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Domenico34 – Il cammino di un popolo – Dall’Egitto alla terra di Canaan. Sommario, Prefazione ed Introduzione. Capitoli 1-14

Ultimo Aggiornamento: 15/03/2012 00:30
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08/02/2012 00:09

A questo punto (senza che Mosè avesse chiesto aiuto) intervennero Aaronne e Cur, che si trovavano vicini a lui ed avevano capito non solo la sua stanchezza ma anche il collegamento diretto tra le sue mani alzate e la vittoria di Giosuè su Amalec.

Presero una pietra, ve lo fecero sedere e gli tennero le mani alzate, uno da una parte e l'altro dall'altra… fino al tramonto del sole. A questo punto il testo specifica che:

Giosuè sconfisse Amalec e la sua gente, passandoli a fil di spada (v. 13).

La vittoria su Amalec, quindi, non è da attribuire ad una sola persona ma alla partecipazione e alla cooperazione di quattro distinti individui, Mosè, Giosuè, Aaronne e Cur, con un solo obiettivo.
Da quest'episodio del passato, i cristiani possono trarre almeno tre insegnamenti di vita pratica:

1) Mosè, il capo supremo del popolo d’Israele, fece quello che rientrava nelle sue competenze, cioè sostenne il bastone di Dio e tenne le mani alzate, finché ebbe la forza di farlo.

Come già detto, il bastone indicava l’autorità divina conferitagli da Dio; le mani alzate simboleggiavano la sua preghiera d’intercessione in favore di Giosuè, che combatteva contro i nemici del popolo di Dio.
Mosè, come servo di Dio, ebbe bisogno di essere sostenuto quando sopraggiunse la stanchezza e non ce la faceva più a tenersi in piedi e a tenere alzate le mani.

I servi di Dio dei nostri giorni e di tutte le epoche (non importa se sono responsabili di grandi o di piccole assemble sono uomini e, avendo le medesime debolezze di ogni essere umano, hanno bisogno di essere sostenuti nelle loro attività ministeriali, soprattutto quando danno cenni di stanchezza.

Mosè ebbe la saggezza e l’umiltà di accettare l’aiuto di Aaronne e Cur, che lo fecero sedere su una pietra e gli sostennero le mani per l’intera giornata.
Se non avesse accettato questo aiuto, avrebbe inesorabilmente compromesso l’esito della vittoria e dimostrato d’essere una persona superba ed arrogante.

I servi di Dio, dunque, devono imparare a non rifiutare mai l’aiuto e il sostegno che viene loro offerto nei momenti difficili della vita.
Non devono mai dire che non ne hanno bisogno perché è proprio in virtù del sostegno altrui che sarà loro accordata la vittoria.

2) Giosuè, l’uomo scelto per guidare le operazioni di combattimento, non si era auto-nominato capo con l’intento di mettere in mostra le sue capacità e il suo coraggio.

Egli seppe accettare con umiltà l’incarico assegnatogli e, senza perdersi d’animo nei momenti in cui il nemico prevaleva su di lui e sui suoi, continuò a combattere con determinazione, fino al compimento della sua missione.

A questo punto si può fare un parallelo tra Mosè e Giosuè e tra Paolo e il giovane Timoteo. Il grande apostolo rivolse a Timoteo la seguente esortazione:

Combatti il buon combattimento della fede, afferra la vita eterna alla quale sei stato chiamato e in vista della quale hai fatto quella bella confessione di fede in presenza di molti testimoni (1 Timoteo 6:12).

Ogni giovane servitore del Signore, chiamato nell’opera del ministero, deve mantenersi fedele all’incarico ricevuto e svolgere il suo mandato con tenacia e perseveranza, senza invadere il campo o il ruolo degli altri.

Se saprà mantenersi umile in tutto quello che farà, alle sue spalle ci sarà sempre qualcuno che terrà le mani alzate verso il cielo (cioè intercederà) per lui, per assicurargli la vittoria.

3) Di Aaronne si sa con certezza che era il fratello carnale di Mosè e che era stato designato da Dio a svolgere il ruolo di sommo sacerdote, mentre di Cur abbiamo poche notizie; ma entrambi seppero valutare obbiettivamente e velocemente il bisogno d’aiuto di Mosè e di Giosuè, che stava combattendo a valle.

Essi prima compresero che la vittoria di Giosuè era strettamente collegata al fatto che le mani di Mosè rimanessero alzate per tutto il giorno; poi, non aspettarono che venisse loro fatta una specifica richiesta e, considerando la gravità del caso, si offrirono spontaneamente, senza calcolare il sacrificio che avrebbero dovuto affrontare.

Mantenere le mani alzate di un servitore di Dio a volte comporta enormi sacrifici e un prezzo alto da pagare.
Ma, quando abbiamo una chiara visione del bene del popolo di Dio, siamo pronti a rinunciare ad ogni interesse egoistico e a dedicare il nostro tempo e la nostra vita per il benessere comune.

Questi insegnamenti, tradotti nella vita pratica, contribuiscono notevolmente al progresso dell’opera di Dio, e possono produrre grandi benefici a chi ha fatto la sua parte (grande o piccol nel servizio del Signore.

Alla fine del combattimento non venne innalzato nessun trofeo in onore di Mosè, Giosuè, Aaronne e Cur, anche se furono loro gli artefici materiali di quella importante vittoria.

Al monumento che venne costruito, cioè un altare, fu assegnato il nome: il Signore è la mia bandiera (Esodo 17:15), proprio per mettere in risalto a Chi spettava tutta la gloria e l’onore. Amen!

Si proseguirà il prossimo giorno...
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09/02/2012 00:19

La visita di Ietro

Il racconto della visita di Ietro a Mosè e i suoi consigli sono riportati nel capitolo 18 dell’Esodo.

In questo capitolo Mosè raccontò al suocero le opere potenti che Dio aveva fatto per liberare il popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto e per condurlo fino a quel punto, cioè nel deserto di Sin, nelle vicinanze del monte Sinai.

La gioia che Mosè e Ietro provarono, il primo nel raccontare quello che il Signore aveva fatto in favore del Suo popolo e il secondo nell’ascoltare le meraviglie di Dio, spinse Ietro, che era un sacerdote di Madian e quindi estraneo ad Israele, a prendere un olocausto e dei sacrifici per offrirli a Dio (Esodo 18:12).

Stando presso Mosè, Ietro poté vedere quello che il genero faceva ogni giorno, quando amministrava la giustizia a tutto il popolo che veniva da lui, e così gli disse:

...«Che cosa fai con il popolo? Perché siedi solo, e tutto il popolo ti sta attorno dal mattino fino alla sera?»
Mosè rispose a suo suocero: «Perché il popolo viene da me per consultare Dio.
Quando essi hanno qualche questione, vengono da me, e io giudico fra l'uno e l'altro, faccio loro conoscere gli ordini di Dio e le sue leggi».
Ma il suocero di Mosè gli disse: «Quel che fai non va bene. Tu ti esaurirai certamente e stancherai anche questo popolo che è con te; perché questo compito è troppo pesante per te; tu non puoi farcela da solo.
Ascolta la mia voce; io ti darò un consiglio, e Dio sia con te: sii tu il rappresentante del popolo davanti a Dio, e porta a Dio le loro cause.
Insegna loro i decreti e le leggi, mostra loro la via per la quale devono camminare e quello che devono fare;
ma scegli fra tutto il popolo degli uomini capaci e timorati di Dio: degli uomini fidati, che detestino il guadagno illecito; e stabiliscili sul popolo come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine e capi di decine.
Essi dovranno amministrare la giustizia al popolo in ogni circostanza. Essi riferiscano a te su ogni questione di grande importanza, ma ogni piccolo affare lo decidano loro. Così alleggerirai il tuo carico, ed essi lo porteranno con te.
Se tu fai questo, e se Dio te lo conferma, tu potrai resistere; anche tutto questo popolo arriverà felicemente al luogo che gli è destinato»
(Esodo 18:14-23).

Che il consiglio dato da Ietro a Mosè fosse saggio e giusto lo si deduce dal fatto che Dio non vi si oppose.

I saggi consigli vanno sempre accettati, indipendentemente da dove provengono.

Mosè, persona colta e con tanta esperienza, poteva benissimo credersi all’altezza di quell’immane compito e ignorare che un giorno avrebbe potuto non reggere al logorio delle sue forze fisiche.

La lezione da imparare è estremamente importante sotto qualsiasi aspetto: sia riguardo le cose della vita terrena, sia per quel che concerne l’opera del ministero.

Nessun servitore del Signore deve considerarsi capace di assolvere il mandato senza qualcuno al suo fianco come aiutante.

