forza è nelle parole che egli ha deliberatamente messe in evidenza, per far notare la loro importanza: pneumati, «per lo Spirito», e ek pistes, «come risultato della fede». Questo è il duplice aspetto della speranza cristiana...» [Il Nuovo Testamento annotato, Vol. III Le epistole di Paolo, pag. 191]. Secondo F. Mussner, «pneumati ed ek pistes sono determinazioni modali, che indicano il nuovo e tutt’altro modus della via della salvezza e dell’attesa della salvezza in confronto con la via della legge» [Cfr. Alan Cole, l’Epistola di Paolo ai Galati, pag. 185].

In conseguenza del fatto che Paolo parli chiaramente di aspettare la speranza della giustizia, i commentatori si chiedono se l’Apostolo «conosca una «duplice giustificazione» o almeno una «duplice giustizia»: una che viene assegnata al cristiano già adesso in base alla fede, ed una che gli viene attribuita solo nel giudizio futuro?» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 531]. Secondo M. E. Glasswell.

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12/11/2011 00:08

«Galati 5:5 aveva mostrato d’intendere allo stesso modo la relazione tra presente accoglimento della salvezza e compimento futuro, poiché non soltanto si parla dello Spirito e della speranza, ma questi sono in relazione con fede e giustizia e in questo modo viene mostrata la natura escatologica che questi concetti hanno per Paolo» [Cfr. F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 532,533, note, 49,50, anche se lo stesso autore consiglia che «sarebbe meglio non parlare di una «duplice giustificazione» o «duplice giustizia» in Paolo. Presente e futuro sono piuttosto soltanto gli aspetti temporali dell’unico evento salvifico attuato in Cristo. Il futuro dischiude definitivamente al credente ciò che a lui è già stato donato nel presente». È stato saggio quel teologo che ha detto che, nella Bibbia, la salvezza è allo stesso tempo passata, presente e futura: Dio ci ha salvati, ci sta salvando e ci salverà; e non vi è contraddizione fra questi tre tempi].

18) Galati 5:6:


Poiché in Cristo Gesù né la circoncisione né l’incirconcisione hanno alcun valore, ma la fede [ pistis ] che opera mediante l’amore.

Se la circoncisione e l’incirconcisione non hanno alcun valore, è perché si è in Cristo, precisa l’Apostolo, altrimenti questa affermazione, anziché gettare luce su tutta l’argomentazione che egli ha fatto con i Galati, poteva rischiare di essere incompresa o addirittura apparire in contraddizione con la sua precedente affermazione contenuta (nei vv. 2,3). Onde dare più peso alle parole di Paolo, e specificare ai destinatari dell’epistola che la circoncisione, — come segno nella carne, come anche l’incirconcisione — non giovano alla salvezza, perché hanno perso ogni valore davanti a Dio. A tal proposito si possono citare le parole di Geremia 4:4; 10:6 in cui viene detto:

Circoncidetevi per l’Eterno e rimuovete il prepuzio dei vostri cuori, o uomini di Giuda e abitanti di Gerusalemme, affinché il mio furore non prorompa come fuoco e non arda senza che alcuno possa spegnerlo, a motivo della malvagità delle vostre azioni.
A chi parlerò e chi riprenderò perché ascolti? Ecco, il loro orecchio è incirconciso e sono incapaci di prestare attenzione; ecco, la parola dell’Eterno è diventata per loro oggetto di disprezzo e non vi trovano più alcun piacere
.

Anche gli scritti di Qumram, precisamente 1 QS 5:5, affermano: «e gli uomini della verità nella comunità devono circoncidere il prepuzio della concupiscenza e della caparbietà». Se poi si considerano le altre affermazioni dell’epistolario paolino, precisamente Romani 2:28,29; Filippesi 3:3 e Col. 2:11, si può comprendere subito come valutava Paolo la circoncisione. Per far comprendere il valore della fede, sia davanti a Dio come davanti agli uomini, per l’Apostolo è inconcepibile una fede di sole espressioni verbali, deve essere una fede operante mediante l’amore.

Se si dovesse chiedere, perché questa specificazione? Si risponderebbe, perché è l’amore che dà valore all’operare della fede. Senza l’amore, tutto quello che la fede può compiere (e l’amore di cui parla il testo in questione si riferisce al prossimo e non a Dio), potrebbero risultare a vanto di colui che lo compie, perdendo il vero scopo dell’azione. Mentre se la fede, opera mediante l’amore, oltre a non essere una fede sterile e scialba nel suo contenuto, coglie il senso dell’affermazione paolina e nello stesso tempo tutto torna alla lode e gloria di Dio.

19) Galalati 6:10:

Mentre dunque abbiamo l’opportunità, facciamo del bene a tutti, ma principalmente a coloro della famiglia della fede [ pistes].

Con quest’ultimo riferimento, si conclude il ciclo di tutto quello che viene detto nell’epistola ai Galati intorno alla fede. L’esortazione a fare del bene a tutti, vuole essere anche una continuazione di quello che l’Apostolo ha detto in 5:6.

Il cristiano, nella sua professione di fede, non deve essere una persona che parla solamente di fede, deve anche fare del bene, senza usare parzialità. Anche se la priorità va sempre praticata a quelli della famiglia della fede, nondimeno non deve rimanere confinato ad essa, se vuole che la sua testimonianza cristiana vada al di là di questi confini. Il bene di cui parla Paolo, si riferisce senza dubbio alle opere di beneficenza. Là dove c’è un bisogno, il seguace di Gesù non può chiudere gli occhi e neanche rimandare a un’altra volta.

