È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Canti di
Lode e
Adorazione
(clicca nella foto)
  
La Vita di Cristo non è racchiusa in un pensare. E se invece di un pensiero tu portassi la Vita?
Canti di
Lode e
Adorazione2
(clicca nella foto)
  
 
Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva

Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 1. GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI MATTEO

Ultimo Aggiornamento: 29/06/2011 16:42
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
08/06/2011 00:09


Capitolo 1




GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI MATTEO




Premessa

In questo primo capitolo, passeremo in rassegna tutti i miracoli di guarigione che Matteo ha ricordato, nella forma e nell’ordine che lui stesso ce li ha tramandati. Dei riscontri paralleli di Marco e di Luca, saranno esaminati solamente i particolari che non si trovano in Matteo, in modo che si possa avere un quadro completo del racconto. Useremo lo stesso metodo per ciò che riguarda il vangelo di Matteo, o viceversa in quello di Marco e di Luca.

QUELLO CHE DICE IL VANGELO DI MATTEO INTORNO ALLE GUARIGIONI FISICHE OPERATE DA GESÙ

Esame dei testi

1. L’ATTIVITÀ MISSIONARIA DI GESÙ

E Gesù andava attorno per tutta la Galilea, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando l’evangelo del regno, e sanando ogni malattia e ogni infermità fra il popolo (Matteo 4:23-24).
E Gesù andava attorno per tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando l’evangelo del regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità fra il popolo (Matteo 9:35).

L’attività missionaria di Gesù, non era basata solamente sull’insegnamento e sulla predicazione del vangelo, (cosa necessaria a quei tempi, specialmente quando si pensa al formalismo religioso che regnava tra i Giudei, comprese le tante tradizioni umane che erano state introdotte nella vita religiosa, che in un certo senso offuscavano ed alteravano i comandamenti di Dio) ma includeva anche, come parte integrante e inscindibile del Suo ministero, le varie guarigioni fisiche e la distruzione dell’opera dei demoni (1 Giovanni 3:8).

Se per una assurda ipotesi, Gesù, nello svolgimento del suo ministero, avesse solamente insegnato e predicato l’evangelo, il suo ministero non sarebbe stato completo e conforme alla descrizione profetica. Isaia, settecento anni prima che Gesù venisse sulla terra, descrivendo l’opera che avrebbe svolta il Messia = Cristo, ha chiaramente detto che non solo il Messia sarebbe stato qualificato come l’uomo dei dolori, colui che sarebbe stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità, ma che Egli si sarebbe anche caricato dei nostri dolori e avrebbe portato le nostre malattie (Isaia 53:3-5).

Anche se in questa profezia viene descritta la sofferenza e la morte di Gesù, il fatto che il profeta faccia chiaramente allusione alle nostre malattie e ai nostri dolori, ciò non significa che nella Sua morte vicaria c’erano solamente i nostri peccati e le nostre iniquità, che gravavano come un enorme peso su di sé, ma c’erano anche le nostre malattie e i nostri dolori, conseguenza del nostro peccato. La morte di Gesù, fu quindi, il coronamento della Sua missione terrena e la Sua risurrezione ne rappresenta il completamento e il Suo totale trionfo.

Tutte le attività che Gesù compì, — incluse le guarigioni fisiche dei tanti ammalati — durante il tempo della Sua missione terrena, miravano ad assolvere in pieno il Suo mandato Divino. Di conseguenza, quando Egli incontrava sul Suo cammino, le persone che soffrivano, a causa delle loro infermità, non chiudeva gli occhi a quei bisogni e non rimandava a un domani la loro guarigione. Nello stesso giorno e nella stessa riunione in cui Egli insegnava e predicava il vangelo, guariva anche gli ammalati di qualsiasi tipo.

I due testi summenzionati (che sono un’esclusiva di Matteo), ci fanno vedere chiaramente che Gesù, non separò mai l’attività dell’insegnamento e della predicazione del vangelo da quella della guarigione, come se le due funzioni fossero indipendenti l’una dall’altra, anzi li unificava sempre. Da questo comportamento di Gesù, non hanno solamente dovuto imparare gli apostoli, che nel giro di poco tempo sarebbero diventati i Suoi diretti continuatori, ma anche noi, che viviamo in tempi diversi, e ciò per meglio valutare giustamente il ministero di Gesù nella sua completezza.

Se dovessimo confrontare l’agire di certi predicatori e missionari, non ci sarebbe difficile notare una certa discrepanza tra il loro modo di agire e quello di Gesù. C’è una certa tendenza tra coloro che si credono dotati da Dio del potere miracoloso, poiché quando tengono delle riunioni speciali, a volte scandiscono chiaramente:

«Questa non è una riunione per le guarigioni, è una riunione per tutta la famiglia; se gli ammalati vogliono essere guariti, vengono a quella riunione» (segue luogo e data stabiliti).

Questo modo di agire, oltre a non essere conforme a quello di Gesù, mira a separare il ministero dell’insegnamento e della predicazione, da quello della guarigione fisica dell’ammalato, come se le due attività fossero indipendenti l’una dall’altra. Gesù non le considerava indipendenti ma complementari, nel senso che, sia l’una che l’altra, miravano al completamento dello stesso ministero. Dal momento che le due attività di predicare e di guarire avevano l’unico scopo di aiutare l’uomo, ha senso la specificazione che l’evangelista fa, quando dice che Gesù andava attorno per.... Più tardi, l’apostolo Pietro dirà:

Non sapete... come Dio abbia unto di Spirito e di potenza Gesù di Nazaret, il quale andò attorno facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo, perché Dio era con lui (Atti 10:38).

L’attività missionaria di Gesù aveva un grande successo, per il semplice fatto che tutti i malati, colpiti da varie infermità e dolori, indemoniati epilettici e paralitici, venivano guariti. Il termine “tutti”, che il testo sacro adopera, ci dice chiaramente che “nessuno” di quelli che venivano “presentati” o condotti a Gesù, restava deluso, nel senso che non riceveva la guarigione fisica. Condividiamo in pieno, l’affermazione di J. Gnilka, quando dice:

«L’aiuto che egli porta è un aiuto globale, che viene offerto a tutti i bisognosi e che riguarda le diverse forme delle sofferenze fisiche» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 172].

Quanti ammalati condotti qua e là, da questo e da quell’altro predicatore, infermi vanno e ammalati ritornano alle loro case, con una dose in più di una grande delusione, sia per loro che soffrono ancora, come anche per quelli che li hanno condotti! Tra le tante guarigioni che Gesù operò, solo per Nazaret ci viene detto che Egli non poté fare lì alcuna opera potente, salvo che guarire pochi infermi (Marco 6:5), e ciò a motivo della loro incredulità (Matteo 13:58). Fatta questa eccezione, dovunque Gesù manifestava il potere miracoloso di guarire gli infermi, erano sempre “tutti” gli ammalati che venivano guariti. Era proprio questa particolare manifestazione della potenza divina, che agiva in Gesù, che spandeva dovunque la Sua fama.

Gesù Cristo non ebbe mai bisogno di fare réclame per divulgare quello che diceva e faceva. Non erano tanto le sue parole (sebbene Gesù parlasse in maniera diversa di come parlavano gli scribi, per esempio, (Matteo 7:29; Giovanni 7:46), quanto quello che faceva, che propagavano dappertutto la Sua fama. Le persone che accorrevano a Lui, per aver sentito parlare delle grandi cose che operava, vedevano e constatavano esattamente come avevano udito parlare.

Quando si fa una réclame, (non importa l’articolo che si reclamizza), di solito si gonfiano le cose tanto da farle apparire superiori alla realtà. È solamente con la constatazione che una réclame può essere verificata se risponde a verità. Qui non stiamo facendo allusione a un prodotto commerciale, che per essere smerciato, ha bisogno di essere reclamizzato. Dio non ha niente da vendere, ragione per cui non ha bisogno che si faccia una buona réclame, con tutti gli accorgimenti che la tecnica moderna impone. Egli ha solamente tutto da offrire in dono, e i suoi servi, cioè quelli ai quali Egli ha dato questo potere miracoloso, non hanno merce da reclamizzare per vendere. Come hanno ricevuto in dono, altrettanto danno in dono, esattamente come il loro Maestro ha detto loro (Matteo 10:8).
Lo Spirito Santo ci dia sapienza e discernimento per sapere riconoscere le opere di Dio e darGli tutta la gloria e l’onore che merita!

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
09/06/2011 00:48


UN NECESSARIO CHIARIMENTO A PROPOSITO DEI TESTI DI ISAIA 53:3-5 E 1 PIETRO 2:24

Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori, conoscitore della sofferenza, simile a uno davanti al quale ci si nasconde la faccia, era disprezzato, e noi non ne facemmo stima alcuna. Eppure egli portava le nostre malattie e si era caricato dei nostri dolori; noi però lo ritenevamo colpito, percosso da DIO ed umiliato. Ma egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni. Schiacciato per le nostre iniquità; il castigo per cui abbiamo la pace è su di lui, e per le sue lividure noi siamo stati guariti (Isaia 53:3-5).

Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, viviamo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti (1 Piettro 2:24).

Questi due testi sono alla base dell’affermazione secondo cui, Gesù ha portato sulla croce le malattie e i dolori dell’umanità, ragione per cui, la guarigione delle malattie fisiche, fa parte integrale dell’opera della croce, nella stessa maniera come lo è per i peccati. Lo scopo di questo paragrafo chiarificatore, è cercare di capire il significato delle parole dei due testi, onde evitare di far dire al testo sacro quello che non vuole, o di negare nello stesso tempo quello che afferma chiaramente.

Le parole dell’apostolo Pietro sono una chiara citazione di Isaia 53:4,5. Se Isaia non parlasse specificatamente delle “malattie e dei dolori” fisici, da quello che dice Pietro, non sapremmo come conciliare questo e la guarigione cui allude Pietro, se quest’ultima, si riferisce a quella del corpo, o a quella dell’anima, dato che egli dice chiaramente che Gesù, portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce.

Dal canto suo però Isaia, afferma categoricamente che il Messia = Gesù, ha portato le nostre malattie e si è caricato dei nostri dolori. Mentre per quanto riguarda le trasgressioni e le iniquità, queste per prima lo hanno trafitto e poi schiacciato. Se ci chiedessimo: Quando fu che Gesù portò i nostri peccati, o meglio i peccati dell’intera umanità? Rispondiamo senza tema di essere smentiti: Quando Egli salì sulla croce del calvario. Infatti, fu durante il tempo della crocifissione che Gesù portò i peccati dell’umanità sul suo corpo, allo scopo di espiarli. Se Gesù, per una assurda ipotesi non fosse salito sulla croce per morirvi, i peccati dell’umanità non sarebbero stati espiati, quindi, non ci sarebbe stata nessun perdono per il peccatore. È la morte in croce, infatti, che riconcilia l’uomo con Dio ed è solamente in virtù di essa che tutte le ricchezze della grazia possono confluire sulla vita del peccatore.

Fu alla croce che Gesù portò i nostri peccati e si caricò delle nostre iniquità (Isaia 53:11), per inchiodarle per sempre su di essa. Ma per quanto riguarda le malattie e i dolori dell’umanità, Gesù fece lo stesso? Che cosa intendiamo con questa domanda? Semplicemente questo: Per sanare le varie malattie, non era necessario che Gesù morisse sulla croce; era necessaria invece la manifestazione della sua compassione per venire incontro ai sofferenti, cosa che Egli fece tantissime volte durante la sua vita terrena. In altre parole, se Gesù avesse portato le nostre malattie e i nostri dolori sulla croce, le guarigioni fisiche delle nostre infermità, sarebbero una diretta conseguenza della sua morte.

Ora, dal momento che una persona riceve Gesù nella sua vita per la sua salvezza, dovrebbe anche ricevere la sua guarigione fisica se è ammalata, cosa che in pratica non succede. Se questo non avviene, ciò sta a dimostrare che le due cose: salvezza dell’anima e guarigione corporale delle varie infermità, pur essendo due cose distinte e separate, non si possono fare risalire ambedue alla morte della croce, per il fatto che l’apostolo Pietro parla chiaramente e specificatamente che Cristo sulla croce ha portato i nostri peccati e non le nostre infermità e i nostri dolori.

Ma allora, tra la parola di Isaia e quella di Pietro, non c’è accordo? E se non c’è accordo, come devono essere intese le due affermazioni? Per dare una esauriente risposta alle nostre due domande, bisogna approfondire l’argomento e valutarlo sotto diversi aspetti, per scoprire cosa vogliono dire il profeta e l’apostolo Pietro.

a) Quello che voleva dire il profeta Isaia

La prima cosa da mettere in evidenza nella profezia di Isaia, è il fatto che il profeta ci presenta le sofferenze del Servo dell’Eterno, sofferenze che principalmente ci inducono a pensare alla croce, (dato che il riferimento è incontestabilmente a Gesù Cristo) come punto culminante del Suo patire. Per ciò che riguarda la redenzione che il Messia avrebbe dovuto compiere in favore del genere umano, ci saremmo attesi che il profeta iniziasse a descriverla, facendo riferimento alle nostre trasgressioni e alle nostre iniquità, per i quali il Messia sarebbe stato “trafitto” e “schiacciato”, e che il castigo per cui abbiamo la pace sarebbe stato su di lui.

Infatti, se non ci fossero state le trasgressioni e le iniquità nel genere umano, l’opera della redenzione non solo non vi sarebbe stata ma non avrebbe avuto nessun senso; ora, per il peccato che regnava nella vita degli uomini, quest’opera appariva, non solo coerente, ma addirittura necessaria per giustificarne ampiamente il fine.

Invece il profeta inizia la sua descrizione dell’opera del Messia, specificando che quello che Egli portava e si era caricato, erano le nostre malattie e i nostri dolori. Il valore di questa puntualizzazione, viene correttamente interpretata da Matteo, in occasione di una guarigione di massa che Gesù compì in favore degli ammalati, con le seguenti parole:

Affinché si adempiesse ciò che fu detto dal profeta Isaia, quando disse: «Egli ha preso le nostre infermità e ha portato le nostre malattie» (Matteo 8:17).

L’interpretazione e l’applicazione che fa Matteo della profezia isaiana, non è solamente importante per la sua correttezza, (e quando un autore del N.T. interpreta un passo dell’A.T., la sua interpretazione va preferita a qualsiasi altra) ma principalmente getta una luce sulla distinzione che viene fatta, delle due azioni che Gesù compì: quella di sanare le varie malattie e quella riguardante la riconciliazione dell’uomo con Dio, tramite la croce. A questo punto, crediamo sia necessario chiedere: Quando Gesù portò le nostre malattie e si caricò dei nostri dolori? Tenendo presente il testo di Matteo e la sua interpretazione appena citata, non si può pensare alla croce, senza screditare lo stesso Matteo, per ciò che riguarda il testo di Isaia 53:4.

Per Matteo, che seguiva lo svolgimento dell’opera di Gesù in mezzo agli uomini e che attraverso le svariate manifestazioni trovava la prova scritturale, non c’e nessun dubbio che Gesù, si è caricato dei nostri dolori e ha portato le nostre malattie, durante il tempo della Sua missione terrena, prima dell’adempimento finale della Sua morte sulla croce. In qual modo Egli li ha portati e se ne è caricato? Durante la guarigione che dava agli ammalati, quando venivano sanati delle loro infermità.

Nel prendere le nostre malattie e i nostri dolori, Egli ne faceva un punto focale del suo interessamento per quelli che soffrivano e per quelli che non avevano nessuna possibilità di uscire fuori da quelle tristi situazioni. Inoltre, la Sua comprensione e la Sua sensibilizzazione verso i sofferenti, non lo portavano ad estraniarsi da quelli che soffrivano, ma lo spingevano ad intervenire in loro favore.

b) Il pensiero dell’apostolo Pietro

Egli stesso portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, affinché noi, morti al peccato, viviamo per la giustizia; e per le sue lividure siete stati guariti (1 Piettro 2:24).