Considerarsi idoneo a occuparsi di ogni questione, grande o piccola che sia, è manifestazione di orgoglio e di non sapere apprezzare il contributo che altri potrebbero dare, e condurrà inevitabilmente all’esaurimento e alla disfatta.

Invece, avere dei buoni aiutanti nell’opera del ministero, significa avere meno pesi addosso e consente di svolgere il lavoro con più incisività.

Questo contribuirà senza dubbio al benessere e al progresso dell’opera, sia per la gestione degli aspetti spirituali che di quelli amministrativi di ogni comunità, grande o piccola.

Preparativi per il grande evento

Dopo tre mesi dall’uscita dal paese d’Egitto, i figli d’Israele giunsero ai piedi del monte Sinai.

Conoscendo quello che sarebbe successo, Dio diede a Mosè precise istruzioni da comunicare al popolo affinché non accadesse niente di spiacevole in sua assenza.

Nel primo giorno del terzo mese, da quando furono usciti dal paese d'Egitto, i figli d'Israele giunsero al deserto del Sinai.
Partiti da Refidim, giunsero al deserto del Sinai e si accamparono nel deserto; qui Israele si accampò di fronte al monte.
Mosè salì verso Dio; e il SIGNORE lo chiamò dal monte, dicendo: «Parla così alla casa di Giacobbe e annunzia questo ai figli d'Israele:
"Voi avete visto quello che ho fatto agli Egiziani e come vi ho portato sopra ali d'aquila e vi ho condotto a me.
Dunque, se ubbidite davvero alla mia voce e osservate il mio patto, sarete fra tutti i popoli il mio tesoro particolare; poiché tutta la terra è mia;
e mi sarete un regno di sacerdoti, una nazione santa". Queste sono le parole che dirai ai figli d'Israele».
Allora Mosè venne, chiamò gli anziani del popolo, ed espose loro tutte queste parole che il SIGNORE gli aveva ordinato di dire.
Tutto il popolo rispose concordemente e disse: «Noi faremo tutto quello che il SIGNORE ha detto». E Mosè riferì al SIGNORE le parole del popolo.
Il SIGNORE disse a Mosè: «Ecco io verrò a te in una fitta nuvola, affinché il popolo oda quando io parlerò con te, e ti presti fede per sempre». E Mosè riferì al SIGNORE le parole del popolo.
Allora il SIGNORE disse a Mosè: «Va’ dal popolo, santificalo oggi e domani; fa’ che si lavi le vesti.
Siano pronti per il terzo giorno; perché il terzo giorno il SIGNORE scenderà in presenza di tutto il popolo sul monte Sinai.
Tu fisserai tutto intorno dei limiti al popolo, e dirai: Guardatevi dal salire sul monte o dal toccarne i fianchi. Chiunque toccherà il monte sarà messo a morte.
Nessuna mano dovrà toccherà il colpevole: questo sarà lapidato o trafitto con frecce; animale o uomo che sia, non dovrà vivere!” Quando il corno suonerà a distesa allora essi potranno salire sul monte»
(Esodo 19:1-13).

Si proseguirà il prossimo giorno...
[Modificato da Domenico34 09/02/2012 00:20]
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10/02/2012 00:13

Per prima cosa, il Signore ricorda a Mosè il modo con cui si era preso cura d’Israele: dal giorno dell’uscita dall’Egitto fino al monte Sinai, Egli li aveva trasportati sopra ali d’aquila, avvicinandoli a Lui (v. 4).

Dio perciò invita il popolo a prestare attenzione alla Sua voce e a osservare il Suo patto e, da parte sua, promette di considerarli come un Suo tesoro particolare fra tutti i popoli e di fare di loro un regno di sacerdoti e una nazione santa (vv. 5-6). E ordina che queste Sue parole siano riferite integralmente al popolo.

In secondo luogo, ingiunge a Mosè di preparare e santificare il popolo per due giorni, facendo lavare loro le proprie vesti, perché al terzo giorno Dio sarebbe sceso sul monte Sinai alla presenza di tutti (vv. 10-11).

Infine, pronuncia un severo monito affinché a nessuno (persone o besti sia consentito di salire sul monte o di toccarne i fianchi, pena la morte (vv. 12-13).

Come annunciato, il terzo giorno il fortissimo suon di tromba, i tuoni e i lampi, la densa nube apparsa sul monte fecero chiaramente intendere che il Signore era effettivamente sceso sul monte Sinai. Da saggio e accorto condottiero qual era:

Mosè fece uscire il popolo dall'accampamento per condurlo a incontrare Dio; e si fermarono ai piedi del monte (v. 17).

Il suono della tromba si faceva sempre più forte; Mosè parlava e Dio gli rispondeva con una voce (v. 19).

I Dieci Comandamenti


Finita la preparazione del popolo e osservati gli ordini del Signore, finalmente Dio annuncia ai Suoi i Dieci Comandamenti.

Allora Dio pronunziò tutte queste parole:
«Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla casa di schiavitù
.

1. Non avere altri dèi oltre a me.

2. Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra.
Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l'iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano
e uso bontà fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti
.

3. Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.

4. Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo.
Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro,
ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al SIGNORE Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città;
poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli e la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il SIGNORE ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato
.

5. Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il SIGNORE, il tuo Dio ti dà.

6. Non uccidere.

7. Non commettere adulterio.

8. Non rubare.

9. Non attestare il falso contro il tuo prossimo.

10. Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo» (Esodo 20:1-17).

Tutta la scena era davvero straordinaria e incuteva terrore a tutti, talché il popolo disse a Mosè:

«Parla tu con noi e noi ti ascolteremo; ma non ci parli Dio, altrimenti moriremo».
Mosè disse al popolo: «Non temete, Dio è venuto per mettervi alla prova, perché ci sia in voi timore di Dio, e così non pecchiate»
(vv. 19-20).

Nel Nuovo Testamento questa scena cambia totalmente per i cristiani, come leggiamo nella lettera agli Ebrei:

Voi non vi siete avvicinati al monte che si poteva toccare con mano, e che era avvolto nel fuoco, né all’oscurità, né alle tenebre, né alla tempesta,
né allo squillo di tromba, né al suono di parole, tale che quanti l’udirono supplicarono che più non fosse loro rivolta altra parola;
perché non potevano sopportare quest’ordine: «Se anche una bestia tocca il monte sia lapidata».
Tanto spaventevole era lo spettacolo, che Mosè disse: «Sono spaventato e tremo».
Voi vi siete invece avvicinati al monte Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, alla festante riunione delle miriadi angeliche,
all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti,
a Gesù, il mediatore del nuovo patto e al sangue dell'aspersione che parla meglio del sangue d’Abele
(Ebrei 12:18-24).

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11/02/2012 00:14

Spesso è stato messo in discussione se i Dieci Comandamenti, che Dio ha dato al popolo d’Israele, siano validi anche per i cristiani di ogni tempo.

Alla luce del Nuovo Testamento i Comandamenti non vengono abrogati, tranne quello dell’osservanza del sabato (il giorno dedicato al riposo), che è stato sostituito dall’attuale domenica in onore della resurrezione di Gesù Cristo.

Si sa infatti che, nei primi secoli dell’era cristiana, i polemisti cristiani sostenevano così le loro argomentazioni:

“Voi Giudei celebrate, di sabato, un Signore morto (perché Gesù è rimasto nella tomba da venerdì a domenica); mentre noi cristiani festeggiamo, di domenica, il vivente Signore (perché in questo giorno Egli è risuscitato dai morti)”.

PS: Se al termine del capitolo 6 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura



Capitolo 7




DA CHIBROT-ATTAAVA AD ASEROT




Partirono dal deserto del Sinai e si accamparono a Chibrot-Attaava.
Partirono da Chibrot-Attaava e si accamparono ad Aserot (Numeri 33:16-17).
Nel primo giorno del terzo mese, da quando furono usciti dal paese d'Egitto, i figli d'Israele giunsero al deserto del Sinai.
Partiti da Refidim, giunsero al deserto del Sinai e si accamparono nel deserto; quivi Israele si accampò di fronte al monte
(Esodo 19:1,2).

Da quando lasciarono il deserto del Sinai era trascorso più di un anno:
Il secondo anno, il secondo mese, il ventesimo giorno del mese, la nuvola si alzò sopra il tabernacolo della testimonianza.

I figli d'Israele partirono dal deserto del Sinai, secondo l’ordine fissato per il loro cammino; la nuvola si fermò nel deserto di Paran (Numeri 10:11-12).

Tutto quello che accadde nei pressi del monte Sinai, è descritto minuziosamente nei capitoli 20-40 dell’Esodo, mentre l’evento che si verificò a Chibrot-Attaava è raccontato nel capitolo 11 dei Numeri.

