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Domenico34 – GESÙ CRISTO È DIO? – Capitoli 7-16 + APPENDICE E BIBLIOGRAFIA

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2012 00:23
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14/12/2011 00:18

Geremia 3:23:
Sì, certo, vano è il soccorso che s’aspetta dalle alture, dalle feste strepitose sui monti; sì, nell’Eterno, nel nostro Dio, sta la salvezza d’Israele.

Lamentazione 3:26:
Buona cosa è d’aspettare in silenzio la salvezza dell’Eterno.

Giona 2:10:
Ma io t’offrirò sacrifici con cantici di lode; adempirò i miei voti che ho fatto. La salvezza appartiene all’Eterno.

Habacuc 3:18:
Ma io mi rallegrerò nell’Eterno, esulterò nell’Iddio della mia salvezza.

FACCIAMO ORA UN CONFRONTO COL N.T. PER SAPERE CHI È COLUI CHE OPERA LA SALVEZZA


Luca 2:29,30, dice:
Ora, o mio Signore, tu lasci andare in pace il tuo servo, secondo la tua parola; poiché gli occhi miei han veduto la tua salvezza.

Atti 4:12:
E in nessun altro è la salvezza; poiché non v’è sotto il cielo alcun altro nome che sia stato dato agli uomini, per il quale noi abbiamo ad essere salvati.

Ebrei 2:9,10:
Ben vediamo però colui ch’è stato fatto di poco inferiore agli angeli, cioè Gesù, coronato di gloria e d’onore a motivo della morte che ha patito, onde, per la grazia di Dio, gustasse la morte per tutti. Infatti per condurre molti figlioli alla gloria, ben s’addiceva a colui per cagion del quale son tutte le cose e per mezzo del quale son tutte le cose, di rendere perfetto, per via di sofferenze, il duce della loro salvezza.

Questi pochissimi testi che abbiamo citato, specie (Atti 4:12), sono sufficientemente capaci di convincere la più ostinata persona e portare luce all’intelletto e all’intera vita, per far vedere che l’autore della Salvezza, è Gesù Cristo in persona, secondo il N.T. nella stessa maniera come lo era Geova per l’A.T.

c) SALVATORE:

Per quanto riguarda il titolo di Salvatore, l’A.T. in diversi passi, addita Geova, anche se altre persone estranee alla divinità, hanno lo stesso titolo.

2 Samuele 22:3, dice:
L’Iddio che è la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore.

Salmo 18:2:
L’Eterno è la mia rocca, la mia fortezza, il mio liberatore; il mio Dio, la mia rupe, in cui mi rifugio, il mio scudo, il mio potente salvatore.

Salmo 106:21:
Dimenticarono Dio, loro salvatore, che aveva fatto cose grandi in Egitto.

Isaia 43:3,11:
Poiché io sono l’Eterno, il tuo Dio, il Santo d’Israele, il tuo salvatore. Io, io son l’Eterno, e fuor di me non v’è salvatore.

Isaia 45:15,21:
In verità tu sei un Dio che ti nascondi, o Dio d’Israele, o Salvatore! Annunziatelo, fateli appressare, prendano pure consiglio assieme! chi ha annunziato queste cose fin dai tempi antichi e l’ha predette da lungo tempo? Non sono forse io, L’Eterno? E non v’è altro Dio fuor di me, un Dio giusto, e non v’è salvatore fuori di me.

Isaia 49:26:
E farò mangiare ai tuoi oppressori la loro propria carne, e s’inebrieranno col loro proprio sangue, come col mosto; e ogni carne riconoscerà che io, l’Eterno, sono il tuo salvatore.

Isaia 60:16:
Tu popperai il latte delle nazioni, popperai al seno dei re, e riconoscerai che io, l’Eterno, sono il tuo salvatore.

Isaia 63:8:
Egli aveva detto: Certo, essi sono mio popolo, figlioli che non mi inganneranno; e fu il loro salvatore.

Geremia 14:8:
O speranza d’Israele, suo salvatore in tempo di distretta.

CONTROLLIAMO ORA IL N.T. PER SAPERE A CHI VIENE DATO QUESTO NOBILE TITOLO DI SALVATORE

Luca 1:68,69, dice:
Benedetto sia il Signore, l’Iddio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo, e ci ha suscitato un potente salvatore nella casa di Davide suo servitore.

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15/12/2011 00:08

Luca 2:11:
Oggi, nella città di Davide, v’è nato un Salvatore, che è Cristo il Signore.

Giovanni 4:42:
E dicevano alla donna: Non è più a motivo di quello che tu ci hai detto, che crediamo; poiché noi abbiamo udito da noi che questi è veramente il Salvatore del mondo.

Atti 5:31:
Esso ha Iddio esaltato con la sua destra, costituendolo Principe e Salvatore, per dare ravvedimento a Israele, e remission dei peccati.

Atti 13:23:
Dalla progenie di lui Iddio, secondo la sua promessa, ha suscitato ad Israele un Salvatore nella persona di Gesù.

Efesini 5:23:
Poiché il marito è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, egli che è il Salvatore del corpo.

Filippesi 3:20:
Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, d’onde anche aspettiamo come Salvatore il Signore Gesù Cristo.

2 Timoteo 1:10:
Ma che è stata ora manifestata coll’apparizione del Salvatore nostro Cristo Gesù.

Tito 1:4:
A Tito, mio vero figliolo secondo la fede che ci è comune, grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro Salvatore.

Tito 2:13:
Aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Iddio e Salvatore, Cristo Gesù.

2 Pietro 1:1,11:
Simon Pietro, servo ed apostolo di Gesù Cristo, a quelli che hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra nella giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo. Poiché così vi sarà largamente provveduta l’entrata nel regno eterno del nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo.

2 Pietro 2:20:
Poiché, se dopo esser fuggiti dalle contaminazioni del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore Gesù Cristo.

1 Giovanni 4:14:
E noi abbiamo veduto e testimoniato che il Padre ha mandato il Figliolo per essere il Salvatore del mondo.

È chiaro per il N.T. che cosa significhi quando presenta Gesù Cristo, col titolo di Salvatore del mondo. La stessa puntualizzazione che fa l’A.T per Geova, il N.T. lo fa per Gesù Cristo. È impossibile sfuggire a questi elementi, che non vogliono essere semplicemente l’espressione interpretativa di una certa tendenza teologica, ma una chiara dimostrazione della deità di Gesù Cristo.

d) REDENZIONE:

La parola redenzione viene usata poche volte nell’A.T., ma quelle poche volte, è sempre applicata a Geova.

[G]almo 111:9, dice:
Egli ha mandato la redenzione al suo popolo, ha stabilito il suo patto per sempre.

Salmo 130:7:
O Israele, spera nell’Eterno, poiché presso l’Eterno è benignità, e presso di lui è abbondanza di redenzione.

Isaia 63:4:
Poiché il giorno della vendetta, ch’era nel mio cuore, e il mio anno di redenzione son giunti.

CONFRONTANDO IL N.T. SAPPPIAMO CHI È COLUI CHE HA PROCURATO LA REDENZIONE AL GENERE UMANO


Romani 3:24, dice:
E son giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù.

1 Corinzi 1:30:
E a lui voi dovete d’essere in Cristo Gesù, il quale ci è stato fatto da Dio sapienza e giustizia, e santificazione, e redenzione.

Efesini 1:7:
Poiché in lui noi abbiamo la redenzione mediante il suo sangue, la remissione dei peccati, secondo le ricchezze della sua grazia.

Colossesi 1:14:
Nel quale abbiamo la redenzione, la remissione dei peccati.

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16/12/2011 00:10

Ebrei 9:15:
Ed è per questa ragione che egli è mediatore d’un nuovo patto, affinché avvenuta la sua morte per la redenzione delle trasgressioni commesse sotto il primo patto, i chiamati ricevano l’eterna eredità.

Questi testi, anche se sono pochi, sono ugualmente chiari e presentano Gesù Cristo come promessa di chi compì la redenzione. Da un punto di vista del significato della redenzione, vanno considerati sinonimi i termini di: Riscattare e riscatto. Per questi due termini abbiamo: A.T.

Salmo 34:22, dice:
L’Eterno riscatta l’anima dei suoi servitori.

Salmo 49:15:
Iddio riscatterà l’anima mia.

Isaia 11:11:
Il Signore stenderà la mano per riscattare il residuo.

Isaia 29:22:
L’Eterno che riscattò Abrahamo.

Michea 4:10:
L’Eterno ti riscatterà dalla mano dei tuoi nemici.

N. T.

Galati 3:13, dice:
Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge.

Galati 4:4,5:
Iddio mandò il suo Figliolo nato di donna, per riscattare quelli che erano sotto la legge.