Le opportunità che si presentano nella vita pratica di ogni giorno, non devono essere mai ignorate o peggio ancora lasciate nel dimenticatoio. Anche se è vero che le buone opere non valgono ai fini della salvezza, è altrettanto vero che un cristiano che non fa opere di bene, è un cristiano senza frutto, uno che non tiene conto di quello che Dio ha preparato, perché lo compia (cfr. Efesini 2:10).

EPISTOLA AGLI EFESINI

Nota preliminare

Anche se nell’epistola agli Efesini non c’è quell’abbondanza di occorrenze del termine fede, come nell’epistola ai Romani e in quella ai Galati, quei pochi riferimenti che questo scritto contiene, (esattamente otto), sono sempre importanti per l’uso che ne fa. Vale quindi la pena, passare in rassegna queste occorrenze, soprattutto per conoscere i contesti in cui la fede viene adoperata.

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13/11/2011 00:08

1) Efesini 1:15:

Perciò anch’io, avendo udito della vostra fede pistin nel Signore Gesù e del vostro amore verso tutti i santi.

Il motivo perché l’Apostolo rende grazie a Dio e ricorda nelle sue preghiere i santi di Efeso, è costituito dal fatto che egli, prima d’inviare la sua epistola, ha sentito parlare della loro fede nel Signore Gesù e del loro amore verso tutti i santi. Quindi, fede ed amore, sono i due componenti che spingono Paolo, non solo a farne oggetto di rendimento di grazie al Signore, ma nello stesso tempo rappresentano una chiara manifestazione di apprezzamento per i fedeli di Efeso. Questo apprezzamento ha la sua importanza, non perché viene dalla bocca degli Efesini, ma dalla constatazione che Paolo fa di loro. Il detto della Scrittura è sempre vero:

Ti lodi un altro e non la tua bocca, un estraneo e non le tue labbra (Proverbi 27:2).

2) Efesini 3:12:

in lui abbiamo la libertà e l’accesso a Dio nella fiducia mediante la fede [ pistes] in lui.

Se non abbiamo fatto riferimento a 2:8, non è per sorvolarlo, ma perché è stato trattato sotto il paragrafo: La fede per ciò che riguarda la salvezza.

La libertà e l’accesso a Dio, di cui fa esplicito riferimento il nostro testo, si ha mediante la fede in lui, cioè in Cristo. Dal momento che Cristo ha operato la nostra libertà e in virtù di lui la porta d’accesso a Dio si è spalancata, ne consegue che la fede, in questo settore della vita cristiana, svolge un ruolo primario e determinante. In altre parole: nonostante che Cristo abbia fatto tutto per il credente, procurandogli tutti i beni di una vera libertà, specialmente quella di avere accesso a Dio — che da un punto di vista pratico equivale ad una vera e propria relazione di comunione con Lui — nessuna grazia e nessuna benedizione arriverebbero all’uomo se in queste non fosse presente la fede. È sempre stata la fede e sempre sarà la stessa che permetterà all’uomo di far suo quello che Cristo ha procurato con la Sua morte e con la Sua risurrezione.

3) Efesini 3:17:

perché Cristo abiti nei nostri cuori per mezzo della fede [ pistes].

Nella sezione dei vv. 14-21, Paolo innalza una fervida preghiera per gli Efesini, perché il Padre del Signor Gesù Cristo, dia a questi credenti di essere fortificati con potenza per mezzo del suo Spirito nell’uomo interiore (v. 16). Che l’uomo interiore sia l’oggetto della preghiera dell’Apostolo, significa che egli dà più importanza all’aspetto interiore dell’uomo-credente anziché a quello esteriore. È questo uomo interiore che ha necessità di essere fortificato. Lo Schlier, a questo punto si domanda: «Chi lo può rendere ‘forte’? Appunto quel Pneuma che lo ha tratto all’esistenza, che lo conserva e sempre lo rinnova...» [Cfr. Dizionario Esegetico Nuovo Testamento, Vol. 1, col. 1083].

Lo Spirito di Dio, che è essenzialmente potenza vivificatrice, renderà forte l’uomo interiore. Per fare ciò, occorre un’altra cosa: che Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede. È la fede che fa del nostro cuore la dimora di Cristo. L’uomo ‘interiore’ è reso ‘forte’ dallo Spirito nel cuore del credente in cui abita Cristo.

4) Efesini 4:5:

Vi è un unico Signore, un’unica fede [ pistis ], un unico battesimo.

L’esortazione all’unità che l’Apostolo rivolge in questa parte della lettera, ha come centro di riferimento Dio stesso, sul quale tutte le manifestazioni di unità dei credenti devono rispecchiarsi e devono affondare le loro radici ed avere il loro modo di essere. Per raggiungere un simile traguardo, deve necessariamente esserci da parte di ogni singolo credente uno studio impegnativo che, senza dubbio favorirà tale scopo e condurrà a buon fine la proiezione di simili mete. Non basta solamente uno studio da parte del credente all’unità, ci deve essere anche e soprattutto un serio impegno per conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace (v. 3).

Siccome lo scopo dell’esortazione di Paolo riguarda il prezioso bene dell’unità, non si può fare a meno in questa visuale di insistere in termini perentori che vi è:

un unico corpo, un unico Spirito, un’unica speranza, un unico Signore, un’unica fede, un unico battesimo e un Dio unico e Padre di tutti (vv. 4-6).

