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Domenico34 – GESÙ CRISTO È DIO? – Capitoli 7-16 + APPENDICE E BIBLIOGRAFIA

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2012 00:23
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30/12/2011 01:24

Giovanni 6:20:
Ma egli disse loro: Son io Egō eimi non temete (Sono io).

Giovanni 6:35:
Gesù disse loro: Io sono Egō eimi il pan della vita.

Giovanni 6:41:
I Giudei perciò mormoravano di lui perché aveva detto: Io sono, Egō eimi il pane ch’è disceso dal cielo (Io sono).

Giovanni 6:48:
Io sono Egō eimi il pane della vita (Io sono).

Giovanni 6:51:
Io sono Egō eimi il pane vivente, che è disceso dal cielo (Io sono).

Giovanni 8:12:
Or Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: Io son Egō eimi la luce del mondo; chi mi seguita non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Io sono).

Giovanni 8:18:
Or son io Egō eimi a testimoniar di me stesso, e il Padre che mi ha mandato testimonia pure di me (Io sono).

Giovanni 8:24:
Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che son io Egō eimi il Cristo, morrete nei vostri peccati (Son io).

Giovanni 8:28:
Gesù dunque disse loro: Quando avrete innalzato il Figliuol dell’uomo, allora conoscerete che sono io Egō eimi il Cristo e che non fo nulla da me, ma dico queste cose secondo che il Padre m’ha insegnato (Son io).

Giovanni 8:58:
Gesù disse loro: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono Egō eimi (Io sono stato).

Giovanni 9:9:
Gli uni dicevano: È lui. Altri dicevano: No, ma gli rassomiglia. Egli diceva: Son io Egō eimi (Sono io).

Giovanni 10:7:
Onde Gesù di nuovo disse loro: In verità, in verità vi dico: Io son Egō eimi la porta delle pecore (Io sono).

Giovanni 10:9:
Io son Egō eimi la porta; se uno entra per me, sarà salvato (Io sono).

Giovanni 10:11:
Io sono Egō eimi il buon pastore (Io sono).

Giovanni 10:14:
Io sono Egō eimi il buon pastore, e conosco le mie, e le mie mi conoscono (Io sono).

Giovanni 11:25:
Gesù le disse: Io son Egō eimi la resurrezione e la vita (Io sono).

Giovanni 12:26:
Se uno mi serve, mi segua; e là dove son io Egō eimi, quivi sarà anche il mio servitore (Sono io).

Giovanni 13:19:
Fin da ora ve lo dico, prima che accada: affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io Egō eimi il Cristo (Son io).

Giovanni 14:3:
E quando sarò andato e v’avrò preparato un luogo, tornerò e v’accoglierò presso di me, affinché dove son io Egō eimi, siate anche voi (Sono io).

Giovanni 14:6:
Gesù gli disse: Io son Egō eimi la via, la verità e la vita (Io sono).

Giovanni 15:1:
Io sono Egō eimi la vera vite, e il Padre mio è il vignaiolo (Io sono).

Giovanni 15:5:
Io sono Egō eimi la vite, voi siete i tralci (Io sono).

Giovanni 18:5:
Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io Egō eimi (Sono io).

Giovanni 18:6:
Come dunque ebbe detto loro: Son io Egō eimi, indietreggiarono e caddero in terra (Sono io).

Giovanni 18:8:
Gesù rispose: V’ho detto che son io Egō eimi; se dunque cercate me, lasciate andar questi (Sono io).

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31/12/2011 00:13

Dall’esame di tutti i testi appena citati, risulta in maniera inequivocabile che dei 32 testi menzionati, una sola volta la frase Egō eimi è stata tradotta: Lo sono (Marco 14:26) e una sola volta: Io sono stato (Giovanni 8:58). Per noi che conosciamo il valore teologico di Egō eimi, non tanto per quanto riguarda i Sinottici, quanto per l’uso che ne fa Giovanni, contestiamo energicamente che Giovanni 8:58, possa essere tradotto con un «passato prossimo»: Io sono stato.

A quanto ci risulta, non conosciamo studiosi, degni di questo nome, di fama internazionale, che abbiano mai pensato di tradurre l’Egō eimi di (Giovanni 8:58), con un: Io sono stato [Cfr. R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni, II, pagg. 87-102; E. Stauffer, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. III, Col. 66-72; Robertson, citato da Walter R. Martin Norman H. Klann, Il Geova della Torre di Guardia, pag. 67].

Ora cercheremo di esaminare il perché la TNM della Torre di Guardia ha interpretato Egō eimi di (Giovanni 8:58) con il noto: Io sono stato.

Quando si legge (Giovanni 8:12-29), senza nessun preconcetto o condizionamento per una particolare interpretazione teologica, non si potrà fare a meno di notare il carattere polemico che aveva il discorso di Gesù, rivolto ai Giudei.

Fin dalle prime battute, Gesù si definisce: La luce del mondo. Davanti a questa affermazione, c’è una forte reazione da parte dei Farisei, che comprendendo bene l’affermazione, dicono: Tu testimoni di te stesso, la tua testimonianza non è verace (v. 13). Anche se Gesù convalida la sua testimonianza, unita a quella del Padre, con una citazione di (Numeri 35:30), le sue parole non sono accettate.

Gesù ha parole dure contro questi religiosi, e può dir loro, con piena cognizione di causa: Voi non conoscete né me né il Padre mio (v.19).

Quando poi Gesù parla della sua partenza e che essi l’avrebbero cercato, sarebbero morti nei loro peccati e che non avrebbero potuto andare dove egli andava, chiedono con insistenza, chi era egli (v. 25). Nonostante che Gesù avesse detto chiaramente quel che Egli era e chi l’aveva mandato a compiere quella missione, i Giudei non capiscono di chi stesse parlando (v. 27). Dopo che molti credettero in lui, a seguito di quello che aveva detto, Gesù, rivolgendosi a questi nuovi credenti, dice loro:

Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; e conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi (vv. 31,32).

È a questo punto che si manifesta tutta la rabbia e la loro indignazione, per aver sentito dire che erano schiavi e che mediante la conoscenza della verità, avrebbero avuto la vera libertà. Questi Giudei si vantavano di essere figli di Abramo; ma nonostante ciò, cercavano di uccidere Gesù Cristo (v. 37).

Anche se Gesù non contesta questa loro pretesa, da un punto di vista di discendenza, pur tuttavia, non può far a meno di dire loro che effettivamente, da un punto di vista della realtà della vita spirituale, erano figli del loro padre (v.38). A questo punto i Giudei, non intuendo a quale padre Gesù alludesse, si affrettanoaffermare che il loro padre è Abramo. A seguito di questa loro precisazione, ben capita da Gesù, nel suo vero senso, Egli risponde, con altrettanta fermezza e precisione:

Se foste figlioli d’Abramo, fareste le opere d’Abramo; ma ora cercate d’uccider me; uomo che v’ho detta la verità che ho udita da Dio (vv. 39-40).

È all’ascolto di queste parole, i Giudei rispondono: Abbiamo un solo padre: Iddio (v. 41). Data l’enorme importanza di questa loro affermazione, Gesù, che conosceva a quale padre appartenevano, non ha nessuna esitazione ad affermare:

Se Dio fosse vostro padre, amereste me, poiché io son proceduto e vengo da Dio (v. 42).

No, voi non siete figli di Dio, siete progenie del diavolo, ch’è vostro padre (v. 44). Quando Gesù ribatteva che lo volevano uccidere, i Giudei gli risposero, con una argomentazione piuttosto camuffata: Non diciamo noi bene che sei un Samaritano e che hai un demonio? (v. 48).

Al che Gesù rispose che non aveva un demonio, ma onorava il Padre e che tutti quelli che avrebbero osservato la sua parola, non avrebbero mai visto la morte (vv. 49,50). È davanti al problema della morte che i Giudei non riescono a capire la parola di Gesù. Infatti, presentano Abramo e i profeti, che son morti, come prova che la parola di Gesù non è vera. È a questo punto della discussione che Gesù afferma:

Abramo, vostro padre, ha giubilato nella speranza di vedere il mio giorno; e l’ha veduto, e se n’è rallegrato (v. 56).

Come è possibile, rispondono i Giudei con arditezza, se tu non hai ancora cinquant’anni, e hai veduto Abramo? (v. 57). Gesù rispose loro: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato, io sono (v. 58). Che la Torre di Guardia si interstardisca ad affermare, che l’Egō eimi di (Giovanni 8:58) è reso in maniera esatta con un passato prossimo (Io sono stato), è una delle più meschine argomentazioni e la prova più eloquente della loro, non diciamo ignoranza, ma cattiveria, quando infrangendo le regole della grammatica, degradano la nobiltà della deità di Gesù Cristo.

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[Modificato da Domenico34 31/12/2011 22:23]
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01/01/2012 00:30

Abbiamo esposto solamente il contesto, nel quale (Giovanni 8:58) si trova, ed abbiamo messo in evidenza il carattere polemico del ragionamento di Gesù con i Giudei. Il fatto che i Giudei presero delle pietre per lapidarlo, è una prova inconfutabile, che l’affermazione di Gesù: Avanti che Abramo fosse nato, io sono, fu da loro giustamente interpretata come bestemmia, meritevole di essere punita con una lapidazione. È importante, a questo punto tener presente i cinque casi per cui la norma per lapidazione era riconosciuta legale.

1. Spiriti indovini (Levitico 20:27);
2. Bestemmia (Levitico 24:10-23);
3. Falsi profeti che incitavano all’idolatria (Deuteronomio 13:5 10);
4. Figlioli ribelli (Deuteronomio 21:18-21);
5. Adulterio e violenza carnale (Deuteronomio 22:20-24; Levitico 20:10).