Dal canto suo, Pietro è molto preciso nel dire cosa portò Gesù, sul suo corpo sulla croce, aggiungervi le malattie e i dolori fisici, rappresenta un capovolgimento dell’insegnamento apostolico. È risaputo infatti che, in tutto il N.T., non c’è nessuna allusione alle malattie e ai dolori che Cristo abbia preso su di sé per portarli alla croce. Se Cristo prese il posto del peccatore, vale a dire si fece sostituto, l’offerta della sua vita sul legno della croce, mirava appunto il peccato del peccatore, e non le sue malattie e i suoi dolori, che rappresentavano una chiara conseguenza del peccato . L’apostolo Paolo, dal canto suo, che si trova in piena armonia con l’apostolo Pietro, dice dogmaticamente che Dio fece essere

Si continuerà il prossimo giorno...
[Modificato da Domenico34 09/06/2011 00:49]
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
10/06/2011 00:03

peccato per noi, colui (cioè Gesù) che non aveva conosciuto peccato, affinché noi potessimo diventare giustizia di Dio in lui (2 Corinzi 5:21).

È stato il peccato dell’uomo che ha creato la rottura tra Dio e l’uomo, e se l’uomo si è allontanato dal creatore, producendo una voragine intorno a sé, è sempre a motivo del suo peccato. Inoltre, è il peccato che doveva essere giudicato dalla giustizia di Dio, e questo Egli lo fece facendo diventare Gesù peccato, per potere a sua volta espiare il peccato del peccatore, in modo che lo stesso potesse morire al peccato e vivere per la giustizia.

È in questa precisa prospettiva che devono essere inquadrate e comprese le parole dell’apostolo Pietro, per le cui lividure siete stati sanati. Morire al peccato, quindi, non ha altro significato, se non quello della vittoria su di esso e la sua liberazione da questo stato di schiavitù. Questo è solamente ed esclusivamente possibile in virtù della morte di Gesù sulla croce. Ma allora, perché l’apostolo parla della guarigione, legata alle lividure del Cristo?

Questa guarigione a cui fa riferimento l’apostolo, è un’allusione alle malattie fisiche del corpo, o piuttosto riguarda la guarigione dell’anima? Dal momento che il peccato del peccatore, viene anche presentato come una malattia, e la sua espiazione e perdono come una autentica guarigione, è comprensibile che Pietro la faccia dipendere dalle lividure del Cristo, senza le quali non è possibile avere questo risultato. Inoltre, tutta l’argomentazione motivante che l’apostolo adduce, dell’azione di Cristo nel portare sul suo corpo sul legno i nostri peccati, trova la sua piena coerenza e la migliore spiegazione, con quello che dice l’epistola agli Ebrei, cioè che senza spargimento di sangue non c’è perdono dei peccati (Ebrei 9:22).

Appare dunque chiaro, visto soprattutto nel suo contesto, che 1 Piettro 2:24, non si riferisce al fatto che Cristo abbia portato su di sé le nostre infermità fisiche, ma esplicitamente i nostri peccati. Per ciò che riguarda l’affermazione dell’apostolo: per le sue lividure siete stati guariti, ciò non si riferisce alla guarigione delle malattie corporali, ma bensì a quella dell’anima, che affonda le sue radici sulla morte di Gesù in croce.

Questa guarigione non è che dovrà essere prodotta nella vita del peccatore, ma è già stata prodotta; il peccatore nel giorno e nel momento in cui si dà a Cristo col suo cuore e lo accetta come suo personale Salvatore, la guarigione della malattia del suo peccato è sua. Ecco perché l’apostolo usa la forma del verbo passato: siete stati sanati. Ora che abbiamo chiarito il testo di Isaia 53:4,5 e 1 Piettro 2:24, possiamo proseguire l’esame, riguardante le varie guarigioni fisiche che Gesù compì durante il tempo della sua permanenza sulla terra .

2. LA GUARIGIONE DI UN LEBBROSO

Ora, quando egli fu sceso dal monte, grandi folle lo seguirono. Ed ecco, un lebbroso venne a l’adorò, dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi mondarmi». Gesù, distesa la mano, lo toccò dicendo: «Sì, io lo voglio, sii mondato». E in quell’istante egli fu guarito dalla sua lebbra. Allora Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo ad alcuno; ma va’, mostrati al sacerdote, e presenta l’offerta prescritta da Mosè, affinché questo serva loro di testimonianza» (Matteo 8:1-4; par. Marco 1:40-45 e Luca 5:12-14).

Per Matteo, (che non segue l’ordine di Marco) [L’osservazione che fa Gnilka: «l’evangelista deve avere avuto per questa collocazione iniziale particolari motivi, che occorrerà ricercare» (Il vangelo di Matteo, I, pag. 436), credo che vale la pena darsi a questa ricerca, per meglio apprezzare questa collocazione, in riferimento soprattutto all’autorità di Cristo Gesù] la guarigione del lebbroso, è il primo miracolo che Gesù compie, dopo la Sua discesa dal monte. Questa precisazione che Matteo fa, viene ignorata da Marco e da Luca. Dal canto suo Luca dice che questo miracolo della guarigione del lebbroso avvenne, mentre egli si trovava in una di quelle città (Luca 5:12). Nella discesa dalla montagna, si «ricorda la storia di Mosè, che discese dal monte Sinai verso il popolo (Es. 19:14,25; 34:29)» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 420].

La storia della guarigione del lebbroso, situata subito dopo la discesa dal monte, per Matteo, che presenta Gesù, quale Re, ha una grande importanza e riveste un particolare significato, in relazione a quello che Gesù aveva proclamato sulla montagna. Tutte le verità che furono proclamate da Gesù sul monte, (che poi erano le leggi del Suo regno) portavano l’evidenza della Sua autorità.

Egli, infatti, non parlò come solevano parlare gli scribi, ma parlò con autorità, come uno che aveva ricevuto l’investitura del regno (Matteo 7:29). In questa prospettiva, infatti, si rendeva necessario mettere in risalto l’autorità di Gesù, non solamente per ciò che riguarda l’insegnamento e la predicazione del vangelo del regno, ma in particolare modo con azioni visibili, e questo lo fece su un tipo di malattia, quale era la lebbra, considerata inguaribile, quindi come se fosse un sinonimo di morte e la sua guarigione come un “risorgere dalla morte” [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 420].

La malattia della lebbra e le condizioni in cui veniva a trovarsi colui che era colpito da questo terribile male, è chiaramente descritta, nei minimi particolari, nel capitolo 13 del Levitico e il capitolo 14 enumera le norme per la sua purificazione. Siccome che la legge che riguardava la lebbra, era molto severa, poiché nessun lebbroso aveva la libertà di andare a trovare una persona pura, cioè senza lebbra, c’è da apprezzare molto quello che fece questo lebbroso, quando andò da Gesù. Il fatto poi che questo lebbroso “adori” Gesù, è un altro particolare che arricchisce questa storia, facendoci vedere chiaramente che nell’atteggiamento che assume quest’uomo, vi sono tutti gli elementi per vedere, non solo la sua fede, ma anche e soprattutto la convinzione che lui ha di Gesù, riservandogli un atto di adorazione, che spetta solamente a Dio (Deuteronomio 6:13; Matteo 4:10).

Marco, dal canto suo dice che il lebbroso, supplicandolo, cadde in ginocchio davanti a lui (Marco 1:40). Questo particolare, messo a confronto con (Isaia 45:23; Romani 14:11 e Filippesi 2:10), ci fanno chiaramente vedere che quel lebbroso, con quel gesto, riconosceva apertamente l’autorità e la divinità di Gesù Cristo.

Quello che aggiunge Luca: si prostrò con la faccia a terra e lo pregò (Luca 5:12), più significato, non solo alla fede e all’umiltà di quest’uomo, ma anche parla della maestà divina di Gesù, dato che Egli non reagì, respingendolo, (vedi Atti 10:26; 14:14,15; Apocalisse 22::8,9). Il fatto poi che il lebbroso chiami Gesù “Signore” e faccia appello alla “Sua volontà”, per ciò che riguarda il suo nettamento dalla lebbra = guarigione della malattia, è un altro elemento che contribuisce ad allargare la visuale della divina maestà e autorità di Gesù Cristo.

Davanti ad un simile atteggiamento che il lebbroso assume di fronte a Gesù: supplicandolo, inginocchiato con la faccia a terra e adorandolo, Gesù, che era anche il Divino compassionevole, non poteva rimanere indifferente nei confronti di quell’uomo che cercava la sua purificazione e la sua guarigione. Gesù, senza badare alle restrittive prescrizioni della legge che non permetteva di avere un qualsiasi contatto con un lebbroso, distende la sua mano, e lo tocca....

Giustamente Gnilka osserva: «Non dobbiamo vedervi la trasgressione del divieto di toccare la persona immonda» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 437]. Dal canto suo, Pesch, vede nel tocco di Gesù, un: «(Gesto simbolico che esprime potenza) e contatto (trasmissione di forza)» [R. Pesch, Il vangelo di Marco I, pag. 243]; mentre per Schürmann: «si tratta di un segno di potenza divina, di un gesto che poi diventa efficace nella maestosa parola di comando» [H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, pagg. 468,469].

Per Giovanni Crisostomo, quel toccare di Gesù, voleva dire qualcosa. «Non è la mano infatti che diventa impura al contatto della lebbra: al contrario, il corpo lebbroso è purificato dal tocco di quella santa mano». E prosegue: «Io ritengo che per nessun altro motivo lo faccia, se non per mostrare anche in quest’occasione che egli non è soggetto alla legge» [G. Crisostomo, Commento al vangelo di S. Matteo, 2, pag. 12].

«Cristo lo tocca, diventando quindi, secondo la legge levitica, impuro; ma in realtà egli rende puro l’impuro» [Richard Gutzwiller, Cristo nel vangelo di Matteo, pag. 119].

Anche se Gesù, in altre occasioni tocca l’ammalato prima di guarire (cfr. Matteo 8:15), tuttavia, non era questa una regola fissa per tutti i casi. Secondo la prescrizione mosaica, relativamente al caso di lebbra, non solo era vietato al lebbroso di avere un qualsiasi contatto con persone sane, ma neanche le persone sane potevano avere contatti con i lebbrosi, senza diventare loro stessi impuri.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
11/06/2011 00:07

Qui, da un lato abbiamo un lebbroso, che rappresenta la dispensazione della legge di Mosè e dall’altro, Gesù, che rappresenta la dispensazione della grazia. Il primo, con le sue restrizioni stabilisce una certa distanza e una totale separazione; il secondo, con la sua compassione, elimina la distanza e la separazione, e dà speranza di vivere a colui che era considerato un morto. La legge di Mosè ha i suoi limiti, la grazia, portata da Gesù Cristo, oltre a mettere in libertà la persona, l’avvicina e la unisce a Dio, in modo che la Sua potenza guaritrice, può raggiungere i bisogni dell’anima e del corpo dell’uomo. Secondo Marco, Gesù fu mosso a pietà (Marco 1:41) prima di stendere la sua mano e toccasse il lebbroso. La pietà di Gesù, è più di una semplice commiserazione: è la divina compassione, che interpretando appieno lo stato di una persona e il suo bisogno, si muove in suo favore e gli concede la grazia necessaria al suo caso.

«Sì, io lo voglio, sii mondato». E in quell’istante egli fu guarito dalla sua lebbra.

Ecco la parola di comando, che il Figlio di Dio pronuncia, in virtù della quale il lebbroso viene guarito. La guarigione avvenne all’istante; ciò vuol dire che i segni della lebbra scomparvero nel momento in cui Gesù pronunciò la sua parola. Fu quindi la Sua parola di autorità, che produsse la piena guarigione. Dal momento che la parola di Gesù, è anche la parola di Dio, ha piena attinenza quello che leggiamo nella Scrittura:

Egli, mandò la sua parola e li guarì... (Salmi 107:20).

Al lebbroso guarito vengono dati due ordini: Primo: Guardati dal dirlo ad alcuno; secondo: Mostrati al sacerdote, e presenta l’offerta prescritta da Mosè. Marco, dal canto suo aggiunge:

Ma egli, andandosene, cominciò a proclamare e a divulgare grandemente il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in città, ma se ne stava fuori in luoghi solitari; e da ogni parte venivano a lui (Marco 1:45).

È giusto chiedere: Perché Gesù diede quei due comandi? Per quanto riguarda il divieto di parlare, sappiamo che in altre circostanze, venne dato a tanti altri lo stesso comando. Crediamo che il motivo principale era quello che Gesù non andava in cerca della gloria umana. Gesù sapeva molto bene che non era venuto in questo mondo per questo (Giovanni 5:41 e 8:50) e tanto meno era interessato alla sua auto-glorificazione, dato che c’era il Padre che pensava a ciò (Giovanni 8:50). Matteo, dal canto suo, aveva capito questo molto bene, pensando soprattutto alle parole di divieto che Gesù aveva pronunciato a tanti ammalati guariti (Matteo 12:15,16), e, credeva che, l’atteggiamento che Egli manifestava, era in accordo per adempiere la profezia, che dice:

Ecco il mio servo che io ho scelto; l’amato mio in cui l’anima mia si è compiaciuta. Io metterò il mio Spirito su di lui, ed egli annunzierà la giustizia alle genti. Egli non disputerà e non griderà e nessuno udirà la sua voce per le piazze (Matteo 12:18,19; vedi Isaia 42:1-4).

Per quanto riguarda invece l’altro comando di andare dal sacerdote e offrire l’offerta prevista dalla legge di Mosè, ciò serviva essenzialmente per dimostrare che la lebbra era stata guarita, dato che solamente il sacerdote poteva dichiarare una persona affetta dalla lebbra, quindi impura, e a sua volta, dopo un attento esame, dichiarare netto un lebbroso, perché lo stesso potesse ritornare nel consorzio umano. Infine, l’affermazione che Gesù aveva fatto sulla montagna:

Non pensate che io sia venuto ad abrogare la legge o i profeti; io non sono venuto per abrogare, ma per portare a compimento (Matteo 5:17),

serviva per provare che non c’era nessuna contraddizione tra la Sua parola e la Sua azione. Pertanto, «sostenere che il racconto vuole provare in modo particolare l’obbedienza di Gesù alla legge non dà ragione di questa «ovvietà» espressa nel v. 14 di Luca 5. Il lebbroso deve presentarsi al sacerdote «a testimonianza per loro», così che la guarigione sia ufficialmente testimoniata e resa pubblica (come accade poi al v. 15), e ciò non solo tra i sacerdoti» [H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, pag. 470].

3. LA GUARIGIONE DEL SERVO DEL CENTURIONE DI CAPERNAUM.

Quando Gesù fu entrato in Capernaum, un centurione venne a lui pregandolo e dicendo: «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre grandemente». E Gesù gli disse: «Io verrò e lo guarirò». Il centurione, rispondendo, disse: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di’ soltanto una parola, e il mio servo sarà guarito. Perché io sono un uomo sotto l’autorità di altri e ho sotto di me dei soldati; e se dico all’uno: Va’ , egli va; e se dico all’altro: Vieni, egli viene; e se dico al mio servo: Fa’ questo, egli lo fa». E Gesù, avendo udito queste cose, si meravigliò, e disse a coloro che lo seguivano: «In verità vi dico, che neppure in Israele, ho trovato una così grande fede». E Gesù disse al centurione: « Va’ e ti sia fatto come hai creduto». E il suo servo fu guarito in quell’istante (Matteo 8:5-10,13; par. Luca 7:1-10).

Nota preliminare

Il racconto relativo al servo paralizzato del centurione di Capernaum, differisce notevolmente da quello che fa Luca, in alcuni punti. Matteo dice che il centurione andò personalmente da Gesù, mentre Luca sostiene che furono inviati alcuni anziani dei giudei.

Per Matteo, il servo del centurione, giace a casa paralizzato e soffre grandemente, per Luca, invece, il servo del centurione era “malato e stava per morire”. Per Matteo, è il centurione che dice a Gesù: Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto..., mentre per Luca, furono gli amici che il centurione mandò da Gesù, che riferirono quelle parole. Per Matteo, Gesù disse al centurione: «Va’ e ti sia fatto come hai creduto!», mentre Luca si limita solamente a registrare: E, quando gli invitati fecero ritorno a casa, trovarono il servo, che era stato infermo, guarito. Quando Gnilka afferma:

«Matteo ha certamente notato vari collegamenti che sussistono tra la pericope del centurione e ciò che precede. Anzitutto, qui c’è il Gesù giudeo che si attiene alla legge. Come in 8:4 manda il guarito dalla lebbra dal sacerdote, così qui non entra nella casa del pagano» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, 1, pag. 448].