Considerando da vicino l’ampia articolazione con la quale si snoda il ragionamento dell’Apostolo, vale la pena spendere qualche parola di commento su ognuna di esse, per meglio comprendere, non solo il valore dell’unità in sé, ma anche e soprattutto l’importanza della fede, che a nostro avviso, rappresenta l’elemento di maggiore coesione. Il tratto 4:4-6 qualcuno, l’ha intitolato: «I sette aspetti dell’unità da conservare» [Cfr. Ruth Paxson, La ricchezza, il cammino e il combattimento del cristiano, pag. 83].

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14/11/2011 00:05

a) Un unico corpo

Anche se in questo testo l’Apostolo non parla specificatamente del corpo di Cristo, come fa in 4:12, considerando le altre occorrenze che si trovano in questa epistola, il termine ‘corpo’ va sempre inteso nel senso della Chiesa, che è appunto il corpo di Cristo, perché è proprio in questo senso che l’Apostolo l’adopera. Il valore del corpo in sé, consiste nella pluralità delle sue membra che, pur essendo diverse, nell’aspetto e nella funzionalità, contribuiscono tutti all’armonia e al buon andamento del corpo stesso.

Nessun membro del corpo, (non solo quelli più appariscenti, come: occhio, piede mano, ma anche quelli più piccoli e meno appariscenti), possono considerarsi auto-sufficienti, nel senso di non avere bisogno degli altri (cfr. 1 Cor, 12:12-27).

b) Un unico Spirito

Il riferimento all’unico Spirito, è senza dubbio allo Spirito di Dio, o allo Spirito Santo, il solo che può fortificare l’uomo interno (3:16) e dal quale ogni credente può ricevere tutto ciò che gli serve per seguire Cristo nella nuova vita che Egli stesso porta all’esistenza e mantenere nello stesso tempo quell’unità, che è sempre stata e sempre sarà fonte di godimento della benedizione divina nella relazione di comunione fraterna con tutti i membri della famiglia di Dio. Stabilito come base ferma che è lo Spirito di Dio che ci rende capaci di seguire Cristo, volgere lo sguardo altrove o pensare di ricevere da un’altra fonte la capacità per servire il Signore, significa sottovalutare l’affermazione paolina dell’unico Spirito e non dargli quel senso pregnante che l’Apostolo gli da.

c) L’unica speranza

Il credente, per ciò che riguarda la sua vocazione, non è stato chiamato in una delle tante speranze che ci sono nella vita, ma bensì nell’unica speranza che è quella che ha maggior valore per la vita cristiana, cioè a quella che ha a che fare con la salvezza e i beni futuri della gloria celeste nell’eternità. L’unica speranza quindi, non è quella che riguarda la vita umana e terrena, ma quella che concerne le ricchezze spirituali della vita futura, quando i credenti saranno portati nella casa del Padre. Diceva giustamente Paolo:

Se noi speriamo in Cristo solo in questa vita, noi siamo i più miserabili di tutti gli uomini (1 Corinzi 15:19).

d) Un unico Signore

Anche se di signori ce ne sono tanti (1 Corinzi 8:5), ma del SIGNORE DEI SIGNORI (Apocalisse 19:16) c’è ne uno solo: Gesù Cristo, colui che ha dato la sua vita come prezzo di riscatto per molti (Matteo 20:28) e davanti al quale dovrà piegarsi ogni ginocchio (Filippesi 2:10). Per i credenti che hanno come base e fondamento della loro vita cristiana l’unico Signore, Gesù Cristo, ciò rappresenta la migliore garanzia per questa vita terrena e per l’eternità.

e) Un’unica fede

Dal momento che c’è un solo corpo, un unico Spirito, un’unica speranza, un unico Signore, dire che c’è anche un’unica fede, equivale ad affermare che di fede vera, ch’è quella unica, cioè quella che si ha in Cristo, non ce ne sono tante. Quando l’Apostolo parla di fede, è sempre quella in relazione con Cristo Gesù. Cristo è l’unico mediatore tra Dio e l’uomo ( 1 Timoteo 2:5); è il solo per mezzo del quale si può andare al Padre (Giovanni 14:6). Dal momento che Cristo Gesù è l’anello di congiunzione tra Dio e l’uomo, la fede in Lui, oltre a procurarci la salvezza, e con essa la giustificazione e il diritto di appartenere alla famiglia di Dio (Giovanni 1:12), rappresenta anche l’elemento che valorizza la vita cristiana e che ci rende graditi a Dio (Ebrei 11:6). Quando si guarda la fede con questa ottica e la si inquadra in questo ampio panorama, si può meglio apprezzare il suo valore, per questo l’apostolo Paolo, in modo particolare ne parla frequentemente nelle sue epistole.

f) Un unico battesimo

Affermando che c’è una sola fede, dire anche che c’è un unico battesimo, questo equivale, non solo a mettere in risalto la stessa fede, ma esso dà anche valore al battesimo. Che il battesimo di cui parla l’Apostolo sia quello cristiano, cioè quello che ha istituito Gesù Cristo dopo la sua risurrezione, è certissimo. Anche se egli dà il senso figurativo in certi passi, come per es. (Romani 6:4; Colossesi 2:12), non si può negare che la fede, quell’unica di cui egli parla, conduce al battesimo e che attraverso il medesimo la fede viene resa palese.

Davanti all’unicità del battesimo, si potrebbe aprire un discorso per ciò che riguarda la forma del battesimo, se amministrarlo per immersione o per aspersione; se amministrarlo ai solo adulti o anche ai bambini. Un simile discorso oltre a condurci sul terreno della polemica, ci porterebbe lontano dal pensiero di Paolo, perché egli sicuramente nel tempo in cui scrisse la sua epistola, non c’erano davanti al suo orizzonte diverse forme di amministrare il battesimo, s’introdussero dopo l’era apostolica quando si cercarono nuove nozioni nell’insegnamento di Gesù e degli apostoli, per motivi prettamente denominazionali.

