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Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 1. GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI MATTEO

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2011 16:42
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25/06/2011 00:09

La morte, a differenza di una qualsiasi altra malattia, pone fine ad ogni attività umana, e tutte le aspirazioni o i piani che l’uomo concepisce nella sua vita, vengono istantaneamente annullati dalla morte, senza nessuna speranza che possano essere riattivati. Col risuscitare i morti, Cristo poneva i suoi discepoli nella stessa posizione del Padre e del Figlio (Giovanni 5:21), e la loro stessa missione, ne veniva autentificata, attraverso quelle opere divine. Davanti ad un lebbroso guarito e a un morto risuscitato, non c’e da guardare alla potenza e alla pietà dei discepoli, ma solamente alla glorificazione del Figlio di Dio (Atti 3:12,13).

Nel sanare dalle varie malattie e infermità, nonché nettare i lebbrosi e risuscitare i morti, ci sarebbe stato un serio pericolo per la vita dei discepoli: farsi prendere cioè dal desiderio di essere pagati, quindi accettare denaro. Cristo avverte perentoriamente i discepoli che devono dare gratuitamente, nella stessa maniera come hanno ricevuto. Svolgere l’attività di sanare gli infermi, non deve essere considerata da parte del discepolo come un’attività lucrativa, il cui guadagno o rimunerazione è d’obbligo.

Nonostante che Cristo abbia detto chiaramente che bisogna dare gratuitamente come gratuitamente si è ricevuto, tanti, purtroppo, hanno fatto dell’attività ministeriale una fonte di guadagno, creando addirittura imperi economici. A questo punto, vale la pena ricordare l’episodio della guarigione di Naaman, capo dell’esercito del re di Siria, allorquando, rendendosi conto di essere stato guarito dalla sua lebbra, dietro quello che Eliseo gli aveva detto:

Lavati sette volte nel fiume Giordano, e la tua carne tornerà come prima e sarai mondato (2 Re. 6:10),

ritornando egli dall’uomo di Dio, cioè da Eliseo, gli disse:

«Ecco, ora riconosco che non c’è alcun Dio in tutta la terra, se non in Israele. Perciò ora, ti prego, accetta un dono dal tuo servo». Ma egli rispose: «Com’è vero che vive l’Eterno alla cui presenza io sto, non accetterò nulla». Naaman insisteva con lui perché accettasse, ma egli rifiutò (2 Re 5:15-16).

Quando però, il servo di Eliseo, Ghehazi, visto che il suo signore aveva rifiutato decisamente l’offerta generosa di Naaman, gli corse dietro e raggiungendolo gli chiese un talento d’argento e due cambi di vesti (2 Re 5:22), poi, ritornando si presentò davanti ad Eliseo, il quale gli chiese dove era stato. Avendo ricevuta questa risposta: «Il tuo servo non è andato in nessun luogo», Eliseo pronunciò la più severa condanna che qualcuno avrebbe mai potuto pensare.

«Il mio spirito non ti aveva forse seguito, quando quell’uomo è tornato indietro dal suo carro per venirti incontro? È forse questo il momento di prendere denaro, di prendere vesti, uliveti e vigne, pecore e buoi, servi e serve? La lebbra di Naaman si attaccherà perciò a te e alla tua discendenza per sempre». Così Ghehazi uscì dalla presenza di Eliseo tutto lebbroso, bianco come la neve (2 Re 5:25-27).

Marco afferma nel suo resoconto che i discepoli ungevano con olio molti infermi, e li guarivano (Marco 6:13). Questo particolare che ha solamente Marco, merita di essere considerato, non solo perché è unico nel suo genere nella storia evangelica per ciò che riguarda l’attività missionaria che i discepoli di Gesù svolsero, durante tutto il tempo che Egli rimase sulla terra , ma è anche unico per tutte le guarigioni che gli apostoli operarono, dopo la dipartita di Gesù, poiché non si fa mai cenno all’unzione d’olio per sanare gli ammalati. Più tardi, Giacomo dirà, nella sua epistola:

Qualcuno di voi è infermo? Chiami gli anziani della Chiesa, ed essi preghino su di lui, ungendolo di olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo risanerà; e se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati (Giacomo 5:14-15).

È chiaro che il riferimento di Giacomo intorno all’unzione d’olio, è in relazione con la vita di una comunità, e non riguarda all’attività missionaria di predicare l’evangelo e di sanare gli infermi, la missione data ai dodici discepoli, in obbedienza alla parola e alla volontà di Gesù Cristo.

10. IL MESSAGGIO CHE GESÙ MANDÒ A GIOVANNI BATTISTA

E Gesù, rispondendo, disse loro: «Andate e riferite a Giovanni le cose che udite e vedete: I ciechi riacquistano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono mondati e i sordi odono; i morti risuscitano e l’evangelo è annunziato ai poveri (Matteo 11:4,5; par. Luca 7:22).

