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Domenico34 – GESÙ CRISTO È DIO? – Capitoli 7-16 + APPENDICE E BIBLIOGRAFIA

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2012 00:23
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Sesso: Maschile
27/12/2011 00:11

Anche se qualche versione, come per esempio la Diodati, rende theiotes deità, bisogna subito dire, per amore di precisione e di correttezza, che i due termini in questione, non sono considerati sinonimi. Se la Torre di Guardia avesse tradotto (Colossesi 2:9) con divinità, come del resto fanno alcuni traduttori, non avremmo fatto nessuna osservazione (anche se il termine non è adatto e non esprime l’esattezza del suo significato). Ma, poiché, la TNM suona: «Qualità divina», non si può rimanere indifferenti davanti a questa interpretazione.

La «qualità divina», è caratteristica di theiotes e non di theotetos. Paolo sta parlando che in Cristo abita corporalmente la pienezza della divinità, vale a dire della natura divina, o l’essere-Dio. Da un punto di vista della lingua italiana, divinità significa: «L’essere divino; essenza, divinità». Deità significa: «Essenza, natura divina, divinità».

Come si vede, le due parole, nella lingua italiana, hanno lo stesso significato. Ma dovendo tradurre theotetos, è più esatto tradurlo deità, anche perché questo termine non ha bisogno di nessuna specificazione, perché dà l’idea della natura di Dio. Siccome però la Torre di guardia non crede che Gesù Cristo è Dio, ecco perché ricorre a questo tipo di traduzione, per non far vedere che Cristo è Dio. La loro però, è una cultura camuffata, avendo sempre come obbiettivo: Degradare la persona del Signor Gesù Cristo.

4. EBREI 1:3

Il quale (il Figlio di Dio) essendo lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza.

Chi legge e medita questo versetto e lo valuta nel suo contesto dell’insegnamento del N.T. non può fare a meno di vedere nel Figlio di Dio, la natura e i segni caratteristici di Dio. Per poter capire bene la portata di (Ebrei 1:3) e tutte le conseguenze teologiche connesse, dato che il testo ha termini teologici ben precisi, soprattutto per la definizione che si fa del Figlio di Dio, occorre necessariamente comprendere, in una maniera sicura e ben fondata, i quattro termini greci di maggiore importanza impiegati in questo testo. Una volta che si avrà una chiara comprensione di questi termini, il Figlio di Dio apparirà nella sua reale luce. Ecco i quattro termini:

1. apaygasma,
2. charaktēr,
3. upostaseos,
4. ferōn.

a) apaygasma, significa:
Splendore, riflesso, o per tenere l’unanime esegesi patristica, irradiazione della gloria divina [Cfr. G. Kittel, GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. I, Colonna 1350].

Questo termine è stato tradotto in diverse maniere. Diodati, Luzzi, Martini, lo traducono «Splendore»; Ricciotti: «Raggio»; S.Garofalo:«Fulgore»; La Paideia: «irraggiamento»; KJV: «brightness»; NIV: «radiance»; JB: «radiant light»; NEB: «splendour»; RSV: «reflects»; Amplied: «expression»; NAS: «radiance».

Tenendo presente il concetto fondamentale di splendore, irradiazione, ci troviamo davanti al Figlio di Dio che viene definito tale in relazione alla gloria di Dio. Che il termine apaygasma venga tradotto: Splendore, irradiazione, riflesso, raggio, ect. non sposta minimamente il valore della definizione in questione. Se si dovesse obbiettare che il raggio del sole non è sole, o che la radiazione della luce non è luce, si può benissimo rispondere che le due cose: Raggio-Sole e radiazione-luce sono inseparabili.

Se il Figlio di Dio, in questo testo di (Ebrei 1:3) viene definito: Irradiazione della gloria di Dio, è prova che tra lui e la gloria di Dio, vi è una tale unità di partecipazione che è impossibile separarli, facendoli vivere indipendenti l’uno dall’altro. Non si può parlare quindi della gloria di Dio, senza dover parlare del Figlio di Dio che è appunto la sua naturale irradiazione, dato che sta appunto in un rapporto inscindibile.

b) charaktēr, significa:

1) Incisione, intagliatore
2) Impronta
3) Figura
4) Segno distintivo».

Anche per questo termine, abbiamo una varietà di traduzioni. Diodati, Luzzi, Ricciotti, S. Garofalo: traducono:
«Impronta»; Martini: «Figura»; KJV: «express image»; TEV: «exact likiness»; NIV, NAS, NI: «exact representation»; JB: «Perfect copy»; RSV: «Stamp».

Trattandosi di una definizione che riguarda il Figlio di Dio, e quando si parla di lui, non bisogna mai dimenticare la sua natura (almeno questo fa il N.T. quando ne parla), il termine da preferire è quello che maggiormente si avvicina all’intero insegnamento delle Scritture. Crediamo pertanto che si possa preferire «impronta» anziché «rappresentazione», per il fatto che questo termine esprime meglio il concetto, non solo dell’insegnamento generale delle Scritture, ma soprattutto è in piena armonia con il prossimo concetto di upostaseos che segue. Che cosa significa impronta, da un punto di vista prettamente linguistico?

Si continuerà il prossimo giorno...
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