Se i Giudei avessero inteso le parole di (Giovanni 8:58), come dice la Torre di Guardia: «Un passato storico» non avrebbero avuto nessun diritto di procedere alla lapidazione, perché la legge, sotto la quale essi vivevano, non li autorizzava per una simile esecuzione. Solo per bestemmia, e la bestemmia per loro era, non solo che Gesù faceva risalire la sua esistenza prima della nascita di Abramo, ma addirittura si identificava con Geova, l’Eterno presente.

Davanti a questa prospettiva, la portata teologica di (Giovanni 8:58), è innegabile, anche davanti ad un Bultmann che non è disposto a riconoscere la divinità di Gesù Cristo, soprattutto quando si fa un confronto con (Esodo 3:14 e Isaia 43:10; 44:6; 48:12).

Questi quattro testi dell’A.T. attribuiscono aGeova, l’espressione «Io sono», ch’è, a dire il vero: Un’auto-definizione di Jahvè. Dal momento che Geova stesso si definisce il grande IO SONO, è assurdo, anzi balordo, per la Torre di Guardia che non crede alla deità di Gesù Cristo, lasciare il testo di (Giovanni 8:58) col «presente»: Io sono.

Ma se la Torre di Guardia, avesse esaminato gli altri tre testi di Giovanni in cui ricorre la frase Egō eimi, da loro stessi tradotti al presente, non avrebbero mai sognato di falsificare (Giovanni 8:58), col passato prossimo: Io sono stato. Prima però, di procedere all’esame dei tre testi appena menzionati, è nostro dovere mettere in luce quello che l’evangelista Giovanni dice di Gesù Cristo. Nel brano di (Giovanni 8:30-59), di cui abbiamo fatto la sintesi, viene affermato che

Abramo vostro padre, ha giubilato, nella speranza di vedere il mio giorno; e l’ha veduto, e se n’è rallegrato (v.56).

In questo verso si fa esplicito riferimento del giubilo e del vedere di Abramo, per quanto riguarda il giorno di Cristo. Ci sia consentito chiedere: Quando esultò Abramo e quando vide il giorno di Cristo? Non bisogna dimenticare che questa affermazione di Gesù, indusse i Giudei a dire: Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abramo? Cristo affermò che Abramo vide lui, mentre i Giudei chiedevano se Cristo avesse visto Abramo.

La diversa affermazione, non spostò i termini: Abramo giubilò, Abramo vide il giorno di Cristo. Questo giubilo e questo vedere di Abramo, si verificò nei giorni del patriarca oppure la parola di Cristo deve intendersi da un punto di vista profetico? Anche se il giubilo di Abramo si fa risalire a (Genesi 17:17) e alla nascita di Isacco, il cui nome significa: «Il riso», resta sempre aperto il problema, dal momento che Cristo affermò che Abramo vide il suo giorno e ne gioì, se questo si verificò ai suoi giorni.

Bisogna notare inoltre che qui Cristo dà una spiegazione agli eventi e alle promesse fatte ad Abramo, promesse che vennero fatte da Dio e come tali non potevano restare inadempiute. Dal momento che (Giovanni 8.58), con il suo presente: «Io sono», stabilisce, in maniera categorica la preesistenza di Cristo, non solo alla vista di Abramo, ma di tutte le cose (Giovanni 1:1). Egli, Cristo, era presente anche al tempo della vita di Abramo, nella stessa maniera come lo è ai nostri giorni e in eterno.

Stabilito in maniera certa, che Abramo vide il giorno di Cristo, e che di questo suo vedere, l’afferma e lo specifica Cristo, anche se questa parola va intesa da un punto di vista profetico, rimane chiaro il fatto che Cristo non abbraccia soltanto il passato, ma possiede la caratteristica del presente, in virtù della quale viene identificato con l’IO SONO di Esodo 3:14.

c) I TRE TESTI DI GIOVANNI SULL‘Egō eimi.

Giovanni 8:24:
Perciò v’ho detto che morrete nei vostri peccati; perché se non credete che son io Egō eimi morrete nei vostri peccati.

Anche se il nostro Luzzi, mette tra parentesi (il Cristo), nome che non è presente nel testo greco, ma lo si sottintende, perché è di lui che si sta parlando, l’affermazione di Gesù, letta così come è stata scritta in greco, acquista più importanza, perché mette in risalto il valore dell’Egō eimi, per ciò che Gesù specificherà.

Per due volte in questo testo è menzionato il termine «morrete», e questa morte è messa in relazione col non credere che il Cristo è Egō eimi Io sono. Quando si capisce bene il valore religioso e teologico di questo testo, non si può negare la funesta conseguenza che ha il non credere che il Cristo è l’IO SONO, per la vita presente e per l’eternità.

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02/01/2012 14:59

2) Giovanni 13:19:
Fin da ora ve lo dico, prima che accada; affinché quando sia accaduto, voi crediate che son io Egō eimi.

Qual’era la predizione a cui faceva cenno Gesù? Dalla Scrittura che viene citata (Salmo 41:9), sappiamo che stava parlando del tradimento ad opera di Giuda Iscariot. Il testo citato però, non menziona il nome di Giuda Iscariot; si limita soltanto a riferire che si trattava di uno che mangiava il suo pane e che avrebbe alzato il suo calcagno contro a lui. Gesù interpreta questo testo e lo applica a Giuda.

Nell’interpretare questa profezia, Gesù rivela ai suoi, una caratteristica propria della divinità. È saputo infatti, con estrema certezza, che Geova è il solo che conosca l’avvenire. Basterà leggere due testi del profeta Isaia per convincersi di questa verità.

Isaia 44:7, dice:
Chi come me, proclama l’avvenire fin da quando fondai questo popolo antico? ch’ei lo dichiari e me lo provi! Lo annunzino essi l’avvenire, e quel che avverrà!.

Isaia 46:9,10:
Ricordate il passato, le cose antiche: perché io son Dio, e non ve n’è alcun altro; son Dio, e niuno è simile a me; che annunzio la fine sin dal principio, e molto tempo prima predico le cose non ancora avvenute; che dico: Il mio piano sussisterà, e metterò ad effetto tutta la mia volontà.

Dal momento che (Giovanni 13:19) stabilisce che Cristo conosce il futuro, perché lo predice, è chiaro qual’è il valore della frase: Affinché, quando sia accaduto, voi crediate che sono io Egō eimi. Col dire questo, Cristo metteva in chiaro una prerogativa di Geova, il solo che conosce la fine sin dal principio.

3) Giovanni 18:5:
Gli risposero: Gesù il Nazareno! Gesù disse loro: Son io Egō eimi.

La storia dell’arresto di Gesù, è particolarmente significativa, dal modo come Giovanni la racconta. Tutta la schiera dei soldati che era andata al Getsemani, aveva un solo obbiettivo: Arrestare Gesù Cristo. Poiché, secondo l’evangelista Giovanni, i soldati non sapevano come fare per individuare Gesù, perché manca il «bacio», come segno distintivo, e Gesù sapendo che quella schiera lo cercava, chiede giustamente: Chi cercate? La cosa più bella e più significativa di questa scena, è costituita dalla parola che Gesù pronunciò. Giovanni dice:

Come dunque ebbe detto loro: Son io Egō eimi, indietreggiarono e caddero in terra (Giovanni 18:6).

Perché mai, all’udir quella frase Egō eimi = Son io, i soldati caddero a terra? Non era Gesù quello che essi cercavano? Giovanni nel riferirci questo particolare, mette in evidenza tutta la maestà e la divinità insita in quella frase.

Quel momento drammatico non deve essere spiegato come un qualcosa che ha a che fare con la psicologia e la razionalità, come se presi dalla paura, cadessero l’uno sull’altro. Era la potenza del divino, Dio fatto carne, che si manifestava in quella dichiarazione: Egō eimi. La Torre di Guardia e tutti coloro che negano la deità di Cristo, dovrebbero seriamente pensare e riflettere. D’altra parte, non esistono altre spiegazioni e non ci sono altre alternative, logiche e coerenti.

Anche se la Torre di Guardia, con la sua camuffata cultura, ha reso (Giovanni 8:58) con: Io sono stato, pensando così di nascondere la realtà, che parla a chiare lettere, della deità di Gesù Cristo, con l’esame che abbiamo fatto, crediamo di aver dimostrato, coerentemente all’esegesi del vangelo di Giovanni, che l’Egō eimi di questo testo, è reso corretto «solamente», sia dal punto di vista grammaticale che esegetico, con: «Io sono».

Sarà utile, pertanto, per una maggiore documentazione, leggere l’esegesi di tutti i 26 testi di Giovanni citati, con il lungo elenco di autori, di una certa levatura culturale che vengono menzionati nei tre volumi che R. Schnackenburg ha scritto sul vangelo di Giovanni, quale CTNT, che la Paideia ha pubblicato.

6. PADRE, FIGLIO, PRIMOGENITO, UNIGENITO

1) PADRE, FIGLIO


Il termine Padre (greco patēr) usato nel NT è di 415 volte e la maggior parte dei casi (254 volte) è usato nel senso religioso, applicato a Dio-Padre. A differenza dell’AT che usa il termine padre (Ebrei ab = LXX patēr) 1180 volte, pochissime volte (15 volte) viene usato in senso religioso. Il termine padre, nei confronti di Dio, ricorre nell’AT solo 15 volte, di cui 13 volte come attributo e due volte come titolo nella preghiera.

a) Il nome di Dio-Padre per Gesù: I 142 passi, in cui Dio è indicato come padre nelle parole di Gesù, ci fanno supporre che certamente Gesù ha chiamato Dio col nome di Padre, anche se lo sviluppo di tale tendenza si sia accentuata più tardi con Mtteo e Giovanni.