A questo punto bisogna precisare che, se Gesù non entrò nella casa del pagano, non fu sicuramente perché egli non volesse andarci, in qualità di giudeo, come nel caso di Pietro, (Atti 10:20,28; 11:3), ma perché gli venne espressamente vietato di andarvi. Se abbiamo riportato quello che dicono i due commentari citati, l’abbiamo solamente fatto per dire come gli esegeti hanno commentato il passo relativo del centurione di Capernaum. Anche se le differenze, sul piano testuale, tra Matteo e Luca sono abbastanza notevoli, tuttavia, riflettendo su quello che i due evangelisti hanno scritto, possiamo trovare utili ammaestramenti per la nostra vita cristiana.

Esame del testo

La prima cosa che va notata, secondo il racconto di Matteo, è che il centurione di Capernaum non va a Gesù per se stesso, ma per il suo servo che gli era molto caro (Luca 7:2) o come dice la N. Riveduta ed altre versioni: “molto stimato”. Anche se la differenza è notevole, tra servo e padrone, — specialmente a quei tempi —, non c’è da sottovalutare il particolare di Luca, se non altro per mettere in evidenza, una particolare relazione che intercorreva tra padrone e servo. Quando veramente una persona è cara o stimata dall’altra, non sarà difficile manifestargli l’interessamento, specialmente se c’è un particolare bisogno. Questa specie di “sensibilizzazione”, ha le sue radici nella relazione — diremmo piuttosto amichevole — che intercorreva tra i due soggetti. Se il centurione diventò sensibile alla sofferenza del suo servo, era dovuto al fatto che il servo gli era caro.

Davanti alla preghiera del centurione, Gesù risponde: «Verrò e lo guarirò». Il centurione, secondo Matteo, non aveva chiesto che Gesù andasse a casa sua per guarire il suo servo; ciò nonostante, Gesù si mette subito a sua completa disposizione. Questo particolare ci insegna che è impossibile, secondo la sensibilità che ha il Signore per coloro che soffrono, che Egli passi inosservato o rimanga indifferente, davanti a una preghiera che gli viene rivolta. Non è forse scritto:

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
12/06/2011 00:15

Invocami nel giorno dell’avversità, io ti libererò e tu mi glorificherai ? (Salmi 50:15).

Secondo Luca, gli anziani dei giudei che vennero mandati dal centurione, fanno una precisa richiesta di andare a casa del centurione per guarirgli il suo servo, aggiungendo una plausibile motivazione, secondo l’uomo:

Egli merita che tu gli conceda questo, perché egli ama la nostra nazione, ed è stato lui a costruirci la sinagoga (Luca 7:3-5).

Riflettendo su questa motivazione, possiamo dire, in base a quello che dicono altri testi della Parola di Dio, che non è mai sulla base del cosiddetto “merito personale”, che Dio si muove per andare incontro al bisogno dell’uomo. Qualunque siano le nostre buone opere che possiamo fare, dobbiamo sempre ricordarci che non sono queste che procurano l’intervento di Dio a nostro favore, ma è sempre in virtù della Sua grazia = favore immeritato, che Egli va incontro al bisogno di colui che si rivolge a Lui.

Dal momento che per Matteo, non c’è la richiesta del centurione che Gesù vada a casa sua, la risposta di Gesù di venire nella sua casa, coglie di sorpresa lo stesso centurione, perché forse egli non pensava che Gesù, in qualità di giudeo si mettesse a disposizione di un pagano, recandosi addirittura a casa sua. Anche se il centurione avesse avuto questi pensieri nella sua mente, — quello che dicevano i giudei era vero —, nondimeno in quel giorno, il centurione pagano, doveva imparare che Gesù, pur essendo giudeo, come uomo, nel suo agire non era tale, dato che Egli era venuto sulla terra, per svolgere una missione in favore dei giudei e dei pagani.

La parola del centurione: Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito e la relativa spiegazione che viene addotta (vv. 8,9), portano Gesù a dichiarare, non solo che la fede di quell’uomo è grande, ma che neppure in Israele aveva trovato una simile fede (v. 10).

C’è un altro solo caso nel N.T. in cui si parla della grande fede: la donna Cananea (Matteo 15:28), anche lei è una pagana. Anche se a questi due pagani viene riconosciuta da Gesù di avere una grande fede, tuttavia, tra l’uno e l’altro episodio c’è differenza. In questo testo di Matteo e in quello parallelo di Luca, ci stiamo occupando del centurione di Capernaum, per vedere in che cosa consista la sua grande fede.

Anzitutto, c’è da mettere subito in risalto che non è il centurione che dice di avere una grande fede, è Gesù che la riconosce e la proclama. Se questo pagano avesse detto solamente: Signore, io ho una grande fede; se Tu, dirai soltanto una parola, il mio servo sarà guarito, senza addurre la specificazione che fece, sarebbe stata ugualmente grande la sua fede? Secondo noi, la grandezza della fede del centurione non consiste solamente nel credere che una sola parola detta da Gesù avrebbe guarito il suo servo, ma nella specificazione che ne fa, come prova e dimostrazione. Lui, in qualità di persona di autorità, quando dà un ordine a un suo dipendente, il soldato fa esattamente quello che gli viene comandato di fare. La precisazione che fa Matteo, è molto importante per farci vedere in che cosa consisteva la grande fede del centurione. E Gesù, avendo udite queste cose..., — quelle relative al comando del centurione ai suoi dipendenti —,

disse a coloro che lo seguivano: In verità vi dico, che neppure in Israele ho travato una così grande fede.

La fede di quest’uomo quindi, non era basata sul semplice pensiero di credere all’autorità della parola di Gesù, essa veniva dimostrata in base alla sua esperienza. Questo parallelo che il centurione fa, tra la sua parola e quella di Gesù, non serve tanto per stabilire quale delle due parole abbia più importanza, quanto per stabilire il principio dell’autorità. Inoltre, col dire quelle parole, il centurione riconosceva una diversa autorità rispetto alla sua, perché la parola di Gesù, era capace di fare quello che non avrebbe fatto la sua parola, cioè guarire il suo servo.

La superiorità di autorità che il centurione riconosce in Gesù, consiste anche, nel fatto che Egli può dire la parola senza vedere il soggetto, e, per giunta in lontananza, senza cambiare il risultato. La fede è sempre “certezza” (Ebrei 11:1), non importa se è piccola o grande, poiché anche una piccola fede quanto un granel di senape, può trasportare una montagna (Matteo 17:20).

Il Centurione aveva chiesto a Gesù di dire solamente una parola, perché il suo servo venisse guarito. Gesù però, questa parola non la disse mai, ma proferì invece quella che il centurione non avrebbe minimamente sospettato:

«Va’ e ti sia fatto come hai creduto!» E il suo servo fu guarito in quell’istante (v.13).

Non ci sono limiti alla potenza di Dio e non ci sono distanze che essa non possa raggiungere. L’unica cosa che blocca la potenza e la virtù miracolosa divina, è sempre e solamente l’incredulità dell’uomo. Aiutaci, o Signore, a credere alla Tua Parola!

4. LA GUARIGIONE DELLA SUOCERA DI PIETRO E DI ALTRI MALATI

Poi Gesù, entrato nella casa di Pietro, vide che la suocera di lui era a letto con la febbre. Ed egli le toccò la mano e la febbre la lasciò; ed ella si alzò e prese a servirli. Ora, fattosi sera, gli furono presentati molti indemoniati; ed egli, con la parola, scacciò gli spiriti e guarì tutti i malati, affinché si adempisse ciò che fu detto dal profeta Isaia, quando disse: «Egli ha preso le nostre infermità e ha portato le nostre malattie» (Matteo 8:14-17; par. Marco 1:29-34; Luca 4:38-40).

Nota preliminare

a) Secondo quello che ha scritto Matteo, Gesù si trova solo quando va nella casa di Pietro, mentre secondo Marco, Gesù era assieme con: Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni (Marco 1:29). Inoltre, Marco e Luca dicono chiaramente che Gesù entrò nella casa di Simone = Pietro, dopo che uscì dalla sinagoga (Marco 1:29; Luca 4:38). Marco sottolinea che essi (Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni) subito gli parlarono di lei (Marco 1:30); mentre Luca: gli fecero richiesta per lei (Luca 4:38).

Per Matteo e Marco, la suocera di Pietro si trova a letto con la febbre; mentre Luca specifica che quella donna era stata colpita da una grande febbre (Luca 4:38). Questi ed altri particolari che emergono dall’esame dei tre testi evangelici, lungi dal considerarli come elementi contrastanti e noiosi, servono solamente per arricchire il racconto e per farci notare la fonte di cui si servirono gli evangelisti, o la cosiddetta dipendenza [J. Gnilka non ha nessuna difficoltà ad affermare che «la fonte è esclusivamente Mar. 1:29-34». J. Gnilka, il Vangelo di Matteo 1, pag. 451. Dal canto suo R. Pesch, fa questa precisazione: «I tratti non topico-funzionali nella nostra narrazione (indicazione concreta di luogo: casa di Simone a Cafarmao; persona malata ben determinata: suocera di Simone) fanno necessariamente pensare che il risanamento della febbricitante suocera di Simone da parte di Gesù abbia fornito l’occasione per l’origine e la prima tradizione di questo racconto» (R. Pesch, Il vangelo di Marco 1, pag. 222)].

Esame del testo

Il particolare che hanno Marco e Luca nel riferire a Gesù la situazione febbricitante della suocera di Pietro, non serve solamente a mettere in risalto il legame di amicizia che c’era tra i primi quattro discepoli che Gesù aveva chiamati a sé, cioè Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, ma serve anche e soprattutto a evidenziare il potere miracoloso che Gesù aveva in sé, potere che avrebbe potuto manifestare nella vita dell’ammalata. Infatti, quello che dissero i quattro a Gesù della suocera di Pietro, aveva appunto lo scopo che Gesù compisse un miracolo nella vita della febbricitante, specie quando si pensa che i quattro avevano assistito a quello che Gesù aveva fatto nella sinagoga di Capernaum, nel liberare quell’uomo posseduto dallo spirito immondo.

A parte il fatto che i quattro erano una coppia di due fratelli carnali: Pietro ed Andrea da una parte e Giacomo e Giovanni dall’altra, è oltremodo importante che nell’ambito di una famiglia, quando c’è un membro che si trova in qualche difficoltà o in un particolare bisogno, si sappia parlare a Gesù di quello stato. Agendo in questo modo si dimostra che c’è vera unità e vera partecipazione nella vita della famiglia. Se un padre può parlare a Gesù del bisogno di un proprio figlio, o viceversa; se una madre può presentare a Gesù un’urgenza riguardante la vita di una propria figlia, o viceversa, o se un membro di una famiglia può far presente a Gesù una necessità particolare dell’altro, sia coloro che ne fanno richiesta come quelli che si trovano in bisogno, possono vedere la manifestazione della bontà di Dio in loro favore, quando Egli va incontro alle loro situazioni.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
13/06/2011 00:16

Il principio divino, secondo il quale per ricevere bisogna chiedere (Matteo 7:7), è valido per tutte le situazioni della vita in cui uno può venirsi a trovare, sia per quanto riguarda problemi di carattere spirituale e sia per quanto riguarda problemi di carattere materiale. Impariamo a raccontare a Gesù le cose della nostra vita e quelle che riguardano i nostri famigliari!

Secondo il resoconto di Matteo, Gesù toccò la mano della suocera di Pietro e la febbre la lasciò; mentre, secondo Marco, Gesù, prima si avvicina, e poi la prese per la mano e l’alzò. Questo avvicinarsi di Gesù, non è un atteggiamento privo di significato, ma è un gesto di grande sensibilizzazione che Egli manifesta per i sofferenti. Anche il Suo tocco, — trattandosi di un tocco divino —, ha la sua importanza, poiché la virtù sanatrice si trasmette nella vita dell’ammalato.

Luca invece, considera la grande febbre che ha la suocera di Pietro, come qualcosa che ha legame con uno spirito immondo. Solo in questo senso si possono spiegare le parole: sgridò la febbre e questa la lasciò. A questo punto, bisogna evitare di generalizzare, cioè che ogni malattia fisica sia da collegare alla presenza di un demone o di uno spirito immondo.

Questo però non esclude che ci possono essere mali fisici causati dalla presenza di demoni e quando questi vengono cacciati, i mali fisici scompaiono. In questo campo ci vuole molta prudenza e tanto discernimento, per non alterare o falsificare le varie situazioni. La guarigione della suocera di Pietro avvenne istantaneamente, cioè nello stesso momento in cui Gesù la toccò o sgridò la febbre, avvenne la guarigione. E come prova della sua effettiva guarigione, la febbricitante si alzò prontamente, e si mise a servire (Luca 4:39). Il servire di quella donna miracolata, sta ad indicare la sua riconoscenza e la sua gratitudine verso Colui che l’aveva guarita.

Ora, fattosi sera, gli furono presentati molti indemoniati; ed egli, con la parola, scacciò gli spiriti e guarì tutti i malati (v. 16).

Tutti e tre gli evangelisti sono concordi nell’affermare che la manifestazione miracolosa che si verificò alla porta della casa di Pietro, avvenne la sera. Luca dice al tramontar del sole (Luca 4:40), mentre Marco dopo il tramonto del sole (Marco 1:32). Lasciando da parte gli indemoniati (per i motivi che abbiamo esposto nell’introduzione), tutti gli ammalati che vennero sanati in quella sera, furono guariti con la “parola”, mentre per Luca ci fu una generale imposizione delle mani di Gesù su ogni infermo (Luca 4:40).

L’esame che faremo su tutte le manifestazioni miracolose che Gesù compì durante il Suo ministero terreno — stando a quello che dicono gli evangeli, perché ad essi solamente ci atterremo in questa nostra ricerca —, metterà in chiara evidenza che Gesù, nel guarire gli ammalati, di qualsiasi malattia fossero affetti, non usò mai una regola fissa, cioè non fece mai le guarigioni sempre allo stesso modo. Questo elemento facilmente individuabile nei testi evangelici, non deve essere né ignorato, né sottovalutato, ma preso in considerazione, per meglio valutare i vari casi di guarigione divina operati da Gesù.

Per quanto riguarda il particolare che Matteo ci fornisce, cioè che gli ammalati vennero guariti da Gesù con la “parola”, non sappiamo esattamente cosa avrà detto loro. Sappiamo per quanto riguarda lo scacciamento dei demoni che la parola di Gesù consisteva nell’ordinare ai demoni di andarsene e di lasciare libera la persona, e se una malattia fisica veniva causata da un demone (come ci sembra il caso della febbre della suocera di Pietro, da poco considerato, stando almeno a quello che ci riferisce Luca), sgridare quel male, rientrava nella logica delle cose, mentre se questa non era causata dal demonio (come è il caso dei nostri testi evangelici che stiamo esaminando), Gesù, con la Sua parola, si sarà rivolto alla malattia o alla persona ammalata? Dal momento che il testo evangelico tace, ogni spiegazione che si potrebbe addurre, sarebbe sempre una pura ipotesi.

Secondo noi non ha tanta importanza sapere la parola che Gesù usava (dato che non era sicuramente una frase magica che Egli pronunciava), quanto il sapere che la Sua parola divina, che Egli pronunciava, poteva benissimo produrre la guarigione fisica nella vita degli ammalati, nella stessa maniera come la parola creatrice: Egli parlò e la cosa fu; egli comandò e la cosa sorse (Salmi 33.9).