Esame del testo

Giovanni Battista si trova in prigione, non perché avesse commesso qualche crimine, ma perché malvisto da una donna, che convinse il re Erode, con cui conviveva illecitamente, di farlo imprigionare. In questa sua situazione, Giovanni sentendo parlare delle opere del Cristo, mandò due dei suoi discepoli a dirgli:

«Sei tu colui che deve venire, oppure dobbiamo aspettarne un’altro?» (Matteo 11:2,3).

A questo punto, Luca precisa che prima che Cristo avesse risposto alla domanda del Battista, aveva guariti
molti da infermità, da calamità e da spiriti maligni, e a molti ciechi donò la vista (Luca 7:21).

Incaricare quindi, i discepoli del Battista, da parte di Gesù, di riferire al loro maestro quello che essi avevano visto e sentito, rappresentava la migliore garanzia e la migliore risposta a quella inquietante domanda. Siccome il Battista aveva sentito parlare delle opere di Gesù, ora riferire che i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono mondati, i sordi odono e i morti risuscitano, questo significava portare Giovanni sul terreno della realtà e le opere, di cui i loro stessi messi erano stati spettatori, tutto questo era più che sufficiente, per convincerlo che era proprio Lui, Gesù, il Messia, colui che era venuto e che non doveva aspettarne un’altro.

Con un linguaggio figurativo, possiamo affermare: Le guarigioni che Gesù compiva, e di cui aveva parlato specificatamente il profeta Isaia (Isaia 35:5,6), erano le sue credenziali, di cui tutti potevano verificarne l’autenticità. In realtà non sono tanto le parole, quanto le opere che vengono compiute che rivelano sempre a chi si appartiene e che cosa si è. Gesù, sotto un altro aspetto potè dire ai Giudei che si vantavano di essere figli di Dio e discendenti di Abrahamo, che erano figli del diavolo, perché non si era basato su quello che essi dicevano con le loro parole, ma su quello che manifestavano con le loro opere (Giovanni 8:39-44).

11. GUARIGIONE DELL’UOMO DALLA MANO SECCA

Poi, partitosi di là, entrò nella loro sinagoga; ed ecco, vi era un uomo che aveva una mano secca. Ed essi domandarono a Gesù, per poterlo poi accusare: «È lecito guarire qualcuno in giorno di sabato?». Ed egli disse loro: «Chi è l’uomo fra voi che avendo una pecora, se questa cade in giorno di sabato in una fossa, non la prenda e non la tiri fuori? Ora, quanto vale un uomo più di una pecora! È dunque lecito fare del bene in giorno di sabato?». Allora egli disse a quell’uomo: «Stendi la tua mano!». Ed egli la stese e fu resa sana come l’altra (Matteo 12:9-13; par. Marco 3:1-5; Luca 6:6-10).

Nota preliminare

Il racconto della guarigione dell’uomo dalla mano secca, riportato dai sinottici, (Matteo, Marco e Luca), è in grado di mostrarci Gesù da una parte, che prende posizione su ciò che riguarda l’osservanza del giorno del sabato, e dall’altro lato, i farisei, che lo concepivano in maniera diversa, senza riflettere che di mezzo vi andava l’uomo bisognoso.

Dalle domande che Gesù rivolse a quei religiosi e dal suo fermo atteggiamento in favore di quell’uomo, rispetto alla posizione insidiosa che assumono i farisei, possiamo comprendere meglio quello che si svolse in quella circostanza.

Si continuerà il prossimo giorno...
[Modificato da Domenico34 29/06/2011 16:18]
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26/06/2011 00:07

Esame del testo

I tre evangelisti precisano che la guarigione dell’uomo dalla mano secca, avvenne nella sinagoga. Solo Matteo precisa che si trattava “della loro sinagoga” che essi avevano costruito. Certamente il luogo dove Gesù andava spesso per insegnare, era la sinagoga. Gesù, che non ebbe mai l’idea di costruire un luogo per tenere le sue riunioni, si serviva spesso della sinagoga, o all’aperto, dove tanti potevano ascoltare le cose che Egli insegnava, intorno a Dio e alla Sua volontà.

In questa sinagoga, dunque secondo Luca, Gesù era andato per insegnare, e, l’uomo di cui si parla, aveva la mano destra secca (Luca 6:6). A differenza di Marco e Luca, che precisano che essi, cioè i farisei e gli scribi (Luca 6:7), stavano osservando per vedere se Gesù avrebbe guarito nel giorno di sabato quell’uomo dalla mano secca, per poi accusarlo; Matteo, invece dice che furono i farisei e gli scribi che presero l’iniziativa di domandare a Gesù se era lecito guarire qualcuno in giorno di sabato.