Per ciò che riguarda il linguaggio stesso di Gesù ci sono due cose da notare: non risulta da nessun passo che egli abbia chiamato Dio col titolo: «padre d’Israele»; va pure precisato che egli ha parlato di Dio come padre suo («mio padre») e non come padre dei discepoli («il padre vostro»; però non si è mai associato ad essi per un comune «padre nostro» (il «Padre nostro» è una preghiera che egli propose ai discepoli. Il fatto che Gesù chiami Dio suo padre ha un preciso fondamento nella particolarissima rivelazione concessagli da Dio e nella sua singolare posizione di Figlio (Matteo 11:25-27; Luca 10:21).

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03/01/2012 00:14

b) In base alla testimonianza di tutti i vangeli (ad eccezione del grido sulla croce in (Marco 15:34 Matteo 27:46), in cui le parole «mio Dio», sono una citazione del (Salmo 22:1) Gesù nelle sue preghiere ha sempre usato il titolo di « padre (mio) » (Marco 14:36 Matteo 26:39,42 e Luca 22:42; Matteo 11:25 Luca 10:21; Luca 23,34.46; Giovanni 11:41; 12:27; 17:1,5,11,21,24).
Se in palestina la formula personale di preghiera « padre» (mio) » era qualcosa di completamente nuovo, doveva essere qualcosa di semplicemente inaudito che Gesù si servisse di un termine aramaico, privo di ogni solennità, come quello di abba.

c) Padre, Figlio:


Per quanto riguarda l’affermazione di Gesù il Padre è maggiore di me (Giovanni 14:28), si deve sempre tener presente il concetto della messianicità di Gesù, vale a dire la missione di Gesù in terra quale inviato del Padre.

Tenendo presente questo elemento importante e fondamentale, ai fini di una giusta comprensione circa la posizione di Dio come padre, non c’è minimamente da pensare che Cristo con questa sua affermazione volesse evidenziare che il Padre è un Dio più grande del Figlio. Il fatto stesso che Gesù in un’altra occasione affermò: Io e il Padre siamo uno (Giovanni 10:30), ciò è una schiacciante prova di quello che stiamo dicendo.

D’altra parte, il termine Padre, può essere maggiormente capito, se principalmente viene messo in relazione con una famiglia. Nell’ambito di una famiglia, il padre personifica l’autorità. Il padre è maggiore del figlio, rispetto alla posizione che ha; non lo è però per quanto riguarda la natura.

Infatti, la posizione che il padre ha nell’ambito della famiglia, non intacca minimamente la natura del Figlio: uomo è il padre e uomo è anche il figlio, o come diremo più chiaramente: natura umana ha il padre e natura umana ha il figlio. Lo stesso discorso che abbiamo fatto per il Padre-Dio, riguardante la sua posizione di padre, lo possiamo fare per Gesù Cristo, per la sua posizione di Figlio.

La subordinazione e la dipendenza che il Figlio, Gesù Cristo, manifesta continuamente nei confronti del Padre, per quanto riguarda la sua venuta in terra (Giovanni 6:57), il suo insegnamento (Giovanni 8:28), il suo operare (Giovanni 5:20) e la piena accettazione della croce (Marco 14:36), non riguarda soltanto il tempo della vita terrena di Gesù, ma include anche la fase finale per ciò che riguarda il regno, secondo le parole di Paolo:

poi verrà la fine, quand’egli avrà rimesso il regno nelle mani di Dio Padre, dopo che avrà ridotto al nulla ogni principato, ogni podestà ed ogni potenza (1 Corinzi 15:24).

Il tutto deve essere inquadrato e compreso per il ruolo messianico che Gesù espletò. Finito questo ciclo, quando lo stesso Figlio

sarà sottoposto a Colui che gli ha sottoposto ogni cosa, Paolo specifica: affinché Dio sia tutto in tutti (1 Corinzi 15:28).

È molto importante sottolineare che non sarà il Padre tutto in tutti ma « Dio ». Inoltre, tenendo presente l’affermazione dogmatica di Cristo:
affinché sappiate e riconosciate che il Padre « è » in me e che io « sono » nel Padre (Giovanni 10:38; 14:10,11,20; 17,21),
si potrà meglio valutare e comprendere la figliolanza di Gesù [Per una più accurata documentazione cfr. J. Schneider e O. Michel, in Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, pagg. 493, 675 e O. Hofius, pagg. 1134-1140].

2) PRIMOGENITO

Il termine primogenito (greco prōtotokos = «generato per il primo, primogenito»), ricorre nel NT 8 volte. Per comprendere questa parola, è necessario esaminare tutti gli 8 passi, tenendo in debito conto il contesto nel quale i testi sono citati. Metteremo per esteso i vari testi compresa la versione della TNM, in modo che tutto il materiale sia sott’occhio, non solo per conoscerlo, ma soprattutto per valutarlo ai fini di una giusta comprensione.

1. Luca 2:7:
Ed ella diede alla luce il suo figlio primogenito (prōtotokon), e lo fasciò e lo pose a giacere in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo.

La TNM: «E partorì il suo figlio, il primogenito, e lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché nell’alloggio non i era posto per l’oro».

Questo testo, è l’unico passo del NT che ha il senso letterale di una vera nascita fisica, ci parla infatti di Maria, la madre di Gesù, in ferimento al suo parto. Anche se da parte Cattolica si specifica che «primogenito» non implica che Gesù era il primo di molti figli (anche se Matteo 13:55-57 e Marco 6:3 smentisce questa loro interpretazione), resta fermo il fatto che si vuole affermare che Maria non ha avuto altri figli prima di Gesù.

2. Romani 8:29:
poiché quelli che egli ha preconosciuti, li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio, affinché egli sia il primogenito (prōtotokon) fra molti fratelli.

La TNM: «perché quelli ai quali diede il suo primo riconoscimento ha anche preordinati ad essere modellati secondo l’immagine del suo Figlio, affinché sia il primogenito tra molti fratelli».

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04/01/2012 00:04

In questo passo, Paolo, sta parlando di quelli che Dio ha preconosciuti, i quali li ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figlio. Questo ovviamente non significa, sol perché l’apostolo fa riferimento ad essere conformi all’immagine di suo Figlio, che i predestinati diventino tanti figli di Dio della stessa immagine di Cristo e Cristo sarebbe il primo di loro in ordine cronologico.

Il fatto stesso che Paolo specifica: affinché egli (Il Cristo) sia il primogenito fra molti fratelli, è una chiara spiegazione che la posizione di primogenito che Cristo ha, è una posizione di preminenza, per rango e dignità, dato che rimane sempre il fatto che Egli è il loro Signore. Dalle parole del nostro testo non trapela la minima idea che Cristo, che è il primogenito, possa essere considerato il primo in ordine di tempo venuto all’esistenza.

3. Colossesi 1:15:
Egli è l’immagine dell’invisibile Dio, il primogenito (prōtotokos) di ogni creatura.

La TNM: «Egli è l’immagine dell’invisibile Iddio, il primogenito di tutta la creazione».

Per interpretare giustamente questo testo, per non fargli dire quello che non vuole dire, bisogna tenere in debito conto le affermazioni dogmatiche che Paolo fa, quando definisce Cristo il creatore di tutte le cose egli è avanti ogni cosa o: egli è prima di tutte le cose (CEI e la TNM, ad eccezione della parola (altre) che la TNM ha introdotto nel testo) (Colossesi 1:16-17).

Dal momento che Cristo è presentato come il creatore, è assurdo e contraddittorio, per i concetti di «creatore» e «creatura», vedere nel v.15 una prova scritturistica che Gesù Cristo è la prima creatura della creazione, quindi il primo che sia stato creato da Dio. Per forza di coerenza, come abbiamo fatto notare in altra parte di questo libro, avremmo un creatore creato. Ci vuole forse una enorme cultura per vedere l’assurdità e l’eresia di questa audace affermazione?

Ma se invece il termine «primogenito» va interpretato nel senso «della preminenza su tutte le creature che gli compete come mediatore della creazione», dato che è il Signore del creato, non c’è nessuna base esegetica e teologica che possa permettere una diversa interpretazione.

Colossesi 1:18:
Egli stesso è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli è il principio, il primogenito (prōtotokos) dai morti, affinché abbia il primato in ogni cosa (La Nuova Diodati).

La TNM: «ed egli è il capo del corpo, la congregazione. Egli è il principio, il primogenito dai morti, affinché divenga colui che è primo in tutte le cose».

In ferimento alla parte terminale della versione della TNM «affinché divenga colui che è il primo in tutte le cose», diamo qui di seguito alcune traduzioni.

* Egli è anche il capo del corpo, cioè della Chiesa; il principio, il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, per ottenere il primato su tutte le cose (CEI).

* Ed egli è il capo del corpo della Chiesa, ed egli è il principio, il primo a rinascere dalla morte, ond’egli abbia in ogni cosa il primato (A. Martini).
* ed è il capo del corpo, ossia della Chiesa. Egli è il principio, e primogenito di tra i morti, affinché in ogni cosa tenga il primato (G. Ricciotti).

* Egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa: lui, il principio, il primo nato di tra i morti, così da essere il primo in tutto (S. Garofalo).

ed egli è il capo del corpo, cioè della Chiesa. Egli è il principio, il primo nato di tra i morti, per essere lui il primo in tutto (Paideia).