Anche nel capitolo 16 dell’Esodo si parla di quaglie che Dio mandò ad Israele, ma l’episodio diverge in molti aspetti da quello narrato nel libro dei Numeri, per cui qualcuno sostiene che «si riferisce a un’occasione diversa » [Cfr. John D. Hannah, in Investigate le Scritture Antico Testamento, p. 142].

Una precisa disposizione

La partenza dal Sinai avvenne in maniera diversa, rispetto alle altre volte, e segnò l’inizio di un modo nuovo di marciare per Israele.

Il fatto nuovo era costituito dal preciso ordine di marcia che Dio aveva trasmesso a Mosè, sia riguardo al modo di spostamento come al modo di accamparsi.

Quest’ordine di marcia prevedeva quattro grandi raggruppamenti, ciascuno formato da tre tribù, e con una propria bandiera.

Il primo gruppo era formato dalle tribù di Giuda, Issacar e Zabulon, con la loro bandiera, ed erano i primi a mettersi in cammino.

Poi seguiva la bandiera del campo di Ruben, Simeone e Gad. La terza bandiera era quella del campo di Efraim, Manasse e Beniamino, e dovevano muoversi dopo quelli di Ruben.

Infine, seguiva il quarto raggruppamento, formato da Dan, Ascer e Neftali, che costituiva quindi la retroguardia (per i dettagli di questa disposizione divina, (cfr. Numeri 2; 10:11-28).

Per quanto concerne le immagini sugli stendardi dei quattro raggruppamenti, tra gli studiosi non c’è unanimità:

«Alcuni ipotizzano che gli stendardi di una tribù fossero dello stesso colore della pietra preziosa situata nell’efod del sommo sacerdote.
Molti moderni studiosi Ebrei pensano che su ogni stendardo fosse dipinto un qualche stemma che facesse riferimento alla benedizione pronunciata da Giacobbe per quella tribù. Per Giuda c’era un leone, per Dan un serpente, per Neftali una cerva, per Beniamino un lupo, e così via.
Alcuni affermano che i quattro stendardi principali fossero: il leone di Giuda, l’uomo di Ruben, il toro di Giuseppe [e del figlio Efraim] e l’aquila di Dan» [M. Henry, Commentario Biblico, Versione italiana Vol. II, p. 141].

Se questa ipotesi fosse vera, queste bandiere sarebbero in corrispondenza con la visione che ebbe il profeta Ezechiele (1:10) e i quattro esseri viventi dell’Apocalisse di Giovanni (Apocalisse 4:7).

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12/02/2012 02:13

Ricordiamo che Giuda significa lode, quindi è importante che nelle marce del popolo di Dio ci sia la lode e la prima a muoversi.

Quando il nome del Signore viene lodato dal Suo popolo, prima e al disopra di ogni altra cosa, non c’è nemico potente che possa fermare la sua avanzata.

E, comunque, alla testa dei quattro raggruppamenti c’è sempre Dio, pronto a guardarli, a proteggerli e a liberarli da ogni minaccia e pericolo.

Chibrot-Attaava


Il capitolo 11 dei Numeri merita particolare attenzione per comprendere quello che successe a Chibrot-Attaava (“sepolcri della concupiscenza”), cioè l’atteggiamento del popolo verso Mosè e quello che fece il Signore.

Il popolo si lamentò e mormorò a causa della mancanza di carne, e rimpianse la varietà dei cibi che mangiava in Egitto, mentre lì nel deserto non c’era altro che la solita manna.

Anche se aveva un buon sapore di focaccia all’olio (v. 8), nondimeno Israele fu preso dalla concupiscenza che lo indusse a reclamare: Chi ci darà da mangiare della carne? (v. 4). In questo modo il popolo non si rendeva conto che stava disprezzando il cibo che il Signore provvedeva loro ogni giorno.

Dunque, in questo atteggiamento non c’era solo lamentela, malcontento e disprezzo, ma anche ingratitudine verso Dio che li aveva fedelmente sostentati fino a quel giorno.

Ogni forma di lamentela e mormorazione dimostra che non siamo grati al Signore per tutto quello che abbiamo o riceviamo.

Dio non ha mai approvato un simile comportamento ribelle, né da parte di Israele in passato, né da parte del popolo cristiano oggi, perché è contrario al Suo volere e ai Suoi piani.

Quando Mosè sentì che tutte le famiglie piagnucolavano, ognuna all’ingresso della propria tenda, e vide che l’ira del Signore stava divampando, egli ne fu fortemente amareggiato.

Mosè disse al SIGNORE: «Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho trovato grazia agli occhi tuoi, e mi hai messo addosso il carico di tutto questo popolo?
L’ho forse concepito io tutto questo popolo? L’ho forse dato alla luce io, che tu mi dica: “Portalo sul tuo seno”, come la balia porta il bimbo lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri?
Dove prenderei della carne da dare a tutto questo popolo? Poiché piagnucola dietro a me, e dice: “Dacci da mangiare della carne!”.
Io non posso, da solo, portare tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me.
Se mi vuoi trattare così, uccidimi, ti prego; uccidimi, se ho trovato grazia agli occhi tuoi; che io non veda la mia sventura!»
Il SIGNORE disse a Mosè: «Radunami settanta tra gli anziani d'Israele, conosciuti da te come anziani del popolo e come persone autorevoli; conducili alla tenda di convegno e vi si presentino con te.
Io scenderò e lì parlerò con te; prenderò lo Spirito che è su te e lo metterò su di loro, perché portino con te il carico del popolo e tu non lo porti più da solo
(Numeri 11:11-17).

Dopo lo sfogo di Mosè, per il gran peso costretto a portare da solo, il Signore gli disse di nominare settanta persone come aiutanti, che avrebbero dovuto portare con lui il peso di tutto il popolo.

Ma rimaneva il problema della richiesta di carne e Mosè non sapeva come risolverlo; così il Signore volle rassicurarlo che avrebbe provveduto carne in abbondanza:

Ne mangerete, non per un giorno, non per due giorni, non per cinque giorni, non per dieci giorni, non per venti giorni,
ma per un mese intero, finché vi esca dalle narici e ne proviate nausea, poiché avete respinto il SIGNORE che è in mezzo a voi e avete pianto davanti a lui, dicendo: “Perché mai siamo usciti dall'Egitto?”»
(vv. 19-20).

Davanti a una simile promessa, Mosè fece i conti e vacillò nella fede:

Mosè disse: «Questo popolo, in mezzo al quale mi trovo, conta seicentomila adulti, e tu hai detto: “Io darò loro della carne e ne mangeranno per un mese intero!”.
Scanneranno per loro greggi e armenti in modo che ne abbiano abbastanza? Raduneranno per loro tutto il pesce del mare in modo che ne abbiano abbastanza?»
Il SIGNORE rispose a Mosè: «La mano del SIGNORE è forse accorciata? Ora vedrai se la parola che ti ho detto si adempirà o no»
(vv. 21-23).

Qualcuno si può sorprendere che Mosè abbia potuto parlare in questo modo; lui che conosceva in prima persona le grandi opere che Dio aveva fatto per Israele e sapeva che non c’erano cose impossibili al Signore.

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14/02/2012 00:15

Ma dobbiamo tenere presente che Mosè non era un angelo calato dal cielo: era un essere umano come noi, con le sue debolezze, nonostante avesse ricevuto dal Signore una grande responsabilità.

Questo serve a farci comprendere che anche i grandi uomini di Dio possono vacillare e scivolare lungo la china del scetticismo.

L’atteggiamento di Mosè fu meno grave di quello assunto dal popolo d’Israele, tuttavia non può essere giustificato per nessun motivo.
Il popolo mormorava perché non comprendeva chi avrebbe potuto dar loro a mangiare la carne; Mosè invece credeva in Dio, ma non riusciva a spiegarsi come avrebbe fatto a dar da mangiare carne a tutto il popolo, per un mese intero.

Mosè non era solamente il capo del popolo, ma aveva anche una relazione personale con il Signore e conosceva la Sua potenza non “per sentito dire”.

Quindi, le sue parole non solo rivelano mancanza di fede ma anche di discernimento, poiché dipingono Dio come se fosse un essere limitato non sapendo quello che diceva e senza conoscere l’entità numerica degli Israeliti.

Ma Dio, che è grandemente benigno e misericordioso, volle manifestare ancora una volta la Sua divina potenza. Il vento che risolse il problema si levò per ordine Suo:

Un vento si levò, per ordine del SIGNORE, e portò delle quaglie dalla parte del mare e le fece cadere presso l'accampamento sulla distesa di circa una giornata di cammino da un lato e una giornata di cammino dall'altro intorno all'accampamento, e a un'altezza di circa due cubiti sulla superficie del suolo.
Il popolo si alzò e tutto quel giorno e tutta la notte e tutto il giorno seguente raccolse le quaglie. Chi ne raccolse meno ne ebbe dieci omer; e le distesero tutto intorno all'accampamento
(vv. 31,32).

