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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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27/10/2011 00:08

La cosa più naturale, dopo l’evento di Damasco, sarebbe stata che Paolo fosse tornato indietro a Gerusalemme e avesse cercato di mettersi in contatto con la protocomunità o per lo meno con la comunità cristiana di Damasco.

Secondo Atti 9:6, Gesù diede un ordine a Saulo: Alzati ed entra nella città, e ti sarà detto ciò che devi fare. Inoltre si precisa che, dopo i tre giorni, durante i quali egli non vide, non mangiò né bevve (Atti 9:9), riacquistata la vista e recuperate le forze fisiche,

Saulo rimase alcuni giorni con i discepoli che erano a Damasco. E subito si mise a predicare il Cristo nelle sinagoghe, proclamando che egli è il Figlio di Dio (Atti 9:19,20).

A questo punto, lo Mussner, si chiede: «Ma allora non ricevette un insegnamento più preciso sulla dottrina cristiana?» [Anche se quello che seguirà non è attinente al soggetto della fede, tuttavia ne parliamo, non solo per conoscere come sono stati interpretati e spiegati dai commentatori questi eventi, ma anche e soprattutto perché il primo riferimento alla fede che si trova nell’epistola ai Galati, ha come contesto la storia della conversione di Paolo al cristianesimo, con le sue svolte e le sue decisioni, che ebbero un punto fermo nell’espletamento del ministero apostolico, tra il popolo gentile come in quello giudaico].

La frase: rimase alcuni giorni con i discepoli che erano in Damasco, suggerisce l’idea che Paolo avrebbe ricevuto qualcosa che riguardasse l’evangelo da quei cristiani di Damasco. Considerando però le parole di (Galati 1:16), per ciò che riguarda il non consultarsi subito con carne e sangue, l’Apostolo vuole fare una precisazione di prima mano che Luca non ha fatto, per ribadire ancora una volta che, l’evangelo che egli predica, non deve essere considerato il risultato di quello che gli uomini avrebbero potuto dirgli in quei pochi giorni che rimase con loro.

«In Galati 1:16 e Matteo 16:17 si designa l’uomo in quanto tale, che può trasmettere opinioni teologiche, esperienze religiose o tradizioni ecclesiastiche. Anche in questo caso il contrapposto è Dio stesso quale rivelatore. Manca completamente l’aspetto di realtà soggetta a peccare» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pag. 162].

«Se si tiene conto dello scopo dell’argomentazione di Paolo, in concreto con «carne e sangue» possono essere indicati solo dei cristiani; eppure egli sceglie un’espressione (semitica) di portata universale per sottolineare che dopo la sua conversione non andò assolutamente dagli uomini a cercare consigli; dunque non poteva neppure aver ricevuto da loro dei chiarimenti sulla natura dell’evangelo» [Cfr. E. Schweizer, GLNT, Vol. XII, col. 1339].

«Per lo Schlatter (Der Evangelist Matthäus 505) carne e sangue si trovano «là dove l’uomo viene caratterizzato come diverso da Dio»; il Bonnard, fa queste considerazioni: «Nelle parole sarchi kai aimati... = (carne e sangue) si è vista un’allusione sia a vincoli di parentela (non cercai consiglio dai miei parenti stretti), sia a vincoli coniugali (non mi lasciai trattenere da mia moglie, rimasta giudea), sia ai vantaggi personali dell’Apostolo (non mi lasciai impressionare dalla considerazione della mia salute, del mio avvenire, della mia reputazione), sia ai membri della chiesa di Damasco (non consultai nemmeno i miei confratelli di Damasco). Queste interpretazioni non si escludono fra loro. L’espressione può indicare assieme Paolo stesso, i suoi parenti, gli amici, il suo ambiente e gli apostoli di Gerusalemme. Questo senso generale si adatta benissimo alla tesi enunciata nei vv. 11, 12. Dopo aver mostrato che Dio solo fu all’origine del suo apostolato, Paolo mette in evidenza che Dio solo fu pure il garante delle sue prime iniziative apostoliche» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, pagg. 162-166].

Dopo aver detto con chiarezza che non si consultò con carne e sangue, dopo la sua conversione, ora Paolo aggiunge, con altrettanta chiarezza e fermezza che, non salì neanche a Gerusalemme da quelli che erano stati apostoli prima di lui. Perché non fece ciò, non lo sappiamo; allora che cosa voleva dire con ciò?

«L’Apostolo afferma semplicemente che fu così, e per la sua argomentazione questo fatto risulta naturalmente assai opportuno, benché egli con tale constatazione non voglia di certo svalutare la dignità e il rango dei protoapostoli, come dimostrano le sue successive dichiarazioni nel cap. 2.» «In questo non salire a Gerusalemme non c’era il disconoscimento della dignità apostolica degli altri e neppure la negazione della loro autorità apostolica ed ecclesiastica in riguardo all’evangelo, ma soltanto la consapevolezza della sua personale parità di rango apostolico ed ecclesiastico» (Schlier; similmente anche Bonnard). «L’obiezione degli avversari di Paolo era proprio questa, che egli non era dello stesso rango dei protoapostoli. E questo è il punto su cui deve polemizzare. Secondo il Bonnard la formulazione tous pro emou apostolous vuol dire: 1. Paolo attribuisce agli apostoli «prima di lui» l’autorità apostolica; 2. rivendica per sé la medesima autorità, ma non dal punto di vista cronologico ( = pro emou; cfr. anche Romani 16:7: Andronico e Giunia, oi kai pro emou gheghonasin en Crist) = (essi sono stati in Cristo prima di me); 3. nella priorità temporale egli non vede alcuna motivazione per un più alto diritto apostolico. Certo non appare chiaro, «quali criteri si applicassero a un ‘apostolo’ a Gerusalemme», come giustamente osserva lo Schnackenburg; le lettere stesse di Paolo mostrano anche che «Paolo conosce diversi ‘apostoli’ operanti nella prima chiesa, per i quali non c’erano criteri univoci ed unitari. Questa mancanza nella prima chiesa, di un unitario «concetto d’apostolo» può essere stato uno dei motivi per i quali Paolo agli occhi di certa gente non era un «apostolo» [Cfr.F. Mussner, La lettera ai Galati, nota 58].

Si continuerà il prossimo giorno...
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