* Ed egli stesso è il capo del corpo della chiesa; egli, dico, che è il principio, il primogenito da’ morti; acciocché in ogni cosa tenga il primo grado (G. Diodati).

* Ed egli è il capo, cioè della Chiesa; egli che è il principio, il primogenito dai morti; onde in ogni cosa abbia il primato (G. Luzzi).

Nessuna delle 8 traduzioni riportate, ha pensato di tradurre «affinchē divenga». Il «diventare», in colui che è primo in tutte le cose, mette in evidenza un qualcosa che Cristo non aveva ma che l’ottenne o lo otterrà, in un secondo tempo. Questa affermazione è in contrasto con la frase egli è prima di tutte le cose.

Mentre tradurre: affinché in ogni cosa tenga il primato o abbia il primato in ogni cosa, significa valutare la posizione di preminenza che Cristo ha, e che è l’unica cosa che Paolo dice, per quanto riguarda la resurrezione dai morti. Cristo è il primogenito di coloro che risuscitano dai morti, non perché egli sia stato il primo in ordine di tempo, ma il primo per la posizione di preminenza che ha, essendo colui per mezzo del quale sono state create tutte le cose.

5. Ebrei 1:6:
E ancora, quando introduce il Primogenito (prōtotokon) nel mondo, dice: E lo adorino tutti gli angeli di Dio.

La TNM: «Ma quando egli introduce di nuovo il suo Primogenito sulla terra abitata, dice: E tutti gli angeli di Dio lo adorino».

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05/01/2012 00:03

Anche per questo testo, a differenza degli altri testi che la TNM ha interpretato, mettendo tra parentesi () parole che non si trovano nel testo greco, (esempio Colossesi 1:16) (altre), in questo testo di (Ebrei 1:6) non è stato messo tra parentesi l’aggettivo possessivo «suo».

Questo per far vedere ai seguaci della Torre di Guardia che quell’aggettivo fa parte integrante del testo greco e non si tratta di una aggiunta. Ma dov’è l’aggettivo possessivo «suo» (gr: mou) nel testo greco? Onde dare la dimostrazione di quello che stiamo dicendo, trascriviamo per esteso il testo in questione.
«hotan de palin eisagaghē ton prōtotokon eis tēn oikoumenēn, leghei. kai proskunēsatōsan autō pantes aggheloi theou».

Ora cerchiamo di esaminare perché la TNM ha introdotto abusivamente nel testo l’aggettivo possessivo «suo». Anzitutto diciamo che la frase «il Primogenito» (gr: ton prōtotokon) che tutte le traduzioni hanno, è traduzione letterale.

Grammaticalmente e sintatticamente parlando, non è possibile introdurre un aggettivo quale è «suo», secondo come ha fatto la TNM. Alla domanda: perché la Torre di Guardia ha fatto questo? Credo che non è difficile rispondere, pensando soprattutto:

1. A chi si riferisce il testo di (Ebrei 1:6) quando parla del «primogenito»;
2. Come considera la Torre di Guardia Gesù Cristo.

Dal momento che è certissimo che il «primogenito» di questo testo è Gesù Cristo, e siccome la Torre di Guarda usa il termine «primogenito» per provare che Gesù Cristo è il primo che è stato creato, si rendeva necessario aggiungere un aggettivo possessivo «suo», per far vedere che in fin dei conti Gesù è il primogenito di Dio.

Ciò detto, la TNM prova che Cristo è un essere creato. In tutti gli 8 casi in cui il termine «prōtotokos» ricorre e in tutto il NT, non è mai detto in nessun posto che Gesù Cristo è il primogenito di Dio. Non vediamo come la Torre di Guardia possa sfuggire a questo esame e con quale parole possa confutarci.

6. Ebrei 11:28:
Per fede Mosé celebrò la Pasqua e fece l’aspersione del sangue affinché colui che distruggeva i primogeniti (prōtotoka) non toccasse quelli d’Israele.

La TNM: «Per fede aveva celebrato la pasqua e l’aspersione del sangue, affinché il distruttore non toccasse i loro primogeniti».

Questo testo non ha niente di importante da dirci per il fatto che il termine «primogeniti» si riferisce ai figli d’Israele e sia ai figli Egiziani, quindi ai primi nati, in ordine di tempo.

7. Ebrei 12:23:
all’assemblea universale e alla chiesa dei primogeniti (prōtotokon) che sono scritti nei cieli, e a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti.

La TNM: «in generale assemblea, e alla congregazione dei primogeniti che sono stati iscritti nei cieli e a Dio giudice di tutti, e alle vite spirituali dei giusti che sono stati resi perfetti».

Anche questo testo non presenta nessun interesse ai fini della nostra ricerca, perché i «primogeniti» dei quali si dice che sono scritti nei cieli, sono chiaramente i credenti, i quali per un tempo, son vissuti in terra.

8. Apocalisse 1:5:
e da Gesù Cristo, il testimone fedele il primogenito (prōtotokos) dai morti e il Principe dei re della terra. A lui, che ci ama, ci ha lavati dai nostri peccati col suo sangue.

La TNM: «e da Gesù Cristo, il testimone Fedele. Il primogenito dai morti e Il Governatore dei re della terra. A colui che ci ama e che ci ha sciolti dai nostri peccati mediante il proprio sangue».

Questo testo, anche se il «primogenito» è Gesù Cristo, è messo in relazione con la morte. Per la sua spiegazione, vale quello che abbiamo detto a proposito di (Colossesi 1:18). Concludendo questa breve rassegna, anche e soprattutto per (Colossesi 1:15), testo che è stato strumentalizzato dalla Torre di Guardia per proclamare al mondo che Gesù Cristo è stato il primo ad essere creato da Dio, dall’esame che abbiamo condotto, specie alla luce del suo contesto, il termine «primogenito», non ha il significato del «primo che nasce, del primo che viene all’esistenza», ma bensì di colui che ha la «preminenza», essendo il Signore e il Creatore di tutte le cose [Per una maggiore conoscenza riguardante tanti altri particolari, cfr. W. Michaelis, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. XI, Col. 676-702; Walter R. Martin Norman H. Klann, Il Geova della Torre di Guardia, pagg. 225-227].

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06/01/2012 00:05

3. UNIGENITO

Il termine «unigenito» = unico nato, unico (gr. monoghenēs) ricorre nel NT 9 volte, 5 dei quali è applicato a Gesù Cristo. Per valutare la portata di questo termine, e la sua inevitabile implicazione sul piano teologico, soprattutto in riferimento alla cristologia giovannea, si rende necessario l’esame dei nove testi in cui compare il termine «monoghenēs». Nello stesso modo che abbiamo fatto per il termine «prōtotokos», faremo anche per quello di «monoghenēs» nel citare per esteso il testo dove il termine ricorre, non trascurando la versione della TNM.

1. Luca 7:12:
E quando fu vicino alla porta della città, ecco che si portava a seppellire un morto, figlio unico (monoghenēs) di sua madre, che era vedova; e una grande folla della città era con lei.

La TNM: «E come s’avvicinava alla porta della città, ecco, si portava fuori un morto, il figlio unigenito di sua madre. Inoltre, ella era vedova. Con lei era anche una considerevole folla della città».

Il significato di «unico» che “monoghenēs» ha in questo testo è abbastanza chiaro, quando si pensa che la madre, che era anche vedova, non aveva avuto altri figli; l’unico che aveva era quello che stava andando a seppellire.

2. Luc 8:42:
perciò egli aveva una figlia unica (monoghenēs) di circa dodici anni, che stava per morire.

La TNM: «perciò aveva una figlia unigenita di circa dodici anni che era moribonda».

Anche per questo testo, il termine “monoghenēs» significa «unica», per il semplice fatto che il capo della sinagoga Iairo, non aveva altri figli.

3. Luca 9:38:
Ed ecco, un uomo fra la folla si mise a gridare, dicendo: Maestro, ti prego, volgi lo sguardo su mio figlio perchè è l’unico che ho (monoghenēs).

La TNM: «Ed ecco, un uomo gridò dalla folla, dicendo: Maestro, ti imploro di dare uno sguardo a mio figlio, perchè è il mio unigenito».

Il significato di «unico» che ha “monoghenēs» in questo testo è abbastanza chiaro, dato che il padre dell’epilettico non aveva altri figli. Invece di seguire l’ordine progressivo del NT, preferiamo fare un salto, per poi ritornare ed esaminare i testi che parlano di Gesù Cristo.

4. Ebrei 11:17:
Per fede Abrahamo, messo alla prova, offrì Isacco e colui che aveva ricevuto le promesse offrì il suo unigenito (monoghenē)

La TNM: «Per fede Abraamo, quando fu provato come se offrisse Isacco, e l’uomo che aveva lietamente ricevuto le promesse tentò di offrire il [suo] unigenito».

Non tenendo conto del modo di tradurre questo testo e dell’aggettivo «suo» che non si trova nel testo greco, è certissimo che Isacco è il «solo» figlio che Abrahamo ebbe con Sara; quindi, il significato di «unico» che ha «monoghenē» in questo testo è incontestabile.

5. Giovanni 1:14:
E la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, come gloria dell’unigenito (monoghenous) proceduto dal Padre, piena di grazia e di verità (La Nuova Diodati).

La TNM: «E la Parola è divenuta carne e ha riseduto fra noi, e noi abbiamo visto la sua gloria, una gloria tale che appartiene a un figlio unigenito da parte di un padre; ed egli era pieno d’immeritata benignità e di verità».