Non rientra nella prospettiva del nostro lavoro addentrarci sull’argomento delle forme del battesimo; rimaniamo ancorati sull’unicità del battesimo, poiché questo viene presentato da Paolo nella visuale di altri componenti — e la fede, oggetto del nostro lavoro, sta al centro della serie che compongono gli elementi per conservare l’unità dello Spirito nel vincolo della pace.

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15/11/2011 00:03

g) Un Dio unico e Padre di tutti

Siccome le maglie di questa catena sono concatenate mirabilmente le une con le altre, non poteva mancare l’ultimo anello costituito dall’unicità di Dio che unisce tutti gli altri anelli e li completa in maniera armoniosa in una sintesi inscindibile. Inoltre, affermando che c’è un Dio unico e Padre di tutti che è al disopra di tutti, fra tutti e in voi tutti, l’Apostolo, senza dubbio vuole insegnare che, Dio, nelle persone del Padre, del Figlio = Signore e dello Spirito Santo, stanno alla base e costituiscono il solido fondamento su cui si può conservare l’unità dello Spirito. In altre parole, l’unità non si può costruire e conservare su elementi umani. Poiché la divinità si trova al disopra di tutti, escludendola dal processo unificatore, si avrebbero solamente elementi umani, troppo fragili per resistere agli attacchi infernali. Ma avendo la divinità come fondamento e anello di congiunzione, c’è la garanzia che l’unità in se stessa, potrà essere conservata, a tutto beneficio del corpo di Cristo.

5) Efesini 4:13:

finché giungiamo tutti all’unità della fede [ pistes] e della conoscenza del Figlio di Dio, a un uomo perfetto, alla misura della statura della pienezza di Cristo.

La fede, in questo verso, si trova nel contesto dei cinque ministeri che il Cristo glorificato ha dato alla Chiesa, con un preciso scopo:
per il perfezionamento dei santi, per l’opera del ministero e per l’edificazione del corpo di Cristo (v. 12).

Tenendo in debito conto il valore del contesto in cui la fede si trova menzionata, nonché la finalità dei ministeri: finché giungiamo tutti all’unità della fede..., si può ben comprendere la funzione del ministero, secondo la volontà del donatore per ciò che riguarda il beneficio del corpo di Cristo, inteso nel senso globale di tutti i credenti in Lui. Che i ministeri non vengono dati a scopi personali, cioè per il semplice beneficio di colui che li riceve, è ben specificato dall’Apostolo. Inoltre, l’esercizio del ministero nella Chiesa, deve tener presente il fine principale per cui questo ministero stesso è stato dato, cioè: finché si giunga all’unità della fede. Siccome il (v. 13) specifica chiaramente in quale maniera si deve raggiungere la meta, bisogna valutare giustamente la specificità che l’Apostolo fa.

L’unità della fede è il fine supremo assieme alla conoscenza del Figlio di Dio. A questo traguardo bisogna arrivarci nella misura della statura della pienezza di Cristo. Che la conoscenza del Figlio di Dio non sia quella puramente intellettuale, e neanche quella derivata e fondata sul tradizionalismo tramandato dai padri, ma quella che deriva da una reale esperienza nella relazione personale con Cristo, appare nella sua limpidezza. Che poi questa conoscenza conosca un processo evolutivo, nel senso che non rimane nello stato infantile, ma si sviluppa, si matura, rientra nella logica dell’argomentazione che l’Apostolo fa e giustifica i termini che egli usa di: misura, statura, pienezza (gr. metron, h–likias, pl–rMmatos).

6) Efesini 6:16:

soprattutto prendendo lo scudo della fede, [ pistes] con il quale potete spegnere tutti i dardi infocati del maligno.

A differenza di tutte le occorrenze che fin qui abbiamo esaminato intorno alla fede, questa e la prima ed è anche l’unica volta che il N.T. usa la fede con la precisa funzione di compiere un’azione ben specificata: spegnere tutti i dardi infocati del maligno che escono dalle officine dell’inferno. Il contesto di questo detto della fede, si trova nella panoramica della specificazione e della spiritualizzazione che Paolo fa di tutta l’armatura di Dio, e che Dio stesso ha messa a disposizione di tutti i credenti per utilizzarla per ogni evenienza della vita cristiana, perché ognuno possa rimanere ritto e saldo contro le insidie del diavolo (v. 11) [Cfr. D. Barbera, NEHEMIA... pagg. 211-223 e IL MONDO DEGLI SPIRITI, pagg. 239-255, per conoscere le spiegazioni che abbiamo dato ad ogni singolo elemento dell’armatura di Dio]. Per chi vollesse acquistare i due libri in questione, è pregato di rivolgersi presso l’Editrice Hilkia.

Per quanto riguarda l’elemento fede, ch’è l’oggetto del tema di questo libro, c’è da mettere in evidenza, che i dardi infocati del maligno, non vengono evitati, o meglio ancora non raggiungono il bersaglio. Il maligno quando scaglia le sue frecce, prende bene la mira e con precisione colpisce il bersaglio: la vita del credente. La fede, però che l’Apostolo paragona a uno scudo, spegne tutti i dardi che il diavolo scaglia con tutta la sua violenza. Questo significa in ultima analisi che il credente che ha con sé lo scudo della fede, è protetto da un’arma difensiva divina, con la quale nessun dardo infocato, avrà la capacità di perforare, né procurare danno alla vita del credente.