Per quanto riguarda invece il particolare che ha Luca, cioè che tutti gli ammalati in quella sera furono guariti, lo furono perché Gesù impose le mani “su ciascuno di loro”, si può mettere in risalto il valore dell’imposizione delle mani e spendere qualche parola di commento, anche per ricollegarla agli altri testi del Nuovo Testamento. Dall’ultima volontà che Gesù manifestò ai suoi apostoli, prima di salire in cielo, quando diede loro il grande mandato di predicare l’evangelo ad ogni creatura, Marco riporta, nella parte terminale del suo evangelo, quanto segue:

E questi sono i segni che accompagneranno coloro che hanno creduto... imporranno le mani agli infermi, e questi guariranno (Marco 16:17,18).

L’imposizione delle mani, ai fini della guarigione di un ammalato, non è prerogativa di una classe privilegiata di credenti, — come si potrebbe pensare a prima vista —, ma di tutti quelli che hanno creduto. Essa non è vincolata o limitata a un determinato tempo, né a particolari circostanze, ma serve essenzialmente come segno accompagnatore in favore di quelli che credono. Questo particolare, inoltre, serve per mettere in risalto il valore e l’importanza della fede, senza la quale non sarà possibile vedere il miracolo nella vita degli ammalati. Come e quando il credente imporrà le mani sugli infermi e questi saranno guariti, non è da intendersi come una regola fissa per tutte le situazione e per ogni circostanza. Il credente, nell’esercizio della sua missione, deve imparare a dipendere dal Signore Gesù Cristo e lasciarsi guidare dallo Spirito Santo, il solo che conosce le varie situazioni e può guidare il credente per i diversi casi che si presenteranno davanti a lui.

5. LA GUARIGIONE DEL PARALITICO DI CAPERNAUM

Ed egli salito sulla barca, passò all’atra riva e venne nella città. Ed ecco, gli fu presentato un paralitico disteso sopra un letto; e Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, fatti animo, i tuoi peccati ti sono perdonati». Allora alcuni scribi dicevano fra sé: «Costui bestemmia!», Ma Gesù, riconosciuti i loro pensieri, disse: «Perché pensate cose malvagie nei vostri cuori? Infatti, che cosa è più facile dire: I tuoi peccati ti sono perdonati, oppure: Alzati e cammina? Ora, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha autorità sulla terra di perdonare i peccati: Alzati (disse al paralitico), prendi il tuo letto e vattene a casa tua! Ed egli, alzatosi, se ne andò a casa sua. Le folle, veduto ciò, si meravigliavano e glorificavano Dio, che aveva dato tale potere agli uomini (Matteo 9:1-8); (par. Marco 2:3-12; Luca 5:18-26).

Nota preliminare

Il racconto della guarigione del paralitico di Capernaum, anche se viene presentato dai tre evangelisti, Matteo, Marco e Luca, non viene descritto da tutti e tre nella stessa maniera. I particolari che abbondano in Marco e Luca, sono totalmente assenti in Matteo, e se quest’ultimi non avessero riempito il vuoto che lascia Matteo, non saremmo in grado di conoscere e valutare certe verità fondamentali, che hanno un’importanza notevole per la vita e la dottrina cristiana. È sicuramente fuori dubbio, che ogni evangelista che ha scritto l’episodio della guarigione del paralitico di Capernaum, aveva davanti a sé uno scopo da perseguire, e, senza badare eccessivamente a certi particolari, ha steso il racconto per il fine che si era proposto. Probabilmente Matteo voleva mettere in risalto la verità relativa al perdono dei peccati. Mentre Marco e Luca, pur avendo lo stesso obbiettivo di Matteo, i particolare che abbondano nella loro narrazione, servono essenzialmente a chiarire meglio la verità, e farla comprendere con maggiore facilità.

Esame del testo

Lo scarno resoconto che Matteo presenta, comincia col dire che, dopo aver passato all’altra riva, venne nella sua città. Che questa città fosse Capernaum, risulta evidente, anche se altri passi evangelici ci dicono che Nazaret, era la sua patria, dove fu cresciuto e passò gran parte della sua giovinezza, prima di entrare nel suo pubblico ministero. Marco, da parte sua, che non vuole raccontare l’episodio della guarigione del paralitico di Capernaum, nella maniera come l’ha fatto Matteo, scende a certi dettagli di quella giornata che, lungi dall’essere elementi insignificanti, con la sua vivida descrizione, prepara una cornice narrativa particolare prima che la gente vada da Gesù, col dire che egli si trovava in casa.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
14/06/2011 00:38

Il particolare inconsueto dello scoperchiamento del tetto, qualcuno lo descrive nel seguente modo:

«Si presuppone probabilmente che i portatori raggiungano il solaio servendosi di una scala esterna. La verosimiglianza dell’avvenimento è illustrata da M. A. Rihbany, Morgenländische Sitten im Leben Jesu, Basel ³ 1927, 116 s: «Le travi principali che sostengono il tetto distano orizzontalmente circa 70-100 cm. l’una dall’altra. Su di esse vengono poste trasversalmente stanghe, molto vicine l’una all’altra, abbastanza lunghe per coprire lo spazio intermedio. Segue poi uno strato di canne, rami e sterpi; il tutto viene poi coperto con circa 30 cm. di terra. Un rullo di pietra comprime il fondo, che viene indurito dopo essere stato bagnato. Durante l’estate, in molte case resta un’apertura nel tetto per raggiungere il grano e le altre provviste, che vengono seccate in alto al sole. Le travi del tetto sono disposte ad una distanza sufficiente da far passare un grande cesto, un cosiddetto cesto da uno staio. I portatori del paralitico praticarono una nuova apertura nel tetto, oppure allargarono quella già esistente. Il malato giaceva però su un materasso o un grosso cuscino, legato ai quattro canti» [R. Pesch, Il vangelo di Marco 1, pag. 259, nota 12].

Marco precisa che i portatori calarono il letto sul quale giaceva il paralitico, sul punto dove era Gesù (Marco 2:4). D’altra parte, l’intento dei portatori, non era di calare il paralitico dentro la casa dove si trovava quella enorme folla in un punto qualsiasi, ma di farlo arrivare davanti a Gesù. La fede di questi uomini è talmente vera che

«con impegno e determinatezza, sanno superare gli ostacoli e non si sono lasciati facilmente arrestare dagli ostacoli» [H. Schürmann, Il vangelo di Luca, 1, pag. 477].

Tutti e tre gli evangelisti riferiscono che Gesù vide la fede dei portatori del paralitico. Il vedere di Gesù, è certamente un vedere diverso da quello dell’uomo, anche perché Egli non si sbaglia mai. Anche se la fede è essenzialmente certezza di cose che si sperano (Ebrei 11:1), quando questa è realmente presente nella vita umana, essa viene vista anche dagli altri (cfr. Atti 14:9).

La fede per la guarigione del paralitico si trovava nella vita delle persone che lo portarono a Gesù, e non nel paralitico: Gesù vista la loro fede; ma quando Egli parlò, non indirizzò la sua parola ai portatori, ma al paralitico, perché era quest’ultimo che aveva bisogno di essere guarito. Dal momento che l’iniziativa dei quattro che portarono il paralitico a Gesù era quella per la guarigione della sua infermità, perché mai Gesù dica al paralitico: «Figliolo, fatti animo, i tuoi peccati ti sono perdonati?»

«Qui egli (come in Giovanni 5:14, diversamente in 9:2) vede un nesso tra malattia e peccato» [Ibidem, 477, nota 20].

Il motivo del perdono dei peccati, è messo in evidenza con chiarezza dai tre evangelisti, anche perché questo rappresenta il punto più saliente e significativo di tutto l’episodio dell’evento miracoloso. Per Gesù, che vede in maniera diversa di come sanno vedere gli uomini, è molto importante che Egli risalga all’origine del problema e lo risolva. Quando questi è risolto, l’effetto e le sue cause, (che per quel caso era la paralisi) verranno eliminate. Alle parole inaspettate di Gesù: i tuoi peccati ti sono perdonati, principalmente per alcuni scribi che erano lì presenti, (Luca aggiunge che c’erano pure
dei farisei e dei dottori della legge, i quali erano venuti da tutti i villaggi della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme (Luca 5:17),

vi fu un movimento nella vita di quest’ultimi, che li portò a ragionare fra sé, che Gesù stava bestemmiando dicendo quelle parole. Pur considerando la parola di Gesù una bestemmia, non ebbero però il coraggio di dirlo apertamente, forse per paura di essere contestati dalla folla ivi presente.

Dal momento che quel ragionamento quei religiosi lo fecero nei loro pensieri, e che nessuno degli astanti sapeva quello che stavano dicendo, Gesù, a rigore, avrebbe potuto ignorarli e proseguire nel suo lavoro. Se Gesù non avesse dato una risposta ai pensieri di quegli uomini, (che poi pensavano cose malvagie nei loro cuori), la verità relativa all’autorità del Figlio dell’uomo”, non sarebbe stata proclamata e puntualizzata.

Ma in che cosa consisteva la bestemmia di Gesù, secondo quei religiosi? Nell’appropriarsi una prerogativa di Dio. Marco, che ama fare le precisazioni e i chiarimenti, dice: «Perché mai costui parla in questo modo? Egli bestemmia. Chi può perdonare i peccati, se non Dio solo?» (Marco 2:7).

A sua volta Luca, che ha usato anch’egli il termine “perdonati”, quando deve riferire la motivazione dei religiosi, preferisce adoperare un altro termine rispetto a Marco; egli, infatti dice: chi può togliere i peccati se non Dio solo? (Luca 5:21). Perché mai due termini diversi per parlare della stessa cosa? Questi non sono particolari solamente da spiegarsi sotto il profilo della semplice terminologia; sono particolari che essenzialmente mettono in risalto l’aspetto teologico del perdono. Quando Dio concede il perdono dei peccati, non copre il peccato nella vita del peccatore, lo toglie, lo porta via.

La scheda del casellario giudiziario, per così dire, del peccatore, resta pulita, e con l’atto di giustificare il peccatore, Dio considera lo stesso, come se non avesse fatto nessun peccato. Se si concede il perdono o il condono a un criminale, sì, è vero che quella persona esce dalla prigione, ma la sua scheda, resta quella che è, compreso il suo crimine che non viene cancellato. Ha subito solamente un cambiamento la persona fisica: un detenuto ad una condizione di libertà. Ma col perdono che Dio concede al peccatore, il cambiamento avviene in maniera totale, sia per la parte esterna come per la parte interna della persona; non resta più nessuna traccia del peccato, perché appunto Dio lo toglie.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
15/06/2011 00:05

«Marco pare considerare la casa di Pietro (1:29) come dimora fissa di Gesù a Cafarnao». Qualcuno giustamente ha chiesto: «La casa del vangelo di Marco è la casa di Simon Pietro?» [R. Pesch, Il vangelo di Marco 1, pag. 257, nota 5].

Il fatto poi che l’evangelista aggiunga che, subito si radunò tanta gente da non trovare più posto neppure davanti alla porta (Marco 2:2), ciò serve a mettere in chiara evidenza che, prima che arrivasse il paralitico, Gesù era già impegnato con la folla che era accorsa alla casa dove egli si trovava, e annunciava loro la parola. Luca, invece dice che Gesù, stava insegnando e che la potenza del Signore era con lui, per compiere guarigioni (Luca 5:17). Annunciare la parola e insegnare, rappresentavano la nota caratteristica di Gesù nel suo ministero e la potenza del Signore per compiere guarigioni, ne costituiva l’elemento predominante di tutta la sua attività in mezzo agli uomini.

Quest’ultimo particolare a dir il vero, che non è affatto secondario e insignificante, dimostra che Gesù non era l’uomo che parlava ed insegnava solamente, ma colui che veniva incontro ai vari bisognosi, afflitti e travagliati dalle varie infermità corporali. Egli sapeva molto bene il valore dell’annuncio della Parola e del suo insegnamento, perciò non lo trascurava mai, anzi lo metteva sempre al primo piano, accompagnandolo anche con la manifestazione miracolosa della Sua potenza.

Se non ci fossero Marco e Luca, non potremmo capire come abbia fatto il paralitico di Capernaum ad arrivare da Gesù, dal momento che le sue condizioni non gli permettevano di camminare. Il vuoto che ha lasciato Matteo, in questa parte della narrazione evangelica, ci pensano Marco e Luca a riempirlo, così il lettore, con l’arricchimento di questi particolari può guardare l’evento di questa straordinaria manifestazione della potenza miracolosa di Gesù, che appare in tutta la sua luminosità e maestà.

A differenza di Luca che dice che alcuni uomini portarono sopra un letto un uomo paralitico (Luca 5:18), Marco precisa che erano [C[quattro (Marco 2:3). Affermare, come qualcuno ha sostenuto che, i portatori erano i primi quattro discepoli di Gesù, non si può dimostrare. Anche se non si conoscono i loro nomi, tuttavia, quello che essi fecero, merita di essere lodato, per il semplice fatto di essersi messi a disposizione di una persona bisognosa.

Lo scoperchiamento del tetto, non deve essere considerato, come qualcuno ha supposto, «per ingannare il demone della malattia». Giustamente Pesch, dice: «In questo caso, però, si dovrebbe eliminare come secondario non solo l’accenno alla folla (vv. 2-4), ma anche il motivo della fede (v. 5a)» [R. Pesch, Il vangelo di Marco, 1, pagg. 259,259, nota 10].


Ritornando agli scribi, ai farisei e ai dottori della legge, quello che loro affermavano era vero, che solo Dio può perdonare i peccati. Per quanto riguardava Dio, questa prerogativa non poteva essere contestata, ma non lo era per Gesù agli occhi di quella gente. Con la risposta che Gesù dà, non solo mette in risalto l’autorità del Figlio dell’uomo”, ma anche la Sua divinità, prerogativa che i religiosi di quel tempo non accettavano.

Prima che Gesù avesse dato risposta a quella obiezione che si faceva nei suoi confronti da parte degli scribi, Marco ci tiene a precisare che Gesù, conobbe nel suo spirito che ragionavano queste cose dentro di sé... (Marco 2:8). Era infatti la sua natura divina, che infrangendo il velo della separazione, tra la parola pensata e quella detta con la bocca, metteva in evidenza la realtà che si nascondeva nel cuore di quelle persone.

Che cosa è più facile dire: I tuoi peccati ti sono perdonati, oppure: Alzati e cammina? Ora, affinché sappiate che il Figlio dell’uomo ha autorità sulla terra di perdonare i peccati...

L’autorità del Figlio dell’uomo, non deve essere considerata solamente in riferimento a Matteo 28:18, ma soprattutto per ciò che riguarda la natura di Dio poiché anche Gesù è Dio. Se Dio perdona i peccati, lo fa in qualità di Dio, perché solo Lui possiede una simile prerogativa. Se il Figlio dell’uomo fa lo stesso, dimostra che anche Egli è Dio. Questa è la conclusione più logica e coerente che si può ricavare dalle parole di Gesù. Ora che Gesù ha proclamato, a pieno titolo, la sua autorità, dimostra anche la sua divinità, per ciò che riguarda la potenza miracolosa.

Alzati (disse al paralitico), prendi il tuo letto e vattene a casa tua!

Quel comando che Gesù diede, non era solamente la parola di uno tra i tanti, era essenzialmente il comando del Sovrano, del divino, dell’Iddio potente che aveva tutto sotto controllo. Ed egli, alzatosi se ne andò a casa sua. Marco e Luca precisano che lo fece “immediatamente”, “subito”, alla presenza di tutti. Dal momento che quella guarigione era una manifestazione del potere miracoloso di Dio, la cosa non doveva essere fatta in occulto e nel segreto, ma davanti a tutti, in modo che tutti potessero rendere testimonianza dell’avvenuta guarigione del paralitico.

Non sappiamo per quanto tempo quell’uomo rimase paralizzato, prima della sua guarigione. Quando un arto, menomato di questo genere, viene privato a lungo del suo movimento, di solito rimane debole ed inefficace di muoversi, e per riprendere le sue normali funzioni, ha bisogno per un periodo di esercizi fisici. Quell’uomo paralizzato e guarito, non ebbe bisogno di fare nessun esercizio. Allo stesso momento che Gesù gli ordinò di alzarsi e di andarsene a casa sua, i suoi arti ritornarono normali come prima, senza nessun segno di menomazione, perché era stata la potenza miracolosa di Gesù Dio, che aveva messo a posto tutte le funzioni delle articolazioni di quel corpo.