Solo Dio, col Suo potere illimitato, poteva fare una cosa del genere. Le cose impossibili all’uomo sono possibili a Dio e, indirettamente, anche a chi crede in Lui (cfr. Marco 9:23).

L’insegnamento che ogni cristiano dovrebbe ricavare da quest'episodio, riguarda l’atteggiamento che assumiamo davanti a certe situazioni della vita.

Quando non crediamo a quello che Dio può fare, non facciamo che denigrare la Sua onnipotenza e, di conseguenza, rischiamo di perdere la benedizione divina (che costituisce la nostra maggiore ricchezza, cfr. Proverbi 10:22).

Che ognuno di noi sappia “far tesoro” nel proprio cuore, di questa preziosa verità!

Aserot


Da Chibrot-Attaava il popolo partì per Aserot, e a Aserot si fermò (v. 35).

Quello che accadde a Aserot (che significa “accampamenti”), è narrato nel capitolo successivo (Numeri 12), tutto dedicato alle contestazioni fatte a Mosè da Aaronne e Miriam, fratello e sorella di lui.

Sembra incredibile come abbiano potuto assumere un atteggiamento così ostile nei confronti del fratello, e tutta la questione era imperniata sul fatto che Mosè aveva sposato una donna etiope!

L’intervento di Dio in favore del Suo servo Mosè mirava a mettere in risalto la gravità delle parole di Aaronne e Miriam contro Mosè. A volte noi pensiamo che parlare contro i servi di Dio sia lecito e innocuo, al punto che non ci facciamo neppure caso. Non è così davanti a Dio.

Colui che ha scelto Mosè e lo ha investito della Sua autorità prende le sue difese, non tanto per giustificare il secondo matrimonio, quanto per salvaguardare l’importanza e l’onorabilità del ministero.

Le parole usate da Aaronne e Miriam sono abbastanza sfrontate e orgogliose:
«Il SIGNORE ha parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?». E il SIGNORE lo udì (12:2).

Oltre a parlare contro Mosè, essi cercarono di mettere in evidenza la loro rispettabilità e il loro ministero, a discredito del fratello, con lo stesso spirito religioso del fariseo del Vangelo (cfr. Luca 18:10-14).

Spesso, quando si cerca di denigrare l’onorabilità di un altro per mettere in risalto la propria, in realtà si sta disprezzando il dono che Dio ha dato agli altri.

A questo punto, Dio ordina a Mosè, Aaronne e Miriam di comparire davanti a Lui, perché vuol mostrare a tutti, non solo ai due contestatori, chi è il prescelto.

Stabilire la differenza tra il valore di uno o dell’altro non spetta all’uomo (che spesso è tentato di fare delle preferenze, perché schiavo dei suoi pregiudizi), ma a Dio, il conoscitore per eccellenza dei segreti del cuore.

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15/02/2012 00:08

Questa è la Sua sentenza:
Se vi è tra di voi qualche profeta, io, il SIGNORE, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno.
Non così con il mio servo Mosè, che è fedele in tutta la mia casa.
Con lui io parlo a tu per tu, con chiarezza, e non per via di enigmi; ed egli vede la sembianza del SIGNORE. Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?
L'ira del SIGNORE si accese contro di loro, ed egli se ne andò,
e la nuvola si ritirò di sopra alla tenda; ed ecco Maria era lebbrosa, bianca come neve; Aaronne guardò Maria, e vide che era lebbrosa
(vv. 7-10).

Vedendo sua sorella Miriam lebbrosa e bianca come neve, Aaronne riconobbe di aver peccato e di aver agito stoltamente, e invocò subito l’intervento di Mosè chiamandolo signor mio, affinché la sorella non rimanesse come un bimbo nato morto, la cui carne è già mezzo consumata quando esce dal grembo materno (v. 12)!

Il racconto si conclude con Mosè che pregò il Signore, perché Miriam venisse guarita. Il Signore esaudì benevolmente quella preghiera, ma Miriam dovette rimanere isolata fuori dell’accampamento per sette giorni, prima d’esservi riammessa (vv. 13-15).

Questa storia c'insegna che anche oggi Dio non approva l’atteggiamento di chi critica i Suoi servi, anzi, lo condanna e lo punisce severamente.

Inoltre, dobbiamo imparare a non vendicarci ma essere compassionevoli e misericordiosi verso tutti (come Mosè), anche verso chi, nascondendosi dietro il paravento della religiosità, diffama e denigra la dignità di un ministro di Dio.

PS: Se al termine del capitolo 7 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura



Capitolo 8




NEL DESERTO DI PARAN




Poi il popolo partì da Aserot e si accampò nel deserto di Paran (Numeri 12:16).

Israele rimase nel deserto di Paran per molto tempo, esattamente trentotto anni:

...finché tutta quella generazione degli uomini d’arma scomparve interamente dall'accampamento, come il SIGNORE aveva loro giurato (Deuteronomio 2:14).

Come già detto nell’Introduzione, il capitolo 33 dei Numeri si limita a nominare tanti luoghi dove il popolo si accampò durante la lunga permanenza nel deserto di Paran, senza specificare quello che vi accadde.

Invece, in altre parti dello stesso libro, sono descritti quegli eventi particolari e significativi che ebbero un peso determinante nel cammino del popolo d’Israele.

Il presente capitolo è dedicato ad alcuni di questi eventi particolari, che ci forniranno anche spunti di riflessione per la vita cristiana.

Gli esploratori

La località da cui partirono gli esploratori per la terra promessa fu Cades-Barnea.

«Poi partimmo da Oreb e attraversammo tutto quel grande e spaventevole deserto che avete visto, dirigendoci verso la regione montuosa degli Amorei, come il SIGNORE, il nostro Dio, ci aveva ordinato di fare, e giungemmo a Cades-Barnea.
Allora vi dissi: «Siete arrivati nella regione montuosa degli Amorei, che il SIGNORE, il nostro Dio, ci dà.
Ecco, il SIGNORE, il tuo Dio, ha messo davanti a te il paese; Sali, prendine possesso, come il SIGNORE, il Dio dei tuoi padri, ti ha detto; non temere e non ti spaventare».
E voi tutti vi avvicinaste a me e diceste: «Mandiamo degli uomini davanti a noi, che ci esplorino il paese, ci riferiscano qualcosa sulla strada che dovremo percorrere e sulle città alle quali dovremo arrivare»
(Deuteronomio 1:19-22).

Guardando il tracciato sulla carta geografica si può chiaramente vedere che Israele, già due anni dopo l’uscita dal paese di Egitto, arrivò quasi al limite della terra promessa. Bastava solo prenderne possesso, come Dio aveva detto.

Ma a questo punto sorse un grosso problema in mezzo al popolo che lo indusse a tornare indietro e a girovagare nel deserto di Paran per ben trentotto anni. I capitoli 13 e 14 dei Numeri ci descrivono con dovizia di particolari come si svolsero le cose.

Stando a quello che afferma il libro dei Numeri, il Signore ordinò a Mosè di mandare degli esploratori nella terra di Canaan, indicandone anche il numero e la provenienza:

Il SIGNORE disse a Mosè:
«Manda degli uomini a esplorare il paese di Canaan che io do ai figli d'Israele. Mandate un uomo per ogni tribù dei loro padri; siano tutti loro capi» (Numeri 13:1-2).

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16/02/2012 00:09

Il nome delle persone che composero la spedizione e gli incarichi di ognuno si trova in Numeri 13:4-16.
Inoltre Mosè, nel mandarli, aggiunse precise istruzioni. Essi dovevano verificare:

1) com'era il paese, se il popolo che l’abitava era forte o debole, esiguo o numeroso;
2) se il territorio era buono o cattivo, com'erano le città e se vivevano in luoghi fortificati;
3) se la terra era grassa o magra e se vi erano alberi;
Infine, gli esploratori furono esortati a comportarsi in modo coraggioso e a tornare con alcuni frutti del paese (vv. 18-20).

Il resoconto


Terminato il giro d’esplorazione, che durò quaranta giorni, gli inviati ritornarono con:

…un grappolo d’uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche delle melagrane e dei fichi (13:23).

Il rapporto che fecero davanti a Mosè, Aaronne e a tutta la comunità fu piuttosto negativo, in quanto, pur avendo portato dei buoni frutti da quel paese, riferirono anche elementi scoraggianti:

Fecero il loro racconto, e dissero: «Noi arrivammo nel paese dove tu ci mandasti, ed è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ed ecco alcuni suoi frutti.
Però, il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e grandissime, e vi abbiamo anche visto dei figli di Anac.
Gli Amalechiti abitano la parte meridionale del paese; gli Ittiti, i Gebusei e gli Amorei, la regione montuosa; e i Cananei abitano presso il mare e lungo il Giordano».
Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè, e disse: «Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo».
Ma gli uomini che vi erano andati con lui, dissero: «Noi non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi».
E screditarono presso i figli d'Israele il paese che avevano esplorato, dicendo: «Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo vista, è gente di alta statura;
e vi abbiamo visto i giganti, figli di Anac, della razza dei giganti. Di fronte a loro ci pareva di essere cavallette; e tali sembravamo a loro»
(Numeri 13:27-33).