Dal momento che questi religiosi avevano in cuore di produrre un capo di accusa nei confronti di Gesù, il chiedergli se era lecito di guarire qualcuno in giorno di sabato (senza riferirsi specificatamente all’uomo dalla mano secca, presente in quel giorno nella sinagoga, ma rimanendo nel generico), ciò rientrava nella logica delle cose. La risposta che Gesù, dà sotto forma di due domande:

«Chi è l’uomo fra voi che avendo una pecora, se questa cade in giorno di sabato in una fossa, non la prende e non la tiri fuori? Ora, quanto vale un uomo più di una pecora! È dunque lecito fare del bene in giorno di sabato?» (Matteo 12:11,12),

mette in chiaro quello che era consentito fare nel giorno di sabato, secondo quello che affermavano le due scuole rabbiniche più importanti del tempo, quella di Shammai e quella di Hillel [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 651, nota 4].

A parte il fatto che Gesù chieda se è lecito fare del bene in giorno di sabato, rispetto alla semplice guarigione che essi avevano chiesto, e Luca aggiunge:
fare del bene o del male, salvare una persona o ucciderla?
(Luca 6:9),

Egli rivela in che modo debba essere inteso il giorno di sabato, per ciò che si può fare e quello che non si deve fare. Se una guarigione di un ammalato, viene considerata un atto di amore e di misericordia, — come giustamente Cristo la considerava — era lecito compierla; mentre se veniva considerata un comune atto servile — come la consideravano i farisei e gli scribi —, non era permesso farla. Or l’uomo di cui parla il testo evangelico, aveva la mano secca.

Davanti a questa seria menomazione fisica, siamo portati a fare qualche considerazione: a) Una mano secca è una mano senza vita. L’arto è lì nel corpo, ma non può essere utilizzato; b) Una mano secca non può prendere nulla, né per sé né per gli altri; c) Una mano secca non può lavorare, ed infine: d) Una mano secca non può essere utile a nessuno.

Prima che l’uomo del nostro testo venisse miracolato, Marco dice che Gesù gli disse di alzarsi in mezzo a tutti (Marco 3:3), mettiti qui nel mezzo (Luca 6:8). Il motivo perché Cristo lo fece alzare in mezzo a tutti fu sicuramente perché tutti potessero, non solo vederlo, ma soprattutto constatare quello che si sarebbe verificato tra qualche istante.

Prima però, che Gesù desse un secondo ordine a quell’uomo, Marco annota che egli guardateli tutt’intorno con indignazione, rattristato per la durezza del loro cuore, disse a quell’uomo: «Stendi la tua mano»!» (Marco 3:5). Una volta che l’uomo si trova ritto in piedi, alla vista di tutti, tutti possono vedere il movimento che farà la mano.

Ma se la mano di quell’uomo è secca, cioè senza vita, come farà a muoverla, a distenderla? Colui che ordina un simile gesto, è il Signore della vita, davanti al quale tutte le menomazioni fisiche devono rispondere come se fossero in piena e perfetta efficienza. Fu proprio nell’attimo che Cristo ordinò di stendere la mano, che la vita ritornò in quella mano secca, sana come l’altra.

Qualche considerazione di ordine pratico

1) Nella sinagoga dove i Giudei si radunano per le funzioni religiose, non vi partecipano solamente persone sane, ma vi possono essere anche persone che hanno menomazioni fisiche, come è il caso di quest’uomo dalla mano secca. I rappresentanti e i capi delle sinagoghe, possono essere persone che non hanno il potere della virtù di Dio, per aiutare le persone che ne hanno bisogno.

Non sono i legalisti né i liturgici che possono dare aiuto a quelli che soffrono, ma unicamente il Cristo, il Figlio di Dio, colui che si fece uomo, per meglio capire e interpretare giustamente le varie situazioni della natura umana. Egli, non si curò ai suoi giorni dei severi giudizi dei legalisti nei suoi confronti; e, sfidando tutti, compresa la “durezza del cuore umano”, venne incontro ai bisognosi, sanando le loro infermità.

2) I farisei e gli scribi, di allora, ostili all’operato di Gesù, tenevano alla più stretta osservanza del giorno di sabato, anziché aiutare le persone che soffrivano. Allo stesso modo, molti dei nostri tempi, pur avendo una spiccata forma di religione, danno più importanza a certe tradizioni umane, anziché a quei sentimenti di amore e di misericordia, che dovrebbero essere i veri moventi di ogni attività, tendente alla consolazione e al ristoro della vita umana. Fino a quando l’uomo, non si sarà liberato da certe convinzioni, cosiddette “conservatrici”, e di scetticismo, difficilmente egli potrà vedere la manifestazione del potere divino che, superando tutte le barriere umane, compie azioni di capovolgimento nel modo di pensare e di credere a tutte le azioni di Dio.