Nonostante che le folle veduto ciò, si meravigliarono e glorificarono Dio, rimase in loro la convinzione che si trattava di un potere che Dio aveva dato agli uomini. Dal canto suo Marco, nel riferire lo stupore della folla, aggiunge anche quello che venne detto in quella circostanza: Non abbiamo mai visto nulla di simile (Marco 2:12); Oggi abbiamo visto delle cose sorprendenti (Luca 5:26).
Infine, lo stesso Luca non dice solamente che tutti gli astanti glorificarono Dio, ma precisa anche che lo stesso paralitico se ne andò a casa sua, glorificando Dio (Luca 5:25).

Dopo avere condotto un’analisi del testo su tutti i particolari che esso menziona, per la verità essenziali, avvertiamo la necessità di fare alcune considerazioni specifiche sulla natura della fede, su quello che essa compie, come si manifesta e su quali basi si verificano o si ricevono le guarigioni fisiche, nonché la relazione che intercorre tra malattia, peccato e perdono. Poiché il tema della fede è così importante e fondamentale nella Bibbia, specie quando si pensa che nelle sue pagine essa contiene 256 citazioni, tre delle quali negli scritti dell’A.T. e la rimanenza nel Nuovo Testamento, occorrerebbe scrivere un trattato sulla fede, per esaminarla in tutti i suoi aspetti.

Questo piano di lavoro non è però per questo libro, dato che esula per il fine per cui stiamo scrivendo. Considerando che la fede è un’importantissima dottrina cristiana, promettiamo di impegnarci in un prossimo futuro a trattare questo tema. Qui, ovviamente, ci limiteremo solamente a fare delle specifiche considerazioni sulla fede, per meglio comprendere e valutare le manifestazioni miracolose nella guarigione fisica.

Considerazioni particolari e specifiche

1. La natura della fede

Quando parliamo della fede, intendiamo riferirci a quella vera, naturalmente, basata non sul sentimentalismo e sulla emozione, ma su quello che dice esplicitamente la Parola di Dio, così come è stata registrata nelle sacre pagine della Bibbia. Diciamo subito che una fede, che non ha le sue radici e il suo fondamento nelle Scritture, oltre a non essere vera è finta, (1 Timoteo 1:5; 2 Timoteo 2:5) è una di quelle manifestazioni che lascia dietro di sé tante delusioni ed amarezze nella vita umana. Precisiamo inoltre che, non stiamo parlando del dono della fede, dato esclusivamente dallo Spirito Santo, nel contesto dei doni spirituali (1 Corinzi 12:9), (cosa che faremo a parte), ma di quella certezza che fonda le sue speranze in quello che sa fare e può fare Dio, indipendentemente dalle condizioni favorevoli o sfavorevoli che possono essere determinate.

Poiché la fede conosce diversi livelli, è necessario seguire le varie fasi di sviluppo, per meglio apprezzarla e valutarla giustamente. Per fare ciò, bisogna partire da un punto fermo e basilare, ch’è appunto la salvezza. Si sa con estrema certezza che essa ci viene data per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da noi, è il dono di Dio (Efesini 2:8).

Che cosa voleva dire l’apostolo Paolo con questa solenne affermazione? Semplicemente questo: La salvezza, è un dono gratuito di Dio, procurata da Gesù Cristo, a mezzo del suo sacrificio sulla croce e messa a disposizione dell’intera umanità, senza nessuna pretesa da parte dell’uomo di qualche suo merito particolare. Infatti, il concetto stesso della grazia, esclude categoricamente un qualsiasi merito umano, poiché tutto è basato sulla bontà di Dio e sulla Sua misericordia (Tito 3:5).

Nonostante ciò, Paolo considera la fede come anello di congiunzione, perché questa salvezza possa arrivare nella vita umana. Si potrebbe chiedere: Perché mai? La fede nell’opera della salvezza, non ha un ruolo secondario, ma primario, dato che in mancanza di essa, non è possibile ottenerla. Dal momento che Dio ha concepito e stabilito le cose in questo modo, Egli ha pensato giustamente di provvedere all’uomo la fede, attraverso la quale possa ottenere e ricevere la salvezza. Ecco perché Paolo dice chiaramente che la fede per ottenere la salvezza non viene dall’uomo, ma è il dono di Dio. La fede dunque consiste nel credere fermamente a quello che Dio dice nella Sua Parola e a quello che Gesù Cristo ha fatto per l’uomo peccatore. Siccome la salvezza implica il perdono di tutti i peccati, — e quando si parla di peccati, specie quando si fa riferimento a quelli gravi, cioè a quelli imperdonabili dal punto di vista umano —, riesce difficile all’uomo credere che Dio li possa perdonare.

La fede, a questo punto, svolge un ruolo determinante, perché mette in condizione l’uomo di afferrare l’offerta gratuita di Dio, senza dover rimanere nell’incertezza del totale perdono di Dio.

Quando si parla di fede, bisogna distinguere le varie fasi che essa svolge e le svariate manifestazioni che compie, a cominciare dal giorno della sua nascita fino al suo sviluppo, perché così ce la presenta la Bibbia.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
16/06/2011 00:09

La fase iniziale della fede

Lo stesso Paolo che parla della salvezza mediante la fede, parla anche della misura di fede che Dio dà a quelli che sono stati salvati.

Infatti, per la grazia che mi è stata data, dico a ciascuno che si trovi fra voi di non avere alcun concetto più alto di quello che conviene avere, ma di avere un concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha distribuito a ciascuno (Romani 12:3).

La misura di fede che Dio distribuisce a quelli che sono stati salvati (il riferimento di Paolo in questo testo è esclusivamente riservato a quelli che già si trovano nello stato di salvezza e non a quelli che lo dovranno essere), serve per aiutare il credente nella sua vita di tutti i giorni. Anzitutto è molto importante precisare a questo punto che, il suindicato testo paolino, non deve essere inteso nel senso come se esistessero varie misure di fede nella vita del credente: chi ce ne ha una più grande e chi ce ne ha una più piccola (anche se questo è vero sotto un’altro aspetto, però questo mette in risalto lo sviluppo della fede, che è tutt’altra cosa). Non è questo quello che Paolo ha voluto dire e neanche quello che Dio ha fatto. Non serve tanto a stabilire se la misura di fede che Dio distribuisce al credente è grande o piccola, quanto il sapere che questa misura è sufficiente per tutti i giorni e per ogni evenienza della vita.

Spesso certi credenti affermano che non hanno fede, e questo lo dicono principalmente in riferimento al fatto di trovarsi in mezzo a delle difficoltà, senza soluzioni e senza vie d’uscita. Trovarsi in questo stato e davanti a seri problemi, ciò non costituisce una sicura prova di mancanza di fede, (come se colui che ha fede, non dovrebbe trovarsi mai in simili situazioni), ma è un prendere atto della varie situazioni della vita, con le mille incognite e le mille problematiche.

Quando un credente viene a trovarsi in quelle difficili circostanze, possibilmente senza spirargli per uscirne fuori, credere a quello che Dio dice nella Sua Parola, rappresenta per lui la più seria garanzia di buona riuscita. Dio mi dice che Egli mi ha dato una misura di fede; devo allora credere a lui, o credere e basarmi su quello che incontro o su quello che mi circonda? Se credo a Dio e alla Sua Parola, trovo subito la soluzione e lo sbocco al mio caso; mentre se rifiuto di credere a quello che Dio ha messo in me, vale a dire alla misura di fede, che Egli mi ha dato, rimango schiacciato, deluso e sconfitto, dalle varie circostanze e situazioni in cui vengo a trovarmi. La misura di fede, quindi, serve per le varie situazioni della vita di tutti i giorni, in modo che il credente, attingendo da questa fonte, possa verificare con la sua personale esperienza, quanto è verace la parola di Dio e quanto è grande il Suo interessamento per lui.

Lo sviluppo della fede

Dallo stato iniziale della misura di fede, uguale in tutti i credenti, si passa allo sviluppo della fede. Parlando di sviluppo, è chiaro che si notano diversi gradi o livelli di fede. Questo, naturalmente, non dipende da Dio, ma dal modo con cui il credente l’avrà sviluppato nella sua vita Infatti, ogni tipo di sviluppo, prevede sempre un certo impegno e un certo esercizio da parte dell’uomo. Due testi di Paolo, potranno chiarire meglio quello che stiamo affermando. Scrivendo ai Corinzi, e parlando delle sue attività ministeriali come anche di quella degli altri, l’apostolo Paolo dice:

Non ci vantiamo oltre misura delle fatiche altrui, ma nutriamo la speranza che, crescendo la vostra fede, noi saremo maggiormente considerati tra di voi secondo i nostri limiti (2 Corinzi 10:15).

Notiamo che l’apprezzamento del ministero di Paolo, presso i Corinzi, sarebbe stato maggiormente considerato, se la fede di quest’ultimi si fosse sviluppata. Allora, lo sviluppo della fede, non ritorna solo a vantaggio di colui in cui si ha questo processo, ma benefica anche altri, quando soprattutto le fatiche degli altri nell’opera del Signore, vengono benevolmente considerate ed accettate. Scrivendo ai Tessalonicesi, l’apostolo Paolo afferma:

Noi siamo obbligati a rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli, come è ben giusto, perché la vostra fede cresce grandemente e l’amore di voi tutti individualmente abbonda l’un per l’altro (2 Tessalonicesi 1:3).

A differenza dei Corinzi, a cui Paolo auspicava la crescita della fede, i Tessalonicesi si trovavano in uno stato più avanzato, da indurre l’apostolo ad affermare, senza esagerare, che la fede di quei credenti cresceva grandemente. Per esserci un simile sviluppo di fede nella vita dei Tessalonicesi, vuol dire che quei credenti la usarono spesso, nell’esercizio della loro vita. Abbiamo affermato che un qualsiasi sviluppo è legato all’impegno e all’esercizio della persona. Più la fede si esercita, più aumenta e più si sviluppa; meno è l’impegno a questo esercizio, inferiore sarà il grado di sviluppo. Il denaro che viene investito in buoni fondi, crescerà facilmente e potrà raggiungere alti livelli.

La fede si può paragonare al denaro, se questo viene bene maneggiato e lo si fa lavorare, si potranno raccogliere abbondanti frutti. Se invece, si ragiona come quell’uomo della parabola dei talenti, che riceve un solo talento, e per paura di perderlo lo nasconde, si finirà, per incorrere nel severo rimprovero del donatore, con l’essere qualificati di malvagio e indolente servo (Matteo 25:25,26). Mentre la gioia e la soddisfazione degli altri sarà di sentirsi dire: Bene, buono e fedele servo (Matteo 25:21,23).

2) Cosa compie la fede e come si manifesta

Premesso che le azioni che compie la fede non sono basate sull’astratto del sentimento umano, ma su atti visibili che tutti possono vedere e controllare, questo aspetto della manifestazione della fede servirà principalmente per farci valutare come essa si muove in ciò che compie.

I quattro che portarono il paralitico davanti a Gesù, — non importa se erano parenti, conoscenti, amici, o se appartenessero al gruppo dei discepoli di Gesù (non a quello dei primi quattro chiamati, come qualcuno ha sostenuto) —, erano uomini la cui fede li mosse ad agire in quel modo. Che in loro ci fosse vera fede, lo dimostra Gesù stesso, quando parla di aver vista la loro fede (il riferimento è indiscutibilmente a quei quattro portatori).

Quando c’è veramente la fede, essa non spinge l’uomo a muoversi sul sentiero dell’astratto e dell’immaginazione, ma sa compiere azioni ben determinate, che tutti possono vedere e controllare. La vergogna, in vista di subire un’eventuale critica, da parte di quelli che assistono, o essere considerati come dei fanatici religiosi, è lungi da essa. Non compie le azioni per rimanere nell’occulto e nell’anonimato, ma li palesa con piena consapevolezza di causa; non si preoccupa di quello che altri potrebbero dire, ma segue la sua strada indisturbata; prosegue nel sentiero verso la meta che si è prefissa: arrivare da Gesù. La fede vera, quindi, non ha come meta l’uomo, ma Dio. E quando l’uomo, arriva con la sua fede a Dio, da Lui può aspettarsi di ricevere “qualunque cosa”. Ecco perché è scritto che ogni cosa è possibile a chi crede (Marco 9:23).

Lungi dal pensare (come certi vorrebbero farci credere) che la vera fede non trova ostacoli nel suo cammino o nelle sue manifestazioni, quando li incontra — e nella vita pratica di ogni giorno, ne incontra molti —, essa li affronta con la dovuta determinazione, senza pensare allo spauracchio di non poterli superare, ma con l’occhio fisso su quello che Dio dice nella Sua Parola, essa sa andare avanti e superare brillantemente le varie situazioni sfavorevoli.

La grande folla che i quattro portatori incontrarono nel loro cammino, rappresentava un enorme ostacolo al fine che si erano proposti. A vista umana, tutto parlava di impossibilità, di vani sforzi, di inutili mosse, anche perché in quel giorno, le persone che componevano quella folla, non erano intenzionate a concedere loro un minimo di spazio. La vera fede, quando incontra un ostacolo, non si arrende, sa vedere altre vie e trova altre soluzioni. La via del tetto, era principalmente la strada dove non c’erano ingorghi. La vera fede porta sempre le persone in alto, e li separa dalla confusione (e di confusione in materia religiosa, ce ne tanta ai nostri giorni).

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
17/06/2011 00:05

Le cose impensabili e irraggiungibili per l’uomo naturale, diventano la meta prediletta per le persone di fede. Anche se le loro azioni, a volte possono essere interpretate come segni di vero disturbo (cercate di immaginare quello che avranno potuto dire le persone radunate in quella casa dove si trovava Gesù, quando videro quei quattro uomini intenti e determinati a scoprire il tetto, fino a quando il loro assistito venne calato davanti a Gesù. La fede non è cieca e presuntuosa nella sue azioni, è invece illuminata da una luce che viene dall’alto e si muove sulla via della certezza, basata principalmente non su quello che l’uomo pensa e dice, ma su quello che Dio afferma nella Sua Parola.

3) Su quali basi si verificano o si ricevono le guarigioni fisiche

La fede indubbiamente, sta alla base di ogni guarigione fisica e, in mancanza di essa, la potenza guaritrice divina, viene senza dubbio limitata e impedita nella sua manifestazione. A questo punto è molto importante stabilire con chiarezza, se la fede deve essere necessariamente nell’ammalato o può trovarsi nella persona sana che si interessa di esso.

Senza paura di essere smentiti, la storia della guarigione del paralitico di Capernaum, da appena esaminata, ci ha fatto vedere che la fede si trovava nei quattro uomini che portarono l’ammalato a Gesù. Anche se non si può affermare categoricamente, perché il testo evangelico non lo dice, la fede, non era nel paralitico, ma negli uomini che lo portarono a Gesù. Il fatto poi che Gesù vide la loro fede, (quella dei portatori) e non fa nessuno accenno alla fede del paralitico, è un chiaro indizio che aumenta le probabilità di quanto stiamo affermando.

Dato per scontato che nel paralitico non c’era la fede per ricevere la sua guarigione, cerchiamo di immaginare come si saranno svolte le cose, allorquando i quattro uomini arrivarono nella casa del paralitico con la precisa intenzione di prenderlo e portalo da Gesù. Il paralitico, probabilmente avrà detto: “Sono tanti anni che sono stato colpito da una paralisi, e in conseguenza di questo fatto, il mio corpo è rimasto per lungo tempo immobilizzato. Gli stessi arti del mio corpo, sono da lungo tempo inattivi, perché l’articolazione non funziona più. Lo stesso mio corpo è diventato stecchito; ormai non c’è più speranza per me. Ogni iniziativa tendente alla guarigione della mia paralisi, sarà destinata a fallire, perché ormai non c’è più niente da fare per me”. Se il paralitico avesse detto quelle parole, in certo qual modo avrebbe rispecchiato la realtà, e tutto avrebbe parlato chiaramente il linguaggio dell’impossibilità.