Il rapporto comincia con l’affermazione che è davvero un paese dove scorre il latte e il miele, ma quello che segue (l’accenno alle città fortificate e grandissime, alla gente più forte di noi e ai giganti) compromette tutto il quadro d’insieme e li porta a concludere addirittura che è un paese che divora i suoi abitanti.

Il detto della Scrittura: ale più la fine di una cosa, che il suo principio; e lo spirito paziente vale più dello spirito altero (Ecclesiaste 7:8) è vero e si può applicare a qualsiasi situazione.

Le belle parole iniziali risultano inutili se il discorso si conclude con ragionamenti opposti e le migliori iniziative, pur condotte con entusiasmo e zelo, perdono tutta la loro efficacia quando poi subentrano incertezza e paure.

Non serve a niente affermare che nella terra di Canaan scorre il latte e il miele, quando poi si vuol dare risalto al pericolo di essere divorati da quello stesso paese.

Le dodici spie che esplorarono il paese di Canaan si dividevano in due gruppi: da una parte dieci uomini e dall’altra due, cioè Giosuè e Caleb. La differenza tra questi due gruppi è notevole.

Tutti videro le stesse cose, ma non le valutarono nella stessa maniera. La gente potente, le città fortificate e i giganti, per i dieci costituivano pericoli seri e insormontabili; al contrario, per Giosuè e Caleb tutto ciò si poteva affrontare e superare.

In che consisteva dunque la differenza?
I primi basavano i loro calcoli sul punto di vista umano, sulle capacità e le forze di cui disponevano; invece i secondi non facevano affidamento su sé stessi, ma valutavano le cose dal punto di vista della fede e confidavano in Dio, l'Alleato ideale per prendere possesso della terra promessa.

La vera fede non si basa sulle possibilità umane, ma su quello che Dio è in grado di fare.

Se considerassimo i nostri problemi con questa prospettiva (che è la sola esatta e sicur, non ci sarebbe motivo di dubitare e temere. Le situazioni difficili, le lotte impossibili e i temibili giganti che si ergono davanti a noi si possono affrontare e vincere solo guardando al Signore e dipendendo da Lui.

Dunque, Giosuè e Caleb fecero le loro valutazioni confidando in Dio e nelle Sue possibilità, e di conseguenza si espressero in maniera ben diversa degli altri.

Protesta e dietro-front del popolo

Dopo aver ascoltato il rapporto dei dieci esploratori, scoppiò una vera sommossa tra il popolo, che cominciò a mormorare contro Mosè ed Aaronne, dichiarando apertamente l’intenzione di ritornare in Egitto.

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17/02/2012 00:10

Allora tutta la comunità gridò di sgomento e alzò la voce; e il popolo pianse tutta quella notte.
Tutti i figli d’Israele mormorarono contro Mosè e contro Aaronne, e tutta la comunità disse loro: «Fossimo pur morti nel paese d’Egitto! O fossimo pur morti in questo deserto!
Perché il SIGNORE ci conduce in quel paese dove cadremo per la spada? Là le nostre mogli e i nostri bambini diventeranno preda del nemico. Non sarebbe meglio per noi ritornare in Egitto?».
E si dissero l’un l’altro: «Nominiamoci un capo, torniamo in Egitto!»
(14:1-4).

In tutte le mormorazioni che gli Israeliti avevano fatto in passato (per la mancanza di acqua, di cibo e di carne, non avevano mai espresso la volontà di ritornare in Egitto, come questa volta.

Da quello che si evince dal capitolo quattordici dei Numeri, possiamo rispondere che erano veramente determinati a farlo.

È in questa ottica che va interpretato il gesto di Mosè e d’Aaronne, i quali si prostrarono a terra davanti a tutta la comunità riunita dei figli d’Israele (v. 5).

L’ira del Signore stava per accendersi contro il popolo per distruggerli, perciò Giosuè e Caleb fecero il possibile per calmare gli animi inaspriti e portare serenità e fiducia in mezzo alla comunità d’Israele (cfr. 13:30; 14:6-9).
Ma questi tentativi non ebbero buon esito, perché la popolazione addirittura parlò di lapidarli (v. 10).

Mosè, uomo di straordinaria sensibilità, rendendosi conto che il Signore voleva davvero distruggere il popolo, innalzò una preghiera speciale al Signore, in loro favore.

E Mosè disse al SIGNORE: «Ma lo verranno a sapere gli abitanti dell’Egitto, da cui tu hai fatto uscire questo popolo per la tua potenza,
e la cosa sarà risaputa dagli abitanti di questo paese. Essi hanno udito che tu, o SIGNORE, sei in mezzo a questo popolo e gli appari faccia a faccia, che la tua nuvola si ferma sopra di loro e che cammini davanti a loro di giorno in una colonna di nuvola, e di notte in una colonna di fuoco.
Ora, se fai perire questo popolo come un sol uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno:
“Il SIGNORE non è stato capace di fare entrare questo popolo nel paese che aveva giurato di dargli, perciò li ha scannati nel deserto”.
Ora si mostri, ti prego, la potenza del SIGNORE nella sua grandezza, come tu hai promesso dicendo:
“Il SIGNORE è lento all’ira e grande in bontà; egli perdona l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione”.
Perdona, ti prego, l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui»
(vv. 13-19).

Il Signore esaudì la preghiera di Mosè, ma sentenziò la morte di tutta quella generazione e il prolungamento del soggiorno nel deserto.
Così dovettero tornare indietro, seguire un tracciato diverso per arrivare nella terra promessa e morirono tutti nel deserto, tranne Giosuè e Caleb.

Cinque riflessioni


L’episodio appena esaminato ci fornisce vari motivi per una seria e serena riflessione cristiana.

Dio aveva stabilito chiaramente che i componenti della spedizione dovevano essere tutti capi dei figli d'Israele (13:2), quindi non persone comuni.

Si sa che i capi vengono considerati in maniera diversa, rispetto agli altri; ma proprio in virtù della carica che rivestono e della rispettabilità di cui godono, sono legati a precise responsabilità, che non riguardano semplicemente la loro persona, ma tutti coloro che sono ad essi sottoposti. Perciò, il modo di parlare e di operare dei capi ha sempre ripercussioni nella vita di tante persone.
Fatto questo preambolo, entriamo nel vivo delle nostre cinque riflessioni:

1) I capi (soprattutto religiosi) hanno alle spalle un popolo che li segue e, a seconda della direzione che prendono, influenzano positivamente o negativamente questa gente.

Se la comunità d’Israele disprezzò la terra di Canaan e si rivoltò contro Mosè ed Aaronne, al punto di volere addirittura ritornare in Egitto, fu per l’influenza negativa esercitata su di loro dai capi.

Il rapporto di questi capi-esploratori (eccezion fatta per Giosuè e Caleb fu il risultato di un'errata valutazione di quello che videro e del loro netto rifiuto di andare a prendere possesso di Canaan.
Essi non credettero che il Signore li avrebbe aiutati a superare le difficoltà e i giganti che popolavano quella terra e così affermarono:

Noi, ...non siamo capaci di salire contro questo popolo, perché è più forte di noi.
Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo, è una paese che divora i suoi abitanti
(13:31,32).

Se i capi non credono a quello che il Signore dice nella Sua Parola, come potranno incoraggiare il popolo a credere alle promesse di Dio? Se essi valutano le circostanze avverse da un punto di vista carnale, come potranno pretendere che quelli che li seguono le guardino con lo sguardo della fede?

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18/02/2012 00:07

Se i capi hanno paura di affrontare le situazioni difficili e pensano di perdere la battaglia, come potranno trasmettere fiducia e forza agli altri?

Sul campo di battaglia i paurosi (soprattutto se sono capi) scoraggiano chi vuol battersi col nemico.

Come consiglia la Parola di Dio è meglio, per loro e per gli altri, che chiunque ha paura e trema se ne torni indietro (cioè “a casa”, Giudici 7:3). Infatti, la loro influenza può facilmente causare sbandamenti pericolosi, sviamenti e mormorazioni contro Dio.

Voglia il Signore che i leaders religiosi diano sempre un buon esempio di fedeltà, ubbidienza, sottomissione al volere divino e soprattutto sappiano mantenere fermezza e fede in Dio e nella Sua Parola.