3) Cristo non ha mai dato ordini sbagliati, né la sua parola può essere giudicata inopportuna. Le cose che non hanno una logica umana, sono quelle che spesso vengono usate da Dio, come prova della Sua sovranità. Dare un ordine a un uomo la cui mano è secca, cioè priva di vita, di stenderla, potrebbe essere interpretato incoerente e illogico; ma sono le cose illogiche, secondo l’uomo, se vengono eseguite con fermezza e determinazione, spianano e preparano la manifestazione miracolosa divina. Il miracolo non segue la strada della logica e della coerenza, ma è fondato sull’ascolto e sull’obbedienza alla parola di Gesù. Dal momento che la fede per agire, viene sempre dall’ascoltare la parola di Dio, lasciamo che questa divina parola prenda il sopravvento e domini e controlli la nostra vita. Solo allora, sarà molto facile verificarsi, quello che leggiamo nella Bibbia, la Suprema Autorità di fede e di condotta.

12. INFERMI GUARITI

E Gesù, smontato dalla barca, vide una grande folla e ne ebbe compassione, e ne guarì gli infermi. ... E gli uomini di quel luogo, avendolo riconosciuto, diffusero la notizia per tutta la regione circostante; e gli presentarono tutti i malati; e lo pregarono che potessero toccare almeno il lembo della sua veste; e tutti quelli che lo toccarono furono perfettamente guariti (Matteo 14:14,35,36); par. Marco 6:53-56 (Luca 9:11; Giovanni 6:2).

Nota preliminare

La prima moltiplicazione dei pani, viene riferita da tutti e quattro gli evangelisti, Matteo, Marco, Luca e Giovanni, anche se Marco non fa nessuno accenno agli infermi che vennero sanati da Gesù in quella circostanza. Questo evento straordinario di manifestazione divina, non è solamente costituito dal fatto che con pochi pani e pesci, una folla di 5.000 uomini, oltre le donne e i bambini, venne saziata, ma anche dai molti infermi che vennero guariti.

Si continuerà il prossimo giorno...



[Modificato da Domenico34 29/06/2011 16:29]
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29/06/2011 16:39

Esame del testo

Secondo Matteo, è la compassione di Gesù che porta guarigione agli infermi. Il vedere di Gesù, non mirava solamente a mettere in evidenza che quella folla era come un gregge senza pastore (Marco 6:34), ma metteva anche in risalto i molti casi di infermità che vi erano. Anche se Luca dice che Gesù guariva coloro che avevano bisogno di guarigione (Luca 9:11), e Giovanni chiama i miracoli di guarigione segni che egli faceva sugli infermi (Giovanni 6:2), tuttavia, questo episodio mette l’accento sulla potenza guaritrice di Gesù, in favore di quelli che soffrivano a causa delle loro infermità.

Anche se Matteo e Luca non specificano che tipo di infermità Gesù guarì in quella giornata, trattandosi di malattie fisiche, anche le meno gravi, sono sempre malesseri che portano sofferenze a colui che li ha. D’altra parte, per la potenza miracolosa che Gesù possiede, non ci sono malattie che la Sua potenza non possa guarire e non ci sono casi disperati che Egli non possa risolvere.

Per cui, non ha nessuna importanza, (ai fini realistici) se i nostri evangelisti non specificano le malattie che Gesù guarì in quella circostanza. Dopo aver lasciato il luogo dove moltiplicò i pani, Gesù assieme ai suoi discepoli, andò nella regione di Gennesaret.

Gli uomini di quel luogo, avendolo riconosciuto, diffusero la notizia per tutta la regione circostante; e gli presentarono tutti i malati (Matteo 14:35).

Anche per questo testo, non viene fatta nessuna specificazione per quanto riguarda il tipo di malattia delle persone che vennero presentate a Gesù. L’unica cosa che Matteo precisa, fu che gli uomini di Gennesaret, pregarono Gesù, che gli ammalati potessero toccare almeno il lembo della sua veste; e l’evangelista afferma che tutti quelli che lo toccarono furono perfettamente guariti (Matteo 14:36). Il volere toccare il lembo della veste di Gesù, è un particolare che ci richiama alla memoria, la donna col flusso di sangue.

Anche lei disse: Se riuscirò anche solo a toccare la sua veste, sarò guarita (Matteo 9:21). Come la fede fu evidente nella donna, tanto che la sua guarigione avvenne nell’istante che lei toccò la veste di Gesù, nella stessa maniera si verificò per gli infermi della regione di Gennesaret. La fede non era solamente in coloro che toccarono la veste di Gesù, si trovava anche in quelli che presentarono gli infermi a Gesù, portandoli sopra i lettucci, e mettendoli sulle piazze (Marco 6:55,56).

La frase che gli evangelisti adoperano: Tutti quelli che lo toccarono furono guariti, ci porterebbe a pensare che non tutti gli ammalati toccarono la veste di Gesù; solo quelli che lo fecero, furono guariti, gli altri rimasero infermi. Questo perché non tutti credevano che col semplice toccare la veste di Gesù, sarebbero stati guariti. Questo ci dice ancora una volta che la fede, essendo certezza di cose che non si vedono (Ebrei 11:1), si muove, non sulla base della fantasia umana, ma si afferra su quello che il divino può fare.