Tito 2:13,14:
Del nostro grande Iddio e Salvatore Gesù Cristo, il quale ha dato se stesso per noi, affin di riscattarci da ogni iniquità.

1 Pietro 1:18-19:
Siete stati riscattati col prezioso sangue di Cristo.

Matteo 20:28:
Per dare la vita sua come prezzo di riscatto per molti.

e) PASTORE:

Anche con questo titolo l’A.T. riconosce Geova, in alcuni testi, senza parlare di altri.

Genesi 48:15, dice:
L’Iddio nel cui cospetto camminarono i miei padri Abrahamo e Isacco, l’Iddio che è stato il mio pastore dacché esisto fino a questo giorno.

Salmo 23:1:
L’Eterno è il mio pastore nulla mi mancherà.

Salmo 80:1:
Porgi orecchio, o Pastore d’Israele.

Isaia 40:11:
Come un pastore, egli pascerà il suo gregge.

DI GESÙ CRISTO IL N.T. DICE:


Matteo 26:31:
Io percoterò il pastore e le pecore saranno disperse.

Giovanni 10:11,14:
Io sono il buon pastore; il buon Pastore mette la sua vita per le pecore. Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore.

Ebrei 13:20:
Tratto dai morti, il gran Pastore delle pecore.

1 Pietro 2:25:
Poiché eravate erranti come pecore; ma ora siete tornati al Pastore e Vescovo delle anime vostre.

1 Pietro 5:4:
Ma quando sarà apparito il Sommo Pastore.

f) RE:

Per quanto riguarda questo titolo, attribuito a Geova, l’A.T. documenta abbastanza bene.

1 Samuele 12:12, dice:
L’Eterno vostro Dio, era vostro Re.

Salmo 5:2:
Odi la voce del mio grido. o mio Re e mio Dio.

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18/12/2011 00:10

Salmo 9:7:
L’Eterno siede come Re in eterno.

Salmo 10:16:
L’Eterno è Re in sempiterno.

Salmo 24:7,8,9:
Il Re di gloria entrerà. Chi è questo Re di gloria?

Salmo 29:10:
L’Eterno sedeva sovrano sul diluvio, anzi l’Eterno siede Re in perpetuo.

Salmo 44:4:
Tu sei il mio Re, o Dio.

Salmo 47:2,6,7:
L’Eterno è Re supremo su tutta la terra. Salmeggiate al nostro Re, salmeggiate! Dio è Re di tutta la terra.

Salmo 74:12:
Ma Dio è il mio Re ab eterno.

Salmo 84:3:
I tuoi altari, Re mio, Dio mio!

Salmo 95:3:
L’Eterno è un gran Re sopra tutti gli dèi.

Salmo 145:1:
Io t’esalterò, mio Dio, mio Re.

Isaia 33:22:
L’Eterno è il nostro Re.

Isaia 44:6:
Così parla l’Eterno, Re d’Israele.

Geremia 10:7,10:
Chi non ti temerebbe, o Re delle nazioni? L’Eterno è l’Iddio vivente, è il Re eterno.

Geremia 46:18:
Il Re, che ha nome l’Eterno degli eserciti.

Daniele 4:37:
Esalto e glorifico il Re del cielo.

Fofonia 3:15:
Il Re d’Israele, l’Eterno, è in mezzo a te.

Zaccaria 14:9:
L’Eterno sarà Re di tutta la terra.

DI GESÙ CRISTO IL N. T. DICE:

Matteo 2:2:
Dove è il Re dei Giudei ch’è nato?

Matteo 21:5:
Ecco il tuo Re viene a te (cfr. Zaccaria 9:9)

Matteo 25:34:
Il Re dirà a quelli della sua destra.

Matteo 27:29,37,42:
Salve, Re dei Giudei! (cfr. Marco 15: 18; Giovanni 19:3). Questo è il Re dei Giudei (cfr. Marco 15: 26; Luca 23:2-3; Giovanni 19:19). Da che è Re d’Israele, scenda giù di croce.

Luca 19:38:
Benedetto il Re che viene nel nome del Signore (cfr. Salmo 118:26).

Luca 23:2:
Diceva di essere lui il Cristo Re.

Giovanni 1:49:
Tu sei il Figliuol di Dio, tu sei il Re d’Israele.

Giovanni 12:15:
Non temere o figliuola di Sion! Ecco il tuo Re viene.

Giovanni 18:37:
Io son Re, son nato per questo.

Atti 17:7:
Dicendo che c’è un’altro Re, Gesù.

Apocalisse 17:14:
Costoro guerreggeranno contro l’Agnello, e l’Agnello li vincerà, perché egli è il Signore dei signori e il Re dei re.

Apocalisse 19:16:
E sulla veste e sulla coscia porta scritto questo nome: RE DEI RE, SIGNOR DEI SIGNORI.

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19/12/2011 00:04

Da questa panoramica che abbiamo condotta su alcuni punti chiave degli Scritti dell’A.T., crediamo di avere abbastanza materiale per fare una solida e definitiva conclusione. Dai titoli che l’A.T riconosce a Geova, quali: Salvatore, Pastore e Re, nonché le azioni di: Salvare e redimere, facendo un confronto col N.T. abbiamo visto chiaramente che gli stessi titoli e le stesse azioni vengono attribuite a Gesù Cristo.

Quando il N. T. parla di Cristo come il Salvatore del mondo, come Colui che Salva dai peccati; come Colui che redime e riscatta col suo sangue; come Colui che è chiamato: Il buon Pastore che mette la sua vita per le pecore; come Colui che è chiamato: Re dei re e Signore dei signori, non usa queste espressioni a caso, come se le stesse non avessero alcun significato teologico.

Al contrario, davanti a queste affermazioni che gli autori del N.T. fanno, non ci sono tante conclusioni a cui l’uomo possa arrivare: esiste una sola conclusione, logica e coerente, che è quella di vedere e riconoscere a Gesù Cristo, tutti i titoli, come: Dio fatto carne; L’Emmanuele, Dio con noi; come Geova che viene di persona per salvare (Isaia 35:4).

PS: Se al termine del capitolo 15 ci sono domande da fare, fatele liberamente e saremo pronti per rispondere



CAPITOLO 16




TESTI CHE NECESSARIAMENTE BISOGNA CONOSCERE




Il verbo «conoscere» che viene usato nella testata di questo capitolo, non ha soltanto il significato di «sapere», anche se il sapere in sé, denota una scala di livelli, ma soprattutto il significato di comprendere, sapere giustamente «interpretare» quei testi delle S. Scritture, specie quelli del N.T. che parlano di Gesù Cristo. Solo quando sapremo giustamente interpretare questi testi, sapremo meglio capire perchè le S. Scritture usano certi termini e certe espressioni, senza le quali sarebbe difficile capire chi è veramente Gesù Cristo.

Naturalmente, una simile conoscenza ci condurrà inevitabilmente a fare certi controlli, sia sul piano della forma grammaticale, sia soprattutto sul piano del contenuto, tenendo per altro presente il contesto nel quale il testo in esame è stato collocato. Questo tipo di indagine, anche se ci conduce sul terreno dell’interpretazione, sarà necessario affrontarlo se non altro per saper valutare e distinguere una corretta e giusta interpretazione da una errata.

Tutte le eresie che si sono presentate e propagate attraverso i secoli intorno alla persona di Gesù Cristo, dall’inizio del cristianesimo fino ai giorni nostri, hanno avuto come punto fondamentale l’interpretazione. Una giusta interpretazione di un testo biblico, porta come conseguenza logica alla comprensione e alla formulazione di una determinata dottrina, in una determinata maniera; mentre, un’errata interpretazione la presenta in un’altra forma, possibilmente in opposizione alla prima.

Crediamo pertanto che, per affrontare il problema dell’interpretazione ed avere una maggiore garanzia, la cosa da fare come primo passo, è cercare di capire il significato linguistico della parola o della frase che si vuole esaminare. Quando si è sicuri del suo significato, si potrà procedere alla sua interpretazione, specie quando il termine o la frase in questione presenta diversi significati.

In tal caso (e il N.T. abbonda di questi casi), bisogna immancabilmente attenersi, per la sua interpretazione, non solo al contesto nel quale il testo si trova, ma soprattutto all’insieme dell’insegnamento che la Scrittura presenta, specie quando si tratta di un argomento di fondamentale importanza, qual’è quello relativo al nome e alla persona di Gesù Cristo.

Inoltre, bisogna aggiungere che, trattandosi di interpretazione, il lettore e lo studioso della Bibbia, devono cercare di capire quello che la Scrittura vuole dire, evitando conclusioni preconcette e vedute denominazionali. Solo in questa maniera si potrà capire il messaggio che le Scritture ci comunicano intorno a Gesù Cristo, e solo in questo modo si potrà sapere chi veramente Egli è.