A questo punto i quattro, cominciando a parlare, avranno detto: “Non importa se sei stato per tanti anni immobilizzato dalla paralisi; se gli arti del tuo corpo non funzionano da parecchio tempo; se il tuo corpo è stecchito e se tu non credi che c’è speranza di guarigione. Siamo noi che crediamo alla tua guarigione; la nostra fede ti procurerà la liberazione del tuo male e tu potrai ritornare una persona normale”. Siccome in quei quattro uomini c’era la fede vera, fu sulla base della loro fede che si verificò la guarigione nel paralitico.

Il Nuovo Testamento documenta altri casi che ci portano ad affermare, che la fede delle persone sane, procurava guarigione alle persone ammalate. Quando si pensa al centurione di Capernaum il cui servo giace in casa paralizzato e soffre grandemente (Matteo 8:6)

e alla preghiera che rivolse a Gesù in favore di questo servo, la sua fede viene messa chiaramente in luce, quando dice: Di’ soltanto una parola, e il mio servo sarà guarito (Matteo 8:8). Che la sua fosse fede vera, lo prova il fatto che Gesù la riconosce, nel mandarlo a casa gli dice: «Va’ e ti sia fatto come hai creduto!». E il suo servo fu guarito in quell’istante (Matteo 8:10,13). Il padre della figlia dodicenne, capo della sinagoga, Iairo, che va da Gesù e lo prega con insistenza,

dicendo: «La mia figliola è agli estremi; vieni a imporle le mani, affinché sia guarita e viva (Marco 5:23),

mette in evidenza la fede che ha. Dopo aver ricevuto la notizia che sua figlia era morta, e quindi non valeva più la pena di continuare a importunare il Maestro, Marco precisa che Gesù udite quelle parole:
disse al capo della sinagoga: «Non temere, credi solamente (Marco 5:35,36).

L’intervento di Gesù aveva lo scopo di sorreggere la fede di Iairo, in un momento veramente difficile, per cui stava barcollando. Se più tardi questo padre riebbe in viva la propria figlia, non fu solamente per la manifestazione della potenza di Gesù, ma anche per la sua fede. Pensando alla donna Cananea, che va da Gesù e gli dice:
«Abbi pietà di me, Signore Figlio di Davide! Mia figlia è terribilmente tormentata da un demone!» (Matteo 15:22).

Quando Gesù riconosce la grande fede di quella donna e le dice: Ti sia fatto come tu vuoi. E in quel momento sua figlia fu guarita (Matteo 15:28).

Anche se questi sono pochi esempi, tuttavia, bastano a provare che la fede di una persona sana in favore di un ammalato, può ottenere la sua guarigione.

4) Quelli che sono usati dal Signore nel campo delle guarigioni fisiche

Quelli che vengono usati dal Signore nel campo delle guarigioni fisiche, sono tenuti a domandare agli ammalati, — come se ci fosse un certo obbligo — se hanno fede? Crediamo che la migliore e la più esauriente risposta a questa domanda, la possiamo trovare nella vita e nel ministero di Gesù. Infatti, se si studiano attentamente tutti gli episodi relativi alle guarigioni che Gesù operò nel corso del suo ministero durante il tempo della sua permanenza sulla terra, episodi chiaramente registrati negli evangeli, si potrà avere una chiara visione di come Cristo agiva nel campo delle guarigioni fisiche. È vero che Gesù a certi ammalati, prima di operare il miracolo della guarigione, chiedeva se avessero fede per ricevere la guarigione. Per esempio, ai due ciechi che gridarono a Gesù, dicendogli:

«Abbi pietà di noi, Figlio di Davide!», Gesù chiese loro: «Credete che io possa far questo?». Essi gli risposero: «Si, Signore». Allora egli toccò loro gli occhi, dicendo: «Vi sia fatto secondo la vostra fede» (Matteo 9:27-29).

Al padre del fanciullo epilettico, che aveva portato a Gesù suo figlio per essere liberato dallo spirito muto, viene chiesto se poteva credere, poiché ogni cosa è possibile a chi crede. Dopo che questi, con lacrime, disse: «Io credo Signore, sovvieni alla mia incredulità», Gesù sgridò lo spirito immondo, e il fanciullo fu liberato (Marco 9:17,18,23-26).

A Marta che aveva detto a Gesù: Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto, venne chiesto se ella credesse (Giovanni 11:21-26). Più tardi Gesù specificò che quel credere significava vedere la gloria di Dio (v. 40). Per tutti gli altri casi, che costituiscono la stragrande maggioranza, Gesù non chiese agli ammalati se avessero fede per essere guariti. Nonostante ciò, essi venivano guariti, ma in virtù della potenza divina che era in Gesù.

Al paralitico di Betesda, Gesù non chiese se avesse fede, ma se avesse voluto essere guarito (Giovanni 5:6). Tutto questo per dire che, era la compassione di Gesù, unitamente alla sua virtù, che andava incontro agli ammalati e li sanava, senza badare se ques’ultimi avessero fede o meno per ricevere la guarigione.

Far dipendere la guarigione di un ammalato, esclusivamente in base alla sua fede, per coloro che sono usati da Dio nel campo delle guarigioni fisiche, non è certo dire tutta la verità e non rappresenta fedelmente l’elemento biblico, su cui è basata la guarigione. Quelli che vengono usati da Dio nel campo miracoloso delle guarigioni fisiche, lo fanno in virtù del “dono della fede” che hanno ricevuto dallo Spirito Santo. Inoltre, rimproverare un ammalato che se non viene guarito è colpa sua, cioè non ha fede, è la cosa più facile a dire, ma nello stesso tempo è anche la più crudele che si possa fare nei confronti di colui che soffre, senza riflettere che un simile giudizio, può causare dei trauma nella vita dell’ammalato, con inevitabili conseguenze di profondi scoraggiamenti, per cui potrebbe addirittura smarrirsi ed allontanarsi dal Signore.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
18/06/2011 00:05

Se lo Spirito Santo avrà il pieno controllo nella vita di colui che viene usato da Dio nel campo delle guarigioni, lo stesso Spirito penserà di illuminarlo e guidarlo nella giusta direzione, in modo che le manifestazioni che seguiranno, saranno di beneficio per l’ammalato e il Nome di Gesù Cristo verrà magnificato e glorificato. Il detto della Scrittura: ... fate tutte le cose alla gloria di Dio (1 Corinzi 10:31), deve essere lo scopo principale e il fine supremo, non solo per le varie azioni che si compiono nella vita di ogni giorno, ma anche per ciò che riguarda l’esercizio del dono ricevuto.

Un credente che pensa e crede di poter manipolare a suo piacimento, il dono della fede, usato principalmente nel campo delle guarigioni fisiche, ben presto si accorgerà che un simile esercizio, oltre a non essere utile a nessuno, non produrrà quegli effetti sperati e desiderati, che sono le guarigioni effettive degli ammalati.

5) Qualche domanda sulla vita pratica

A questo punto della nostra riflessione, crediamo sia necessario domandare: Un credente che ha veramente fede, (2 Timoteo 1:5), può ammalarsi e rimanere ammalato fino al giorno della sua morte, senza essere guarito dal Signore? Lo scopo di questa domanda, non è quello di entrare in polemica con quelli che vanno dicendo a voce forte e con insistenza che, se hai fede, sarai liberato dalle malattie e vivrai una vita piena di buona salute, ma semplicemente per sapere su quale fondamento biblico è basata questa convinzione.

Il movimento della “parola della fede”, in modo particolare, che sostiene questa tesi, non si rende conto come abbia forzato certi testi biblici, facendo dire alla Bibbia quello che essa non vuole dire, se viene giustamente interpretata. Secondo questa corrente, le malattie e le sofferenze fisiche, sono per le persone che non hanno fede, non per quelli che ce l’hanno. Viviamo in tempi in cui il “vangelo della prosperità materiale”, è largamente e fortemente predicato, e tanti disgraziatamente l’hanno accettato come puro evangelo che viene da Dio.

Ma se costoro, sapessero giustamente valutare le Scritture, nell’insieme di quello che esse dicono, specialmente se si fermassero a riflettere su Ebrei 11:13,36,37, per fare un esempio, se ne accorgerebbero quanto sia forzato e deviante, il loro modo di intendere la Parola di Dio.

Se poi aggiungiamo un Paolo, — conobbe anche lui di persona quello che dice il testo di Ebrei in questione — che prega il Signore con insistenza e con tutta la sua fede — sarebbe blasfemo pensare che l’apostolo non fosse un uomo di fede — per essere liberato da un male fisico che aveva nel suo corpo, — guarigione utile e necessaria per lo svolgimento del suo ministero —, e non l’ottenne, se è forse fondato e coerente, sostenere che, le persone di fede, stanno sempre bene di salute?

Una cosa è condurre un’indagine e sostenere un punto di vista sul piano ipotetico, un’altra cosa è invece scendere sul terreno della vita pratica, senza sottrarre niente alla sua realtà. Che dire di tante pie anime che servono il Signore con tutta la loro vita e lo amano con tutto il loro cuore, che muoiono sotto la ruota di una macchina; lacerati e sconquassati da tremendi dolori laceranti di un tumore maligno, o che se ne vanno all’altra vita falciati da un attacco cardiaco? Che dire poi, di un Giacomo che viene messo a morte con la spada e dei tantissimi martiri che hanno suggellato la loro fede con una morte cruenta e vergognosa, quale quella di essere bruciati vivi e morire stritolati in una bocca di un leone?

Fratelli amati, nel Signore, non lasciatevi deviare da facili allettamenti di una vita piena di benessere materiale; non credete che nella vostra vita cristiana, non sarete mai colpiti da qualche malattia incurabile che vi potrebbe condurre alla morte. Abbiate il coraggio di guardare in faccia la realtà, senza mai cambiarla o falsificarla; non seguite i sofismi di certi uomini ingannatori che non avendo scrupoli e sensibilità spirituale, producono delusioni ed amarezze nella vita di tanti.

Lasciatevi illuminare dalla divina Parola di Dio e da quelli che possono parlarvi, non solamente dal punto di vista ipotetico e teorico, ma soprattutto dal punto di vista pratico, e vi accorgerete subito che una cosa è vivere sulle nuvole dell’immaginazione e un’altra cosa è vivere con i piedi sulla terra , guardando in faccia alla realtà.

6) La relazione che intercorre tra peccato, malattia e perdono

L’ultimo punto delle nostre riflessioni riguarda appunto la relazione che intercorre tra peccato, malattia e perdono, che il racconto della guarigione del paralitico di Capernaum ci lascia da intendere. Avere infatti, idee chiare e ben delineate nella mente, può giovare molto, non solo ai fini di una giusta comprensione della parola evangelica, ma soprattutto sarà molto utile, sia per noi che per gli altri, sapere come si articolano queste relazioni tra peccato, malattia e perdono, nonché valutare nella giusta direzione e dimensione, l’opera che Dio vuole compiere nella vita umana.

Diciamo subito che bisogna evitare di generalizzare, nel senso di vedere in ogni malattia, una stretta relazione col peccato.

Questo però non ci esime dal considerare che ci sono certe malattie, la cui relazione col peccato, appare così evidente che non si può negare. Le parole che Gesù pronunciò al paralitico di Capernaum: Figliolo, i tuoi peccati ti sono perdonati (Marco 2:5), potrebbero mettere in evidenza la relazione che intercorreva tra malattia e peccato, nella vita di quell’ammalato.

I quattro uomini che portarono il paralitico da Gesù, non glielo portarono perché pensavano che il vero problema di quell’ammalato consistesse nel suo peccato, (probabilmente a questo, non ci pensavano minimamente), ma avevano solamente davanti a sé la guarigione fisica. Gesù però, che sa vedere la realtà interiore di quella situazione, va alla radice, e, nominando il peccato, prima che si verificasse la guarigione fisica sembra che abbia voluto, mettere in evidenza una realtà ignorata facilmente da parte degli uomini.

Se riflettiamo abbastanza sul fatto che c’è un’altro caso nelle guarigioni fisiche che gli evangeli ci hanno tramandato, possiamo meglio capire ed apprezzare l’operato di Gesù. Al paralitico che venne guarito alla piscina di Betesda, pur non avendogli dette le stesse parole che disse a quello di Capernaum, esse hanno però lo stesso significato.

Più tardi Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco, tu sei stato guarito; non peccare più affinché non ti avvenga di peggio» (Giovanni 5:14).

Appare abbastanza chiaro che esisteva una chiara relazione tra peccato e malattia, e che egli, annunziando il perdono dei peccati, risolveva anche il problema della malattia. Non si può dire lo stesso, circa quello che pensavano i discepoli di Gesù, intorno al cieco nato quando gli chiesero:

«Maestro, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Gesù rispose: «Né lui né i suoi genitori hanno peccato, ma ciò è accaduto, affinché siano manifestate in lui le opere di Dio» (Giovanni 9:2,3).

Appare chiaro, che in quella cecità sin dalla nascita, non esisteva una relazione tra peccato e malattia, perciò Gesù lo disse chiaramente, per liberare la mente dei suoi, che avevano subito l’influenza dei religiosi giudei di quei tempi, i quali vedevano in ogni malattia una relazione col peccato. Dal momento che era il peccato che teneva paralizzato l’uomo di Capernaum, la sua guarigione non si sarebbe verificata, se il peccato non fosse stato rimosso. L’unico modo per rimuovere il peccato dalla vita del peccatore, è appunto il perdono, che Dio concede nella sua misericordia, e che anche Gesù dà, in virtù del fatto che Egli è il “Figlio dell’uomo”.

Il problema che i religiosi di quel tempo sollevarono, non consisteva nel contestare la relazione che intercorreva tra peccato e malattia, ma nel respingere una prerogativa esclusiva divina che Gesù diceva di essere sua. Se gli scribi, i farisei e i dottori della legge, avessero accettato la divinità di Gesù, non avrebbero avuto nessuna difficoltà ad ammettere le parole di Gesù.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
19/06/2011 00:15

Ma, poiché essi le respingevano energicamente, pensavano e credevano, giustamente, che Gesù stesse bestemmiando proferendo quanto disse. Le parole di comando che Gesù pronunciò al paralitico: Alzati, prendi il tuo lettuccio e vattene a casa tua (Marco 2:11), in virtù delle quali si verificò il miracolo nel corpo del paralitico, rappresentavano l’evidenza visiva più marcata dell’altro miracolo che si era verificato nella vita interiore di quell’uomo, allorquando i suoi peccati furono perdonati.

6. LA GUARIGIONE DELLA DONNA DAL FLUSSO DI SANGUE

Ed ecco una donna, affetta da un flusso di sangue già da dodici anni, gli si accostò di dietro e toccò il lembo della sua veste. Perché diceva fra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare la sua veste, sarò guarita». Gesù, voltatosi e vedutala, le disse: «Fatti animo, figliola; la tua fede ti ha guarita» (Matteo 9:20-22); par. (Marco 5:25-34; Luca 8:43-48).

Esame del testo

Esaminando il racconto della guarigione della donna dal flusso di sangue, dai tre resoconti che ci sono stati tramandati, cioè quello di Matteo, Marco e Luca, ci si rende conto che, pur raccontando lo stesso episodio, Marco e Luca, presentano alcuni particolari, omessi da Matteo, i quali servono essenzialmente ad arricchire l’avvenimento di questa guarigione fisica, e, nello stesso tempo fanno vedere in quale condizione fisica si era ridotta quella donna a causa della sua prolungata malattia.

I tre evangelisti sono d’accordo nell’affermare che quella donna si trovava in quello stato di infermità da dodici anni. Questo dato serve essenzialmente non solo per parlarci di uno stato “cronico”, ma anche di un prolungamento del malessere, senza intravedere una felice prospettiva di una soluzione di quella situazione.

Per Marco, si tratta di parlare, non solamente di una donna affetta da un flusso di sangue, ma si tratta soprattutto di sapere come si era comportata con la scienza medica di quei tempi. Marco precisa che la donna del nostro racconto si era rivolta a parecchi medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun giovamento, anzi piuttosto era peggiorata (Marco 5:26). Logicamente quella donna non si rivolse ai medici per peggiorare, ma per guarire dalla sua infermità. Purtroppo, i medici, invece di aiutare quella paziente, (a parte che l’ammalata non guarì), le sue sofferenze aumentarono.