13. LA GUARIGIONI DI ZOPPI, CIECHI, MUTI, STORPI ED ALTRI

E grandi folle si accostarono a lui, recando non sé zoppi, ciechi, muti, storpi e molti altri; li deposero ai piedi di Gesù ed egli li guarì. Tanto che le folle si meravigliavano, nel vedere che i muti parlavano, gli storpi erano guariti, gli zoppi camminavano e i ciechi vedevano; e glorificavano il Dio d’Israele (Matteo 15:30,31; cfr. anche 19:2; 21:14).

Nota preliminare

I testi suindicati, parlano di una manifestazione miracolosa in favore di vari infermi. Anche se l’evento della seconda moltiplicazione dei pani viene raccontato pure da Marco, e più tardi anche l’episodio della purificazione del tempio viene narrato dal medesimo evangelista e da Luca, nondimeno i due evangelisti, omettano il riferimento dell’azione miracolosa di Gesù in favore degli infermi. Ragione per cui, sotto questo aspetto, il riferimento relativo alla guarigione degli infermi, è esclusivo di Matteo.

Esame del testo

Anche se diversi commentatori pensano che il racconto della prima e della seconda moltiplicazione dei pani debba essere considerato un unico racconto e non due racconti separati, noi crediamo che non è possibile accettare questa tesi, per il semplice motivo che i due racconti presentano notevoli differenze, l’un dall’altro, anche se ci sono particolari comuni ai due racconti.

Dato per scontato che le due moltiplicazioni dei pani, sono due racconti distinti, due distinti manifestazioni miracolose, e, tenuto conto del materiale esclusivo che Matteo ha, relativo alle guarigioni di diverse categorie di ammalati, l’esame di questo racconto, contribuirà ad apprezzare maggiormente la virtù di Gesù in favore dei bisognosi.

C’è da ammirare queste grandi folle che vanno a Gesù, recando con loro zoppi, ciechi, muti, storpi e molti altri. Un cieco o un muto, anche se appaiano menomati rispetto a quelli che vedono e parlano, almeno possono fare uso dei loro piedi per camminare, senza dover dipendere eccessivamente da altri; mentre gli zoppi e gli storpi, che non possono agire come le persone normali, hanno bisogno che qualcuno si prenda cura di loro, specialmente per ciò che riguarda i loro movimenti. Anche se il testo non ci dice chi erano le persone che si presero cura di questi vari infermi, non è improbabile pensare a quelli della stessa famiglia.

Pensando poi, che alcuni di loro venivano da lontano (Marco 8:3), senza disporre di mezzi di trasporto che noi abbiamo, diventa molto più faticoso, condurre uno zoppo o uno storpio. Ma se questo venne fatto in quel tempo, lo fu per l’interessamento e l’amore di coloro che portavano verso questi menomati, in vista della loro guarigione. Ciò naturalmente ci dice chiaramente che questi infermi, non rappresentava un peso, per quelli che si prendevano cura di loro, o un motivo per non pensare a loro, come avviene ai nostri giorni, davanti a certe persone che soffrono pesantemente, a causa delle loro infermità e menomazioni fisiche.

Metterle da parte, come persone che ormai non servono più, a causa delle loro infermità o deformazioni fisiche, non è certamente una manifestazione di affetto e di premura per loro, ma piuttosto rivela una mancanza di coerenza pratica, per ciò che riguarda il valore di una persona.

Il valore di una persona, dal punto di vista generale — non importa se è uomo o donna; se è bianco o di colore; se è ricco o povero; se è colto o ignorante — non deve essere considerato dal punto di vista della buona salute, ma dal fatto di essere un essere umano, creato all’immagine di Dio. Prendere cura, quindi, di una persona menomata o seriamente ammalata, rappresenta la più coerente manifestazione di affetto, di premura e di amore.

Questo è l’insegnamento pratico che ci danno queste grandi folle, di cui parla chiaramente il nostro evangelista Matteo, nel racconto della seconda moltiplicazione dei pani. Il deporre ai piedi di Gesù, tutti quegli infermi (traduzione di Lutero: «e li gettarono ai piedi di Gesù») [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, II, pag. 57, nota 5], ch’è traduzione letterale del termine greco erripsan = gettar via, richiede un chiarimento, per meglio capire questo gesto. W. Bieder, giustamente dice:

«Qui non va tanto pensato ad un atto di disperazione quanto piuttosto all’offerta di vittime, che vengono poste sull’altare». K. Weiss, vede in questo gesto «un segno di adorazione divina» [W. Bieder, GLNT, Vol XI, Colonna 987 e K. Weiss, Ibidem, Colonna 22].

