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Domenico34 - La prima moltiplicazione dei pani – Sommario, Prefazione, Introduzione. Capitoli 1-4

Ultimo Aggiornamento: 26/03/2012 00:07
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22/02/2012 14:57


La prima moltiplicazione dei pani




INDICE DEL VOLUME




Prefazione
Introduzione

ACAPITOLO 1
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI MATTEO
1. L’azione preparatoria per il miracolo
2. Il testo del racconto di Matteo
3. Come appare a Matteo la scena di quel giorno glorioso
4. La preparazione per la moltiplicazione dei pani
5. Un messaggio particolare per ogni discepolo di Gesù
6. Il significato che potrebbe avere i cinque pani e i due
pesci
7. Gesù ordina che le folle si mettano a sedere sull’erba
8. Quello che Gesù fece e disse
9. La conclusione del miracolo
10. Riepilogo del miracolo della prima moltiplicazione dei pani

CAPITOLO 2
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI MARCO
1. Il testo
2. Preambolo
3. Una moltitudine di gente che si muove
4. Gesù vide una gran folla
5. Gesù insegnò molte cose
6. L’intervento dei discepoli presso il maestro
7. Il senso della risposta dei discepoli
8. L’ordine di Gesù

CAPITOLO 3
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI LUCA
1. Il testo
2. Preambolo
3. Gesù accoglie le folle
4. Parlava loro del regno di Dio
5. Gesù guarì quelli che avevano bisogno di essere guariti
5 bIsaia «E guariva quelli che avevano bisogno di guarigione 6. L’intervento dei dodici per quella situazione particolare
7. La risposta di Gesù e la sua conseguenza

CAPITOLO 4
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI GIOVANNI
1. Il testo
2. Preambolo
3. La folla che segue Gesù
4. Gesù sale sul monte
5. Gesù vide la gran folla e si prepara per operare
6. La parte conclusiva della moltiplicazione dei pani
7. Riepilogo generale

BIBLIOGRAFIA

PREFAZIONE

Scrivere un libro che tratti della “Prima moltiplicazione dei pani”, non è forse voler dire più di quello che il Vangelo ci racconta in proposito? Sì, diranno certuni. Eppure l’esegesi biblico?storica che il pastore Domenico Barbera fa su questo testo è molto interessante.

Notiamo subito che certi “Padri della chiesa” nell’intento di voler trarre un’applicazione spirituale da tutti i particolari esposti nel racconto evangelico, sono andati troppo avanti e, a mio avviso, si sono resi in un certo modo anche ridicolo.
Come conciliare l’orzo (materia del pane) col «calpestare il fasto dei banchetti sontuosi» ? (Giovanni Crisostomo)

Come assimilare «i cinque pani al latte» ? (Abrogio)
Come intravedere I «cinque libri di Mosè» nei 5 pani (Agostino)
Come sostenere che quelli che si siedono sull’erba sono ancora carnali e amano le mollezze? (Abrogio + Agostino)

Come affermare che la distribuzione dei pani e dei pesci fatta dagli apostoli «preannunciava l'assegnazione del sangue e del corpo del Signore»? (Ambrogio)
Potremmo continuare nel citare le svariate e cervellotiche interpretazioni patristiche, ma il lettore le troverà lui stesso nel leggere quest’opera.
Il pastore Domenico Barbera, che non è al suo primo lavoro, lungi dal fare applicazioni spirituali, prende in esame i quattro racconti della “Prima moltiplicazione dei pani” riportati dai quattro evangelisti e si sofferma intelligentemente sugli atti (della folla, dei discepoli, di Gesù) per sottolineare e mettere in primo piano l’opera miracolosa di Gesù, il quale, non solo moltiplica, ma “crea” oltre misura il pane e i pesci per sfamare la moltitudine che lo seguiva.

Scopo di quest’opera: proclamare che l’era dei miracoli non è tramontata e non tramonterà, poiché la Scrittura afferma che Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno (Ebrei 13: 8).