2) Gli esploratori erano dodici e tutti videro le stesse cose. Come mai, allora, il rapporto non fu unanime? Perché dalle loro affermazioni emerge la loro interpretazione diversa di ciò che avevano visto.
I dieci (la stragrande maggioranza rispetto alla minoranza di solo 2) nel vedere le città fortificate, la gente forte e soprattutto i giganti, si sentivano come minuscole cavallette (13:33).

Essi si limitarono a paragonare gli ostacoli con sé stessi e con le limitate possibilità degli Israeliti, e si persuasero che non era consigliabile tentare quell’impresa, ai loro occhi essa era già fallita in partenza.

La loro valutazione dei fatti rispondeva a verità, umanamente parlando? Gli Israeliti maschi non erano 600.000? Anche senza prendere in considerazione la potenza di Dio, perché tanta paura e tanta esitazione?

Invece Giosuè e Caleb, pur tenendo presente gli stessi problemi, vedevano nella fede in Dio e nel Suo potere la chiave di volta per l’esito positivo di tutta la faccenda. Le loro parole: Saliamo pure e conquistiamo il paese, perché possiamo riuscirci benissimo (13:30), non furono dettate da fanatismo o da cieca esaltazione, ma dalla certezza che con Dio tutto sarebbe andato per il meglio. Infatti, leggiamo che:

Giosuè, figlio di Nun, e Caleb, figlio di Gefunne, che erano tra quelli che avevano esplorato il paese, si stracciarono le vesti
e parlarono così a tutta la comunità dei figli d’Israele dicendo: «Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese buono, molto buono.
Se il SIGNORE ci è favorevole, ci farà entrare in quel paese e ce lo darà: è un paese dove scorre il latte e il miele.
Soltanto, non vi ribellate al SIGNORE e non abbiate paura del popolo di quel paese, poiché ne faremo nostro pascolo; l’ombra che li proteggeva si è ritirata, e il SIGNORE è con noi; non li temete»
(14:6-9).

Dal loro modo d’esprimersi appare chiaro che non erano animati da irrazionale fanatismo, ma da sincera fede in Dio, fede che li portava a fare una valutazione diversa di tutto il problema.

Spesso si guardano i problemi della vita con una lente d'ingrandimento che li fa apparire più grandi di quanto non siano.

Se invece li guardassimo con gli occhi della fede, ci accorgeremmo che non sono affatto insormontabili, ma che possono essere facilmente superati.
Ricordiamoci che se i problemi sono grandi per le nostre capacità, non saranno mai abbastanza grandi per il nostro Dio onnipotente.

I dieci esploratori simboleggiano tutti quelli che guardano le cose dal punto di vista della carne e li misurano col metro della logica umana; mentre Giosuè e Caleb rappresentano tutti quelli che hanno fede in Dio e ne hanno fatto il vero punto di riferimento per ogni problema.

Questi ultimi non si muovono solo sulla base di ciò che vedono, ma si confidano in Colui che chiama le cose che non sono come se fossero (Romani 4:17, N.Diodati).

Prima essi affermano, sicuri di non essere smentiti, che con Dio si è sempre vittoriosi e poi sperimentano la veridicità della Parola di Dio.

3) Il nostro modo di parlare rivela quasi sempre la valutazione che abbiamo di una cosa o di una persona. I dieci esploratori, nel rapporto che fecero a Mosè e alla comunità d’Israele, usarono parole che rivelavano cosa pensavano del paese di Canaan.

Un parlare dubbioso, composto di frasi come: “Forse le cose andranno così... Chissà se ci riusciremo... Non è detto che ce la faremo...”, rivela incertezze che, nel regno dello Spirito, costituiscono autentiche barriere che vanno a frapporsi tra l’uomo e Dio.

Quanto è diverso invece il linguaggio della fede:
Dio è per noi un rifugio ed una forza, un aiuto sempre pronto nelle difficoltà (Salmo 46:1);

So che Dio è per me (Salmo 56:9);

...so in chi ho creduto, e sono convinto che egli ha il potere di custodire il mio deposito fino a quel giorno (2 Timoteo 1:12).

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19/02/2012 00:07

Le parole dei dieci esploratori (…non possiamo salire contro questo popolo v. 31) instillarono nella gente che li ascoltava lo scontento, l’incertezza e la paura.

Dobbiamo fare molta attenzione al nostro modo di parlare, altrimenti possiamo danneggiare la vita degli altri e precludere la via di accesso alle benedizioni divine.

4) Nella terra di Canaan scorreva il latte e il miele e c’era abbondanza di frutti deliziosi di prima qualità, a dimostrazione del fatto che effettivamente era un paese buono, molto buono (Numeri 14:7), vedi anche Numeri 13:23,27.

Ma c’erano anche città fortificate e giganti che, al solo vederli, incutevano paura.
Che cosa vuol dire tutto questo? È una pura coincidenza? Crediamo di no e questo ci dà lo spunto per un’altra riflessione.

Fin dai tempi di Abrahamo e poi d'Isacco e di Giacobbe, a varie riprese, Dio promise di concedere in eredità alla loro discendenza il paese di Canaan.

Quando fece loro questa promessa non specificò che in quel paese ci sarebbe stato il latte e il miele.
Lo rivelò solo tempo dopo, a Mosè, quando gli apparve a Oreb nel roveto ardente per affidargli la missione di liberazione:

Il SIGNORE disse: «Ho visto, l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il suo grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni.
Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Perezei, gli Ivvei e i Gebusei
(Esodo 3:7-8, promessa ripetuta in 33:3).

Quindi Mosè sapeva, prima ancora di inviare gli esploratori in Canaan, che vi avrebbero trovato latte e miele, e la conferma venne dal loro resoconto.

Il latte e il miele sono due sostanze alimentari di alto contenuto nutritivo, adatte a tutte le persone, dai primi attimi di vita fino alla vecchiaia.

L’apostolo Paolo parla del latte come un alimento prevalentemente per i bambini (mentre chi è più cresciuto spiritualmente si nutre di cibo solido, (1 Corinzi 3:1-2); ma, come spiega l’apostolo Pietro, è per mezzo del latte che si cresce (1 Pietro 2:2).

Il miele, invece, viene usato come condimento per addolcire e ci parla della bontà del Signore, che addolcisce le amarezze dell’anima (Proverbi 16:24)

L’espressione verbale usata nel testo biblico (scorre, e non “gocciola” o “stilla”) denota abbondanza. Nella terra promessa da Dio c’è abbondanza di cibo che ci fa crescere e di miele che ci addolcisce.

Canaan è figura del cielo, di un luogo spazioso e di eterna felicità; inoltre, essendo collocata al termine del lungo deserto e dopo il passaggio del fiume Giordano, è simbolo della fine del terrestre pellegrinaggio; infine, è simbolo delle ricchezze, delle benedizioni divine e di tutte le gioie dello Spirito Santo che Dio dona al credente durante la sua vita terrena.

Potrebbe sembrare strano che là dove scorre il latte e il miele ci siano anche fortezze e giganti che incutono paura.

Ma, quando in mezzo alle benedizioni divine e alle gioie dello Spirito Santo ci sono ostacoli e nemici, questo serve a spronare la nostra fede a confidare e sperare nel nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo.

Nessuna fortezza sarà abbattuta e nessun gigante verrà sconfitto se non esercitiamo la fede nell’Iddio onnipotente.

Quindi, nella terra di Canaan, oltre a dolcezze e benedizioni ci sono potenti nemici che servono a farci sperimentare il potere divino, per poi cantare l’inno trionfale della vittoria in Cristo Gesù. A Lui la gloria!

5) L’ultima considerazione si riferisce al fatto che i dieci esploratori che fecero un rapporto negativo sulla terra di Canaan perirono nel deserto e perciò videro la terra promessa ma non la possedettero.

La stessa sorte toccò a tutti quelli che credettero a loro anziché a Dio.
L’incredulità e le mormorazioni contro Dio, possono escludere anche noi dalle promesse di Dio, e sono un monito severo per chiunque si incammina sullo stesso sentiero.

Al contrario, Giosuè e Caleb credettero a quello che Dio aveva promesso, entrarono e si impossessarono del paese di Canaan.

Il primo perché si mise con coraggio alla testa di quel popolo, che secondo i dieci esploratori doveva essere divorato dagli abitanti di Canaan, e lo portò alla vittoria.

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21/02/2012 00:46

E il secondo perché, come testimonia Dio stesso: …è stato animato da un altro spirito e mi ha seguito pienamente (Numeri 14:24).

Imitiamo l’esempio di Giosuè e Caleb e saremo sicuramente premiati da Colui che sa dare sempre le giuste ricompense (cfr. Ebrei 11:6). Amen!