Pensando al fine che si proponevano le persone che conducevano quegli infermi, cioè il loro benessere e la loro guarigione, il “deporre ai piedi di Gesù”, denota un’azione gentile, rispetto a quella violenta, di “gettar via”, questa è l’interpretazione che meglio si addice al termine in questione, cosa che hanno fatto i diversi traduttori. Che Isaia, tanti secoli prima avesse predetto quello che avrebbe fatto il Messia, appare abbastanza chiaro.

Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturate le orecchie dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto griderà di gioia (Isaia 35:5,6).

Si continuerà il prossimo giorno...
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29/06/2011 16:40

Le guarigioni furono talmente evidenti e subitanee in quel giorno che,
le folle si meravigliavano, nel vedere che i muti parlavano, gli storpi erano guariti, gli zoppi camminavano e i ciechi vedevano; e glorificavano il Dio d’Israele (Matteo 15:31).

Quando c’è veramente la manifestazione miracolosa di Dio, gli infermi vengono toccati e, come conseguenza vengono guariti dalle loro infermità, talché la loro guarigione viene vista dagli altri. Il fatto poi che le folle diedero gloria a Dio, è un’altra prova, non solo dell’autenticità dei miracoli, ma della riconoscenza che queste persone seppero esprimere.

14. GUARIGIONE DEI DUE CIECHI DI GERICO

Mentre essi uscivano da Gerico, una grande folla li seguì. Ed ecco, due ciechi che sedevano lungo la strada, avendo udito che Gesù passava, si misero a gridare dicendo: Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide». Ma la folla li sgridava perché tacessero; essi però gridavano ancora più forte dicendo: «Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide!». Allora Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». Essi gli dissero: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». E Gesù, mosso a pietà, toccò i loro occhi, e all’istante i loro occhi recuperarono la vista e lo seguirono (Matteo 20:29-34; par. Marco 10:46-52; Luca 18:35-43).

Nota preliminare

I tre Sinottici, pur avendo differenze tra di loro per ciò che concerne certi particolari, raccontano lo stesso episodio miracoloso. Per Matteo, si tratta di due ciechi che ricuperano la vista, mentre per Marco e Luca si tratta di un solo cieco.

Tutti e tre concordano nel dire che il miracolo avvenne a Gerico, anche se Matteo e Marco affermano all’uscita di Gerico, Luca dice, mentre egli si avvicinava a Gerico. Anche se è il solo Marco ricorda che il cieco miracolato si chiamava Bartimeo, i diversi particolari che hanno in comune, ci porta a credere che i tre evangelisti, raccontano lo stesso episodio. Come più volte abbiamo detto, analizzando i singoli particolari, si può avere un quadro generale dell’evento o dell’episodio che immancabilmente è fonte di riflessioni e di insegnamento per la vita pratica.

Esame del testo

Mentre essi uscivano da Gerico..., oltre a pensare alla folla che era con Gesù, bisogna anche ammettere che c’erano pure i suoi discepoli, stando al particolare che Marco ci fornisce (Marco 10: 46). La città di Gerico era stata riedificata dal re Erode il Grande, il quale si era costruita là una sontuosa residenza invernale, attorno alla quale era sorta la nuova città [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, II, pag. 290].

Pensando alla vecchia città, riesce facile accettare la spiegazione che dà R. G. Stewart, riportando una soluzione che ha proposto Macknight, «secondo il quale l’antica Gerico essendo situata vicino alla fonte di Eliseo, e la nuova a breve distanza da quella, i due ciechi stavano probabilmente sulla strada che andava dall’una all’altra, cosicché il Signore poteva compiere il miracolo così uscendo da una delle due città (Matteo Marco), come entrando nell’altra (Luca)». Questo si accorda con quello che dicono Flavio ed Eusebio, cioè che a Gerico vi era infatti una città vecchia e una nuova [R. G. Stewart, Commentario Esegetico Pratico del Nuovo Testamento, pag. 226].

I due ciechi sedevano lungo la strada; Marco e Luca (dato che parlano di un solo cieco), specificano che mendicava. La loro povertà era tale da non avere altre possibilità per la loro sopravvivenza, se non quella di chiedere la pietà di quanti passavano per quella strada diretti a Gerusalemme. I ciechi del nostro testo, realizzano che sta passando Gesù; mentre, secondo Luca, sentendo passare la folla, domandò che cosa fosse (Luca 18:36). Da parte sua, Marco, riferisce che il cieco comprese, che colui che stava passando era Gesù il Nazareno (Marco 10:47).

Al sentire nominare il nome di Gesù, si sarà risvegliato nel loro cuore il ricordo delle opere che Gesù aveva fatto nel sanare altri infermi. Forse nel passato, avranno avuto in cuore il desiderio di incontrarsi un giorno con Gesù, per chiedergli la grazia di ricuperare la vista.

Questo è il nostro giorno, la nostra opportunità, avranno detto, e, senza perdere tempo, si misero a gridare dicendo: «Abbi pietà di noi, Signore, Figlio di Davide». Marco e Luca omettono la parola Signore e al suo posto usano quella personale di Gesù.