Davanti ad una traduzione di questo genere, oltre a notare una notevole differenza, sia sul piano prettamente linguistico che teologico, il comune lettore è portato a chiedere perché la TNM ha interpretato in questo modo (Giovanni 1:14)? Come abbiamo fatto per il termine «prōtotokos», nonché per altri testi esaminati in questo libro, faremo lo stesso per il testo di (Giovanni 1:14), mettendo a confronto altre traduzioni, le stesse che abbiamo citate per il termine «prōtotokos».

* E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità (CEI).

* E il verbo s’è fatto carne ed ha dimorato fra noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria che come unigenito ha dal Padre, pieno di grazia e di verità (S. Garofalo).

* Il Verbo si è fatto carne ed abitò tra noi; e noi ne abbiamo veduta la gloria, gloria uguale a quella dell’Unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (G. Ricciotti).

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07/01/2012 00:02

* E il verbo si è fatto carne, e abitò tra di noi; e abbiamo veduto la sua gloria, gloria come dell’Uigenito del Padre, pieno di grazia e di verità (A. Martini).
E la Parola è stata fatta carne ed è abitata fra noi (e noi abbiam contemplata la sua gloria, gloria, come dell’unigenito proceduto dal Padre), piena di grazia e di verità (G. Diodati).

* E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiam contemplata la sua gloria, gloria come quella dell’Unigenito venuto da presso al Padre (G. Luzzi).

* Ed il logos è divenuto carne e ha dimorato tra di noi, ed abbiamo contemplato la sua gloria, una gloria quale (si addice) all’unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità (Paideia).
Ecco il testo greco:

«kai ho logos Sarcs egheneto kai eskēnōsen en hēmin, kai etheasametha tēn docsan autou, doxan ōs monoghenous para patros, plērēs charitos kai alētheias».

Nell’esaminare la versione della TNM, ci preme prima d’ogni altra cosa, far notare l’inesattezza linguistica della frase «un figlio unigenito». Se il logos di cui parla il testo è definito monoghenous unigenito, l’articolo indeterminativo « un » è fuori posto a dir poco. Se per monoghenēs si intende «unico, solo», come la stessa versione della TNM ha messo in risalto nei testi di (Luca 7:12; 8:42; 9:38 e Ebrei 11:17), è contraddittorio mettere l’articolo indeterminativo « un » davanti al monoghenous di (Giovanni 1:14).

È inammissibile che si possa tradurre ōs monoghenous «un figlio unigenito», dal punto di vista prettamente grammaticale, e rendere la forma italiana linguisticamente corretta. Anche se la particella ōs potrebbe avere senso di paragone, l’uso linguistico generale di monoghenēs non consente assolutamente di prendere ōs monoghenēs come un semplice paragone. La stessa frase «un figlio», indica l’esistenza di altri figli, come se ce ne fossero altri oltre a Gesù Cristo o come se il NT non fosse preciso quando chiama «sempre» Gesù Cristo: «Il Figlio di Dio».

Lo stesso dicasi per la frase «un padre». La frase: ōs monoghenous para patros , non può essere mai tradotta correttamente: «un figlio unigenito da parte di un padre», perché manca del più elementare senso di logica ed è in contraddizione, con la forma linguistica e soprattutto con tutto l’insegnamento del NT che ha «sempre» Gesù Cristo «il Figlio di Dio» e Dio «il Padre».

Ma allora, perché la TNM (che mantiene l’anonimato per ovvi motivi) l’ha fatto? In questo «sapere correttamente interpretare» il testo greco, come spesso va dicendo la Torre di Guardia a mezzo dei suoi scritti e attraverso i suoi seguaci, è una prova della loro poca onestà ed è una dimostrazione della loro posizione altamente preconcetta. La forma linguistica di (Giovanni 1:14) è stata resa in quella maniera, perché è in rapporto con Gesù Cristo, la Parola fatta carne.

Nello stesso tempo, però, mette in evidenza il problema di fondo, ch’è quello teologico, riguardante la persona di Gesù Cristo. Il fatto stesso che nessuna traduzione si è mai sognato di rendere ōs monoghenous para patros «un figlio unigenito da parte di un padre», è una dimostrazione di quantolosco ci sia sotto, nell’intento della Torre di Guardia!

Strumentalizzare il concetto di «unigenito» per dimostrare che Cristo è stato creato, non importa quando, significa degradarlo della sua deità. Anche se il termine monoghenōs significa «unico nel suo genere» e non esclude quello della specie, non si può concludere che con questo termine la Scrittura voglia presentare Cristo come «l’unico Dio creato».

Se Cristo è Dio, nel senso pieno che ha il concetto di deità, non si può assolutamente pensare, né alla sua creazione, né al fatto che nella deità ci siano gradi o livelli. La Bibbia dice in maniera dogmatica che c’è un solo Dio (Deuteronomio 4:35; 2:29; Isaia 43:10; 1 Corinzi 8:6). Il testo di Isaia 43:10 esclude la creazione o la formazione di un Dio.

«Voi siete i miei tistimoni, è l’espressione di Geova, «"pure il mio servitore che ho scelto, onde conosciate e abbiate fede in me, e affinché comprendiate che sono lo stesso. Prima di me non fu formato nessun Dio, e dopo di me non continuò ad essercene nessuno"» (la TNM).

6. Giovanni 1:18:
Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito (monoghenēs) Figlio [Il Luzzi ha preferito, come tantissimi altri traduttori, la lezione che ha “ho monoghenēs uhios” l’unigenito Figliolo] che è nel seno del Padre, è colui che lo ha fatto conoscere (La Nuova Diodati).

La TNM: «Nessun uomo ha in nessun tempo veduto Dio; l’unigenito dio [La TNM ha preferito la lezione che ha “monoghenēs theos” = unigenito Dio. Questa lezione fu la rocca forte per Ario, che sostenne, in tutta la polemica che si sviluppò nel IV secolo d.C. che Gesù Cristo fu il solo Dio creato. Sulla scorta di questo precedente storico, la Torre di Guardia afferma che Cristo è “l’unico Dio generato”] che è nella posizione del seno presso il Padre è colui che l’ha spiegato».

Anche per questo testo, dato la differenza sostanziale della traduzione della TNM, si impone un confronto con le altre traduzioni.

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08/01/2012 00:34

* Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato (CEI).

* Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figliolo, che è nel seno del Padre, egli ce lo ha rivelato (A. Martini).

* Nessuno ha veduto mai Dio; il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, ce l’ha fatto conoscere (G. Ricciotti).

* Nessuno ha mai veduto Iddio; l’unigenito Figliolo, che è nel seno del Padre, è quel che l’ha fatto conoscere (G. Luzzi).

* Nessuno ha mai visto Dio. L’unigenito Figlio, che riposa nel seno del Padre, egli ne ha dato notizia (Paideia).

* Nessuno vide giammai Iddio; l’unigenito Figliolo, ch’è nel seno del Padre, è quel che l’ha dichiarato (G. Diodati).

La prima cosa che un comune lettore si chiede è quella relativa alla frase «unigenito dio». Nelle traduzioni riportate, nessuno traduce in quella maniera. Anche se S. Garofalotraduce «un Dio unigenito» e S. Quasimodo «l’unico nato da Dio», c’è sempre da chiedere, perché questo? La risposta viene nel sapere quali manoscritti si seguono.

Ci sono due lezioni nei manoscritti greci che riportano monoghenēs theos (unigenito Dio) o ho monoghenēs theos = (L’unigenito Dio)e ho monoghenēs uhios =(L’unigenito Figlio) [Cfr. R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni I, pag. 354 per conoscere I vari manoscritti, relativamente alla lezione di cui sopra].

Le due lezioni sono autorevoli, perché sono i più antichi manoscritti. Anche se la maggioranza dei critici sostiene che la lezione ho monoghenēs uhios è quella che va preferita, (e tra questi c’è R. BULTMANN, colui che nega recisamente la deità di Gesù Cristo) ci sono quelli che accettano l’altra.

La TNM ha preferito seguire la lezione monoghenēs theos, ed ecco perché interpreta «unigenito dio». A parte tutto il ragionamento che si potrebbe fare per quanto riguarda la storia di questa lezione con tutte le sue conseguenze teologiche che ne seguirono, specie quando si pensa al vescovo Ario, che impugnando questa lezione, affermò che Cristo fu il primo ad essere creato, (nascendo quindi la dottrina della creazione di Gesù Cristo) e da allora, continua ad essere sostenuta, particolarmente dai Testimoni di Geova, c’è sempre da vedere perché mai il theos di questo testo, è stato reso «dio» con lettera minuscola.

In tutto il NT in cui il termine theos è riferito a Dio e a Gesù Cristo, la TNM non ha «mai» scritto «dio» in lettera minuscola, tranne per due casi: (Giovanni 1:1) «e la Parola era dio» e (Giovanni 1:18) «unigenito dio», testi riferiti a Gesù Cristo. Questo elemento statistico, chiaramente specificato nell’appendice, dimostra il motivo fondamentale perché la TNM ha interpretato (Giovanni 1:18) «unigenito dio».

Dal momento che, nel termine monoghenēs la TNM ha ravvisato il significato di concetto della nascita, non ha avuto nessuna difficoltà a interpretare «l’unico Dio generato», quindi ad insegnare che Gesù Cristo è il primo essere creato. Ma se questa loro interpretazione venisse vagliata e studiata attentamente, attraverso i moltissimi testi che abbiamo prodotto in questo nostro lavoro, non si potrebbe mai arrivare a questa assurda e contraddittoria conclusione.

Un Dio creato, non ha più i titoli per essere Dio, cessa di esserlo; diventa una creatura, e come tale, non ha nessun diritto di essere chiamato Dio.