Chi legge e studia la Bibbia, non dovrà fare tanta fatica a scoprire che Gesù Cristo, in certi testi, viene presentato in un modo, rispetto a tanti altri che lo presentano diversamente. Non si tratta qui di affermare che la Bibbia parla di due Cristi, come disgraziatamente, si è cercato di fare attraverso i secoli fino ad oggi. Il Cristo che le Scritture presentano in due modi, è lo stesso Gesù Cristo, unico ed inseparabile che il cristianesimo proclama.

D’altra parte, se dovessimo interpretare quei testi che presentano Gesù Cristo con le caratteristiche umane, e poi interpretare gli altri testi che lo presentano con le caratteristiche divine, avremmo, come conseguenza logica e coerente, due persone, una diversa dall’altra. Questo tipo di interpretazione è sbagliata e conduce a conclusioni errate, dando origine alle cosiddette eresie.

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20/12/2011 00:07

Dato che la persona è una, dobbiamo conoscerla nella sua «totalità», e cercare anche di capire perché le Scritture, in certi testi presentano Gesù Cristo in un modo ed altri in una maniera diversa. Lo scopo di questo capitolo è appunto, esaminare quei testi che parlano di Gesù Cristo, per sapere chi veramente Egli è se le due nature che ha, sono compatibili con l’insegnamento nella Scrittura e se è possibile considerarlo come un essere inferiore a Dio, per ciò che riguarda la sua natura senza compromettere la dichiarazione del credo apostolico che lo definisce: Vero Dio e vero uomo nello stesso tempo.

I. IL TITOLO FIGLIO DI DIO


Matteo 16:16, dice:
Simon Pietro, rispondendo, disse: Tu sei il Cristo, il Figliol dell’Iddio vivente.

Chi legge tutto il contesto di questo brano, sa perché Pietro arrivò a quella affermazione, quando chiamò Gesù Cristo: «Figliol dell’Iddio vivente». Che Pietro sia arrivato a quella definizione in virtù di una speciale rivelazione dall’alto, è un fatto che dà maggior peso alla sua affermazione.

Quando Gesù disse a Pietro: La carne e il sangue non t’hanno rivelato questo, ma il Padre mio ch’è nei cieli, voleva appunto dire: Se il Padre mio non t’avesse rivelato questo, con la tua capacità mentale ed umana, non avresti mai potuto chiamarmi: «Figliol dell’Iddio vivente». Se il Padre ti ha fatto dono di questa speciale rivelazione, è prova che Egli voleva che gli uomini conoscessero me, Gesù Cristo, non solo come un puro personaggio storico, ma come io veramente sono: «Figliolo (e non un figliolo) dell’Iddio vivente».

Già questa sola affermazione che la Scrittura fa, è più che sufficiente per farci capire la portata di questa frase. I Giudei, che conoscevano abbastanza bene le Scritture dell’A.T. sapevano qual’era il significato di questa espressione. Nel giorno del processo di Gesù, il Sommo Sacerdote Caiafa, gli rivolse una precisa domanda: Ti scongiuro per l’Iddio vivente a dirci se tu sei il Cristo, il Figliol di Dio.

In precedenza, quando si diceva di Gesù che egli aveva detto: Io posso disfare il tempio di Dio e riedificarlo in tre giorni, e il Sommo sacerdote aveva sollecitato una risposta da parte di Gesù, il sacro testo precisa che Gesù taceva. Ma quando gli venne chiesto se egli era il Cristo, il Figliuol di Dio, e dato che Cristo aveva specificato:

Anzi vi dico che da ora innanzi vedrete il Figliuol dell’Uomo sedere alla destra della potenza, e venire su le nuvole del cielo,
il Sommo Sacerdote
si stracciò le vesti, dicendo: Egli ha bestemmiato; che bisogno abbiamo più di testimoni? (Matteo 26:63-65).

Perché avrebbe bestemmiato? perché aveva detto appunto di essere Figliol di Dio (cfr. Marco 14:6 e Luca 22:70) e di sedere alla destra della Potenza. In precedenza, Gesù aveva chiesto ai Giudei perché lo volevano lapidare, ed essi avevano risposto:

Non ti lapidiamo per una buona opera, ma per bestemmia; e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio (e non un dio) (Giovanni 10:32,33).

È chiaro allora che quando il N.T. parla di Gesù Cristo quale Figliol di Dio, (e sono molti i testi che ne parlano), ce lo vuol far vedere nella sua deità, caratteristica che non può essere ignorata né sminuita, senza degradarlo nella sua effettiva natura.

A. I SINOTICI

Ecco qui di seguito un numero di testi che presentano Gesù Cristo come Figliuol di Dio. Quando il N.T. ci parla della tentazione di Gesù, subita ad opera del diavolo, per due volte, Matteo e Luca, mettono in bocca al diavolo: Se tu sei Figliuol di Dio (Matteo 4:1-11; Luca 4:1-13).

Non dobbiamo pensare che la forma dubitativa «se tu sei», debba essere interpretata come se il diavolo non sapesse con certezza che Cristo era il Figliuol di Dio. Una simile interpretazione è sbagliata, per il fatto che viene smentita da altri testi biblici. Quando Matteo 8:29 dice:

Che v’è fra noi e te, Figliuol di Dio? Sei venuto qua prima del tempo per tormentarci? e:
E dato un grido, disse: Che v’è fra me e te, o Gesù Figliolo dell’Iddio altissimo? Io ti scongiuro, in nome di Dio, di non tormentarmi (Marco 5:7).

A prima vista sembrerebbe che questa sia la voce degli indemoniati o dell’indemoniato, vale a dire, delle persone o della persona che si trovava in quello stato.Ma se approfondiamo l’esame di questi due testi, ci rendiamo conto che non era la parola degli uomini o dell’uomo di Gadara, ma la parola dei demoni (cfr. Marco 3:11).

Che i demoni siano sotto la dipendenza del diavolo e al suo servizio, è provato dall’insegnamento di tutta la Bibbia. Ora, come è possibile pensare che un dipendente del diavolo sappia che Gesù Cristo è Figlio di Dio e lui stesso lo ignori? Allora è chiaro quello che ci vuol dire il N. T. quando mette la forma dubitativa nella bocca del diavolo: «Se tu sei il Figliuol di Dio», non è tanto per farci credere che il diavolo era all’oscuro, quanto quello di seminare, il dubbio e l’incertezza nella mente del Cristo.

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21/12/2011 00:03

Quando, al termine della crocifissione di Gesù, il Centurione Romano che era stato incaricato di quella esecuzione, afferma: Veramente costui era Figliuol di Dio (Matteo 27:54 e Marco 15:39), lo disse in riferimento a tutto quello che egli aveva visto e sentito in quella particolare circostanza. La sua non è un’affermazione dettata dall’incredulità, dallo scherno e dalla paura, ma la convinzione di una coscienza che non può rimanere silenziosa davanti ad una scena realistica e toccante.

È molto significativo come Marco inizia la stesura del suo Evangelo: Principio dell’evangelo di Gesù Cristo, Figliol di Dio (Marco 1:1). Già il lettore di questo evangelo, fin dalle prime battute, può pensare a Gesù Cristo, come Figliol di Dio e non solamente come un comune personaggio storico. Luca, dal canto suo, racconta molti particolari della vita di Gesù, specie per quanto riguarda, la nascita e l’infanzia. Quando l’angelo Gabriele andò ad annunziare a Maria che dal suo seno sarebbe nato il Messia, promesso dalla legge e dai profeti, specificò che quello che nasceva da lei, sarebbe stato: Grande, e sarà chiamato Figliol dell’Altissimo (Luca 1,32).

Ovviamente, questa specificazione serviva a far conoscere a Maria, per la prima, e poi a tutto il mondo, chi era questo bambino che doveva venire al mondo. Quando poi Maria stentava a capire le parole dell’angelo, chiese: Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?, l’angelo rispose:

Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà dell’ombra sua; perciò ancora il Santo che nascerà, sarà chiamato Figliolo di Dio (Luca 1:34,35).

B. L’EVANGELO DI GIOVANNI

L’evangelo di Giovanni usa il titolo Figliol di Dio con un accento ed un significato particolare, e, attraverso i diversi riferimenti che fa, ci fa vedere in profondità, il significato di questa espressione.

La testimonianza che Giovanni Battista rende a Gesù Cristo, è molto significativa, soprattutto per la specificazione che ne fa, specificazione che vuole essere anche una seria valutazione, basata su una constatazione di prima mano. L’opera che il Battista compì in mezzo agli Ebrei, non fu voluta, né da lui stesso, né da qualche altro uomo; fu direttamente voluta da Dio. Infatti, egli non ebbe nessuna esitazione ad affermare:

Colui che mi ha mandato a battezzare con acqua, mi ha detto: Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e fermarsi, è quel che battezza con lo Spirito Santo (Giovanni 1:33).