Il fatto però che i ciechi chiamino quel Gesù di cui avevano sentito parlare, Signore, è sicuramente qualcosa che va al di là della semplice parola, portandoci a pensare che quei due imploranti, riconoscono in Gesù, la sua divinità, e non semplicemente a un uomo.

Siccome, i due ciechi riconoscono in Gesù l’elemento divino, invocare la sua pietà, rappresenta l’elemento significativo che dà valore alla loro implorazione. Infatti, rivolgersi a un uomo con una accorata e persistente preghiera per essere aiutati, non ha lo stesso significato di invocare la pietà divina.

Onde evitate di interpretare che quei due ciechi non invocarono Gesù, Signore, semplicemente sotto il profilo del rispetto, essi lo chiamarono Figlio di Davide. Dichiarare Gesù, Figlio di Davide, equivale a riconoscerlo pubblicamente il Messia, promesso dai profeti.

Anche il loro gridare, per il fatto che quel personaggio al quale si rivolgono è un essere divino, ha un senso particolare; non solo ci parla del bisogno di quei due imploranti, ma ci mostra anche la loro determinazione. Il nostro evangelista ci dice che la folla li sgridava perché tacessero; Marco: molti lo sgridavano affinché tacesse e Luca: Quelli che camminavano davanti lo sgridavano perché tacesse. Il grido di pietà dei due ciechi, sì, venne udito dalla folla, ma non venne giustamente interpretato.

Molti erano convinti che quel modo di gridare, rappresentava un elemento di disturbo, quindi doveva essere messo a tacere a qualsiasi costo, per non creare una scena antipatica intorno a Gesù. Ma l’effetto di questo loro intervento, invece di avere avuto il risultato desiderato, produsse un grido più forte da parte dei due ciechi. È a questo punto che Gesù, fermatosi, li chiamò e disse: «Che volete che io vi faccia?». Marco e Luca che, parlano anch’essi del fermarsi di Gesù, il primo dice che Gesù ordinò che lo si chiamasse e il secondo ordinò che gli fosse condotto.

A questo punto, Marco introduce un particolare che né Matteo né Luca riportano, cioè: Allora egli, gettando via il suo vestito, si alzò e venne a Gesù (Marco 10:50). Si trattava senza dubbio del suo mantello, col quale si copriva. E, siccome questo capo di vestiario poteva impedirlo di muoversi agilmente, preferì metterlo da parte.

La domanda di Gesù: Che volete che io vi faccia, deve essere giustamente compresa, per non far dire al vangelo quello che esso non vuol dire, e, peggio ancora supporre che Gesù non conoscesse il perché quei ciechi gridassero in quella maniera, invocando la sua pietà. Dato per scontato che Gesù conosceva il reale bisogno di quei due imploranti, la domanda che Egli pone davanti a loro, mira essenzialmente esprimere con le parole della loro bocca, il motivo per il quale hanno gridato insistentemente.

Poiché i due ciechi sapevano perché avevano gridato così forte, non ebbero nessuna esitazione a dirgli: «Signore, che i nostri occhi si aprano!». A differenza di Matteo e di Luca, dove Gesù viene chiamano, Signore, Marco, preferisce chiamarlo Rabboni (Marco 10:51). Siccome i ciechi hanno detto chiaramente a Gesù quello che vogliono,
Gesù, mosso a pietà, toccò i loro occhi; e all’istante i loro occhi recuperarono la vista e lo seguirono.

Se Gesù compì il miracolo in quei ciechi, fu in virtù della sua pietà. È sempre infatti la pietà del Cristo che va incontro al bisogno dell’uomo che si rivolge a lui!

Si continuerà il prossimo giorno...
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29/06/2011 16:42

Anche il toccare gli occhi, ha la sua importanza, perché attraverso questo contatto, la sua virtù guaritrice, opera il miracolo. Secondo Marco e Luca, che non fanno nessun riferimento alla pietà di Gesù e del suo tocco, il recupero della vista avvenne per la fede dell’implorante. Infine, i ciechi, una volta guariti, invece di continuare a mendicare, preferirono seguire Gesù, diventando così anche loro suoi discepoli.

Con la storia di questi ciechi miracolati, si conclude il ciclo delle guarigioni che Matteo, ha largamente e diffusamente riportato nel suo evangelo, cioè le tante guarigioni che Gesù operò, durante il tempo del suo ministero terrestre.

Alcune riflessioni

La storia della guarigione dei due ciechi, o del cieco di Gerico, come preferiscono Marco e Luca, può insegnarci tante cose: sia per ciò che riguarda l’uomo con i suoi svariati bisogni e sia per quanto riguarda Gesù e il Suo potere divino.