Anche se si specifica, da parte della Torre di Guardia, che Gesù Cristo, Figlio, è Dio, come posizione di dignità, non lo è mai però alla pari del Padre. Resta sempre evidente il fatto di «due Dèi», uno degno di essere scritto con la lettera maiuscola e l’altro con la lettera minuscola. Non ci stancheremo mai di ripetere che per scorgere l’assurdità e la contraddittorietà di questa affermazione, non ci vuole una grande cultura, ci vuole solamente un pochino di logica e di buon senso.

7. Giovanni 3:16:
Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito monoghenē Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.

La TNM: «Poiché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo unigenito Figlio onde chiunque esercita fede in lui non sia distrutto ma abbia vita eterna».

8. Giovanni 3:18:
Chi crede in lui non è condannato, ma chi non crede è già condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito monoghenous Figlio di Dio.

La TNM: « Chi esercita fede in lui non sarà giudicato. Chi non esercita fede è già stato giudicato, perché non ha esercitato fede nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

9. 1 Giovanni 4:9:
In questo si è manifestato l’amore di Dio verso di noi, che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito monoghenē nel mondo, affinché noi vivessimo per mezzo di lui.

La TNM: «Da questo l’amore di Dio fu reso manifesto nel nostro caso, perché Dio mandò il suo unigenito Figlio nel mondo affinché ottenessimo la vita per mezzo di lui».

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09/01/2012 00:05

Queste tre citazioni completano l’elenco delle citazioni in cui il termine monoghenēs unigenito, compare nel NT. Non c’è tanto da dire in questi tre testi, per ciò che riguarda l’interpretazione di monoghenēs, perché in tutti tre i passi il senso di «unico, solo», è incontestato anche dalla TNM.

In conclusione: dall’esame che abbiamo condotto, risulta chiaro che:

1. I termini Padre e Figlio, stanno ad indicare la «posizione» che l’uno e l’altro hanno e non intaccano o minimizzano la loro natura di Dio.
2. Il termine prōtotokos mette in risalto il fatto che Cristo è il primo, non in «ordine di tempo» ma di «preminenza» su tutto il creato.

3. Infine, il termine monoghenēs, non sta ad indicare che Cristo è «il solo Dio generato», ma il solo, l’unico del genere in senso assoluto, essendo nel Padre e il Padre è in lui (Giovanni 10:38; 14:10,11,20; 17:21).

È chiaro perciò che essendo «uno col Padre» (Giovanni 10,30), ne consegue che l’uno e l’altro hanno la stessa natura di Dio, senza nessuna differenza [Per una maggiore documentazione, soprattutto per conoscere la storia del concetto di «monoghenēs» nonché gli altri autori che sono intervenuti nella discussione e nell’interpretazione di Giovanni 1:18, cfr. F. Büchsel, in GLNT (Grande Lessico del Nuovo Testamento),Vol,VII, Col. 465-478; K. H. Bartels, Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, pagg. 1922-1924; Walter R. Martin Norman H Klann, Il Geova della Torre di Guardia, pagg. 209-212].

PS: Se al termine del capitolo 16 ci sono domande da fare, fatele liberamente e saremo pronti a rispondere



APPENDICE




BREVI CONSIDERAZIONI SUL LOGOS




I. L’ESSERE PREESISTENTE DEL LOGOS

Le brevi considerazioni che faremo sul logos, di cui nel prologo di Giovanni, ci permetteranno, non solo di approfondire la conoscenza riguardo la Parola, di cui il nostro testo è saturo, ma potremo anche stabilire se questa Parola, di cui parla l’evangelista, debba essere considerata e compresa in ordine al tempo o piuttosto fuori di esso. Il concetto di tempo, è chiaramente indicato nella seconda parte di (Giovanni 1:1): Nel Principio, o in Principio. Questo però non vuol dire che Giovanni adoperi questo termine per presentarci il problema del tempo con tutta la sua problematica. Che il tempo abbia cominciato la sua esistenza prima del mondo, o insieme ad esso o dopo di esso, non era certamente il motivo per il quale Giovanni adoperò il termine archē. D’altra parte, non possiamo affrontare la problematica del tempo, per stabilire un ordine ben preciso se collocarlo prima o dopo la creazione o addirittura con la stessa creazione. Una simile trattazione, ci porterebbe fuori il contesto per il quale Giovanni adoperò il termine archē.

Con ogni probabilità, Giovanni scelse questo termine in analogia a (Genesi 1:1), e ciò per indicare, non tanto l’inizio dell’esistenza del mondo creato o l’inizio dell’esistenza della Parola, quanto per esprimere l’essere del logos prima del mondo [Cfr. R. Schnackenburg, Il Vangelo di Giovanni I, pag. 293]. Se dovessimo interpretare la frase nel principio come una designazione di partenza per il logos, dovremmo per forza di coerenza stabilire un tempo nel quale il logos, cominciò la sua esistenza. Se poi si pensa che questa Parola sia semplicemente una forma verbale di Dio, dovremmo, anche per questa asserzione, stabilire quando essa cominciò in Dio. Come si può benissimo notare tutta la faccenda non è solamente imperniata a stabilire l’inizio dell’esistenza della Parola, ma investe Dio stesso nella sua natura.

Se la Parola, di cui parla (Giovanni 1:1) deve essere intesa come espressione verbale di Dio, va da sé che questa Parola, deve essere collocata fuori del tempo, perché Dio appunto è fuori del tempo. Se tutto ciò che esiste, esiste nel tempo (e tutto ciò che ha avuto un inizio non è eterno), e se la Parola in (Giovanni 1:1) è semplicemente un’espressione verbale di Dio, questa deve essere necessariamente fuori del tempo, perché Dio stesso è fuori del tempo, quindi eterna.

D’altra parte, sarebbe insostenibile affermare che ci fu un tempo nel quale Dio non aveva un’espressione verbale. Se ci permettiamo di fare riferimento alla Parola come espressione verbale di Dio, non lo facciamo perché (Giovanni 1:1) significhi questo, ma solamente per far notare come sia impossibile sostenere, sia dal punto di vista grammaticale che dal punto di vista teologico, che il logos abbia potuto avere un inizio nel tempo.
In considerazione di quanto esposto, la frase: Nel principio, non ha niente a che vedere con l’inizio dell’esistenza del logos, perché questi, quando cominciò il tempo in principio, era. Che il logos deve essere considerato eterno, viene provato in maniera inconfutabile dal valore del verbo essere che Giovanni adopera.

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10/01/2012 00:29

Questo verbo non può essere considerato come se andando indietro nel tempo, arrivassimo ad un punto in cui comincia la marcia. Il senso indefinito del verbo era, ci porta inevitabilmente nell’eternità, dove non è più possibile avere la nozione del tempo. Quindi, per forza di coerenza, in principio, significa nient’altro che l’essere eterno e senza fine.

Non si può usare per il logos la frase: è stato creato, perché il logos, non è mai stato creato, egli era, vale a dire che già allora esisteva assoluto fuori del tempo in eterno. Se dovessimo ammettere per un solo istante che il logos è stato creato, non sarebbe fuori posto chiedere: Chi ha creato il logos? L’unica risposta a questa precisa domanda sarebbe, Dio ha creato il logos.

Dal momento che si afferma che il logos è stato creato (non importa quando), si dovrebbe provare con un testo biblico, che dica chiaramente (anche in una maniera implicita) che Egli è stato creato. Dal momento che si chiede un testo biblico, si capisce subito che l’osservazione si fa acuta e seria.

Trattandosi del logos, così come Giovanni ce lo presenta, è una vera follia affermare che il logos è stato creato da Dio, senza il sostegno di una prova scritturistica. Se la prova scritturistica non può essere prodotta, perché non esiste nella Bibbia una sola parola che lasci intravedere la creazione del logos, affermarla significa: Esporre una convinzione caratterizzata da una presa di posizione altamente preconcetta. Tutto il ragionamento che facevano gli ariani quando affermavano che ci fu un tempo quando il Figlio di Dio non esisteva, viene categoricamente smentito e confutato da Giovanni 1:1 che afferma: In principio era il logos.

Che questo logos sia Gesù Cristo, è provato dallo stesso evangelista quando dice: E il logos è divenuto carne (Giovanni 1:14). Tutta la storia dell’incarnazione che il N.T. presenta, è sempre ed esclusivamente attribuita a Gesù Cristo.

2. PERSONALITÀ DEL LOGOS


Onde confutare che il logos non è da considerarsi come un’espressione verbale di Dio, Giovanni afferma: In principio era il logos e il logos era con Dio. Con questa frase: Con Dio, l’apostolo presenta il logos come una reale persona distinta da Dio. Se il logos non fosse una reale persona, ma semplicemente un’espressione verbale di Dio, Giovanni non avrebbe usato il termine pros con, presso, avrebbe piuttosto adoperato il termine en in, che meglio esprime questo concetto.

Se il logos era con Dio, e Dio è una reale persona, lo deve essere necessariamente anche il logos, altrimenti la frase del nostro testo non avrebbe nessun senso. Se non si può negare la personalità di Dio presente in (Giovanni 1:1), non si può neanche negare quella del logos Se noi diciamo che Michele era con Giovanni l’altro giorno in città, sarebbe illogico considerare solamente Michele come una reale persona ed escludere Giovanni. Giovanni e Michele sono due distinte persone, non importa se il primo è in qualità di padre e il secondo in quella di figlio.