Con queste chiarissime parole il Battista autenticava la sua missione, come missione divina. Più tardi Gesù dirà che questo Giovanni era il maggiore dei profeti nati di donna (Matteo 11:11). Dal momento che Dio aveva dato un segno visibile al suo servitore Giovanni per riconoscere il Messia, e che questo segno si era verificato alla lettera, il Battista non ha nessuna difficoltà ad affermare: E io l’ho veduto e ho attestato che questi è il Figliuol di Dio (Giovanni 1:34).

La sua proclamazione: Questi è il Figliuol di Dio, non è il risultato di una particolare considerazione o riflessione teologica è invece il risultato di una esperienza personale, esperienza che non può essere confusa né giudicata come il frutto di una autentica allucinazione. Anche la testimonianza di Natanaele ha quasi la stessa portata di quella del Battista. A differenza di Andrea, Pietro e Filippo, che senza eccessiva riflessione accettano Gesù Cristo come il Messia, questi, da persona più colta e preparata, chiede se può venire qualche cosa di buono da Nazareth (Giovanni 1:46).

Filippo, col quale Natanaele stava parlando, non essendo all’altezza di rispondere adeguatamente, si limita a dire: Vieni a vedere. Quando Gesù vede venire a lui questo Natanaele, con fermezza dichiara: Ecco un vero israelita in cui non c’è frode (Giovanni 1:47). Le parole di Gesù miravano a mettere in risalto la buona moralità di quest’uomo. Dal canto suo, Natanaele, venne sorpreso da quelle parole e non poteva rendersi conto come faceva Gesù a fare quella affermazione, dato che non gli risultava, che prima d’allora, l’avesse conosciuto.

Ecco perchè Natanaele chiede: Da che mi conosci? Fu la risposta alla sua domanda che aprì gli occhi di quest’uomo, per fargli riconoscere chi era quel personaggio col quale stava parlando. Prima che Filippo ti chiamasse, quand’eri sotto il fico, io t’ho veduto. Erano parole che rivelavano un particolare specifico della vita di Natanaele; e, poiché le parole di Gesù erano vere, Natanaele non ha nessuna difficoltà a dichiarare: Maestro, tu sei il Figliuol di Dio (Giovanni 1:49).

Pensiamo per un attimo: Se Natanaele avesse potuto dire: Quando mai io sono stato sotto il fico, come tu stai affermando? Avrebbe costui chiamato Gesù il «Figliuol di Dio?», certamente no! Ma siccome Gesù disse la verità, verità che per Natanaele era un segreto, lo portò a riflettere.

Qui non mi trovò davanti ad un uomo qualsiasi; questo personaggio col quale sta parlando, ha qualcosa di particolare in sé; può rivelare i segreti e dire cose come colui ch’è stato presente in una certa località. Non è possibile che questi sia un uomo comune: Questi è il Figlio di Dio.

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22/12/2011 00:02

La cosa più bella di questa testimonianza, è che Natanaele non disse: Suppongo che tu sei, può darsi che debba essere chiamato. Niente di tutto questo: Un’affermazione categorica e dogmatica: «Tu sei il Figliuol di Dio». Parlando dell’amore di Dio che dà il suo Unigenito Figliolo, l’apostolo Giovanni, aggiunge:

Affinché chiunque crede il lui non perisca ma abbia vita eterna (Giovanni 3:16).

Ora Giovanni sa che non tutti crederanno per aver la vita eterna, perciò si affretta a precisare:

Chi crede il lui (Gesù) non è giudicato; ma chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’Unigenito Figliolo di Dio (Giovanni 3,18).

Questo testo è molto importante dal fatto che ci specifica perché una persona viene giudicata. Quando si pensa al giudizio, di solito si mette in risalto quello che l’uomo dice e fa, poiché di ciò dovrà rendere conto. Anche se ciò è vero, secondo l’insegnamento della Parola di Dio, pur nondimeno, Giovanni fa dipendere il giudizio, unicamente dal fatto, di non aver creduto a Gesù Cristo, come l’Unigenito Figliuol di Dio.

Credere in Gesù Cristo, come un personaggio qualsiasi, non significa aver la garanzia della propria salvezza. La salvezza è garantita dal credere in Gesù, come «Il Figliuol di Dio». In altre parole: Una persona che dovesse professare la sua fede in Gesù Cristo, e dicesse che questo Gesù morì per la salvezza dell’umanità, ma nello stesso tempo si rifiutasse di credere alla sua deità, quella persona sarà condannata, non perché non ha creduto all’esistenza di Gesù Cristo, ma perchè non ha creduto alla sua deità. Si può vedere subito, quanto sia importante e fondamentale questo testo di (Giovanni 3:18).

Coloro che negano la deità di Gesù Cristo, chiunque essi siano, dovrebbero seriamente pensare alla loro salvezza e al loro destino eterno. Quando Giovanni parla del Padre che risuscita i morti, lo fa per mettere in risalto una sua prerogativa divina. Infatti, chiamare alla vita un morto, è prerogativa di Dio. Allo stesso tempo si parla di Gesù Cristo come colui che chiama alla vita i morti, nella stessa maniera come fa il Padre (Giovanni 5:21). A questo punto Giovanni cita le parole di Gesù:

In verità, in verità io vi dico: L’ora viene, è anzi già venuta che i morti udranno la voce del Figliuol di Dio; e quelli che l’avranno udita, vivranno (Giovanni 5:25).

Il fatto che sarà la voce del Figlio di Dio a far tornare i morti alla vita, è già per se stessa una prova che parla della sua divinità. Infatti, se Gesù Cristo non possedesse la prerogativa della deità, la sola che consenta di chiamare un morto alla vita, non potrebbe compiere quest’opera divina. (Giovanni 9:35), dice:

Gesù udì che l’avevano cacciato fuori; e trovatolo gli disse: Credi tu nel Figliuol di Dio?

Queste parole dette a bruciapelo, a una qualsiasi persona, avrebbero fatto la stessa reazione che fecero nel cieco miracolato. E chi è egli, Signore, perché io creda in lui? Era più che naturale che il miracolato rispondesse in quella maniera alla domanda postagli in quei termini. Gesù, calmo e sereno, rispose: Tu l’hai veduto; e quel che parla teco, è lui (Giovanni 9:37).

In che senso aveva veduto il cieco il Figlio di Dio? Nel miracolo, naturalmente, che aveva ricevuto. Il cieco capì subito di che cosa si trattava, perciò non ebbe nessuna esitazione a rispondere: Signore, io credo (Giovanni 9:38). Quando Giovanni riferisce intorno ad una accesa discussione tra Gesù e i Giudei, e dice che questi lo volevano lapidare, specifica anche il perché di questa loro volontà. Gesù aveva detto chiaramente, che tra lui e il Padre non c’era nessuna differenza: Io e il Padre siamo uno (Giovanni 10:30).

Naturalmente, quella parola di Gesù: Io e il Padre siamo uno, equivale ad una vera proclamazione della sua deità, dichiarandosi uguale al Padre. È in questo contesto che deve essere intesa la parola di Gesù, quando chiese:

Come mai dite voi a colui che il Padre ha santificato e mandato nel mondo, che bestemmia, perché ho detto: Son Figliuol di Dio? (Giovanni 10:36).

A Marta, addolorata per la morte di suo fratello Lazzaro, Gesù chiede se crede che egli è:
La resurrezione e la vita, e che quelli che credono in lui, anche se sono morti, vivranno (Giovanni 11:25-26).

Gesù non aveva chiesto quello che Marta, presto proclamerà; aveva solamente chiesto se lei credeva che lui era la resurrezione e la vita. Marta, avrebbe potuto rispondere benissimo con un sì, e questo avrebbe soddisfatto Gesù. Marta però capì che se lei confessava che Gesù era la resurrezione e la vita, la sua sarebbe stata una proclamazione della deità di Cristo. Cogliendo appieno il significato della domanda, risponde con fermezza:

Sì, io credo che tu sei il Cristo, il Figliolo di Dio che doveva venire nel mondo (Giovanni 11:27).

Infine, quando Pilato dice ai Giudei che dovevano essere loro a prendere e crocifiggere Gesù, perché lui non trovava nessuna colpa, questi risposero:
Noi abbiamo una legge, e secondo questa legge egli deve morire, perché egli s’è fatto Figliol di Dio (Giovanni 19,7).

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23/12/2011 00:05

I Giudei capirono molto bene, cosa volesse ignificare la frase: «Figliuol di Dio». Per loro non c’era nessun dubbio. Farebbero bene, tutti coloro che negano la natura divina di Gesù, a riflettere seriamente sulla frase: «Figliuol di Dio».