Da parte sua, Luca precisa che, quella donna, pur spendendo tutti i suoi beni, nessuno poté guarirla dalla sua malattia (Luca 8:43).

Se quella donna non si fosse rivolta ai medici, si potrebbe parlare di lei come di una persona che non credeva alla scienza medica; il fatto però che lei vi andò, denota una certa fiducia, anche se dalla stessa fu grandemente delusa.

Questo episodio ci insegna che non sempre la scienza medica viene in aiuto agli ammalati e risolve i loro casi. A volte, invece di guarirli, li fa soffrire di più, senza dare una prospettiva di guarigione e di liberazione. L’unico che non viene mai meno, è il Signore, Gesù Cristo, il quale non lascia mai delusi quelli che si rivolgono a Lui per essere aiutati.

A questo punto, crediamo sia molto importante, prima di proseguire l’esame di questa storia miracolosa, mettere in risalto il fatto che la donna del nostro racconto, prima che si fosse recata da Gesù, sentì parlare di Lui (Marco 5:27).

Indubbiamente, quel sentire parlare di Gesù, riguardava essenzialmente quello che Egli faceva, nel sanare i tanti ammalati, e, questo sicuramente, avrà contribuito per far nascere la fede in quella donna, secondo quello che è scritto: La fede dunque viene dall’udire, e l’udire viene dalla parola di Dio (Romani 10:17). Quando una persona si muove sul sentiero della fede, sa anche come dovrà comportarsi, quando incontrerà nel suo cammino i diversi ostacoli della vita.

Tutti i tre evangelisti affermano che la donna si accostò a Gesù dal didietro, e questo naturalmente, non perché non avesse fede, ma per evitare di farsi vedere, poiché secondo la legge mosaica essa era considerata impura, quindi non le era permesso di avere un qualsiasi contatto con persone sane (cfr. Levitico 15:19,25). Matteo precisa quello che disse quella donna fra sé: «Se riuscirò anche solo a toccare la sua veste, sarò guarita (Matteo 9:21); e Marco: «Se solo tocco le sue vesti sarò guarita» (Marco 5:28).

Questo ci dice con certezza che fu la fede che la fece agire in quella maniera. La fede, che essenzialmente è certezza di cose che non si vedono (Ebrei 11:1), non si muove con i dubbi e con le incertezze, che in pratica vengono caratterizzate dai “chissà, forse, può darsi”, e dai “se”. Marco e Luca, per mettere in risalto la genuinità della fede dell’emorroissa, precisano: E immediatamente il flusso del suo sangue si stagnò (Marco 5:29); e in quell’istante il suo flusso di sangue si arrestò (Luca 8:44). Questo per provare, logicamente, la guarigione istantanea di quell’inferma.

Mentre Matteo chiude il suo resoconto di quell’evento miracoloso col dirci che Gesù, voltatosi e vedutala, le disse: «Fatti animo, figliola; la tua fede ti ha guarita (Matteo 9:22), Marco e Luca ci forniscono altri particolari che maggiormente ci fanno apprezzare la fede di quella donna e la potenza miracolosa di Gesù.

Che la guarigione di quella donna avvenne in base alla sua fede, è un elemento assodato, secondo l’autorevole parola di Gesù. Secondo il resoconto di Marco, la donna miracolata sentì nel suo corpo di essere guarita da quel male (Marco 5:29). Questo rappresenta un elemento di prova di una reale guarigione, poiché è l’ammalata stessa che avverte nel suo corpo che il suo male, è ormai solo un ricordo del passato. Gesù, avverte in se stesso che una potenza era uscita da lui (Marco 5:30; Luca 8:46); si trattava della potenza guaritrice di Gesù che aveva sanato quella donna.

Davanti a questo fatto, la domanda di Gesù: Chi mi ha toccato i vestiti? (Marco 5:30) o semplicemente: Chi mi ha toccato? (Luca 8:45), mette in movimento i discepoli e Pietro per dire: Non vedi che la folla ti stringe da ogni parte e tu dici: Chi mi ha toccato? (Marco 5:31; Luca 8:45).

Indipendentemente da quello che pensavano i discepoli, Gesù guardava intorno per vedere colei che aveva fatto ciò (Marco 5:32). E la donna vedendosi scoperta per quello che aveva fatto nel toccare i vestiti di Gesù,

paurosa e tremante, sapendo quanto era avvenuto in lei, venne e gli si gettò ai piedi e gli disse tutta la verità (Marco 5:33).

Quel gettarsi ai piedi di Gesù, aveva senza dubbio un significato particolare, come per dirgli:
“Sì, è vero Gesù, che pur trovandomi in uno stato di impurità, che secondo la legge di Mosè, non avrei dovuto toccarti; ma credimi, è stato il mio disperato bisogno che mi ha spinto a fare quel gesto che non mi era permesso di fare”. Invece di sentirsi rimproverare da Gesù, si sentì dire:

«Figliola, la tua fede ti ha guarita; va’ in pace e sii guarita dal tuo male» (Marco 5:34).

Alcune riflessione di ordine pratico

1) Lungi dall’essere un particolare insignificante, quello che Marco ci riferisce, cioè che la donna emorroissa sentì parlare di Gesù, prima che fosse andata da lui, crediamo invece che questo elemento, rappresenti un anello di congiunzione primario, in tutta la narrazione di questo episodio miracoloso.

Sulla base di Romani 10:17, possiamo affermare che quel semplice sentir parlare di Gesù, abbia avuto un potente effetto nella vita della donna sofferente, da suscitargli una certa fede in colui del quale aveva sentito parlare. La fede ha sempre un punto di partenza e un punto di riferimento: Il punto di partenza va sempre collocato in quel momento che si ascolta Dio e Gesù Cristo e il punto di riferimento è sempre Lui, l’inviato del Padre, Colui che può appagare tutte le nostre aspettative. Se le persone sapessero mettersi in ascolto di Gesù e delle cose di Dio, il corso della loro vita cambierebbe e le varie situazioni di vita, a volte ingarbugliate e penose, verrebbero inevitabilmente sciolte e risolte dall’intervento misericordioso di Cristo Gesù, il divino compassionevole. La fede che nascerebbe da quel semplice ascoltare, sarebbe sufficiente per condurle a Cristo, con la certezza di ricevere da Lui quello di cui si ha bisogno.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
20/06/2011 00:19

2) La fede nella sua manifestazione, ha sempre bisogno di un punto di contatto. Infatti, è col contatto — non con qualsiasi oggetto che capita tra mano, ma col divino — che la fede si concretizza maggiormente nella sua manifestazione fino a raggiungere quella meta sperata. La donna del nostro racconto evangelico, anche se toccò Gesù dal di dietro, con chiaro intento per non farsi notare dalla folla, era sempre il divino che toccava. E fu il divino che, unendosi all’umano, produsse il miracolo nella vita di quella sofferente. Quando la certezza, in un atto di fede, ha la meglio sulla vita umana, quello che una persona non ha potuto ricevere, andando da questo o da quest’altro, lo riceve da Gesù, poiché Egli è lo stesso: ieri oggi e in eterno (Ebrei 13:8).

3) Per i discepoli di Gesù, dietro la domanda del loro maestro: Chi mi ha toccato? rappresentava una domanda senza logica, dato che la folla lo stringeva da ogni parte. Ma le cose che non hanno logica secondo l’uomo, acquistano una rilevante importanza secondo Dio. Per Eli, che non vedeva l’interno della vita angosciata di Anna, quella donna era ubriaca, poiché muoveva solamente le labbra nel suo modo di pregare, mentre ella effettivamente stava spandendo l’anima sua davanti a Dio (1 Samuele 1:13-15). C’è uno solo, cioè Dio, che sa vedere e valutare tutte le azioni che la fede compie, ed è solamente Lui, che sa dare alla persona, tramite la fede, le cose di cui essa ha veramente bisogno. Non c’è piccola azione di fede che non riceva una giusta ricompensa da parte di Dio. Una fede della grandezza di un granello di senape, ha il potere di spostare una montagna (Matteo 17:20).

4) Quando la scienza medica si manifesta impotente davanti a certe situazioni di malattie, talché essa ne aumenta le sofferenze degli ammalati anziché sanarli, e li lascia nella delusione, senza un raggio di speranza, solo il Signore, attraverso la fede, può risolvere quei casi disperati e cambiare il duolo in gioia, la malattia in guarigione.
5) Si dice comunemente che il denaro apre tutte le porte; in pratica però non sempre si attualizza. Col denaro si può comprare il pane, ma non si può comprare l’appetito; si può comprare una casa con tutte le moderne comodità, ma non si può comprare la felicità che rende gioiosa una persona. Non sempre il denaro può risolvere certe situazioni di vita, — come il caso della donna dal flusso di sangue — ; si può andare da diversi specialisti, pagare le loro spettanze, senza ricevere la guarigione. Ma la fede, che non si vende al mercato e non si trova in nessuna banca terrena, pure essendo paragonata a volte come al denaro, indirizza e guida la persona nella giusta direzione, cioè a Dio, il quale sa risolvere quei casi disperati ed insolubili da parte dell’uomo, senza dire mai che la fede è troppa poca, per ricevere quello di cui si ha bisogno.

7. LA RISURREZIONE DELLA FIGLIA DI IAIRO

Mentre egli diceva loro queste cose, uno dei capi della sinagoga si avvicinò e si inchinò davanti a lui, dicendo: «Mia figlia è morta proprio ora, ma vieni, metti la mano su di lei ed ella vivrà». E Gesù, alzatosi, lo seguì insieme ai suoi discepoli. Quando Gesù arrivò in casa del capo della sinagoga e vide i sonatori di flauto e la folla che faceva strepito, disse loro: «Ritiratevi, perché la fanciulla non è morta, ma dorme». Ed essi lo deridevano. Poi, quando la folla fu messa fuori, egli entrò, prese la fanciulla per la mano ed ella si alzò. La fama di ciò si divulgò per tutto quel paese (Matteo 9:18,19,23-26); par. (Marco 5:22-24,35-43; Luca 8:41-42,49-56).

Anche per questo caso, i tre evangelisti, Matteo, Marco e Luca che raccontano la risurrezione della figlia del capo della sinagoga Iairo, non dicono tutti le stesse cose, Però, attraverso quello che ognuno di loro dice, oltre ad avere un quadro generale della situazione, si possono apprezzare e valutare meglio certi particolare che, lungi dal gettare discredito tra un evangelista e l’altro, e magari pensare chi di loro racconti veramente come andarono le cose, (tenendo presente soprattutto il motivo principale di ogni evangelista nel redigere l’evangelo), quei punti di contrasto che appaiano nel testo evangelico scompaiano, e si valorizza giustamente quello che ognuno di loro scrisse.

Esame del testo

Siccome Matteo ha notevolmente abbreviato tanto da tagliare quasi 2/3 del testo di Marco, ne consegue che tutti i particolari secondari sono stati eliminati. Giustamente osserva Gnilka:

«Ciò che è rimasto in Matteo potrebbe definirsi un ammaestramento sulla fede» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 498].

Matteo, che preferisce omettere il nome di questo personaggio che va da Gesù, si limita solamente a definirlo come uno dei capi della sinagoga. Se non ci fossero Marco e Luca che dicono chiaramente che questo capo della sinagoga si chiamava Iairo, non conosceremmo mai il suo nome. Questo però non significa che la storia che Matteo narra di questo capo della sinagoga sia una storia fittizia e che la breve narrazione che egli ne fa, non abbia nessun significato ai fini per cui ha scritto il suo vangelo.

Tutto il significato particolare che Matteo vuole mettere in evidenza di questo ignoto capo della sinagoga, nonché della sua reale fede, risiede nel fatto che quest’uomo va a Gesù e gli dice: «Mia figlia è morta proprio ora, ma vieni, metti la mano su di lei ed ella vivrà» (Matteo 9:18).

È infatti con la menzione della morte, che la fede di quest’uomo appare nella sua grandiosità. Quando si pensa alla morte, di solito si vuole alludere all’impossibilità di poter fare qualche cosa. Infatti, è davanti alla morte che cessa ogni speranza, che ogni piano o disegno che l’uomo ha concepito, vengono annullati ed ogni forma di una qualsiasi prospettiva, viene resa nulla nella sua attuazione.

Quindi, un uomo che va in cerca di aiuto per la sua figlia che è morta da poco, è in pratica qualcuno che si comporta in maniera diversa di come si comportano gli altri. Se poi, questo elemento viene messo in relazione alla fede, allora, l’insegnamento che l’evangelista vuole trarre da questa, oltre ad apparire nella sua luminosità, acquista una vitale importanza tanto da giustificare l’omissione di ogni altro particolare.

Il fatto poi che questo capo della sinagoga si esprima in termini di assoluta certezza: per ciò che riguarda l’andare di Gesù a casa sua, la mano che egli avrebbe posata su sua figlia e il relativo risultato salutare che ne sarebbe seguito, tutto è in perfetta sintonia con la sua vera fede, fede di cui noi abbiamo assolutamente bisogno di possedere, per potere vedere nella nostra vita l’opera miracolosa della potenza di Dio. Valutato in questo contesto, il racconto che Matteo ci fornisce, appare abbastanza chiaro e luminoso, l’ammaestramento che l’evangelista vuole dare ai suoi lettori.

Per Marco e Luca invece, che sono orientati verso altri obbiettivi, il racconto della figlia di Iairo, viene presentato sotto un’altro aspetto, sempre allo scopo di farci notare ed apprezzare la fede di questo padre. La preghiera che fa a Gesù in favore di sua figlia, è fatta con molta insistenza, per il fatto che la figlia si trova agli estremi (Marco 5:23). Questo, naturalmente, non voleva dire solamente a Gesù:
Vieni subito, non perdere tempo, perché mia figlia sta per morire,

ma esprime essenzialmente anche continuità di richiesta, elemento che non è comune nelle normali preghiere che vengono innalzate a Dio. Quando una preghiera viene rivolta a Dio in questa maniera, difficilmente Egli rimarrà indifferente. Luca, da parte sua, per dare un senso umano a quel padre che prega Gesù in favore della figlia, aggiunge che essa era unica di circa dodici anni (Luca 8:42). Tutti e tre gli evangelisti sono concordi nel riferirci che dopo che il capo della sinagoga fece la sua richiesta a Gesù in favore della figlia, Gesù si mosse per andare nella casa di Iairo.

Per Marco e Luca, la figlia dodicenne del capo della sinagoga, non è morta, è agli estremi, stava per morire (Luca 8:42). Anche se appare chiaramente la discordanza con Matteo, nondimeno questo particolare non deve essere interpretato come elemento nocivo per discreditare, o l’uno o l’altro degli evangelisti.

Tenendo presente i particolari di Marco — dato che si suppone che tanto Matteo che Luca abbiano attinto da Marco, e che ognuno di loro ha adattato la narrazione per uno scopo ben preciso —, l’atteggiamento del capo della sinagoga, in quel momento estremo della vita della propria figlia, acquista un significato particolare. Invece di rimanere accanto alla figlia, come avrebbe fatto un comune padre, preferisce allontanarsi da casa, per andare alla ricerca di Gesù, Colui che avrebbe potuto risolvere quel caso disperato.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
21/06/2011 00:32

Se poi si tiene in debito conto il caso dell’emorroissa, che ritardò notevolmente la marcia di Gesù verso la casa di Iairo, la notizia che arriva al capo della sinagoga, relativamente alla sopravvenuta morte della figlia: «La tua figlia è morta; perché importuni ancora il Maestro?», ciò acquista più senso, soprattutto l’intervento che fece Gesù a favore di Iairo.

a Gesù, appena intese ciò che si diceva, disse al capo della sinagoga: «Non temere, credi solamente» (Marco 5:36; e Luca aggiunge: Ella sarà guarita (Luca 8:50).