Quando (Giovanni 1:1) afferma che il logos era con Dio, afferma esattamente che le due persone menzionate nel testo sono distinte l’una dall’altra. D’altra parte, la preposizione pros non esprime qui un movimento verso una meta, un processo vitale all’interno di Dio. Questa espressione nel linguaggio della Koinè equivale a para: E ora, Padre, glorificami presso (pros) di te stesso con la gloria che avevo presso (pros) di te prima che il mondo fosse (Giovanni 17:5.) (la TNM).
Si confrontino i seguenti testi: (Matteo 26:18): Egli disse: Andate in città dal tal dei tali e ditegli: Il maestro dice: Il mio tempo fissato è vicino; celebrerò la pasqua con (pros) i miei discepoli in casa tua (la TNM). (Marco 6:3): Questo è il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e Giuseppe e Giuda e Simone, non è vero? E le sue sorelle sono qui con (pros) noi, non è così?

(la TNM). Marco 14:49: Ogni giorno ero con (pros) voi nel tempio ad insegnare e non mi avete arrestato (la TNM). Luca 22:56: Ma una servitrice lo vide seduto presso (pros) la luce del fuoco e riguardatolo disse (la TNM). (1 Corinzi 16:6): e forse resterò o perfino passerò l’inverno con (pros) voi, affinché mi accompagniate in parte dove io andrò (la TNM). (2 Corinzi 11:9): eppure quando ero presente presso (pros) di voi e fui nel bisogno, non divenni un peso per nessuno (la TNM).

(Galati 1:18): Tre anni dopo salii quindi a Gerusalemme per visitare Cefa e stette con (pros) lui quindici giorni (la TNM). (Galati 4:18,20): Comunque. è eccellente che voi siate in ogni tempo zelantemente cercati per una causa eccellente, e non solo quando io sono presente fra (pros) voi. Ma desidererei ora esser presente fra (pros) voi e parlare in modo diverso, perché sono perplesso riguardo a voi (la TNM).

Nella terza frase di (Giovanni 1:1) abbiamo il punto culminante: e il logos era Dio. Facendo un riepilogo abbiamo:

1. In principio era il logos Il logos viene messo prima della creazione e collocato fuori del tempo, nell’eternità.
2. Il logos era con Dio, esprimendo distinzione, personalità e comunione.
3. Il logos era Dio, esprimendo in tal modo la sua natura.

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11/01/2012 00:10

La definizione di quest’ultimo punto, è la relativa conseguenza di tutto quello che Giovanni ha affermato nelle due precedenti frasi, cioè: Se il logos era prima del tempo, cioè nell’eternità con Dio, ne consegue che deve essere necessariamente Dio. Questa conclusione a cui Giovanni arriva, potrebbe suonare come una chiara contraddizione con l’insegnamento della Bibbia che afferma che c’è un solo Dio.

Deuteronomio 4:35:
Tu sei stato fatto testimone di queste cose affinché tu riconosca che l’Eterno è Dio, e che non ve n’è altri fuori di lui.

Isaia 43:10:
I miei testimoni siete voi, dice l’Eterno, voi, e il mio servo ch’io ho scelto, affinché voi lo sappiate, mi crediate, e riconosciate che sono io. Prima di me nessun Dio fu formato, e dopo di me, non ve ne sarà alcuno.

Deuteronomio 32,39:
Ora vedete che io solo son Dio, e che non v’è altro dio accanto a me.

Tenendo presente queste dogmatiche affermazioni della Bibbia, e leggendo come ha interpretato la TNM della Torre di Guardia il ton theon (il Dio) e il theos (dio) con lettera minuscola, si stabilisce con estrema certezza di trovarsi in presenza di due Dèi: Uno di eccelsa portata, e l’altro, il logos, non alla stessa pari del primo.

Questo tipo di ragionamento che i redattori della TNM hanno fatto, facendo riferimento al fatto che theos applicato al logos è senza articolo determinativo, mentre il ton theon, riferito al vero Dio ha l’articolo determinativo indicante differenza, è impossibile sostenerlo, sia dal punto di vista sintattico che teologico. Per la parte sintattica di (Giovanni 1:1) consigliamo la lettura del libro Perché hanno lasciato i testimoni di Geova, di Peter Hedley, alle pagg. 186-203; 221-224; 280-281, dove l’autore fa un’ampia discussione citando autori di grammatica greca.

3. LA NATURA DEL LOGOS


Leggendo (Giovanni 1:1) in tutte le sue parole: In principio era il logos, e il logos era con Dio, e il logos era Dio, non dobbiamo, né pensare, né interpretare che l’apostolo Giovanni ci stia presentando due Dèi, l’uno diverso dall’altro. Questa conclusione a cui si potrebbe arrivare, è in netta contraddizione con i tre testi che abbiamo citato, cioè: (Deuteronomio 4:35; Isaia 43:10; Deuteronomio 32:39). Ma è proprio vero che (Giovanni 1:1) è in contraddizione con questi testi parlando di due Dèi? Quando Giovanni afferma che il logos era con Dio, distingue la personalità di ton theon, dalla personalità del logos theos.

Quando Giovanni parla della natura del logos, afferma dogmaticamente che il logos era Dio. Questo non vuol dire affatto che (Giovanni 1:1) insegni la dottrina di due Dèi sol perché parla del logos e di Dio. Si tratta di vedere la distinzione che c’è tra Dio e il logos per quanto riguarda la personalità, ma non due Dèi per quanto riguarda la natura.

Niente di contraddittorio quindi se il logos, come persona distinta, era con Dio, un’altra persona, in principio. Questo concetto di personalità, Giovanni lo sviluppa maggiormente nel vangelo quando presenta Dio come il Padre e il logos come il Figlio. I due termini Padre e Figlio, oltre tutto, stanno ad indicare la distinzione di persona. Ecco perché Gesù può dire:

Il Padre è maggiore (e non superiore) di me (Giovanni 14:28) e: Io e il Padre siamo una stessa cosa (Giovanni 10:30).

Nel primo caso Gesù si presenta come Colui che si svuotò delle sue prerogative divine, ai fini della sua missione per salvare l’umanità, e nel secondo caso si auto-definisce della stessa natura del Padre.

Quando noi diciamo che Francesco è padre di Giuseppe, non solo distinguiamo Giuseppe da Francesco per quanto riguarda la personalità, ma anche per quanto riguarda la loro posizione di padre e di figlio. Ma dovendo parlare della natura umana di Francesco e di Giuseppe, non diciamo che la natura di Francesco è diversa dalla natura di Giuseppe, sol perché Francesco è padre e Giuseppe è figlio. Natura umana è quella di Francesco e natura umana è quella di Giuseppe.

Per quanto riguarda le tendenze peccaminose che ha la natura umana di Francesco, ce l’ha pure quella di Giuseppe. In questo caso non si mette in risalto la posizione che Francesco ha, come padre, nei confronti di Giuseppe, figlio, perché le tendenze peccaminose che Giuseppe ha, non gli derivano in conseguenza dalla posizione di figlio, ma dalla stessa natura peccaminosa che ha il padre.

Compreso bene il concetto di natura con quello di persona, non si dirà mai che sol perché in principio il logos era con Dio, e il logos era Dio, che (Giovanni 1:1) insegni la dottrina di due Dèi: Uno grande ed eccelso, l’altro piccolo e meno eccelso. L’intero versetto bene interpretato, è un argomento irresistibile contro tre classi di eretici:

1. I Sabelliani, i quali negano ogni distinzione di persona nella Trinità, e dicono che Dio si manifesta ora come Padre, ora quale Figlio, ora quale Spirito Santo.
2. Gli Ariani, i quali sostengono che Cristo fu il primo e il più nobile degli esseri creato da Dio, ma inferiore a Dio, così per natura come per dignità.
3. I Sociniani o Unitari, i quali insegnano che Gesù Cristo non fu Dio in senso alcuno, e non ebbe esistenza qualsiasi, prima di nascere dalla vergine.

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12/01/2012 00:07

4. LA PREROGATIVA DEL LOGOS

Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui non è stato fatto un solo (essere) che sia stato fatto (Giovanni 1:3).

Questa traduzione fatta in questa maniera suona bene, perché il soggetto dei due versi precedenti è rimasto invariato col termine logos Siccome logos è sostantivo maschile, s’addice molto bene il pronome maschile: lui. Ma mettendo al posto di logos, la Parola, il lui, non si adatta più, perché appunto Parola è sostantivo femminile.

Nel caso della versione della TNM che ha preferito la Parola al posto di logos, rendere il v.3 Tutte le cose son venute all’esistenza per mezzo di lui, e senza di lui neppure una cosa è venuta all’esistenza, non solo non è grammaticalmente corretto, ma significa in termini inequivocabili, che quello che ha portato all’esistenza le cose che esistono, non è stata la Parola.

In questo caso si toglie alla Parola una prerogativa molto importante quella cioé di aver portato all’esistenza tutto il creato. Leggendo il testo di seguito, dal primo al terzo versetto, si sa con estrema certezza matematica ch’è stato il logos la Parola, a portare all’esistenza il creato.

Tutte le traduzioni che hanno lasciato nel soggetto la Parola, non traducono lui, ma essa. Questa disquisizione l’abbiamo fatta, non solo per quanto riguarda l’aspetto puramente linguistico, ma soprattutto per salvaguardare la prerogativa divina del Logos

La prerogativa di portare all’esistenza tutte le cose, è squisitamente divina. Questa affermazione che Giovanni fa in riferimento al logos, rappresenta una chiara dimostrazione sul piano teologico dell’altra affermazione che il logos era Dio. Giovanni non si limita ad affermare che il logos era Dio, semplicemente su un piano concettuale.

Dalla (Genesi 1:1) si sa che Dio creò tutto e da (Giovanni 1:1,3) che il logos portò all’esistenza tutte le cose. Nessuno può creare (nel senso pieno di questo termine) tranne che Dio; perché creare, appunto significa: Trarre all’esistenza dal nulla. Questa affermazione che l’universo è stato portato all’esistenza dal logos, è una chiara confutazione all’eternità della materia.