C. ATTI DEGLI APOSTOLI

Questo libro che narra le tante attività degli apostoli e le tante manifestazioni dello Spirito Santo, non ha molti testi da offrirci, per quanto riguarda la nostra formula che stiamo esaminando. L’unico testo che ci fornisce, è abbastanza significativo, soprattutto se è visto e valutato nel suo contesto. Luca, ch’è l’autore di questo libro, sta finendo di narrare la conversione di Saulo da Tarso, uomo crudele e spietato verso coloro che professano la fede in Cristo Gesù ed invocano il suo nome. Dopo alcuni giorni dalla sua conversione, Luca specifica:

E subito si mise a predicare nelle sinagoghe che Gesù è il Figliuol di Dio (Atti 9:20).

Per Saulo da Tarso, ch’era stato educato ai piedi del grande Gamaliele, per quanto riguardava la legge e i profeti, era molto significativo che proprio lui, il persecutore acerrimo di Gesù e dei suoi seguaci, affermasse che questo Gesù, non era soltanto il Cristo = il Messia, promesso dalla legge e dai profeti, ma era essenzialmente e soprattutto il Figlio di Dio.

D. PAOLO

Questo uomo, di cui abbiamo parlato un momento fa col nome di Saulo da Tarso, è colui che ci fornisce la dimostrazione più completa della deità di Gesù Cristo. Scrivendo nella sua epistola ai Romani, ch’è considerata da tutti, lo scritto più significativo e più profondo dell’apostolo, fin dai primi versi afferma:

Dichiarato Figliol di Dio con potenza secondo lo spirito di santità mediante la resurrezione dai morti (Romani 1:4).

Questo non significa che Cristo «divenne Figliol di Dio con la resurrezione, perché già egli lo era; fu costituito «Figlio di Dio con potenza». Scrivendo ai Corinzi e parlando loro della sua attività missionaria, fatta non di «sì» e «no», dichiara:

Il Figliol di Dio, Cristo Gesù, che è stato da noi predicato fra voi, cioè da me, da Silvano e da Timoteo, non è stato «sì» e «no»; ma «sì in lui» (2 Corinzi 1:17-19).

Quando poi vuol far sapere alla fratellanza come lui conduce la sua vita, dichiara:
Sono stato crocifisso con Cristo, e non son più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e la vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede del Figliol di Dio il quale m’ha amato, e ha dato se stesso per me (Galati 2:20).

Questo uomo ebbe le più grandi rivelazioni, di quasi tutte le dottrine cristiane, e la sua conoscenza era talmente grande, da non poterla paragonare a nessuno degli apostoli. Quando però, pensava a Gesù Cristo, e soprattutto quando doveva additare alla fratellanza una meta o un traguardo, nella scala della conoscenza, non poteva presentare se stesso, ma additava Gesù, con queste parole:

Affinché tutti siamo arrivati, all’unità della fede e della piena conoscenza del Figliol di Dio, allo stato d’uomini fatti; all’altezza della statura perfetta di Cristo (Efesini 4:13).

Paolo non si accontentava e non insegnava una discreta conoscenza del Cristo, no, voleva ed insegnava una piena conoscenza del Figliuol di Dio. Forse quando scriveva queste parole aveva nella sua mente le parole di Osea:

Conoscendo l’Eterno, sforziamoci di conoscerlo! Il suo levarsi è certo, come quello dell’aurora; egli verrà a noi come la pioggia, come la pioggia di primavera che annaffia la terra (Osea 6:3).

E. L’EPISTOLA AGLI EBREI

Questa epistola parla diffusamente del sacerdozio levitico e di tutto quello che veniva fatto ai tempi di Mosè, quando continuamente si offrivano a Dio, sacrifici ed olocausti, sia per il perdono dei peccati, sia come rendimento di grazie. Lo scrittore di questa epistola, non parla a caso di questo argomento, come se i destinatari non conoscessero tutto il cerimoniale mosaico; egli ne parla, perché vuole presentare Gesù Cristo, come Sommo Sacerdote. Nel presentarlo però, non si limita a dire che Gesù Cristo è solamente un Sommo Sacerdote; preferisce presentarlo nel seguente modo:

Avendo noi dunque un gran Sommo Sacerdote che è passato attraverso i cieli, Gesù, il Figliol di Dio, riteniamo fermamente la professione della nostra fede (Ebrei 4:14).

Qual’era la professione di fede, che lo scrittore di questa epistola invitava a ritenere fermamente? Era forse quella relativa di dire che Gesù è un gran Sommo Sacerdote? Se dovessimo pensare in questa maniera, faremmo il più grande errore di tutti i tempi. Il cristianesimo, attraverso tutti i secoli, non ha mai avuto né conosciuto una professione di fede basata solamente sul sacerdozio, anche se ha sempre proclamato, l’importanza del sacerdozio di Cristo, unico nel suo genere.

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24/12/2011 00:02

La professione di fede, di cui parla il nostro testo, è quella relativa a Gesù quale Figlio di Dio. Il peccato, per coloro che ricadono e per il quale è impossibile rinnovarli da capo a ravvedimento, è perché

Crocifiggono di nuovo per conto loro il Figliol di Dio, e lo espongono ad infamia (Ebrei 6:6).

Di Melchisedec, questa epistola può dire di
rassomigliare al Figliuol di Dio, perché è senza padre, e senza madre, senza genealogia, senza principio di giorni né fin di vita (Ebrei 7:3).

E quando poi cerca di fare un confronto con coloro che peccano per sapere qual’è il più grave peccato, chiede:
Di qual peggior castigo stimate voi che sarà giudicato degno colui che avrà calpestato il Figliol di Dio e avrà tenuto per profano il sangue del patto col quale è stato santificato, e avrà oltraggiato lo Spirito della grazia? (Ebrei 10:29).

Logicamente, non c’è peccato più grave che calpestare il Figliol di Dio, e questo lo si fa quando non si accetta la sua divinità, in virtù della quale viene messo alla pari di Dio.

F. EPISTOLA DI GIOVANNI

L’apostolo Giovanni, come abbiamo notato, usa nel suo evangelo la formula: «Figliol di Dio», con un profondo e particolare significato teologico. Lo prova e lo afferma nella sua epistola, quando dice:
Chi confessa che Gesù è il Figliol di Dio, Iddio dimora in lui, ed egli in Dio (1 Giovanni 4:15).

Ed ancora:
Chi crede nel Figliol di Dio ha questa testimonianza in sé; ma chi non crede a Dio l’ha fatto bugiardo, perché non ha creduto alla testimonianza che Dio ha resa circa il proprio Figliolo (1 Giovanni 5:10).

Confessare che Gesù è il Figlio di Dio, equivale a dire che Gesù è Dio. Questo è il significato che il N.T. dà a tutte quelle citazioni che abbiamo esaminato e di cui non abbiamo il minimo dubbio. Non esiste altra spiegazione valida che si possa accettare, senza capovolgere l’insegnamento di tutto il N.T. La prova che questa confessione di cui sopra è riferita alla deità di Gesù Cristo, sta nel fatto che:

1. Dio dimora in quella persona e quella persona dimora in Dio;
2. Dio ha reso una testimonianza pubblica quando ha detto:
3. Quest’è il mio diletto Figliolo nel quale mi son compiaciuto (Matteo 3:17);

Se non si accetta questa testimonianza divina, equivale a fare bugiardo Dio. Quale altra diversa spiegazione possiamo presentare o quale altro significato ha, quando il N.T. presenta Gesù come il Figliol di Dio, se non quello di affermare che Gesù Cristo è Dio? Giovanni continua:

Chi è colui che vince il mondo, se non colui che crede che Gesù è il Figliol di Dio? Sappiamo che il mondo giace nel maligno (1 Giovanni 5:19)

e per poterlo vincere occorre una forza superiore. L’unica forza superiore a quella del diavolo è quella di Dio. Se colui che crede che Gesù è il Figlio di Dio vince il mondo, è perché nel Figliol di Dio, c’è la forza di Dio, che si trasmette al credente e lo rende vittorioso. Infine, l’apostolo chiude la sua epistola con le seguenti parole:

Sappiamo che il Figliol di Dio è venuto e ci ha dato intendimento per conoscere colui ch’è il vero; e noi siamo in colui ch’è il vero, cioè nel suo Figliolo Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna (1 Giovanni 5:20).

L’ultimo libro del N.T., l’Apocalisse, chiude la serie delle citazioni con queste parole:
E all’angelo della chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figliol di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco e i cui piedi son come terso rame (Apocalisse 2:18).