Paolo non dice che la fede respinge i dardi o li dirotta verso altre direzioni, ma li spegne, così che, perdendo la loro efficacia, non possono produrre la loro malefica azione. Siccome l’Apostolo precisa che non c’é dardo infocato dal maligno che la fede non possa spegnere, il credente che ha questo scudo, non ha niente da temere. Se però la persona non ha questa protezione, non solo che i dardi infocati non si spegneranno, ma penetrando nella vita, faranno un sacco di danni. Vale quindi la pena avere con sé lo scudo della fede, perché così solamente si potrà essere risparmiati dai danni che le frecce infocate del diavolo potrebbero arrecare in colui che si trova privo di questa divina protezione.

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16/11/2011 00:21

7) Efesini 6:23:

Pace ai fratelli e amore con fede [ pistes] da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.

In questa parte terminale dell’epistola, in cui l’Apostolo, secondo la sua usanza, saluta la fratellanza, formulando ai fratelli l’augurio della pace unito all’amore con fede da parte di Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo. Perché Paolo unisce la fede all’amore, porta lo Schlier a consigliare di intendere le parole dell’apostolo nel seguente modo.

«Sulla scorta di 4:2, è meglio intendere l’amore come forza intima della pace. Comunque, si tratta dell’amore che nasce dalla fede» [Cfr. H. Schlier, La lettera agli Efesini, pagg. 492-493].

Se si accetta che l’amore nasce dalla fede, come conseguenza logica questi elementi non si possono mai dissociare tra di loro. Infatti, concepire la fede senza l’amore o viceversa, è come se dovessimo parlare di un bell’albero senza frutti. Se la fede è sempre certezza di cose che si sperano e dimostrazione di cose che non si vedono (Ebrei 11:1), parimente l’amore, che non si manifesta come semplice pensiero ma si dimostra con azioni tangibili, dà più valore alla fede e la stessa fede diventa più significativa quando viene accompagnata dalle opere dell’amore.

EPISTOLA AI FILIPPESI

Nota introduttiva

In questa epistola, la fede non viene menzionata tante volte. Nei suoi quattro capitoli che la compongo, questo termine si trova solamente quattro volte. Giova sempre soffermarsi anche brevemente su queste quattro occorrenze, se non altro per vedere in quali contesti l’apostolo Paolo ne tratta.

1) Filippesi 1:25:

Questo so sicuramente, che rimarrò e dimorerò presso di voi tutti per il vostro avanzamento e per la gioia della vostra fede [ pistes].

Questo primo riferimento alla fede si trova in un contesto che parla della prigionia di Paolo. L’Apostolo, lungi dall’essere scoraggiato e avvilito per la presente situazione, capisce chiaramente che le cose che gli sono accadute sono risultate ad un più grande avanzamento dell’evangelo (v. 12). Poiché l’evangelo ne ha tratto il maggiore beneficio, le catene che l’Apostolo porta, rappresentano una viva testimonianza del Cristo al quale egli appartiene. Non solo questo, ma sono addirittura diventate motivo di incitamento per molti fratelli, nel proclamare la Parola di Dio senza paura (v. 14). È vero che Paolo pensa a quelli che predicano Cristo per invidia e contesa ma non può negare nello stesso tempo che ci sono quelli che lo predicano di buon animo e per amore (vv. 15,17). In questa precisa prospettiva, l’Apostolo trova il modo per esprimere il suo compiacimento, per il fatto che Cristo è annunciato e di questo egli si rallegra al presente e si rallegrerà per l’avvenire .

Se Paolo fosse stato un settario, o se avesse voluto difendere una posizione denominazionale, non avrebbe certamente espresso questi pensieri; avrebbe addirittura condannato o per lo meno biasimato coloro che predicavano Cristo per invidia e conteSalmo Ogni cristiano e ogni predicatore del vangelo, dovrebbe imparare da Paolo come reagire davanti a quelli che, pur non appartenendo alla medesima denominazione, annunziano Cristo, potenza e sapienza di Dio (1 Corinzi 1:24).

Davanti al pensiero della morte che l’Apostolo manifesta — che in questo contesto potrebbe avere significato come se egli pensasse a una possibile condanna a morte —, Paolo ha imparato che il vivere è Cristo, e il morire guadagno. Dovendo però fare la scelta tra il migliore e il necessario, preferisce pensare al beneficio dei suoi fratelli, anziché l’andare ed essere con Cristo (vv. 21-24). È in questa visuale che l’Apostolo esprime la sua fiducia in termini di sicurezza che egli non sarà messo a morte, ma che rimarrà presso i suoi fratelli per il loro avanzamento e per la gioia della loro fede. Ecco un uomo che pensa più agli altri che a se stesso! Ogni credente dovrebbe avere questa meta davanti a sé, e, tutta la sua vita, dovrebbe dedicarla per l’avanzamento e la gioia della fede di un altro credente.

2) Filippesi 1:27:

Soltanto, comportatevi in modo degno dell’evangelo di Cristo, affinché, sia che venga e vi veda, o che sia assente, oda nei vostri riguardi che state fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede [ pistei ] dell’evangelo.

In questo verso l’Apostolo rivolge alla comunità dei Filippesi una paterna esortazione ricordando loro quanto sia importante comportarsi in modo degno dell’evangelo di Cristo. Poiché la parola è rivolta ai convertiti, l’esortazione paolina tende a far comprendere a questi fratelli che il loro comportamento (sia per quanto riguarda nell’ambito della fratellanza e sia soprattutto con quelli che vivono al di fuori di essa) non può essere lo stesso di quelli che non si sono convertiti a Cristo, deve essere necessariamente diverso, cioè degno dell’evangelo di Cristo. A questo punto giova ricordare la parola di Gesù quando definì il suo discepolo: sale e luce del mondo (Matteo 5:13,14), e che lo stesso Paolo in 2:15, chiarisce meglio il valore della sua esortazione quando precisa:

affinché siate irreprensibili e integri, figli di Dio senza biasimo in mezzo ad una generazione ingiusta e perversa, fra la quale risplendete come luminari nel mondo, tenendo alta la parola della vita.

