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Domenico34 – GESÙ CRISTO È DIO? – Capitoli 7-16 + APPENDICE E BIBLIOGRAFIA

Ultimo Aggiornamento: 14/01/2012 00:23
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Sesso: Maschile
25/12/2011 00:17

Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato in Cristo Gesù; il quale essendo in forma di Dio non reputò rapina l’essere uguale a Dio, ma annichilì se stesso, prendendo forma di servo e divenendo simile agli uomini; ed essendo trovato nell’esteriore come un uomo, abbassò se stesso facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte della roce. Ed è per ciò che Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al disopra d’ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra e sotto la terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre (Filippesi 2:5-11).

In questo testo, l’apostolo Paolo ci dà la descrizione completa delle due nature che c’erano in Cristo Gesù: La natura divina e quella umana. Ovviamente, questo testo deve essere ben capito, per poter valorizzare quello che Paolo dice. Una errata interpretazione, o l’omissione di qualche frase, porterebbe inevitabilmente verso l’errore, verso l’eresia.

È necessario pertanto che questo testo lo esaminiamo, prima dal punto di vista della forma grammaticale, e solo quando avremo capito bene la forma linguistica, potremo cogliere tutto il significato teologico che esso ha. D’altra parte, questo passo è troppo importante per sorvolare una parola o una frase, senza correre il rischio di capovolgere il significato fondamentale, di cui Paolo vuole parlare.

Non è nostra intenzione tracciare la storia dell’interpretazione di (Filippesi 2:5-11); ciò ci porterebbe molto lontano, e neanche soffermarci, per sapere se quest’inno a Cristo (così lo chiamano gli studiosi) fu scritto da Paolo, o se lo trovò già scritto e poi lo utilizzò, adattandolo benissimo, allo scopo ch’egli si prefiggeva. Conoscere queste cose, anche se si possono dare diverse valutazioni, non cambia la sostanza dell’insegnamento contenuto in questo brano.

Cercheremo, allora, di esaminare il testo, per cercare di capire che cosa voleva dire Paolo in riferimento a Gesù Cristo. Il punto fondamentale di questo testo, è mettere in dovuta evidenza, le «due forme» nelle quali si trovò Gesù Cristo: La prima morphē theou «nella forma di Dio», la seconda: morphēn doulou «forma di schiavo». Capire queste due espressioni è molto importante, perché, a nostro avviso, rappresenta la chiave, per comprendere chi è veramente Gesù Cristo.

La parola morphē, ha un vastissimo significato [Basta leggere la storia del concetto che J. Behm ha tracciato in GLNT,(Grande Lessico del Nuovo Testamento) Vo. VII, Col. 477-509 per rendersi conto].

Condividiamo in pieno l’affermazione di J. Behm, quando dice che «non c’è traccia in questo passo paolino di una comprensione ellelistico-filosofica». Interpretare il termine greco morphē nel senso filosofico, equivale a imbattersi in una seria difficoltà interpretativa per quanto riguarda la forma di Dio stesso.

La prova viene data dalle diverse interpretazioni con cui il termine in questione è stato tradotto. Tradurre morphē nel senso di «forma, figura aspetto esteriore», non rende giustizia al significato del termine, visto nel suo contesto, anche se questo è il significato nella sua forma linguistica. Diversi traduttori, rendendosi conto del valore e del contesto in cui Paolo adopera il termine, non hanno difficoltà a tradurlo: «Esistenza divina; natura di Dio». Secondo noi, quest’ultima traduzione è da preferirsi, per il fatto, che non solo ci permette di vedere Gesù Cristo prima della sua incarnazione, ma evita lo scoglio della forma fisica di Dio, soprattutto quando si pensa alla definizione: Dio è spirito (Giovanni 4:24).

Se Gesù Cristo «era» nell’esistenza divina o natura di Dio, prima di «assumere», con un atto personale e volontario, l’esistenza di schiavo, va da sé che qui Paolo, presenta Gesù Cristo come il «preesistente», in perfetta sintonia con (Giovanni 1:1). Dal momento che viene stabilito questo punto importante e fondamentale, è assurdo tradurre: «Benché esistesse nella forma di Dio, non la considerò una cosa da afferrare, ciò che dovesse esser uguale a Dio» (la TNM).

Se Egli era già nell’esistenza divina e natura di Dio, e il testo paolino non accenna che Cristo «cessò di essere tale», quando «assunse l’esistenza umana», come poteva Cristo considerare una «cosa da afferrare», per quanto riguardava l’essere uguale a Dio? Non solo notiamo l’assurdità di questa traduzione, ma avvertiamo l’eresia che in essa è nascosta. L’eresia consiste nel far vedere che Gesù Cristo non è uguale a Dio.

Qui logicamente, per evitare malintesi, si deve dire tuttavia chiaramente, in virtù degli interessi dogmatici, che non si è affatto di fronte ad una speculazione sulle nature di Cristo. Neanche si può ritenere che Cristo abbia avuto, prima della sua incarnazione, una «tentazione» ad impadronirsi di una cosa che non lo riguardava, come per esempio:

Salirò sulle sommità delle nubi, sarò simile all’Altissimo (Isaia 14:14), o Voi sarete simili a Dio (Genesi 3:5),

tendenza che si è manifestata in seno all’umanità attraverso tutti i tempi. Se si confronta (Filippesi 2:6) con i giudizi impregnati di questo spirito, si scorgerà che non si può supporre nell’einai isa theō, detto di Cristo, che trovi posto l’idea per una tentazione.

Il «divenire» simile agli uomini, e vederlo nel suo aspetto «esteriore» come uomo, non vuol dire che l’umanità di Gesù era apparente e fittizia; al contrario, egli fu un vero uomo, e lo dimostrò quando annichilì se stesso o svuotò se stesso, per diventare un uomo.

Si continuerà il prossimo giorno...
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