Da quanto abbiamo detto fin qui e da tutti i testi esaminati, risulta abbastanza chiaro che non esiste una diversa spiegazione e conclusione a cui si possa arrivare. Quando il N.T. parla di Gesù Cristo e lo presenta come il «Figliolo di Dio», non ha altro scopo se non quello di invitare l’uomo ad ascoltarlo e a crederlo che egli è veramente: L’Emmanuele Dio con noi.

2. FILIPPESI 2:5-11

Nelle pagine precedenti, abbiamo affermato che Paolo ci fornisce la dimostrazione più completa della deità di Gesù Cristo. Questa nostra affermazione, non vuole rimanere sul piano delle semplici parole e congetture, ma vuole fornire una chiara ed inconfutabile dimostrazione, in modo che il lettore possa vedere e conoscere quello che Paolo ha insegnato, attraverso tutto l’arco del suo ministero, ministero che non è soltanto proclamazione del vangelo a viva voce, ma soprattutto rivelazione del mistero di tutta l’opera concernente la persona di Gesù Cristo.

Paolo afferma senza tema di essere smentito, che l’evangelo che egli predica, è quello che gli è stato rivelato da Gesù Cristo, e non proviene da una fonte umana (Galati 1:11,12). Nello stesso tempo non ha nessuna difficoltà a definire Cristo: Speranza della gloria (Colossesi 1:27). Dal momento che da Paolo possiamo conoscere, nella sua totalità, chi è Gesù Cristo, non dobbiamo fare altro che esaminare i testi che egli ci ha lasciato.

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25/12/2011 00:17

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù; il quale essendo in forma di Dio non reputò rapina l’essere uguale a Dio, ma annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini; ed essendo trovato nell’esteriore come un uomo, abbassò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della roce. Ed è per ciò che Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al disopra d’ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre (Filippesi 2:5-11).

In questo testo, l’apostolo Paolo ci dà la descrizione completa delle due nature che c’erano in Cristo Gesù: La natura divina e quella umana. Ovviamente, questo testo deve essere ben capito, per poter valorizzare quello che Paolo dice. Una errata interpretazione, o l’omissione di qualche frase, porterebbe inevitabilmente verso l’errore, verso l’eresia.

È necessario pertanto che questo testo lo esaminiamo, prima dal punto di vista della forma grammaticale, e solo quando avremo capito bene la forma linguistica, potremo cogliere tutto il significato teologico che esso ha. D’altra parte, questo passo è troppo importante per sorvolare una parola o una frase, senza correre il rischio di capovolgere il significato fondamentale, di cui Paolo vuole parlare.

Non è nostra intenzione tracciare la storia dell’interpretazione di (Filippesi 2:5-11); ciò ci porterebbe molto lontano, e neanche soffermarci, per sapere se quest’inno a Cristo (così lo chiamano gli studiosi) fu scritto da Paolo, o se lo trovò già scritto e poi lo utilizzò, adattandolo benissimo, allo scopo ch’egli si prefiggeva. Conoscere queste cose, anche se si possono dare diverse valutazioni, non cambia la sostanza dell’insegnamento contenuto in questo brano.

Cercheremo, allora, di esaminare il testo, per cercare di capire che cosa voleva dire Paolo in riferimento a Gesù Cristo. Il punto fondamentale di questo testo, è mettere in dovuta evidenza, le «due forme» nelle quali si trovò Gesù Cristo: La prima morphē theou «nella forma di Dio», la seconda: morphēn doulou «forma di schiavo». Capire queste due espressioni è molto importante, perché, a nostro avviso, rappresenta la chiave, per comprendere chi è veramente Gesù Cristo.

La parola morphē, ha un vastissimo significato [Basta leggere la storia del concetto che J. Behm ha tracciato in GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vo. VII, Col. 477-509 per rendersi conto].

Condividiamo in pieno l’affermazione di J. Behm, quando dice che «non c’è traccia in questo passo paolino di una comprensione ellelistico-filosofica». Interpretare il termine greco morphē nel senso filosofico, equivale a imbattersi in una seria difficoltà interpretativa per quanto riguarda la forma di Dio stesso.

La prova viene data dalle diverse interpretazioni con cui il termine in questione è stato tradotto. Tradurre morphē nel senso di «forma, figura aspetto esteriore», non rende giustizia al significato del termine, visto nel suo contesto, anche se questo è il significato nella sua forma linguistica. Diversi traduttori, rendendosi conto del valore e del contesto in cui Paolo adopera il termine, non hanno difficoltà a tradurlo: «Esistenza divina; natura di Dio». Secondo noi, quest’ultima traduzione è da preferirsi, per il fatto, che non solo ci permette di vedere Gesù Cristo prima della sua incarnazione, ma evita lo scoglio della forma fisica di Dio, soprattutto quando si pensa alla definizione: Dio è spirito (Giovanni 4:24).

Se Gesù Cristo «era» nell’esistenza divina o natura di Dio, prima di «assumere», con un atto personale e volontario, l’esistenza di schiavo, va da sé che qui Paolo, presenta Gesù Cristo come il «preesistente», in perfetta sintonia con (Giovanni 1:1). Dal momento che viene stabilito questo punto importante e fondamentale, è assurdo tradurre: «Benché esistesse nella forma di Dio, non la considerò una cosa da afferrare, ciò che dovesse esser uguale a Dio» (la TNM).

Se Egli era già nell’esistenza divina e natura di Dio, e il testo paolino non accenna che Cristo «cessò di essere tale», quando «assunse l’esistenza umana», come poteva Cristo considerare una «cosa da afferrare», per quanto riguardava l’essere uguale a Dio? Non solo notiamo l’assurdità di questa traduzione, ma avvertiamo l’eresia che in essa è nascosta. L’eresia consiste nel far vedere che Gesù Cristo non è uguale a Dio.

Qui logicamente, per evitare malintesi, si deve dire tuttavia chiaramente, in virtù degli interessi dogmatici, che non si è affatto di fronte ad una speculazione sulle nature di Cristo. Neanche si può ritenere che Cristo abbia avuto, prima della sua incarnazione, una «tentazione» ad impadronirsi di una cosa che non lo riguardava, come per esempio:

Salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo (Isaia 14:14), o Voi sarete simili a Dio (Genesi 3:5),

tendenza che si è manifestata in seno all’umanità attraverso tutti i tempi. Se si confronta (Filippesi 2:6) con i giudizi impregnati di questo spirito, si scorgerà che non si può supporre nell’einai isa theō, detto di Cristo, che trovi posto l’idea per una tentazione.

Il «divenire» simile agli uomini, e vederlo nel suo aspetto «esteriore» come uomo, non vuol dire che l’umanità di Gesù era apparente e fittizia; al contrario, egli fu un vero uomo, e lo dimostrò quando annichilì se stesso o svuotò se stesso, per diventare un uomo.

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26/12/2011 00:12

In queste parole abbiamo la descrizione di un’azione personale che Cristo compì. Ci domandiamo: Di che cosa Cristo si svuotò? Di qualcosa che non gli apparteneva, o di qualcosa che era suo per natura o esistenza?. Il fatto stesso che Gesù compì quest’azione di svuotamento, è una prova che egli aveva un qualcosa che ha voluto mettere da parte, ai fini della sua missione.
Se l’essere uguale a Dio (l’unica cosa che Paolo afferma in questo testo) non rientrava, nella sua natura di «essere», quale fu la cosa che Cristo mise da parte, o della quale si svuotò?

È chiaro allora quando il testo precisa (e questa è l’esatta interpretazione di (Filippesi 2:6), che Cristo non considerò o stimò, l’essere uguale a Dio come un guadagno (che non si lascia sfuggire), come nel caso della tentazione di Adamo (sarete come Dio), né tanto meno ad una tentazione di Cristo anteriore alla creazione del mondo, perché qui non si tratta di una tentazione, ma di un atto libero, e dal termine arpagmom va esclusa ogni idea di furto, di rapina.

Quando si analizza il v.10 in cui viene affermato che nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio, nei cieli, sulla terra e sotto la terra, appare più evidente la caratteristica della deità di Gesù Cristo, soprattutto quando questo testo si mette a confronto con (Isaia 45:23), ch’è il testo parallelo di (Filippesi 2:10). Nel testo di Isaia si legge:

Per me stesso io l’ho giurato; è uscita dalla mia bocca una parola di giustizia, e non sarà revocata: Ogni ginocchio si piegherà, davanti a me, e ogni lingua mi presterà giuramento.

Si sa molto bene che in questo testo è Geova che reclama una simile cosa e che non c’è essere che non abbia a piegare il suo ginocchio davanti a lui. La stessa autorità di Geova, Paolo la vede in Cristo Gesù, perciò non esita di applicare a lui le parole di (Isaia 45:23).