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17/11/2011 00:04

Il cristiano, oltre ad avere un comportamento degno del suo nome, deve soprattutto portare onore all’evangelo di Cristo. Questa esortazione, naturalmente, non è solamente per la fratellanza dei Filippesi, è anche valida per tutti i cristiani di ogni tempo e in qualsiasi luogo essi vivono. Lo scopo principale dell’esortazione dell’Apostolo è che i Filippesi stiano fermi in uno stesso spirito, combattendo insieme con un medesimo animo per la fede dell’evangelo. Il combattimento, — termine che denota una certa resistenza che i cristiani incontrano nel loro cammino — deve essere affrontato per la fede dell’evangelo. La fede, che è elemento essenziale per riportare la vittoria su ogni tipo di combattimento, deve essere quella dell’evangelo, cioè quella che viene dalla Parola di Dio.

3) Filippesi 2:17:


Ma anche se sono versato in sacrificio e servizio della vostra fede, [ pistes] ne gioisco e ne godo con tutti voi.

Questo verso non è stato tradotto unanimamente:
La N. Riveduta l’ha reso:
Ma se anche vengo offerto in libazione sul sacrificio e sul servizio della vostra fede, ne gioisco e me ne rallegro con tutti voi.
La CEI l’ha tradotto:
E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull’offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi.
G. Ricciotti l’ha reso:
Ma anche se sono versato in libazione sopra il sacrificio e il culto della vostra fede, godo e congodo con tutti voi.

«Si è trovato strano che Paolo alluda ora di nuovo alla possibilità di una sua morte vicina» [Cfr. J. Gnilka, La lettera ai Filippesi, pag. 262], in base a quello che ha detto in 1:24,25.

G. Ricciotti, nel commentare questo testo, dice:

«Qui, per Paolo, l’oggetto offerto in sacrificio è la fede dei Filippesi, concordata con le opere (cfr. Romani 12:1), e su questo sacrificio egli è pronto a versare in libazione se stesso: non allude tanto alla sua presente prigionia, di cui prevedeva imminente la liberazione (vers. 24), quanto in genere agli innumerevoli pericoli dell’apostolato (cfr. 2 Corinzi 11:23-26)» [Cfr. G. Ricciotti, Gli Atti degli apostoli e le lettere di S. Paolo, pag. 592].

Poiché risulta chiaro che l’Apostolo allude al suo martirio, non vediamo una concatenazione logica se dobbiamo pensare a un prossimo futuro per gli innumerevoli pericoli legati al suo apostolato, come vorrebbe Ricciotti e non allo stato attuale in cui l’Apostolo si trova.

Bruno Rostagno, nel commentare il testo in questione, così si esprime:
«Paolo torna ora a considerare l’eventualità del martirio, che non deve essere in alcun modo considerata uno scacco. L’immagine è tratta dal linguaggio cultuale: la fede dei Filippesi, offerta da Paolo come un sacrifico (cfr. Romani 15:16), è il frutto del servizio apostolico; la sua morte non è dunque un fatto luttuoso, ma il coronamento del servizio: è l’offerta, la libazione del profumo o di vino che accompagna il sacrificio vero e proprio. La libazione è un atto gioioso: tale è perciò il martirio; Paolo invita dunque i Filippesi a unirsi a lui nella gioia» [Cfr. Il Nuovo Testamento annotato, Vol. III Le epistole di Paolo, pag. 233].

Il termine gr. [ spendomai ], appartiene alla sfera cultuale e significa: «versare per terra o sopra un particolare luogo di culto parte di una bevanda come dono agli dei». Si incontra nel N.T. due volte: nel testo di Filippesi 2:17 e in quello della 2 Timoteo 4:6; in entrambi il significato è identico, e si riferisce alla morte dell’Apostolo [Cfr. O. Michel, in GLNT, Vol . XII, col. 855-876, per conoscere la storia e lo sviluppo del concetto [ spendō ] nonché l’elenco che l’autore fa del linguaggio sacrificale (offrire una libagione), usato anche (ma più raramente) in senso traslato, tanto nella tradizione greco-ellenistica quanto nell’A.T. e nella tradizione protogiudaica. Cfr. anche L. Oberlinner, Le lettere pastorali, pagg. 235,236, nota 28].

Per ciò che riguarda invece l’offerta della libagione, dove è fatta la minuziosa descrizione della norma per l’assemblea d’Israele come anche per lo straniero che risiede in mezzo di essa (cfr. Num. 15:1-21).

Che il sacrificio di cui parla il testo, sia senza dubbio la fede dei Filippesi, ciò è indiscutibile. È su questa offerta che l’Apostolo vuole versare la libagione di se stesso, nel caso avvenisse il suo martirio. In altre parole, se la ventilata morte si dovesse concretizzare, l’Apostolo non la considererebbe come una perdita della sua vita, ma come un atto tendente a completare il sacrificio dei Filippesi, legato al suo servizio apostolico. Intese in questo senso le parole dell’Apostolo, la gioia che egli manifesta in quest’atto di libagione che egli avrebbe compiuto, è più che giustificabile, non solo per quanto riguarda la sua persona, ma anche per ciò che riguarda i Filippesi. Infine, l’esortazione che Paolo rivolge ai fratelli a gioire assieme a lui, in vista di questo particolare evento, essa ha lo scopo di ricordare ai Filippesi, che il suo eventuale martirio, non deve essere considerato come una sonora sconfitta, ma come una marcata vittoria, degna della più significativa manifestazione di vera allegrezza.