Nino Tirelli

INTRODUZIONE

La prima moltiplicazione dei pani che Gesù fece durante il corso del suo pubblico ministero in Palestina, è narrata da tutti e quattro gli evangelisti. La cosa che va subito notata nonostante che tutti e quattro gli evangelisti raccontino lo stesso episodio, è il fatto che ognun di loro mette in evidenza certi particolari, che potrebbero essere interpretati com'elementi contraddittori atti a mettere in dubbio la stessa storicità dell’evento, con l’inevitabile conseguenza di non portarci a valutare separatamente quello che gli evangelisti dicono, per conoscere esattamente quello che si verificò in quella particolare circostanza, e magari spingerci a formulare una richiesta per sapere chi dei quattro evangelisti racconta il vero intorno a quello che esattamente si verificò in quella giornata. Ma se questi particolari vengono valutati nel contesto dell’episodio evangelico per il quale l’evento della «prima moltiplicazione dei pani» viene narrato, e, tenendo soprattutto conto dello scopo per quest'ogni evangelo è stato scritto, non solo sarà rimossa la curiosità tendente a sapere chi dei quattro scrisse il vero, ma si potranno maggiormente capire e valutare questi particolari che, indubbiamente, ci forniranno motivi di riflessioni, per meglio valutare l’opera di Gesù, non solo per ciò che insegnò con la Sua parola, ma anche per quello che Egli fece manifestando il Suo potere miracoloso in mezzo agli uomini e in loro favore.

Ovviamente, l’esame che condurremo intorno alla narrazione evangelica della «prima moltiplicazione dei pani», avrà come obbiettivo, quello di mettere in risalto la «storicità» di quest'evento, differenziarlo dall’altro conosciuto come la «seconda moltiplicazione dei pani», ma soprattutto di esaminarlo a proposito di quello che ogni evangelista dice, così da avere un quadro completo di questa meravigliosa manifestazione del potere miracoloso di Gesù.

In questi tempi in cui l’evento miracoloso viene messo in dubbio e screditato da un numero rilevante di persone, è necessario, non solo prendere una ferma posizione contro l’ateismo secolare, ma anche contro il formalismo religioso, che rigetta facilmente le varie manifestazioni divine, adducendo la motivazione che il tempo dei miracoli è ormai tramontato, ed è soltanto un ricordo del passato, dei periodi antichi, in cui le manifestazioni miracolose si rendevano necessarie, soprattutto per la propagazione dell’evangelo.

Per noi che crediamo alla veracità della parola evangelica e di tutta la S. Scrittura in genere, è importante, non solo considerare l'opera miracolosa di Gesù di quei tempi lontani, ma considerarlo soprattutto tenerne presente la «continuità» ai nostri giorni.

Il migliore augurio che possiamo formulare, non è solamente che ognuno che leggerà le pagine che seguono possa trarne profitto, ma che soprattutto si apprezzasse e si valutasse l’opera miracolosa di Gesù e sapendo che Egli è lo stesso «ieri, oggi e in eterno», questa fede rimanga ferma nella nostra mente e nel nostro cuore, come un saldo pilastro.
Ringraziamo vivamente il caro fratello Nino Tirelli per il lavoro intelligente che ha condotto, nel revisionare quest’opera.

Domenico Barbera

Si continuerà il prossimo giorno
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23/02/2012 00:04

Capitolo 1




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL

RESOCONTO DI MATTEO




1.L’AZIONE PREPARATORIA RER IL MIRACOLO

Premessa

L’esame che condurremo intorno alla «prima moltiplicazione dei pani», oltre che basarci su quello che Matteo ha scritto, cercheremo di ignorare – momentaneamente – quello che dice Marco, Luca e Giovanni, non perché questo racconto sia più completo degli altri, e neanche per affermare che Matteo, per quello che ha scritto a questo riguardo, non dipenda dagli altri evangelisti, e che questi a loro volta abbiano elaborato il racconto dell’evento miracoloso, adattandolo al modo per cui hanno scritto il loro evangelo, ma semplicemente per considerare quello che avesse da dirci il nostro evangelista. Questo vuol affermare che prenderemo in esame singolarmente quello che ha scritto Marco, Luca e Giovanni; li esamineremo a parte, separatamente naturalmente, per meglio valutare quello che questi ci hanno tramandato.

Anche se qualcuno obbietterà sulla validità di questo metodo per esaminare le Scritture, lo facciamo perché crediamo all’ispirazione delle Sacre Scritture per opera dello Spirito Santo ed anche perché in questa maniera possiamo meglio conoscere l’interezza dell’avvenimento miracoloso, visto che è nell’insieme di quello che hanno scritto gli evangelisti, che possiamo avere il quadro completo di tutta la situazione.

2. IL TESTO DEL RACCONTO DI MATTEO

Il racconto relativo della prima moltiplicazione dei pani si trova nel capitolo quattordici, dai versetti 13–21 (Nuova Diodati).