Tutta la rimanente argomentazione che Paolo fa, quando parla dell’ubbidienza di Cristo, del suo abbassamento e del suo innalzamento da parte del Padre, tutto va inquadrato e compreso in riferimento alla sua missione come Messia, che Egli compì su questa terra. Non è quindi fuori posto che Cristo, quasi al termine della sua missione, dica al Padre:

Glorificami tu presso te stesso della gloria che avevo presso di te avanti che il mondo fosse.

E le seguenti parole: Affinché veggano la mia gloria che tu mi hai data (Giovanni 17:5,24). Il voler mettere in risalto che questa non è la stessa gloria che ha Geova, per il fatto che la gloria di Gesù viene data dal Padre, è una delle tante meschine considerazioni. Per poter confutare questa asserzione, basti ricordare le parole di (Isaia 42,8:

Io sono l’Eterno; tale è il mio nome; e io non darò la mia gloria ad un altro, né la lode che m’appartiene agl’idoli.

Se Geova dà la «sua gloria» a Gesù, è prova che tra lui e Cristo non c’è nessuna differenza. Se Cristo fosse «un altro», secondo il testo di (Isaia 42:8), Geova non darebbe la sua gloria. Si potrebbe ribattere che (Giovanni 17:5) non afferma che la gloria, che Cristo reclama, è quella di Geova. Sorge allora la domanda: Quanti tipi di Gloria ha il Padre? Si noti bene che la gloria a cui Gesù Cristo fa riferimento, ha origine nell’eternità, prima che il mondo fosse.

Si tenga poi in debito conto l’affermazione di Cristo: Io sono nel Padre e il Padre è in me, e subito si capirà che la gloria del Cristo non è diversa da quella del Padre, di Geova. L’apostolo Giovanni dirà chiaramente, ch’è
Gloria come quella dell’Unigenito venuto da presso il Padre (Giovanni 1:14) [Per l’esegesi di Filippesi 2:5-11 cfr. J. Gnilka, La lettera ai Filippesi, pagg. 200-252. Per la storia del concetto di morphē, cfr. J. Behm, GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. VII, Col. 477-509. Per la storia del concetto arpazō-arpagmon, cfr. W. Foerster, GLNT, I Col. 1255-1263].

3. COLOSSESI 2:9

Poiché in lui (Cristo) abita corporalmente tutta la pienezza della deità.

La versione della TNM della Torre di Guardia, dice: «Perché in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina» [Cfr. E. Stauffer, GLNT, IV, Col. 464 ed E. Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone pag. 193].

La parola greca usata in questo testo è: theotetos da theotes che significa: «Divinità, natura divina ed esprime l’essere divino». Questo termine in tutto il N.T. ricorre una sola volta, e precisamente in questo testo di (Colossesi 2:9). Un altro termine, che con ogni probabilità è stato frainteso dalla Torre di Guardia è: theiotes, da theios, che significa:
«Divinità, ed esprime la proprietà del divino, la divinità» [Cfr. H. Kleinknecht, GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testaemto) Vol. IV, Col. 473-474 ed E. Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, pag. 193].

Anche questo testo ricorre una sola volta nel N.T. precisamente in (Romani 1:20), in cui è detto:

Poiché le perfezioni invisibili di lui, la sua eterna potenza e divinità theiotes, si vedono chiaramente sin dalla creazione del mondo, essendo intese per mezzo delle opere sue.

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27/12/2011 00:11

Anche se qualche versione, come per esempio la Diodati, rende theiotes deità, bisogna subito dire, per amore di precisione e di correttezza, che i due termini in questione, non sono considerati sinonimi. Se la Torre di Guardia avesse tradotto (Colossesi 2:9) con divinità, come del resto fanno alcuni traduttori, non avremmo fatto nessuna osservazione (anche se il termine non è adatto e non esprime l’esattezza del suo significato). Ma, poiché, la TNM suona: «Qualità divina», non si può rimanere indifferenti davanti a questa interpretazione.

La «qualità divina», è caratteristica di theiotes e non di theotetos. Paolo sta parlando che in Cristo abita corporalmente la pienezza della divinità, vale a dire della natura divina, o l’essere-Dio. Da un punto di vista della lingua italiana, divinità significa: «L’essere divino; essenza, divinità». Deità significa: «Essenza, natura divina, divinità».

Come si vede, le due parole, nella lingua italiana, hanno lo stesso significato. Ma dovendo tradurre theotetos, è più esatto tradurlo deità, anche perché questo termine non ha bisogno di nessuna specificazione, perché dà l’idea della natura di Dio. Siccome però la Torre di guardia non crede che Gesù Cristo è Dio, ecco perché ricorre a questo tipo di traduzione, per non far vedere che Cristo è Dio. La loro però, è una cultura camuffata, avendo sempre come obbiettivo: Degradare la persona del Signor Gesù Cristo.

4. EBREI 1:3

Il quale (il Figlio di Dio) essendo lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e sostenendo tutte le cose con la parola della sua potenza.

Chi legge e medita questo versetto e lo valuta nel suo contesto dell’insegnamento del N.T. non può fare a meno di vedere nel Figlio di Dio, la natura e i segni caratteristici di Dio. Per poter capire bene la portata di (Ebrei 1:3) e tutte le conseguenze teologiche connesse, dato che il testo ha termini teologici ben precisi, soprattutto per la definizione che si fa del Figlio di Dio, occorre necessariamente comprendere, in una maniera sicura e ben fondata, i quattro termini greci di maggiore importanza impiegati in questo testo. Una volta che si avrà una chiara comprensione di questi termini, il Figlio di Dio apparirà nella sua reale luce. Ecco i quattro termini:

1. apaygasma,
2. charaktēr,
3. upostaseos,
4. ferōn.

a) apaygasma, significa:
Splendore, riflesso, o per tenere l’unanime esegesi patristica, irradiazione della gloria divina [Cfr. G. Kittel, GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. I, Colonna 1350].

Questo termine è stato tradotto in diverse maniere. Diodati, Luzzi, Martini, lo traducono «Splendore»; Ricciotti: «Raggio»; S.Garofalo:«Fulgore»; La Paideia: «irraggiamento»; KJV: «brightness»; NIV: «radiance»; JB: «radiant light»; NEB: «splendour»; RSV: «reflects»; Amplied: «expression»; NAS: «radiance».

Tenendo presente il concetto fondamentale di splendore, irradiazione, ci troviamo davanti al Figlio di Dio che viene definito tale in relazione alla gloria di Dio. Che il termine apaygasma venga tradotto: Splendore, irradiazione, riflesso, raggio, ect. non sposta minimamente il valore della definizione in questione. Se si dovesse obbiettare che il raggio del sole non è sole, o che la radiazione della luce non è luce, si può benissimo rispondere che le due cose: Raggio-Sole e radiazione-luce sono inseparabili.

Se il Figlio di Dio, in questo testo di (Ebrei 1:3) viene definito: Irradiazione della gloria di Dio, è prova che tra lui e la gloria di Dio, vi è una tale unità di partecipazione che è impossibile separarli, facendoli vivere indipendenti l’uno dall’altro. Non si può parlare quindi della gloria di Dio, senza dover parlare del Figlio di Dio che è appunto la sua naturale irradiazione, dato che sta appunto in un rapporto inscindibile.

b) charaktēr, significa:

1) Incisione, intagliatore
2) Impronta
3) Figura
4) Segno distintivo».

Anche per questo termine, abbiamo una varietà di traduzioni. Diodati, Luzzi, Ricciotti, S. Garofalo: traducono:
«Impronta»; Martini: «Figura»; KJV: «express image»; TEV: «exact likiness»; NIV, NAS, NI: «exact representation»; JB: «Perfect copy»; RSV: «Stamp».

Trattandosi di una definizione che riguarda il Figlio di Dio, e quando si parla di lui, non bisogna mai dimenticare la sua natura (almeno questo fa il N.T. quando ne parla), il termine da preferire è quello che maggiormente si avvicina all’intero insegnamento delle Scritture. Crediamo pertanto che si possa preferire «impronta» anziché «rappresentazione», per il fatto che questo termine esprime meglio il concetto, non solo dell’insegnamento generale delle Scritture, ma soprattutto è in piena armonia con il prossimo concetto di upostaseos che segue. Che cosa significa impronta, da un punto di vista prettamente linguistico?

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28/12/2011 00:06

1. Segno traccia lasciata da un corpo premuto o appoggiato su un altro, che per lo più ne conserva la forma
2. fig. Caratteristica che costituisce il segno inconfondibile di qualcuno»
.

Che cosa significa rappresentazione? «Il rappresentare qualcuno, la cosa rappresentata». A sua volta rappresentare significa:

«Prendere in sé la figura di qualche cosa. Dar idea. Mettere davanti agli occhi: tenere la vece e il luogo».