PS: Se al termine del capitolo 8 ci sono domande da fare, fatele liberamente e saremo felici di rispondere


Capitolo 9




IL DESERTO DI SIN E CADES




Il racconto relativo alla sosta a Cades (che significa “consacrato”), nel deserto di Sin, si trova nel capitolo venti dei Numeri.
In questo luogo i figli d’Israele arrivarono nel primo mese e qui morì e fu seppellita Miriam, sorella di Aaronne (v. 1).

La profetessa Miriam

Di Miriam si parla in Esodo 15:20-21, in occasione del canto trionfale innalzato da Israele, dopo la traversata del Mar Rosso.
In quella circostanza Miriam non solo viene presentata come una donna che ne guida altre nel canto e nella danza, al suono dei tamburelli, ma viene anche indicata col titolo di profetessa.
Di questo suo ministero non sappiamo nulla perché il sacro testo non ce ne parla. Miriam è la prima donna che nella Bibbia viene presentata col titolo di profetessa.

Per comprendere se Miriam aveva gli stessi compiti che generalmente si attribuiscono ai profeti maschi, sarà opportuno esaminare i testi successivi della Bibbia in cui si parla di donne che hanno lo stesso titolo.
Dall’esame di questi testi riteniamo che emerga una notevole differenza.

Le donne che nella Bibbia vengono chiamate ‘profetesse’, sono: Debora (Giudici 4:4), Culda (2 Re 22:14; 2 Cronache 34:22), Noadia (Nehemia 6:14) e la moglie d'Isaia (Isaia 8:3).

A proposito di quest’ultima, qualcuno pensa che sia stata chiamata profetessa: «…o perché era sposata con un profeta o perché aveva la capacità, data da Dio, di profetizzare. Quest’ultima ipotesi sembra più probabile» [John Hannah, Investigate le Scritture Antico Testamento, p.104].

Infine nel N.T. troviamo Anna, figlia di Fanuel (Luca 2:36), e poi si accenna a una certa Iezabel che si dice profetessa, ma che in effetti non lo era (Apocalisse 2:20).

Di tutte queste donne, solo a Miriam non vengono attribuite profezie o messaggi divini.

Come già visto, sappiamo solo che fu la guida di altre donne nel canto e nella danza, dopo la grande liberazione che il Signore aveva dato ad Israele.

Questa sua iniziativa, che più tardi verrà imitata da altre donne in Israele (1 Samuele 18:6), sicuramente fu ispirata dallo Spirito del Signore.

Questo è il solo elemento che giustifica il titolo di profetessa e, d’altronde, “profeta” significa semplicemente persona che parla da parte di Dio e non necessariamente “predicatore” della Parola del Signore.

Secondo Noth:
«…con questo termine (profetess presumibilmente si vuole indicare come ”estatica”; infatti, estasi e canto (cultual erano strettamente uniti nell’antico Israele (cfr. 1 Samuele 10:5,6) » [Martin Noth, Esodo, p. 152].

«Poiché Mosè, ai tempi dell’Esodo (Esodo 7:7), aveva ottanta anni ed Aaronne ottantatrè, Miriam ne aveva probamente novanta, dato che era una ragazzina quando Mosè nacque (2:4,7-9) » [John Hannah, InInvestigate le Scritture Antico Testamento, p. 141].

Invece, di Anna, la figlia di Fanuel del Nuovo Testamento, ci viene detto chiaramente che quando Maria e Giuseppe portarono nel tempio il bambino Gesù:

…lodava Dio e parlava di quel bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione in Gerusalemme (Luca 2:38).

Di uomini che hanno il titolo di profeta, ma che non hanno mai propriamente “profetizzato”, nel senso che non sono stati messaggeri o interpreti della Parola del Signore, abbiamo: Abrahamo (Genesi 20:7) ed Aaronne (Esodo 7:1).

Abrahamo viene chiamato profeta sicuramente a proposito dell'intercessione che fece per il re Abimelec.

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22/02/2012 00:11

Per quanto riguarda Aaronne, il titolo di profeta si riferiva al fatto che è stato l'interprete di tutto quello che Dio ha detto a Mosè, suo fratello, davanti al popolo d’Israele soprattutto davanti al faraone.

Infine, anche Noè potrebbe essere considerato un profeta, se gli applichiamo l’affermazione di Amos 3:7: Poiché, il Signore, Dio, non fa nulla senza rivelare il suo segreto ai suoi servi, i profeti.

Ma non esistono testi espliciti nella Bibbia che ci consentano di includere quest'antico patriarca nel novero dei profeti.

La mancanza d’acqua


Ancora una volta il popolo si lamenta con Mosè per la mancanza di acqua. La contesa nasce tra gli Israeliti, da una parte, e da Aaronne e Mosè, dall’altra, e porta i primi a formulare una pesante accusa nei confronti dei secondi.

A sentir loro, sarebbe stato meglio che i figli d’Israele fossero morti assieme ai loro fratelli anziché morire nel deserto per mancanza di acqua.
E se la comunità si trovava a vivere nel deserto la colpa era di Aaronne e Mosè, che avevano deciso di condurli là.

Affermare una cosa simile equivaleva a ignorare completamente che era stato Dio a guidare gli Israeliti ed equivaleva a considerarlo estraneo a tutta la faccenda, per addossare ogni responsabilità su Aaronne e Mosè.

Se erano nel deserto non era per una scelta umana ma perché Dio, nella Sua sovranità, l’aveva deciso in risposta all’incredulità del popolo, quando si era rifiutato di salire nel paese di Canaan.

Tante volte è duro accettare le pesanti conseguenze di errate scelte e decisioni: è molto più facile scaricare su altri la responsabilità e la colpa, cercando di apparire come innocenti.

Inoltre, affermare che erano stati Mosè ed Aaronne a far salire dall’Egitto la comunità d’Israele (v. 5) equivaleva anche a disprezzare l’evidente intervento dell’Onnipotente, visto che era stato il Suo braccio steso a tirarli fuori da quella fornace ardente.

Aggravati dalle aspre critiche del popolo e dalla situazione imbarazzante in cui si erano venuti a trovare, Mosè ed Aaronne si allontanarono dalla folla, si recarono all’ingresso della tenda di convegno e, prostrandosi faccia a terra, cercarono l’aiuto del Signore.

Il peccato di Mosè e di Aaronne

Dio risponde sempre a chi si rivolge a Lui in cerca di aiuto.
Il SIGNORE disse a Mosè:
«Prendi il bastone; tu e tuo fratello Aaronne convocate la comunità e parlate a quella roccia, in loro presenza, ed essa darà la sua acqua; tu farai sgorgare per loro acqua dalla roccia e darai da bere alla comunità e al suo bestiame»
(Numeri 20:7-8).

L’ordine dato da Dio è preciso e circostanziato:
1) Mosè doveva prendere il suo bastone,
2) lui ed Aaronne dovevano convocare la comunità,
3) davanti a tutti dovevano parlare alla roccia, e ne sarebbe uscita l’acqua per loro e il loro bestiame.

Un comando divino non può essere modificato in nessuna delle sue componenti, se non si vuole rischiare di perdere la sua efficacia e di rendersi colpevoli di trasgressione della Parola di Dio.Si adatta bene a questo contesto il versetto biblico: Tu hai dato i tuoi precetti perché siano osservati con cura (Salmo 119:4).

Inoltre, questo comando rappresentava la risposta alla richiesta di aiuto che essi stessi avevano avanzato al Signore per il problema della mancanza di acqua.

Per quanto riguardava i primi due punti, questi vennero messi in pratica con grande scrupolo: Mosè ed Aaronne presero il bastone e convocarono il popolo in un’assemblea straordinaria, esattamente come il Signore aveva ordinato.

Non possiamo però affermare lo stesso del terzo comando divino, che venne arbitrariamente disatteso.

Dio non aveva ordinato di parlare al popolo, ma alla roccia, e non aveva autorizzato Mosè a definirli ribelli (v. 10), anche se lo avrebbero meritato.
Da ciò si deduce che Mosè, in questa circostanza, non riuscì a controllarsi e non si comportò con mansuetudine, come altre volte e come lo richiedeva la sua responsabilità.

Quest'elemento dev’essere preso in seria considerazione da quelli che occupano posizioni di responsabilità, e costituisce un serio richiamo all’autocontrollo. Più è elevata una carica, maggiore è la responsabilità che essa comporta, e maggiore è il rischio che, davanti a certe situazioni, il leader perda il controllo davanti a critiche e reazioni negative, per cadere nell’ira e nell’intolleranza.

Mosè, era stato scelto da Dio stesso per l’importante carica di conduttore di un popolo così numeroso e aveva un rapporto di particolare intimità con il Signore, ma si lasciò ugualmente vincere da un impulso carnale, che lo portò a dire, davanti a tutti: faremo uscire per voi acqua da questa roccia? (v. 10).