Tutto è stato fatto per mezzo di lui. Si discute in quale modo deve essere interpretato la preposizione dia per. Si son proposti quattro modi:

1. Nel senso di un collaboratore
2. Nel senso di un modellatore
3. Nel senso di causa esemplare, archetipo
4. Nel senso che egli stesso crea attivamente.

Si fa notare inoltre che la preposizione dia, non implica inferiorità alcuna. Per quanto riguarda l’affermazione di (Giovanni 1:3), abbiamo una perfetta armonia con (Colossesi 1:16-17) che stabilisce che Cristo creò tutto: le cose visibili e le invisibili. Inoltre, si mette in risalto da diversi testi biblici, come per esempio: (Salmo 33:6-9; 102:25; 148:5; Isaia 40: 26; 48:3; Romani 11:33-36) che tutta l’opera della creazione è attribuita a Dio.

La Bibbia non afferma mai che il Padre abbia creato l’universo, afferma sempre che Dio ha creato tutto. Siccome il logos è Dio, ed è soltanto Dio che crea o porta all’esistenza tutte le cose, ne consegue che il logos, nell’opera della creazione, non agì come un collaboratore, ma come colui che crea attivamente.

Dobbiamo tener presente che quando (Giovanni 1:1) dice che il logos era con Dio, lo fa per mettere in risalto le due personalità distinte, in questo caso quella del Padre e quella del Figlio; non fa lo stesso però per l’opera della creazione. Si potrebbe domandare perché? L’opera della creazione, nella sua totalità, non è l’opera di un Dio, è l’opera di un solo Dio.

Quando si cerca di scandire: Dio il Padre, in cooperazione di Dio Figlio, o viceversa, crearono tutte le cose. Anche se teologicamente è esatta questa affermazione, lascia spazio ad una errata interpretazione come se dicendo ciò si volesse affermare l’esistenza di due Dèi. Se Giovanni attribuisce al logos l’esistenza di tutte le cose, lo fa per dimostrare che questo logos, oltre ad essere una persona distinta, è soprattutto Dio (e non un dio), per quanto riguarda la sua natura, in virtù della quale ha tutti i carismi per trarre all’esistenza tutte le cose.

Qui non ci troviamo davanti ad una formula teologica ambigua e complicata, ci troviamo piuttosto davanti ad una affermazione tendente a mettere in risalto, non tanto la personalità del logos, quanto la sua deità. Quando il cristianesimo afferma che il Padre è Dio, che il Figlio è Dio e che lo Spirito Santo è Dio, proclama una verità biblicamente dimostrabile. Ma coloro che non credono a questa verità, trovano gli appigli per affermare che il cristianesimo crede a tre Dèi, verità in contrasto con l’insegnamento della Bibbia che proclama un solo Dio.

Coloro che non credono alla dottrina della Trinità, trovano difficoltà ad accettarla, perché dicono, è contro la ragione. Un simile modo d’esprimersi, prova in maniera inequivocbile che la loro posizione è altamente preconcetta, e non lascia nessuna possibilità alla ragione di vagliare obiettivamente tutto il problema.

Nonostante che attraverso i secoli si sia spiegato chiaramente, sia dal punto di vista sintattico che teologico, che l’unità di Dio, è unità composta e che in questa unità c’è la pluralità delle persone, si continua a negarla, e tacciare coloro che la credono come pagani, perché secondo loro, la Trinità è dottrina pagana e non biblica.

Dio non è separatamente il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (anche se tutti e tre sono Dio); Dio è: Padre, Figlio e Spirito Santo nella loro inscindibile unità. Questo perché, nonostante che il Padre, il Figliolo e lo Spirito Santo siano tre persone distinte tra di loro, hanno in comune una sola natura, la natura divina.

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13/01/2012 00:03

Ecco perchè Paolo arriva ad una conclusione, quando dice: Affinché Dio sia tutto in tutti (1 Corinzi 15:28). L’affermazione di Paolo, che da alcuni, specie dalla Torre di Guardia), è usata per confutare che Gesù Cristo non è Dio, non mira a degradare Gesù Cristo della sua prerogativa divina; mira solamente a chiudere il ciclo della subordinazione di Cristo al Padre per quanto riguarda la sua missione.

Quando tutto sarà completato, non ci sarà più bisogno che Cristo appaia inferiore al Padre, perché alla fine, non sarà il Padre tutto in tutti, ma Dio: Padre, Figlio e Spirito Santo. Quando si interpreta giustamente la Bibbia, quei preconcetti di irrazionalità cadono e tutto appare chiaro nella sua luminosa luce.

5. L’INCARNAZIONE DEL LOGOS

L’ultimo tratto dell’inno al logos e il suo punto culminante, è appunto la sua l’incarnazione.

E il logos si è fatto carne ed ha abitato per un tempo fra noi, pieno di grazia e di verità; e noi abbiam contemplata la sua gloria, gloria come quella dell’Unigenito venuto da presso al Padre (Giovanni 1:14).

La maggior parte degli esegeti son concordi nell’affermare che questo verso deve essere collegato col v.1, non solamente per la parte formale, ma soprattutto per il suo contenuto.

Leggendo questo testo alla luce del primo versetto di (Giovanni 1:1), la verità relativa all’incarnazione appare nella sua profondità e si può meglio valutare la portata cristologica che ha. Così fecero i padri, specialmente Atanasio che ebbe il merito di confutare brillantemente gli ariani. In questo verso si afferma che in un’ora ben precisa della storia, il logos si è fatto carne. Questo è il grande paradosso che il logos il quale in principio era con Dio, ed era Dio, sia diventato carne ed bbia abitato per un tempo fra noi.

Questa affermazione dell’apostolo, non vuol dire: Il logos si è trasformato in carne o: Il logos è apparso sotto un rivestimento di carne, per il semplice motivo che la frase che segue si è attendato fra noi, e noi abbiam contemplato la sua gloria, non darebbe un contenuto sufficiente al verbo ghinestai.

Col divenire carne, non bisogna intendere come se il logos avesse cessato di essere quello che prima era. Nulla di tutto questo è accennato nel nostro testo. Anche se in questa visuale non appaiono le due nature, ce lo dirà chiaramente (Filippesi 2:6-11). Quello che maggiormente si deve notare e ch’è di estrema importanza, è l’azione spontanea e personale del logos

Se la frase: Il logos era con Dio, lascia intravedere una distinzione per ciò che riguarda la personalità, e il logos è diventato carne, ne indica la sua personale azione. Se Dio, in (Giovanni 1:1) è una reale persona, lo deve essere necessariamente anche il logos Il segno più marcato e la prova più convincente che il logos è una reale persona, viene data da (Giovanni 1:14). Mettendo in risalto l’aspetto personale del logos, si capisce subito che egli è cosciente di quello che fa.

Anche se nel N.T. e specie in Giovanni, leggiamo spesso che il Padre ha mandato il suo Figliolo nel mondo, non leggiamo mai che il Padre ha fatto diventare carne il logos

Questo diventare carne, è più di un diventare uomo; esprime nel senso più completo, l’assunzione della natura umana. Il logos che in principio era con Dio, si trasferisce per un tempo tra gli uomini; il logos che era Dio, ora, in un preciso momento della storia, diventa carne. Questo è il grande mistero dell’incarnazione che Paolo in un inno a Cristo, non ha nessuna titubanza ad affermare (1 Timoteo 3:16) e che lo stesso Giovanni pone come un banco di prova per conoscere lo Spirito di Dio (1 Giovanni 4:23; 2 Giovanni 7).

Come il logos, che in principio era con Dio, ed era Dio, sia diventato carne, questo è il mistero che né Giovanni, né tutti gli altri scrittori del N.T. non ci fanno sapere. Nonostante ciò, l’incarnazione è diventata una professione di Fede, fin dal sorgere del cristianesimo e che si protrae ininterrottamente attraverso i secoli.

D’altra parte, bisogna precisare che un cristianesimo senza l’incarnazione, non ha il diritto, né di chiamarsi né di considerarsi tale. L’incarnazione è la pietra fondamentale sulla quale è stato eretto l’edificio del cristianesimo, pietra che si erge, come un solido pilastro in mezzo ad un mare tempestoso. Se questo solido fondamento ha resistito a tutti i violenti attacchi che ha subito attraverso i secoli, e al presente continua a sfidare il tempo, lo è perché, il logos ch’è diventato carne, era con Dio, era Dio ed è Dio.
La frase abitare, può anche essere tradotta: attendarsi. Quest’ultima, a dire il vero, favorisce lo sviluppo del significato che la tenda sacra aveva in riferimento all’incontro di Yahvè con Mosè. Era la gloria di Yhavè che scendeva e si manifestava quando Mosè entrava nella tenda, e più tardi riempì il tempio (cfr. Esodo 40:10; 1 Re 8:11).

Ecco perché Giovanni può dire: Abbiamo contemplato la sua gloria. Come la gloria di Yahvè venne vista da Mosè e da Salomone, così la gloria del logos venne contemplata dagli uomini. Se si tiene presente che la gloria del logos è la gloria di Dio, perché il logos era con Dio ed era Dio, la gloria che noi abbiamo contemplato è la stessa gloria che Mosè vide nella tenda e che ai tempi di Salomone fu notata nel tempio.

Tenendo presente questa valutazione d’insieme, che abbiamo fatto, possiamo capire meglio le parole di Gesù:

Ed ora, o Padre, glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse (Giovanni 17:5).

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