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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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30/10/2011 23:17

Secondo il Lagrange il termine hupocrisis in Galati 2:13 non si deve tradurre «con ‘ipocrisia’, dove s’insinua un’idea spregevole: fingere un sentimento che non si prova per trarne un vantaggio. Questo non è il movente di Pietro» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 259]. Resta tuttavia il fatto che Pietro non ha conformato la sua prassi alle proprie convinzioni. Egli si credeva affrancato dalla legge, poiché mangiava con i gentili, e Paolo non suppone minimamente che lo abbia fatto contro la sua coscienza. Dunque egli aveva preso una risoluzione e non ha il coraggio di difendersi. Se ora si ritira, fa credere di non aver agito a ragion veduta, si ritratta di fatto e la conclusione era naturalmente sottolineata dai giudeocristiani di stretta osservanza che, senz’alcun dubbio, non tralasciarono di contribuire al mutamento repentino allegando presso i ritardatari l’autorità di Pietro... Ai gentili convertiti non rimaneva che Paolo... Solo Paolo era rimasto incrollabile» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 263-265].

Secondo lo Schlier
«nella persona di Pietro ora Paolo affrontò un avversario simile a quelli che si trovavano nelle comunità galate e in Gerusalemme. Solo così si capisce l’accentuazione dell’asprezza e dell’energia nell’opposizione... Pietro condivideva la medesima dottrina di lui, almeno per ciò che riguardava i principi fondamentali. Ma ora nella prassi egli voleva una chiesa di giudeocristiani che fosse separata dalla chiesa dei pagani nella visibilità della mensa comune. Così, praticamente, o negava che il Cristo Gesù avesse infranto la legge che divideva il cosmo e che i giudei e pagani vivessero totalmente e pienamente grazie al suo sacrificio, o — ciò che qui è più probabile — negava che la realtà della croce e della risurrezione di Cristo Gesù si renda presente nell’unità visibile di coloro che partecipano al suo corpo e quindi sono il suo corpo. Contro una tale negazione pratica e oggettiva della verità interviene Paolo. Pertanto si giunge a un dibattito pubblico, o meglio a una pubblica accusa di Paolo contro Pietro. Nella chiesa lo scandalo pubblico dev’essere biasimato ed eliminato pubblicamente» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 265-267].

Per il Gaechter, che cerca anzitutto di determinare il genere letterario di Galati 2:11-14 e vorrebbe chiamarlo «accusa eccitata». «Ovviamente Paolo era consapevole, benché probabilmente non con tutta lucidità, di scrivere in stato di eccitazione, e per questo supponeva anche di essere interpretato in modo corrispondente». Questo autore constata «tre qualità» nell’accusa di Paolo: «L’incompletezza dell’accusa, l’unilateralità della sua esposizione e la colorazione che l’accusa riceve dal suo temperamento». Il fatto poi che anche Barnaba partecipi alla simulazione assieme ad altri giudei, per il Gaechter «oltrepassa ogni verosimiglianza; qui parla l’accusatore stizzito, che non pondera le sue parole». Poi aggiunge: «È impensabile che tutto questo gruppo di uomini potesse essere globalmente accusato della medesima debolezza morale e della stessa scarsezza d’intelligenza, e così viene anche il giudizio su Pietro, giacché egli agì non diversamente da loro».

A questo punto, giustamente il Mussner chiede:
«Ma qui l’accusa non viene ritorta? Infatti, chi ha indotto «gli altri ad unirsi alla simulazione», se non Pietro col suo comportamento?». Secondo il Gaechter, anche le dichiarazioni di Paolo in Galati 2:15-21 «non sono espressioni di vittoria..., ma una prova che la sua sconfitta aveva lasciato nella sua anima una piaga ulcerosa». Se Paolo scrisse ai Galati parecchi anni dopo dell’evento antiocheno, sostiene il Gaechter, era dovuto dal fatto che Paolo allora stava attraversando «evidentemente un periodo d’irritazione nervosa». Davanti a queste precise affermazioni che fa il Gaechter, Mussner, risponde: «La ragione per cui Paolo allora, in Antiochia, ebbe «un cuore soltanto per gli etnicocristiani e non anche per i giudeocristiani» (per riportare letteralmente le parole del Gaechter), stando alla testimonianza di Galati non propana sicurissimamente da «irritazione nervosa», ma dal fatto che Paolo aveva compreso che ad Antiochia era in gioco la verità dell’evangelo (cfr. 2:14). È poi molto dubbio che ciò si possa designare come implicazione «nella logica delle sue premesse». Non era la logica delle sue premesse, ma la «logica» dell’evangelo quella a cui Paolo doveva obbedire, affinché l’evangelo non venisse «stravolto» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 259].

Secondo il Munck (anche se egli non contesta che i tinas apo Iakbou di Galati 2:12 fossero «alcuni giudeocristiani di Gerusalemme e che essi costituissero il motivo «per il quale Pietro si ritrasse dai pasti»), nondimeno pensa che i giudaizzanti, cioè quelli che contestavano l’autorità apostolica di Paolo e che erano e veri oppositori dell’Apostolo, erano gli etnicocristiani. «I giudaizzanti invece sono «etnicocristiani e — dal loro erroneo punto di vista giudaico — esigono che tutti i pagani che si fanno accogliere nella chiesa siano circoncisi e tenuti ad osservare la legge.. Dunque la differenza fra Pietro e i giudaizzanti consiste sostanzialmente in questo, che Pietro non pone alcuna esigenza — solo indirettamente il suo contegno ha l’aspetto di una costrizione (2:14) —, ma partecipa il più possibile alla vita comunitaria degli etnicocristiani, mentre i giudaizzanti non riescono a riconoscere la chiesa dei gentili come cristianesimo e perciò pretendono che all’evangelo paolino vengano ‘aggiunte’ tanto la circoncisione e l’osservanza della legge, quanto altre usanze. Nell’esegesi questa differenza ci può servire come criterio per distinguere esattamente ciò che viene detto a Pietro e ciò che in realtà è diretto ai giudaizzanti». Se si pensa però al discorso che Pietro tenne al concilio apostolico di Gerusalemme, Paolo in Galati 2:14, cita veramente Pietro. In Galati 2:17 si enuncia «qualcosa che ha validità generale per il giudeocristiano che cerca la giustizia in Cristo [come fa anche Pietro]: anch’egli risulta peccatore». Se s’intende il v. 17 così, «allora a partire da questo versetto non si pensa più a Pietro. Paolo non pensa più all’episodio di Antiochia. Esiste invece la possibilità che qui egli abbia presenti i giudaizzanti». Tenuto conto del contesto, pensa il Munck, «non vi può esser dubbio che il v. 18 sia rivolto agli etnicocristiani giudaizzanti, dei quali però non si può dire che proprio loro abbiano ricostruito ciò che prima avevano distrutto».

Si continuerà il prossimo giorno...
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