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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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12/10/2011 00:02

Usando [ Hilastērion ], senza dubbio l’Apostolo Paolo aveva in mente il grande giorno dell’espiazione, quando il sommo sacerdote, una volta all’anno, entrava nel luogo santissimo e versava il sangue di un animale sul coperchio kappret dell’arca dell’alleanza, perché l’intera nazione israelita potesse ottenere il perdono dei loro peccati. Quello che compiva il sommo sacerdote israelita nel giorno dell’espiazione, aveva valore solo per il popolo d’Israele; mentre quello che avrebbe compiuto Gesù con la donazione della Sua vita come sacrificio espiatorio, oltre ad includere tutte le nazioni della terra, avrebbe anche raggiunto le sfere celesti (Ebrei 9:23). Davanti alla portata universale del sacrificio di Gesù Cristo, intendere l’Hilastērion di Romani 3:25 come «mezzo di espiazione», rappresenta la soluzione più felice e la conclusione più coerente in armonia con tutta la teologia del N.T.

«Paolo, quindi, per rendere giustizia alla pienezza dell’atto misericordioso di Dio in Cristo, ha reso e collocato nel contesto del proprio ragionamento parole tratte dal linguaggio dei tribunali (« giustificati »), del mercato degli schiavi (« redenzione ») e del tempio (« propiziatorio »). Perdono, liberazione, espiazione — tutti sono messi alla portata e a disposizione degli uomini per la sua iniziativa gratuita, e gli uomini possono appropriarsene per fede. La fede, in questo senso, non è una sorta di opera particolarmente meritoria agli occhi di Dio; è l’atteggiamento semplice e diretto verso Dio, che Lo prende in parola, e accetta con gratitudine la Sua grazia» [Cfr. Frederick F. Bruce, L’epistola di Paolo ai Romani, pag. 129].

c) paresis

Per quanto riguarda l’interpretazione di [ paresis ], che si trova una sola volta nel NT, e cioè in Romani 3:25, i traduttori si sono orientati su due fronti:
G. Diodati, A. Martini e la K. J. remissione;
N. Diodati e Marietti: perdono;
G. Luzzi, N. Riveduta, CEI, G. Ricciotti: tolleranza;
N.A.S., N. I., R.S.V.; N. E. V.: sopportazione.

Per C. Buzzetti, il termine [ paresis ] ha il significato di tolleranza [Cfr. C. Buzzetti, Dizionario base del Nuovo Testamento, pag. 121]; mentre per il ]Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, si tratta di: remissione, condono, perdono [Cfr Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, 2 col. 808]. Per il Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, i termini che Paolo adopera di aphi–mi, aphesis e paresis, hanno lo stesso significato di perdonare [Cfr. Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, pag. 1277].

Da parte sua, lo Schlier, chiede:

«Il problema è se paresis significhi «lasciare andare» nel senso di «lasciare correre, oppure voglia dire «condonare» e «perdonare». In altre parole: paresis è uguale ad aphesis o no?» [Cfr. H. Schlier, La lettera ai Romani, pag. 199].

Senza voler addentrare nei particolari, questo autore fa la seguente dichiarazione:

«Siamo d’avviso che in paresis il senso di «lasciare correre» ecc. prevalga su quello di «condonare», anche se talvolta nella sostanza i due significati vengono a coincidere». Ed ancora: «L’uso linguistico non consente, almeno per quanto riguarda paresis, di stabilire con sicurezza il significato, anche se, a mio avviso, paresis va inteso nel senso di «lasciar correre, «lasciare andare», piuttosto che in quello di «perdonare». Poi conclude: «Ma quando la dikaiosun theou si è rivelata in Cristo Gesù, il tempo della paresis è finito e ad esso è succeduto il tempo della decisione, sebbene in effetti la manifestazione della giustizia di Dio sia una dimostrazione di grazia, o meglio proprio perché è tale. Nel rapporto con la grazia si concreta anche il giudizio di Dio. Ora il rapporto personale con la grazia in quanto tale è la fede. La nostra frase (3:25) va perciò intesa così: Dio, senza alcun concorso della legge, ma in un modo predetto dalla Scrittura, ha manifestato nel cosmo la sua giustizia, che è poi la sua fedeltà, la sua verità e la sua gloria. Il cosmo, è vero, non reca più l’originario splendore della creazione, bensì è soggetto al peccato, ma la giustizia di Dio si manifesta come grazia che giustifica il credente. E il modo della manifestazione è questo: Dio presenta ed offre Gesù Cristo come strumento di espiazione, che in quanto tale viene conosciuto e riconosciuto solo dalla fede. E così la temporanea tolleranza dei peccati è giunta alla fine. Ora non è più il tempo in cui Dio si trattiene, ma il tempo in cui pronuncia la sua decisione» [Cfr. H. Schlier, La lettera ai Romani, pagg. 199-202].

6) Romani 3:26:


per manifestare la sua giustizia nel tempo presente, affinché egli sia giusto e giustificatore di colui che ha la fede [ pisteōs ] di Gesù.

La manifestazione della giustizia di Dio nel tempo ‘presente’, che è appunto il tempo della grazia, mediante l’opera che Cristo Gesù ha compiuto morendo sulla croce del Calvario, si concretizza nell’opera di giustificazione del peccatore, che Dio giusto compie, sulla base della fede che si ha in Gesù. Questo significa in parole più semplici che, nonostante che Cristo abbia fatto di sé stesso il sacrificio espiatorio per il perdono dei peccati, e che la giustizia divina sia stata pienamente soddisfatta, il peccatore non riceve il perdono dei suoi peccati e con esso la giustificazione in maniera automatica; occorre il suo concorso, che consiste semplicemente e solamente con la sua fede in Gesù, per potere largamente usufruirne del grande beneficio. La fede, quindi, in ultima analisi, facendo leva su quello che Gesù ha compiuto per il peccatore e credendo appieno che l’opera Sua è sufficiente per la salvezza, questi si appropria il beneficio della grazia divina.

Si continuerà il prossimo giorno...
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