3) Filippesi 3:9:

e per essere trovato in lui, avendo non già la mia giustizia che deriva dalla legge, ma quella che deriva dalla fede [ pistes] di Cristo; giustizia che proviene da Dio mediante la fede [ pistei ].

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18/11/2011 00:05

Quest’ultimo riferimento alla fede, si trova in un contesto in cui l’Apostolo rende la testimonianza della sua vita prima della sua conversione a Cristo, quando era sotto il giudaismo. Considerando le parole che Paolo adopera nel descrivere la sua vita passata senza Cristo, c’è da ammirare da una parte, la sua religiosità, il suo zelo e la sua irreprensibilità riguardante l’osservanza della legge, e dall’altra, la mancanza della conoscenza di Cristo, il solo che può dare la vera motivazione alla vita religioSalmo Inquadrando la descrizione paolina della sua vita passata sotto il giudaismo, si può meglio captare e valutare la fede in Cristo, la fede che viene da Dio.

Per quanto riguarda la valutazione che l’Apostolo fa della sua vita passata, ciò potrebbe dare l’impressione che egli stia esagerando, quando parlando della circoncisione che aveva ricevuto l’ottavo giorno, l’appartenere alla nazione d’Israele e alla tribù di Beniamino; l’essere stato un fariseo quanto alla legge, lo zelo che egli aveva nel perseguitare la chiesa e la giustizia della legge in cui si riposava e nella quale faceva affidamento e si vantava, e di ritenere tutte quelle cose come

spazzatura, di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, suo Signore (vv. 5-8).

Davanti alle parole del (v. 9) che hanno il senso di un preciso impegno da parte di Paolo, egli esprime il suo ardente desiderio di essere

trovato non già con la sua giustizia che gli deriva dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede di Cristo: giustizia che proviene da Dio mediante la fede.

Tutto questo, naturalmente, perché sa con estrema certezza che quello che conta davanti a Dio, ai fini della salvezza, non è la giustizia della legge, ma quella della fede in Cristo Gesù. Questo non era valido solamente per Paolo per quei tempi, è anche valido per noi e per i nostri tempi.

EPISTOLA AI COLOSSESI

Nota introduttiva


I cinque riferimenti che questo scritto paolino contiene intorno alla fede, sono ugualmente importanti, soprattutto se vengono considerati sotto l’aspetto della vita pratica. Infatti, questa epistola parla della fede dei Colossesi, del perseverare nella fede, della fermezza della fede, dall’essere confermati nella fede e nell’essere risuscitati mediante la fede. In vista di questa specifica tematica, l’edificazione che ne scaturisce per la vita cristiana, è senza dubbio di beneficio per ognuno di noi.

1) Colossesi 1:4:

perché abbiamo sentito parlare della vostra fede pistin in Cristo Gesù e del vostro amore verso tutti i santi.

Il motivo del rendimento di grazie che Paolo rende a Dio, nonché la sua continua preghiera che innalza al Signore per tutti i santi e fedeli in Cristo di Colosse, trova la sua espressione più significativa nel sentire parlare della fede di questi credenti. Se la loro fede veniva nominata, è evidente che essa veniva dimostrata nella vita pratica. Poiché la fede è certezza delle cose che si sperano... (Ebrei 11:1), va da se che questa certezza non restava confinata nel loro pensiero, ma appariva chiaramente nella sua realizzazione nella quotidiana che tutti potevano constatare. È sempre stato vero e sempre sarà che, quando c’è la fede in Cristo in una persona, gli altri che vivono vicino o che stanno a contatto con quella persona, non hanno fatica a notarla, e non sarà difficile parlarne agli altri. Paolo non sentiva parlare solo della fede in Cristo che i Colossesi avevano, ma anche del loro amore verso tutti i santi. Quindi, fede e amore, i due componenti che caratterizza la vita cristiana, si aggiunge ora anche la speranza (v. 5).

2) Colossesi 1:23:

se pure perseverate nella fede, [ pistei ] essendo fondati e fermi, senza essere smossi dalla speranza dell’evangelo che voi avete udito e che è stato predicato ad ogni creatura che è sotto il cielo e di cui io, Paolo, sono divenuto ministro.

«Con la pistis è posto l’inizio della condizione di cristiano (cfr. 1:4), al quale occorre attenersi saldamente. Allora la vita della comunità poggerà su solide fondamenta. Come una casa è salda solamente se è costruita sulla roccia (Matteo 7:24-27), così la comunità, come edificio di Dio, è sorretta dal fondamento che le conferisce una solidità incrollabile ( 1 Corinzi 3:10; Efesini 2:20; 2 Tim. 2:19)» [Cfr. Eduard Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, pag. 137].

La raccomandazione che l’Apostolo fa alla comunità di Colosse, è che siano perseveranti nella fede. Questo vuol dire che il cammino della fede nella vita di un cristiano, non deve essere stazionario, ma in continuo movimento. Solo quando si è perseveranti nella fede, la fondatezza e la fermezza su cui la fede viene costruita, diventa anche un solido fondamento per la stabilità della speranza. Come si può notare da tutta l’argomentazione che fa l’Apostolo, la fede e la speranza camminano insieme: se la prima si mantiene costante nella sua manifestazione, anche la seconda acquista stabilità; mentre se la fede si fossilizza e viene meno, anche la speranza traballa e crolla.