Se Cristo non fosse intervenuto, difficilmente il capo della sinagoga sarebbe rimasto accanto a Gesù; sarebbe corso subito a casa per piangere la morte dell’unica figlia che aveva. Gesù, però, interpretando giustamente quella particolare situazione che si era determinata, volle, con la sua parola, non solo incoraggiare quell’uomo, ma soprattutto sostenere la sua fede, poiché se non avesse temuto la morte della figlia e continuato invece a credere solamente, egli avrebbe vista sicuramente la gloria di Dio, come Cristo disse in un’altra circostanza, mediante la risurrezione della fanciulla (Giovanni 11:40).

Questo elemento che trapela chiaramente dal racconto di Marco, serve principalmente per insegnarci che, quando la nostra fede viene minacciata e sta per barcollare, Gesù è Colui che la sostiene e la sorregge. Arrivato del capo della sinagoga, Gesù,

vide un gran trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Ed entrato, disse loro: «Perché fate tanto chiasso e piangete? La fanciulla non è morta, ma dorme» (Marco 5:38,39).

Per Matteo, che indirizza il suo evangelo agli ebrei, è importante riferire, quello che Marco e Luca non dicono, cioè, che in casa del capo della sinagoga, erano già arrivati “i sonatori di flauto”, gente che veniva presa a pagamento per produrre il pianto e il lamento funebre.

Sapendo che la fanciulla era effettivamente morta e non svenuta, quelle persone chiamate a fare il piagnisteo, non ebbero nessuna difficoltà a deridersi di Gesù, per aver detto che la fanciulla non era morta, ma dormiva. Cristo, con quella sua affermazione, non ha voluta affatto smentire la realtà della morte, ma la volle considerare come un semplice dormire, togliendo così di mezzo, la tremenda realtà terrificante della morte, che per se stessa non dava nessuna speranza, e che d’altra parte, Gesù, considerava ormai vinta. Più tardi, l’apostolo Paolo, in una nota di trionfo, dirà:

La morte è stata inghiottiva nella vittoria. O morte, dov’è il tuo dardo? O inferno, dov’è la tua vittoria? (1 Corinzi 15:54,55).

Fu solamente quando la folla che faceva rumore e chiasso, fu messa fuori, che Gesù entrò là dove si trovava la fanciulla morta. A questo punto è bene tener presente che Colui che mise fuori tutta quella folla, fu proprio Gesù (Marco 5:40; Luca 8:54).

Per Lui, quella folla, faceva solamente chiasso e rumore, ragione per cui non era degna di restare dentro quella casa, dove, nel giro di pochissimo tempo, si sarebbe manifestata la potenza di Gesù, nel risorgere dai morti la figlia del capo della sinagoga. Tutte e tre gli evangelisti dicono che Gesù prese per la mano la fanciulla, prima di risorgerla dai morti. Solo Marco riporta le parole in Aramaico, che Cristo pronunciò:

Talitha cumi; che tradotto vuol dire: «Fanciulla, ti dico: Alzati!» (Marco 5:41),
mentre Luca, si limita a dire che Gesù, esclamando, disse: «Fanciulla, alzati!» (Luca 8:54). Poiché la morta si alzò subito, si rendeva necessario una prova di una vera risurrezione. A questo ci pensa Luca, quando dice: E il suo spirito ritornò in lei (Luca 8:55).

Siccome con la morte, lo spirito dell’uomo esce da lui, era necessario che lo stesso spirito che si trovava nella fanciulla, prima della sua morte, ritornasse in lei, perché solo così ci sarebbe stata una vera risurrezione. Questo lo sapeva anche Elia, quando pregò per il figlio della vedova di Sarepta:

«O Eterno, DIO mio, ti prego, fa’ che l’anima (= vita) di questo fanciullo ritorni in lui». L’Eterno esaudì la voce di Elia: l’anima del fanciullo ritornò in lui ed egli riprese vita (1 Re 17:21,22).

Anche se i tre evangelisti concordano nel dire che quando la fanciulla risuscitò, si alzò, Marco dice che si mise a camminare (Marco 5:42), mentre Luca, in qualità di medico, adduce un’altra prova, quando ricorda che Cristo ordinò ai genitori di dare da mangiare alla fanciulla, ormai rientrata nel numero dei viventi (Luca 8:55). Davanti al fatto, che lo spirito della fanciulla ritornò in lei, si alzò, si mise a camminare e le si diede da mangiare, ormai era certa e provata la risurrezione della figlia del capo della sinagoga Iairo.

Riflessioni di carattere pratico

a) Quando ci sono particolari situazioni in cui non si intravedono sbocchi e felici soluzioni, andare a Cristo con i nostri pesi, i nostri dolori e le nostre angosce, ciò rappresenta l’unica alternativa valida per essere aiutati. Cristo non è mai troppo impegnato per non potersi occupare di un bisogno particolare che gli viene presentato; non lascia mai le persone deluse e con le mani vuote, si mette a loro completa disposizione, per rispondere alle loro necessità.

b) Quando la fede incontra serie difficoltà nel cammino della vita atte a farla venire meno o a farla crollare, è sempre utile ricordare la parola di Gesù: Non temere, credi solamente, perché la fede si rinvigorisca e riprenda il suo cammino, specialmente se è stata fermata o bloccata da una particolare circostanza.

c) Tutte le manifestazioni miracolose divine, non vengono prodotte per lasciare nel dubbio e nell’incertezza la persona. Esse forniscono sempre l’evidenza e le prove più ferme, perché la persona che ha fede in Dio, invece di camminare sul mare tempestoso dell’incertezza umana, abbia una solida base sulla fedeltà di Dio e della Sua Parola. Il beneficio che si ricaverà, non servirà solamente per la persona che viene a contatto con la potenza miracolosa divina, ma servirà anche per la persona che non ha una esperienza spirituale, ai fini di rendere una valida testimonianza di quello che Dio fa, specialmente in colui che crede a quello che Egli dice e a quello che Dio può fare.

8. LA GUARIGIONE DI DUE CIECHI

E, mentre Gesù partiva di là, due ciechi lo seguirono gridando e dicendo: «Abbi pietà di noi, Figlio di Davide!» Quando egli entrò in casa, quei ciechi si accostarono a lui. Gesù disse loro: «Credete che io possa far questo?». Essi gli risposero: «Sì, Signore». Allora egli toccò loro gli occhi, dicendo: «Vi sia fatto secondo la vostra fede». E i loro occhi si aprirono. Poi Gesù ordinò loro severamente, dicendo: «Badate che nessuno lo sappia». Ma essi, usciti fuori, divulgarono la sua fama per tutto quel paese (Matteo 9:27-31).

Nota preliminare

Nonostante che ci siano concordanze con Matteo 20:29-34, non si può considerare il brano di Matteo 9:27-31 come un duplicato di 20:29-34, come qualcuno suggerisce [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 504].

Per parte nostra, siamo convinti che Matteo non sta ripetendo quello che scriverà nel capitolo 20. Sotto questo aspetto, la guarigione dei due ciechi, deve essere considerata, — tenendo presente i vari elementi che la compongono —, per valutare la loro fede e la potenza miracolosa di Gesù.

Esame del testo

Gesù si trovava a Capernaum, e, mentre egli si accingeva a partire da quella località, due ciechi lo seguirono. Di solito i ciechi, a causa della loro menomazione fisica, si fermano in un posto per chiedere l’elemosina ai passanti. Ma poiché la persona è Gesù, (e sicuramente essi avranno sentito parlare di quello che Egli faceva nel sanare gli ammalati, anche se il testo non lo dice), essi esprimono qualcosa che riguarda la loro fede in Lui, perché trovandosi in quello stato di cecità, credono che Egli può risolvere il loro caso, dando la vista ai loro occhi.

Si continuerà il prossimo giorno...
OFFLINE
Post: 1.112
Età: 90
Sesso: Maschile
22/06/2011 00:04

Il grido: Abbi pietà di noi, Figlio di Davide, mette in evidenza la messianicità che questi due ciechi riconoscono, proclamandolo apertamente e pubblicamente. Infatti, la frase: Figlio di Davide, attribuita a Gesù Cristo, nel N.T. è riportata 14 volte; — 8 in Matteo: 1:1; 9:27; 12:23; 15:22; 20:30; 20:31; 21:9; 21:15; 3 in Marco: 10:47; 10:48; 12:35; 3 in Luca 18:38; 18:39; 20:41 — . Il fatto poi che questi due ciechi implorano la pietà del Cristo, (non di un uomo qualsiasi, ma del Messia promesso dalle Scritture) rappresenta un altro elemento di primaria importanza che arricchisce tutta la storia evangelica, dando valore a tutta la missione di Gesù.

L’evangelista Matteo, per far capire che il seguire dei due ciechi, oltre a non avere il significato occasionale, ma persistente e bene determinato, aggiunge che lo seguirono fino a casa. Infatti, fu quando Gesù entrò in casa, che quei due uomini si accostarono a lui. Durante tutto il cammino, (che non sappiamo quanto durò), Gesù non rivolse loro nessuna parola; ma quando arrivò a casa e i due ciechi gli si accostarono, Gesù poté chiedere loro: Credete che io possa far questo?

Da quello che si legge nel Nuovo Testamento, a proposito delle guarigioni fisiche che Gesù operò verso gli ammalati, non ci risulta che era Sua usanza domandare agli infermi, se avessero fede per essere sanati. Nella maggior parte dei casi, Gesù guariva gli ammalati, semplicemente perché era mosso dalla sua compassione, e, poche volte, chiese agli infermi, prima di essere sanati, se avessero fede per ricevere la guarigione.
Dal momento che quei due ciechi avevano riconosciuto la Sua messianicità, proclamandola, apertamente e pubblicamente, (questa includeva il potere miracoloso di operare i miracoli di guarigione, secondo Isaia 35:5), il domandare di Gesù, era perfettamente coerente e pertinente alla sua missione, come inviato divino. Nel dare la risposta, i due ciechi, non si limitarono a dire un semplice sì, — che di per se stesso aveva un grande significato e valore —, aggiunsero il riconoscimento della Sua signoria, chiamandolo Signore.

Allora egli toccò loro gli occhi, dicendo: «Vi sia fatto secondo la vostra fede». E i loro occhi si aprirono... (Matteo 9:29,30).

Se gli occhi di quei due ciechi si aprirono, fu in virtù del tocco di Gesù e della fede dei ciechi. Ecco, un connubio che rivela la parte divina e la parte umana: La parte divina consiste nella potenza miracolosa e la parte umana nell’appropriarsela. Tutti i miracoli di guarigione hanno queste caratteristiche e si realizzano quando le due componenti, che formano questo divino mosaico, si uniscono insieme.

La storia di questa guarigione, si conclude col severo ordine che Gesù diede ai due ciechi: Badate che nessuno lo sappia. Ma questi, uscendo da quella casa, divulgarono la sua fama per tutto quel paese. Da una parte vediamo Gesù, l’operatore dei miracoli che non va in cerca del plauso e della gloria umana e dall’altra parte, i miracolati che, non possono nascondere quello che realmente si è verificato nella loro vita.

Il parlare di qualcosa di cui si può fornire la prova diretta, rappresenta la più valida testimonianza che un credente può fornire circa la potenza miracolosa di Dio. E quando si fa ciò, Il Suo Nome è grandemente esaltato e magnificato. A Lui sempre la gloria!

9. LA MISSIONE DEI DODICI E IL POTERE DI GUARIRE GLI INFERMI

Poi, chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro autorità sopra gli spiriti immondi per scacciarli, e per guarire qualunque malattia e qualunque infermità. Guarite gli infermi, mondate i lebbrosi, risuscitate i morti, scacciati i demoni; gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Matteo 10:1,8; par. Marco 6:7,13; Luca 9:1,6).

Nota preliminare

Anche se Marco e Luca hanno riportato nei loro evangeli la missione dei dodici, questa volta non è stato Matteo ad abbreviare la narrazione, — come è avvenuta per altri casi esaminati —, ma sono stati Marco e Luca che hanno tolto quasi tutti gli elementi e spogliata la narrazione della missione dei dodici, riguardo le varie istruzioni che Cristo diede loro, nonché l’eliminazione dei nomi dei dodici discepoli ad eccezione di Luca (6:14-16). Da parte sua, Marco, ha qualche particolare che Matteo e Luca non hanno, che vale la pena considerare, per meglio completare il panorama e capire la portata di questa missione.

Esame del testo

In accordo con quello che stiamo trattando in questo libro, la parte riguardante il potere di guarire gli infermi, come abbiamo fatto nel citare solamente il v. 1 il v. 8 del capitolo 10. I tre evangelisti fanno riferimento ai dodici, ma solo Matteo dà a questi discepoli, il titolo di apostoli (Matteo 10:2).

A dire il vero, Matteo non riporta nel suo evangelo il termine “apostoli”, tranne in 10:2; anche Marco lo ricorda una sola volta, (Marco 6:30); mentre Luca vi accenna 5 volte — sempre in riferimento ai dodici discepoli — cioè: 6:13; 9:10; 17:5; 22:14; 24:10 (mentre per ciò che riguarda 11:49, non sappiamo se il riferimento debba intendersi ai dodici discepoli in senso generico, abbracciando anche gli altri discepoli di Gesù).

Poiché Matteo riporta i nomi dei dodici, il riferimento riguarda senza dubbio gli apostoli, come vengono chiaramente qualificati (v. 2) per il loro particolare ministero, che più tardi, sarà indicato come fondamento per tutta la Chiesa di Gesù Cristo (Efesini 2:20), e del muro della Nuova Gerusalemme (Apocalisse 21:14).

Il potere di guarire da qualunque malattia e infermità che Cristo diede a questi dodici apostoli, per l’evangelista, è sicuramente visto come un evento storico, cioè come una continuazione dell’opera di Gesù. Sotto questo aspetto, ha perfettamente ragione Gnilka, quando osserva:

«Il concetto di discepolo indica che questo potere continua a vivere e ad operare nella comunità» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, I, pag. 520].

E noi aggiungiamo: non solo in quella di Matteo, ma anche in quella cristiana, cioè in senso generale, abbracciando così tutti i cristiani di ogni epoca. Quando i discepoli di Gesù compiono la missione che il Cristo ha affidata loro, faranno bene di ricordare sempre che il potere di guarire gli ammalati da qualunque malattia e infermità, non è un potere umano, ma un potere divino, potere che gli è stato dato, al fine, non solo di portare beneficio alle persone che soffrono, ma anche e soprattutto di condurre le persone nel “regno di Dio” (Luca 9:2).

L’autorità che Cristo diede ai suoi discepoli, di cui parla il v. 1, per guarire da qualunque malattia e infermità, vuol dire semplicemente, che non ci sarebbero state malattie ed infermità, che potrebbero sfuggire al potere divino, cioè che non sarebbero state guarite. Mentre il v. 8, fa riferimento specifico ai lebbrosi, al risuscitare i morti e scacciare i demoni.

Si potrebbe chiedere: Perché Cristo fece questa dichiarazione, e non restò nel generico, (come il v. 1)? La lebbra era una malattia fisica, che dal punto di vista umano, veniva considerata inguaribile. Solo Dio, e non attraverso la medicina esistente in quel tempo, poteva guarire quella malattia. La storia di Naaman, capo dell’esercito del re di Siria, ne è una prova lampante. Quando il re di Siria, mandò il suo generale dal re d’Israele, gli mandò anche una lettera in cui si diceva:

«Quando ti giungerà questa lettera, sappi che ti mando il mio servo Naaman, perché lo guarisca dalla sua lebbra».

Il re d’Israele, nel leggere quella lettera, disse:
«Sono io Dio, col potere di far morire e vivere, che costui mi manda un uomo perché lo guarisca dalla sua lebbra?...» (2 Re 5:6,7).

Menzionando i lebbrosi, Gesù volle dire ai suoi discepoli, che le persone che avessero avuta quella malattia, non sarebbero dovute essere considerate come persone senza nessuna speranza di guarigione; destinate alla morte. Per quella categoria di malattia, c’era speranza di guarigione, perché il suo potere divino, dato ai suoi discepoli, poteva benissimo risolvere quel caso, e sanare = nettare il lebbroso.

Si continuerà il prossimo giorno...
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 17:36. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com