1) L’atteggiamento che l’uomo assume davanti a certi eventi della sua vita, può cambiare radicalmente le situazioni più difficili e disperate, e produrre così barlume di speranza alla stessa vita umana. Quando si sente parlare di Gesù, non è lo stesso come di una persona qualsiasi. Gesù è l’autore della fede (Ebrei 12:2), e ascoltando di Lui, non solo la fede può essere prodotta, ma può anche essere risvegliata e messa in azione, per permettere a Dio di operare nella maniera come Egli sa operare.

Il gridare che fecero i due ciechi di Gerico, rappresentava lo stimolo che ricevettero, a seguito di aver sentito parlare di Gesù. Quel gridare, all’indirizzo di Gesù, non era solamente l’espressione verbale di due uomini che si trovano privi della vista, ma è una chiara manifestazione di due persone che avvertono il bisogno di essere aiutati dal Figlio di Dio. Più grande è il bisogno che avvertiamo in noi, maggiormente saremo spronati a rivolgerci a Gesù, l’unico che può venirci incontro e soddisfare le nostre esigenze.

2) Non sempre colui che si rivolge al Signore e che lo supplica con tutto il suo ardore e con tutta la sua fede, trova la strada libera e non incontra alcun ostacolo nella sua via. Spesso il grido di un’anima che si rivolge a Gesù, può essere male interpretato, e, invece di essere aiutata da coloro che le sono vicini e sentono il suo grido, viene invitata a tacere per non creare disturbi. Se una persona grida veramente al Signore con tutto il suo cuore e con vera fede per essere aiutata, non ci sarà nessuno che potrà fermarla.

L’ostacolo che incontrerà, lungi dall’agire come un freno e come un impedimento all’ardore e al fervore, finirà con l’incrementare e sviluppare quei sani atteggiamenti e quella persistente implorazione a Dio. Quando si grida a Dio, a prima vista, sembrerebbe che Egli non accolga il grido del bisognoso e faccia finta di non sentire la sua voce. No, col persistere nell’invocazione, che Dio vuole dimostrare all’uomo che Egli s’interessa della persona che si rivolge a Lui. Se questo non fosse vero, non avrebbero nessun significato le parole che leggiamo nella Bibbia:

Invocami nel giorno dell’avversità, io ti libererò e tu mi glorificherai (Salmo 50:15).

Se i ciechi di Gerico, si fossero lasciati intimorire da quelli che gli intimavano di tacere, e non avessero continuato a gridare: Signore, Figlio di Davide, abbi pietà di noi, difficilmente i loro occhi avrebbero ricuperato la vista e la loro vita avrebbe subito un cambiamento radicale. Con la loro ferma decisione e con la loro determinazione, superarono l’ostacolo e si trovarono a faccia a faccia con Gesù.

3) La domanda che Gesù fece ai due ciechi di Gerico, ci vuole insegnare a) Che Gesù è disponibile per colui che si rivolge a Lui; b) che Egli è pronto ed interessato al nostro bisogno; c) che Egli vuole operare nella nostra vita e risolvere il nostro problema. Siccome quello che esce dalla bocca, viene dal cuore (Matteo 15:18), essere precisi e specifici nelle nostre richieste a Dio, oltre ad essere quello che Egli vuole, questo rappresenta un valido motivo per maggiormente apprezzare quello che Lui ci concede nella sua misericordia e nella sua benignità. Non è un buon motivo e non ha un saldo fondamento biblico, quando si dice: Dio sa tutto, comprende tutto, non c’è nessun bisogno che gli si dica quello che Egli deve fare.

No, Dio non dà mai all’uomo quello che questi non vuole. Se Dio dovesse fare ciò, potrebbe sentirsi rimproverare dall’uomo, nell’avergli dato quello che non gli è stato chiesto. E siccome Dio vuole che quello che Egli dà sia apprezzato da parte dell’uomo, allora gli domanda: Cosa vuoi che io ti faccia?. La stragrande maggioranza delle preghiere che non vengono esaudite, sono quelle che non hanno alcuna specificità. Impariamo ad essere precisi con Dio nelle nostre richieste, ed Egli troverà il suo diletto nel darci quello che gli viene domandato.

4) Anche se il racconto che fa l’evangelista Matteo della guarigione dei due ciechi di Gerico, viene attribuita al “tocco di Gesù”, non si può sottovalutare quello che dicono Marco e Luca i quali la fanno dipendere dalla fede del miracolato. Il tocco di Gesù, è molto importante, ai fini di una guarigione, di un ristoramento. La fede ch’è certezza di cose che si sperano e dimostrazione di cose che non si vedono (Ebrei 11:1), ha un ruolo primario nella nostra vita, se si vuole vedere la gloria di Dio (Giovanni 11:40).

5) Quando veramente c’è gratitudine per quello che si riceve dal Signore, oltre a verificarsi un cambiamento di atteggiamento nella nostra vita per Lui, si è veramente felici di essere un suo discepolo e seguirlo.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura
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