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Domenico34 - LA FEDE NELLE EPISTOLE DI PAOLO -

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2011 00:07
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24/10/2011 00:03

I pastori di comunità, i ministri del vangelo e tutti coloro che sono stati chiamati a svolgere ruoli di comando, hanno tanto da imparare da questo testo. Che lo Spirito Santo scolpisca queste parole nel nostro cuore!

2) 2 Corinzi 4:13:


Ma pure, avendo noi lo stesso spirito di fede, [ pistes] come sta scritto: «Io ho creduto, perciò ho parlato», anche noi crediamo e perciò parliamo.

Il riferimento che Paolo fa alla fede, riguarda se stesso in relazione ai tanti pericoli cui va incontro nell’esercizio del suo ministero. Le avversità di ogni genere che l’Apostolo affronta, sono chiaramente descritte nei (vv. 8-11). Egli però, non perdendosi d’animo (v. 1), fa sue le parole del Salmo 116:10, perché in esse vede lo spirito di fede che animava il salmista in mezzo alle sue tribolazioni. E se Paolo, davanti al pericolo di morte che lo minacciava ogni giorno, poteva trovare sollievo ed incoraggiamento dall’esperienza del salmista, ciò era perché anche lui aveva lo stesso spirito di fede. Come il salmista parlava, in virtù della sua fede in Dio, in mezzo ai pericoli dei legami della morte, della liberazione che aveva ricevuto dal Signore, allo stesso modo si comporta Paolo, quando dice: anche noi crediamo e perciò parliamo.

Parlare solamente delle angosce della vita, delle tribolazioni che si incontrano, delle afflizioni che ci circondano e dei pericoli a cui si va incontro, non è certo parlare secondo lo spirito della fede. Ma parlare in mezzo a quelle difficoltà dell’aiuto e della liberazione che si riceve dal Signore, questo, è veramente spirito di fede. Quelli che veramente hanno fede, non rimarranno muti, senza parole; e, se si trovano in quella condizione, è perché la loro incredulità li ha ridotti in quello stato (cfr. Luca 1:20).

Condividiamo in pieno le parole del Denney, quando commentando le parole del nostro testo scrive:

«Non tutti i credenti devono insegnare e predicare, ma tutti devono confessare. Chiunque ha fede, ha una testimonianza da portare a Dio» [Cfr. R. V. G. Tasker, La seconda epistola di Paolo ai Corinzi, pagg. 11,12].

3) 2 Corinzi 5:7:

Camminiamo infatti per fede, [ pistes] e non per visione.

Per comprendere in un modo coerente questo testo, è necessario inquadrarlo nell’ambito di tutto quello che Paolo ha detto nei versetti precedenti, cioè (vv. 1-6). Nel (v. 1) l’Apostolo considera il corpo umano, — ch’è l’abitazione terrena —, come una tenda che non sempre rimane piantata in un posto. Infatti, se una persona abita in una certa località sotto tenda, se dovesse trasferirsi in un’altra località, si rende necessario smontare quella tenda.

Quando Paolo parla del disfacimento della tenda, vuole riferirsi senza dubbio alla morte. È infatti con la morte che avviene il disfacimento della tenda, = abitazione terrena. Siccome con la morte avviene anche il trasferimento di residenza, si rende necessario che ci sia pronta una nuova dimora. Per Paolo che segue un ragionamento cristiano, cioè il ragionamento di colui che crede nel Signore per la vita futura e migliore, la nuova abitazione non sarà costituita dalla tenda smontata e ricomposta, ma dall’abitazione, non fatta da mano d’uomo, ma da Dio stesso, eterna nei cieli. Precisando che questa nuova abitazione è ben diversa della prima, non solo perché non è costruita dall’uomo, ma da Dio stesso, anche perché viene definita eterna, cioè una volta costruita, non è più soggetta ad essere disfatta: in altre parole non ci sarà più cambiamento di residenza.

Il gemito, di cui fanno riferimento i (vv. 2,4), è senza dubbio una chiara allusione a tutte le peripezie che si incontrano sulla terra, durante tutto il tempo della permanenza terrena. Avendo davanti a sé la prospettiva della nuova residenza celeste, esprime il desiderio di volere essere rivestito, non di un nuovo vestito terreno, o di un soprabito, che nasconda il vecchio, come il termine giustamente potrebbe suggerire, ma della sua abitazione celeste. Davanti a simili termini che l’Apostolo adopera, è naturale chiedere: A che cosa voleva alludere Paolo con questa metafora? Per vivere in una abitazione celeste, ci vuole anche un vestito adatto per quella residenza.

Il vestito adatto per l’abitazione celeste, è senza dubbio l’immortalità, l’incorruttibilità, che Dio stesso darà alla risurrezione. Ma perché l’Apostolo condiziona queste mete, col dire: se saremo trovati vestiti e non nudi? (v. 3). In altre parole questo vuol dire che se uno viene trovato nudo, non potrà entrare nell’abitazione celeste. Come è possibile che una simile eventualità possa accadere a un cristiano? Che cosa, insomma, voleva dire Paolo? Queste enigmatiche parole dell’Apostolo, trovano una soddisfacente risposta in quello che Gesù rivolse all’angelo della chiesa di Laudicea:

Poiché tu dici: Io sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di nulla; e non sai invece di essere disgraziato, miserabile, povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me dell’oro affinato col fuoco per arricchirti, e delle vesti bianche per coprirti e non far apparire così la vergogna della tua nudità, e di ungerti gli occhi con del collirio, affinché tu veda (Apocalisse 3:17,18).

Ed ancora:
Ecco, io vengo come un ladro; beato chi veglia e custodisce le sue vesti per non andare nudo e non lasciar così vedere la sua vergogna (Apocalisse 16:15).

Si continuerà il prossimo giorno...
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