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23/02/2012 00:07

Non aveva detto il Signore che i suoi due servitori dovevano solo parlare alla roccia e da lei sarebbe uscita dell’acqua?

Dal modo con cui si espresse si deduce che Mosè non era calmo e sereno, anzi, si era fortemente stizzito per l’affronto subito quando la comunità l’aveva voluto contestare.

Il bastone che Dio gli aveva ordinato di prendere non avrebbe dovuto percuotere la roccia; era solo un segno dell’autorità che il Signore aveva messo nella sua mano. In altre parole, Mosè non avrebbe dovuto agire con la sua autorità, ma con quella divina che Dio stesso gli aveva conferito.

Dio gli aveva ordinato solo di tenere il bastone in mano e di parlare alla roccia, e ne sarebbe scaturita l’acqua necessaria a soddisfare il bisogno della comunità e del bestiame.

Perché Mosè, invece di parlare alla roccia, preferì percuoterla per ben due volte?

Probabilmente si era ricordato di Refidim, dove aveva percosso la roccia e ne era uscita dell’acqua. Ma a Refidim era stato il Signore a ordinare di farlo; invece a Cades (anche se il bisogno era identico) Dio comandò di agire diversamente.

Gli ordini divini vanno eseguiti esattamente come Lui li dà, di volta in volta, senza appellarsi alla logica umana e senza fare riferimento ad esperienze, anche positive, del passato.

Fu Dio stesso a rivelare quale fu il grave motivo di fondo che aveva indotto Mosè a percuotere la roccia:

Poi il SIGNORE disse a Mosè e ad Aaronne: «Siccome non avete avuto fiducia in me per dare gloria al mio santo nome agli occhi dei figli d’Israele, voi non condurrete questa assemblea nel paese che io le do» (v. 12).

Queste parole ci dicono chiaramente che Mosè ed Aaronne non credevano che con il semplice parlare alla roccia sarebbe scaturita dell’acqua.
Naturalmente, Dio non chiede perché non hanno creduto alle Sue parole: Egli non ha bisogno di spiegazioni (come noi uomini) per conoscere le ragioni e le motivazioni di ogni nostra azione.

Perciò, per il peccato di disubbidienza e d'incredulità, e per non aver dato gloria a Dio davanti agli occhi dei figli d’Israele, Mosè ed Aaronne non ebbero l’onore di entrare nel paese di Canaan e di introdurvi il popolo d’Israele.

Un’altra domanda che si potrebbe fare è: Come mai dalla roccia uscì ugualmente dell’acqua, dal momento che Mosè ed Aaronne non seguirono alla lettera i comandi di Dio?

A rigor di legge, il Signore non era tenuto ad onorare la richiesta dei suoi servitori, visto che non si erano comportati secondo l’ordine ricevuto.
Ma il fatto è che se in quel giorno non fosse sgorgata l’acqua dalla roccia, la dignità e l’onore di Mosè e Aaronne sarebbero stati seriamente danneggiati, con conseguenze disastrose sia per loro che per tutto il popolo.

Se Mosè, in qualità di capo del popolo, ed Aaronne, come sommo sacerdote, occupavano queste cariche elevate, non era perché le avevano meritate o procacciate, ma perché erano state conferite loro dall’Alto.

Quindi, non c’era da salvaguardare solo la persona di questi due servitori del Signore, ma anche il ministero divino che Dio aveva loro affidato e che non doveva assolutamente essere messo in ridicolo davanti all’intero popolo d’Israele.

Davanti alla comunità Dio onorò Mosè ed Aaronne, ma in separata sede li punì come meritavano, cioè non consentì loro di entrare in Canaan e di introdurvi il popolo d’Israele.

Considerazioni varie


L’episodio di Cades ci fornisce vari motivi di riflessione e lezioni di vita pratica, sia per tutto il popolo del Signore che per i conduttori, cioè le guide spirituali.

Le mormorazioni e le contestazioni, che a volte emergono in maniera spietata e da parte di persone insospettabili, vanno sempre respinte energicamente, anche se apparentemente contengono elementi atti a giustificarle.

Un popolo che sa di avere sopra di sé la mano divina che dirige e controlla le varie situazioni (anche il mangiare e il ber, non può assumere un atteggiamento così ostile, perché è l’invisibile conduttore, cioè Dio, a risultarne disprezzato ed insultato. C’è un principio divino, di portata universale, che afferma:

tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno (Romani 8:28).

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24/02/2012 00:08

Questo principio costituisce il segreto per preservare il credente da ogni tipo di lamentela contro Dio e contro i Suoi servitori, specie quando le cose non vanno come vorremmo noi.

I servitori del Signore, a loro volta, devono fare molta attenzione ad attenersi scrupolosamente a quello che Dio ordina, in modo particolare attraverso la Sua Parola scritta che deve essere sempre la loro norma di vita e di condotta.

Non devono mai cambiarla o modificarla a proprio piacimento, secondo le loro vedute personali: se Dio afferma una cosa, sotto forma di un preciso comando, bisogna eseguirla così come Lui l’ha comunicata.
Ogni modifica a un comando divino costituisce una trasgressione alla Sua Parola e un'offesa alla Sua persona. Ricordiamoci, con santo timore, che Mosè ed Aaronne non entrarono nella terra promessa proprio perché non ubbidirono a quello che Dio aveva chiaramente ordinato loro.

L’esclusione dalla terra promessa non costituisce la prova che Mosè ed Aaronne persero la loro salvezza (Mosè apparve insieme ad Elia con Gesù sul monte della trasfigurazione, Matteo 17:3); ma è certo che la loro incredulità li privò di una grande benedizione, che avrebbero potuto godere assieme a tutto il popolo: l’accesso alla terra promessa, dove stillava il latte e il miele!

A questo punto, è interessante prendere in considerazione il significato spirituale che l’apostolo Paolo dà alla roccia di Cades, quando afferma che gli Israeliti:

… bevvero tutti la stessa bevanda spirituale, perché bevevano alla roccia spirituale che li seguiva; e questa roccia era Cristo (1 Corinzi 10:4).

Secondo questo sorprendente versetto, la roccia era Cristo. Dunque il significato simbolico dei colpi che Mosè inferse alla roccia si potrebbe applicare anche al sacrificio di Cristo.

Quando Mosè percosse la roccia a Refidim, ciò rientrava nei piani divini perché Dio l’aveva ordinato e anche perché, profeticamente parlando, si trovava in accordo con la profezia d'Isaia che prevedeva che il Messia, Gesù Cristo, sarebbe appunto colpito (Isaia 53:4,8).

È evidente che Gesù fu colpito una sola volta, alla croce, e fu proprio in virtù di quello che Egli soffrì in croce che si aprirono per l’intera umanità le porte della salvezza. Ora che Gesù è stato colpito a causa dei [nostri] peccati, non resta che credere nel valore eterno di questo unico sacrificio:

Gesù, dopo aver offerto un unico sacrificio per i peccati, e per sempre, si è seduto alla destra di Dio,
e aspetta soltanto che i suoi nemici siano posti come sgabello dei suoi piedi.
Infatti con un'unica offerta egli ha reso perfetti per sempre quelli che sono santificati.
Anche lo Spirito Santo ce ne rende testimonianza.Infatti, dopo aver detto:
«Questo è il patto che farò con loro dopo quei giorni, dice il Signore, metterò le mie leggi nei loro cuori e le scriverò nelle loro menti», egli aggiunge:
«Non mi ricorderò più dei loro peccati e delle loro iniquità».
Ora, dove c'è perdono di queste cose, non c'è più bisogno di offerta per il peccato
(Ebrei 10:12-18).

Alla luce di questi chiari versetti non servono “due colpi”, anzi non serve nient’altro.

Il sacrificio di Gesù è perfetto e non dobbiamo aggiungere altro da parte nostra: né ulteriori sacrifici, né riti, né buone opere, né presunti meriti.
L’unica cosa che Dio ci chiede è di accettare questo unico sacrificio rivolgendoci a Lui per mezzo della fede, che è certezza di cose che si sperano e dimostrazione di realtà che non si vedono (Ebrei 11:1).

Infatti, nel linguaggio biblico, credere in Dio non significa solo dimostrare fiducia nella Sua onnipotenza e provvidenza, ma anche confessare e proclamare l’attendibilità Sua e delle Sue promesse:

… questa è la parola della fede che noi annunziamo;
perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato;
infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati
(Romani 10:8-10).

L’atto di credere e parlare (confessar lo devono fare tutti i credenti e, nel nostro testo di Numeri 20:7, questo era stato specificamente richiesto a Mosè e ad Aaronne.

Solo con l’ubbidienza noi onoriamo e glorifichiamo il Suo Nome, al quale va tutta la nostra lode e riconoscenza. Amen!

PS: Se al termine del capitolo 9 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura


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