Tenendo presente queste caratteristiche linguistiche, vediamo quale delle due parole: «Impronta» o «rappresentazione», può essere applicata al testo di (Giovanni 14:9).

Gesù gli disse: Da tanto tempo sono con voi e tu non m’hai riconosciuto Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre.

Logicamente, questo vedere il Padre in Gesù, non può essere inteso nel senso somatico del termine, perché Dio non ha, né una forma umana, né un corpo umano, dato che egli è spirito (Giovanni 4:24). Va da sé allora che l’affermazione di Gesù deve necessariamente intendersi su un altro piano. Attraverso le stesse parole di Gesù, possiamo capire meglio come si possa vedere il Padre in lui e come è possibile che chi vede Gesù veda il Padre. Gesù, affrontando i giudei che spesse volte lo rimproveravano di appropriarsi una prerogativa divina, quando si dichiarava: Uno col Padre, disse:

Se non faccio le opere del Padre mio, non mi credete, ma se le faccio, anche se non credete a me, credete alle opere, affinché sappiate e riconosciate che il Padre è in me e che io sono nel Padre (Giovanni 10:37,38).

Queste erano parole che rivelavano che in lui vi era quel segno inconfondibile che tutti potevano vedere, e vedendolo, potevano vedere il Padre. In quale maniera gli uomini avrebbero visto in Gesù questo segno caratteristico del Padre che era stato impresso? Gesù stesso lo spiega, quando dice:

Credete alle opere che io faccio, perché credendo in esse, potete sapere e riconoscere che il Padre è in me e che io sono nel Padre.

È chiaro allora che Gesù, nella definizione di (Ebrei 1:3), è l’impronta, dell’essenza o natura di Dio.

c) upostaseos:

Anche questa parola è stata tradotta in diverse maniere, e questo prova la difficoltà nel determinare il senso di (Ebrei 1:3). Diodati, l’ha reso: «Sussistenza»; Luzzi: «Essenza»; Ricciotti, Martini e S. Garofalo: «Sostanza»; KJV: «Person»; NIV: «Being»; PME, JB, RSV e NAS: «Nature»; TEV: «Likeness». Köster crede di poter dimostrare, attraverso la storia del concetto e dell’interpretazione, cominciando da Lutero, che il termine in questione, nei tre testi dell’epistola agli Ebrei, in cui ricorre, cioè, (Ebrei 1:3; 3:14; 11:1), debba essere interpretato con «realtà» [Cfr. per tutta la discussione H. Köster. GLNT, XIV, Col. 703-750].

Il Diodati, in tutti i tre testi succitati, rende il termine upostasis: sussistenza». Che significa realtà? «Qualità di ciò ch’è reale» Che significa sostanza? «Nome generico d’ogni cosa esistente, reale». Che significa sussistenza? «Essere, sostanza». Come benissimo si può notare, Gesù Cristo è chiamato: impronta» della realtà trascendente di Dio, e questo è un elemento qualificante dell’essenza o natura di Dio.

d) ferōn.

Esporre o fare una trattazione esauriente e definitiva di questo termine, è quasi impossibile, per il vastissimo significato che ha. Daremo qui di seguito il significato più importante:

1. Portare, trasportare, portare con se o su di se, tenere, avere
2. Sopportare, tollerare
3. Apportare, arrecare
4. Attribuire, imputare
5. Condurre, dirigere, contribuire a
6. Tendere, mirare inclinare
7. Recare (una notizia), riferire, annunziare
8. Eleggere, designare
9. Governare, conservare
11. Trascinare, portar via, depredare, rubare
12. Portare come frutto, produrre
13. Portare ciò che è dovuto, pagare, soddisfare
14. Esaltare, celebrare
15. Riportare, conseguire, ottenere
16. Arrestare (un colpo), lanciare, muoversi, spingersi, essere diretto, essere 17. rivolto o esposto, stendersi»
[Cfr. per altra documentazione, storia del concetto e la sua interpretazione, K. Weiss, GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. XIV, Col. 974-984].

Quasi tutti i traduttori, si sono orientati sul significato di conservare, sostenere, governare. Anche K Weiss consiglia in questo senso [Cfr. K. Weiss, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vol. XIV, Colonna 983].

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29/12/2011 00:10

Gesù Cristo in questo testo di (Ebrei 1:3) viene definito come Colui che ha potere di: Conservare, sostenere, governare tutte le cose con la potenza della sua parola. Davanti a questa solenne affermazione, è impossibile pensare Gesù Cristo come un comune essere, nel senso umano del termine. Si noti bene che la caratteristica con cui viene presentato Gesù Cristo, è una prerogativa di Dio, identica a quella che ha portato all’esistenza tutte le cose (Giovanni 1:3 e Colossesi 1:16,17), li conserva, li sostiene, li governa.

Riassumendo, in (Ebrei 1:3) abbiamo:
1) Cristo, splendore, irradiazione della gloria di Dio
2) Cristo, impronta, dell’essere, natura di Dio
3) Cristo, realtà della trascendenza dell’essenza o natura di Dio
4) Cristo, Sostenitore, conservatore, governatore di tutte le cose.

Davanti ad una simile descrizione, e soprattutto davanti a simili concetti ben specificati, non si può rimanere indifferenti e passivi come se queste definizioni non volessero dire proprio nulla e non avessero la loro importanza. Non si può, per ragione di coerenza, guardare Gesù Cristo come una persona comune. Il buon senso e la coerenza portano a guardare e pensare di lui, come veramente Egli è: Dio fatto carne, Colui che ha alzata la sua tenda in mezzo agli uomini, come vero uomo e nello stesso tempo, vero Dio (Giovanni 1:1,14).

5. GIOVANNI 8:58

Gesù disse: In verità, in verità vi dico: Prima che Abramo fosse nato io sono.

Chi legge questo testo nella versione della TNM della Torre di Guardia: «Gesù disse loro: Verissimamente vi dico: Prima che Abramo venisse all’esistenza, io sono stato», con ragione si chiede perché mai questo testo è stato tradotto in quel modo. Noi non ci stancheremo mai di ripetere che la Torre di Guardia fa del tutto, anche là dove è impossibile, come in questo passo, per falsificare il testo sacro, con traduzioni molto dubbie, per non far vedere la deità di Gesù Cristo.

Sarà nostro dovere, comunque, smascherare questa loro pretesa di sapere interpretare correttamente i testi originali, come del resto abbiamo fatto in altra parte di questo libro, facendo vedere al lettore, la loro incoerenza nel tradurre le due parole greche del nostro testo.

Le due parole greche di Giovanni 8:58 sono: Egō eimi. Egō, è pronome di prima persona e significa sempre: «Io» e serve principalmente a mettere in risalto il soggetto di prima persona, per distinguerlo da altri soggetti. Eimi, significa: «Essere, essere in realtà, esistere, sussistere; vivere, aver luogo, succedere, avvenire, durare». In tutti i testi del N.T. in cui Egō eimi ricorre, si traduce «sempre»; Io sono, sempre col tempo presente, e mai col «passato prossimo».

Questa forma di Giovanni, ha un suo particolare significato, sia sul piano religioso che teologico. Basti pensare alle 26 volte che ricorre nel solo evangelo di Giovanni, in confronto alle sei volte che risulta nei Sinottici.

Per dare al lettore la dimostrazione di quanto sia importante questa espressione Egō eimi nel N.T., passeremo in rassegna tutti i sei testi dei Sinottici e i 26 passi di Giovanni, tenendo d’occhio come questi testi sono stati interpretati dalla TNM, così che il lettore, alla fine, potrà vedere quante volte la frase in questione, è stata tradotta col tempo di «passato prossimo». Inoltre, metteremo tra parentesi quadre le due parole greche dei vari testi che citeremo e tra parentesi, la versione della TNM.

a) I SINOTTICI

Matteo 14:27:
Ma subito Gesù parlò loro e disse: State di buon animo, son io Egō eimi (sono io).

Matteo 24:5:
Poiché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Io sono Egō eimi il Cristo (Io sono).

Marco 6:50:
Perché tutti lo videro e ne furono sconvolti. Ma Egli subito parlò loro e disse: State di buon cuore, sono io Egō eimi (Sono io).

Marco 13:6:
Molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Son io Egō eimi e ne sedurranno molti (Son io).

Marco 14:62:
E Gesù disse: Sì, Io sono Egō eimi e vedrete il Figliuol dell’uomo seduto alla destra della potenza (Lo sono).

Luca 21:8:
Ed egli disse: Guardate di non essere sedotti; perché molti verranno sotto il mio nome, dicendo: Son io; Egō eimi e: Il tempo è vicino; non andate dietro a loro (Sono io).

b) GIOVANNI

Giovanni 4:26:
Gesù le disse: Io che ti parlo, son d’esso Egō eimi (Sono io)

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