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19/11/2011 00:13

3) Colossesi 2:5:

perché, quantunque sia assente da voi col corpo, pure sono con voi con lo spirito e mi rallegro vedendo il vostro ordine e la fermezza della vostra fede [ pistes] in Cristo.

Pensando a quello che dice 1:23 in cui l’Apostolo aveva raccomandato alla comunità la perseveranza nella fede, in questo testo, pur trovandosi egli assente col suo corpo, ma presente col suo spirito, Paolo può vedere l’ordine e la fermezza della fede dei Colossesi. I due termini greci che l’Apostolo adopera, cioè taxis e sterema, qualcuno li ha intesi come termini del linguaggio militare.

«In tal caso taxis indica la postazione occupata dai soldati, steremail bastione, la fortezza. Ma è difficile che qui si richiami un’immagine militare, come se la comunità fosse ordinata e schierata per la battaglia». Lohmeyer ha scritto:

«L’Apostolo è ad essi come il generale che, stando davanti ai suoi soldati, passa in rassegna, ancora una volta, le truppe pronte per la battaglia». Davanti ad una simile interpretazione, giustamente il Lohse, osserva: «La taxis e lo steremadi un esercito sarebbero le ovvie premesse di una azione militare, non la condizione più propizia per la gioia e la lode. Né il contesto suggerisce in alcun modo che si richieda di descrivere la situazione di una truppa pronta per la battaglia. Perciò i due concetti sono usati in senso più lato. taxis è lo stato ben ordinato che, secondo l’ammonizione dell’Apostolo, la comunità deve presentare e steremasignifica la saldezza, la robustezza che sorregge la fede della comunità. La fede della comunità è saldamente fondata, perché è orientata unicamente a Cristo. Se la comunità si tiene stretta a lui, nessuna tentazione potrà realmente minacciarla: essa persevererà forte e salda nella fede» [Cfr. Eduard Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, pagg. 166-167, nota 125].

4) Colossesi 2:7:

essendo radicati ed edificati in lui, e confermati nella fede [ pistei ] come vi è stato insegnato, abbondando in essa con ringraziamenti.

Tenendo presente il fatto che i Colossesi hanno ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così devono camminare in lui (v. 6). Camminare in Cristo significa attenersi a quello che Egli dice e vivere la propria vita in coerenza con l’insegnamento di Cristo. Davanti a questa precisa esortazione dell’Apostolo, l’essere radicati ed edificati in lui, acquista un valore fondamentale in vista di essere confermati nella fede.

Ma che significa esattamente essere radicati? L’immagine della radice che si affonda nel terreno, serve a farci vedere che più profonde sono le radici, più resistente sarà l’albero, quando si abbatte su di lui il vento della tempesta. Se il cristiano è radicato in Cristo, cioè se le sue radici si affondano in Lui, quando il vento della potenza del male si scaglierà con la sua violenza per separarlo da Cristo, non ci riuscirà, per il semplice fatto che Cristo è diventato parte integrante della vita di quel cristiano, poiché Egli stesso garantirà la saldezza di quella vita.

Passando ad analizzare il termine edificare, si scorge un’altro anello che dà più consistenza e stabilità alla vita di colui che è radicato in Cristo. Cristo Gesù è il fondamento su cui ogni credente deve edificare la sua vita (1 Corinzi 3:11; Efesini 2:20). La stabilità di un edificio non è garantita dai materiali che si adoperano, ma dalla sua fondazione. Un edificio che non ha una solida fondazione, quando vengono gli uragani e si abbattono le fiumane, quell’edificio sarà spazzato via facilmente, mentre se ha un solido fondamento, specie quando questi è una roccia, gli uragani e le fiumane possono abbattersi con la loro violenza, ma quell’edificio non crollerà (Matteo 7:24-27).

Con queste due immagini: l’essere radicati e edificati in Cristo, la fede è quella che maggiormente ne riceve il maggior vantaggio, vantaggio che consiste nell’essere salda e fortificata. Questo significa in altre parole che se non si è radicati e edificati su Cristo, la fede non sarà mai abbastanza salda e forte da resistere a tutti gli attacchi dell’inferno; ma essendo radicati e edificati in Gesù, la fede sarà abbastanza solida e forte nella sua manifestazione, che potrà affrontare qualsiasi attacco nemico e risultare sempre invincibile. L’insegnamento apostolico, avrà infine un ruolo importante nel fare abbondare il ringraziamento e la lode a Dio.

5)Colossesi 2:12:

essendo stati sepolti con lui nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati, mediante la fede [ pistes] nella potenza di Dio che lo ha risuscitato dai morti.

L’ultimo riferimento alla fede, che si trova nell’epistola ai Colossesi, si trova in un contesto che parla del battesimo come essendo stati sepolti — figura della morte con Cristo — e il venir fuori, come chiara allusione alla risurrezione, non quella corporale, naturalmente, ma quella spirituale, poiché noi eravamo morti nei falli e nei peccati (Efesini 2:5).

La precisazione che l’Apostolo fa, quando afferma che i battezzati oltre ad essere sepolti con lui (Cristo) sono anche stati assieme a lui risuscitati, mediante la fede nella potenza di Dio, serve essenzialmente a mettere in evidenza il ruolo che svolge la fede. Questo significa in termini più specifici che la fede, facendo appello alla potenza di Dio, agisce come legame che unisce le due parti: da una parte la potenza di Dio che effettua la risurrezione e dall’altra l’uomo che a mezzo della fede partecipa a questa manifestazione divina.

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