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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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29/10/2011 00:15

La fede che Paolo annunziava, e che prima egli stesso devastava, non aveva altro significato se non quello di ‘religione cristiana’, la cui natura, in contrasto con la religione giudaica legalistica, si esprime appunto come pistis (cfr. anche 3:23; 6:10; Atti 3:16; 6:7; 13:8; 14:22; 16:5; Col. 1:23).

2) Galati 2:16:


sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma per mezzo della fede [ pistes] in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù, affinché fossimo giustificati mediante la fede di Cristo e non mediante le opere della legge, poiché nessuna carne sarà giustificata per mezzo della legge.

Il secondo riferimento alla fede, si trova in un contesto polemico tra Paolo e Pietro, circa la ferma e decisa posizione che il primo prese nei confronti del secondo, quando lo riprese pubblicamente in occasione della sua venuta in Antiochia per non aver camminato rettamente secondo la verità dell’evangelo (v. 14). Per meglio valutare la fede, di cui parla chiaramente il (v. 16), si rende necessario ricordare, anche criticamente, tutta la storia dell’avvenimento di Anticohia.

I vv. da 11-14, sono stati oggetto di lunghe discussioni tra i vari commentatori, antichi e moderni, per cercare di spiegare, l’incidente’, come viene definito, che sorse tra Pietro e Paolo nella città di Antiochia. Le valutazioni che sono state fatte, ovviamente, hanno messo in evidenza punti di vista diversi, specie quando si è toccato il punto polemico intorno alla supremazia di Pietro, come principe degli apostoli, e da vicino l’infallibilità del papato, specie ad opera di M. Lutero. F. Mussner, nel suo Commentario Teologico all’Epistola ai Galati, in un EXCURSUS, ha tracciato la storia dell’esegesi di Galati 2:11-14. In esso vengono elencati, tra i più significativi, quelli che sono intervenuti, a cominciare dalla chiesa antica per finire agli esegeti più recenti. Poiché non tutti hanno sottomano il commentario in questione, daremo un succinto resoconto, perché ognuno sappia come sono andate le cose e come il testo di Galati 2:11-14 è stato interpretato, in modo che si possono fare le dovute riflessioni per accettare o rifiutare quello che è stato detto.

Si comincia col chiedersi se «l’incidente antiocheno sia avvenuto prima dell’accordo geresolimitano. Lo Zahn ritiene che quell’incidente sia avvenuto prima dell’accordo stipulato a Gerusalemme. Egli argomenta:

«È impensabile che Pietro si recasse in un territorio di missione tra i pagani senza un’urgente necessità e che Paolo, se Pietro avesse fatto ciò, non lo accusasse di violazione del trattato e non lo giudicasse alla stregua di quei simpatizzanti di Giacomo (v. 12), venuti ad Antiochia subito dopo, assimilandolo ai falsi fratelli e spie del v. 4. Anche il giudizio più benevolo non avrebbe potuto cambiar nulla in un fatto: Pietro con la sua venuta indesiderata ad Antiochia avrebbe provocato nella comunità locale quegli abusi preoccupanti, la cui prevenzione era lo scopo primario dell’accordo sulla reciproca indipendenza dei due settori della chiesa»; perciò lo Zahn pensa che la visita di Pietro alla capitale siriana debba «collocarsi nel tempo anteriore al concilio apostolico e al primo viaggio missionario di Paolo», quando «Paolo e Barnaba con altri maestri giudaici erano a capo della comunità antiochena». È proprio vero (sostiene il Gaechter) che noi non sappiamo né quando né perché Pietro si recò ad Antiochia; al riguardo le fonti non dicono nulla. Anche Paolo non è interessato a queste questioni, ma soltanto a ciò che accadde ad Antiochia con la venuta di Pietro. Un’unica cosa si può dire, cioè che Paolo in quel tempo «è ancora in rapporto con Barnaba e con la comunità antiochena» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 169-171, note 85, 88].

Il testo precisa che quando Pietro venne in Antiochia, io gli resistei in faccia, perché era da riprendere (v.11).

[ kata prospon ] non significa secondo le apparenze, quasicché si debba concludere che vi sarebbe stato un litigio apparente, che Paolo e Cefa avrebbero inscenato ad ammaestramento della comunità, ma nel senso di presente di persona, a faccia a faccia [E. Lohse, GLNT, XI col. 430; F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 229, nota 15].

Perché Paolo assume un atteggiamento severo e fermo nei confronti di Pietro, viene subito specificato.

Infatti prima che venissero alcuni da parte di Giacomo, egli mangiava con i gentili; ma quando giunsero quelli, egli si ritirò e si separò, temendo quelli della circoncisione (v. 12).

Quel mangiare di Pietro con i gentili, (si intende con gli etnicocristiani) non si sa esattamente per quanto tempo venne fatto. Non pensiamo che quel mangiare, si riferisca alla Cena del Signore (così intendono ad es. Lietzmann, Schlier), cosa che G. Kittel obietta (secondo noi giustamente) contro questa ipotesi: «Se in questa [nella Cena del Signore] si tratta di spezzare e mangiare il pane, la situazione è diversa da quella di un pasto in cui si mangia carne» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 231, nota 19].

Anche se il testo biblico non specifica di che cosa si trattasse, è più coerente pensare alla comunione e partecipazione di mensa, dove si potevano benissimo mangiare cibi che non era permesso a un giudeo di mangiare, secondo le norme della legge di Mosè. Paolo non trova niente da obiettare e tanto meno da rimproverare a Pietro per questa sua partecipazione a mangiare con gli etnicocristiani; trova invece validi motivi per richiamarlo severamente, perché l’ha fatto in vista di quelli di Giacomo, cioè, se Pietro non avesse visto quei giudeocristiani proveniente da Gerusalemme, non solo non avrebbe cessato di mangiare con gli etnicocristiani, ma neanche avrebbe temuto quelli della circoncisione. Il fatto che egli abbia avuto timore dai confidenti di Giacomo arrivati nella Comunità di Antiochia alla sua insaputa, questo ha portato diversi a riflettere.

Si continuerà il prossimo giorno...
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