Quando Gesù ebbe udito ciò, partì di là su una barca e si ritirò in disparte, in un luogo deserto. E le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. E Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla e ne ebbe compassione, e ne guarì gli infermi. Poi, facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono, e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi; licenzia dunque le folle affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare. Ma Gesù disse loro: non è necessario che se ne vadano; date voi a loro da mangiare. Ed essi gli dissero: noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci. Ed egli disse: portatemeli qua. Comandò quindi che le folle si sedessero sull’erba; poi prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli, alle folle. E tutti ne mangiarono e furono saziati; poi i discepoli raccolsero i pezzi avanzati in dodici ceste piene. Ora, chi aveva mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

La prima cosa che va subito notata è la forma al singolare « partì» e «si ritirò», che linguisticamente parlando, potrebbe farci pensare che Gesù fu solo quando decise di andare «in disparte in un luogo deserto». Ma leggendo il seguito, ci accorgiamo che assieme a Gesù c’erano anche i suoi discepoli. Se si deve sostenere che Gesù partì solo, stando al detto del v. 13, alla luce del verso 15, che dice:

Poi facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono, e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi; licenzia dunque le folle affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare,

due sono le cose: 1) O Gesù partì solo in barca, senza pensare minimamente ai suoi discepoli (erano con lui i discepoli?); 2) oppure, in un secondo tempo, gli stessi, visto che il Maestro non era con loro, lo raggiunsero. Ma in quale località? Dal momento che il v. 15 affermi che i discepoli di Gesù si trovano assieme col Maestro sul luogo del miracolo, ci sembra più probabile considerare la forma al singolare, «partì», «si ritirò», per affermare che fu Gesù che prese la decisione di partire dal luogo in cui si trovava, anziché pensare che lo spostamento avvenisse da solo.

D’altra parte, leggiamo spesso negli evangeli, che Gesù si trova sempre assieme ai suoi discepoli, specie quando questi avvengono via acqua, attraverso il mare di Galilea. Sarebbe inoltre impensabile che Gesù lasciasse soli i suoi discepoli, per andare in un altro luogo, eccetto che non si trattino di un posto e di un tempo per la preghiera, in questo caso Gesù preferisce trovarsi solo.

Matteo inizia il racconto della «prima moltiplicazione dei pani» col affermarci che, «quando Gesù ebbe udito ciò, partì...». Siccome nei versi precedenti si parla della morte di Giovanni Battista e di quello che fecero i suoi discepoli quando presero il suo corpo e lo seppellirono, e dato che gli stessi andarono a riferire a Gesù quello che era accaduto, è certo che è a quest'avvenimento che allude Matteo.

Quando Gesù lasciò la località in cui si trovava, la sua intenzione era di andarsene «in disparte, in un luogo deserto». Sorge spontanea la domanda: perché? Non voleva avere più a che fare con le persone, visto che la stragrande maggioranza non riceveva le Sue parole e non credeva al Suo nome? Oppure si era stancato per il comportamento ostile delle persone nei suoi confronti? O era per il dolore che sentì della morte crudele che subì Giovanni?

Si continuerà il prossimo giorno...
[Modificato da Domenico34 23/02/2012 00:06]
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24/02/2012 00:09

Indubbiamente, la notizia concernente la morte del Battista, soprattutto la maniera con cui venne eseguita, avrà prodotto un dolore profondo nel cuore di Gesù. Con la sua decisione di andarsene in disparte, in un luogo deserto, Egli pensava di allontanarsi dalle persone, – almeno per un po’ di tempo –, per riprendersi. Sia lungi da noi il pensiero che Gesù si fosse stancato e che non avesse più la forza di sopportare l’ostilità delle persone, come per esempio, tantissimi anni prima, si era verificato per il profeta Elia (cfr. 1 Re 19). Il fatto poi che di tutto quello che Gesù aveva preventivato non si avvera, dimostra eloquentemente che non c’erano situazioni così affliggenti – come la morte di suo cugino, secondo la carne –, che avrebbero potuto sottrarlo alle sue responsabilità ministeriali.

Lo spostamento di Gesù non avvenne nel segreto e non restò inosservato. Il testo evangelico precisa: «E le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città». Il fatto stesso che le folle vennero a sapere che Gesù si era spostato da quella località, è una dimostrazione che Egli veniva controllato nei suoi movimenti e c’erano sempre persone pronte e disposte a seguirlo dovunque andasse.

La maniera come quelle folle lo seguì, «a piedi», non è solamente un’espressione verbale per abbellire il racconto, o come prova dello stato di povertà di quelle persone, ma denota soprattutto un certo interesse nei confronti di Gesù, che gli fece affrontare dei sacrifici non indifferenti, indipendentemente dal fatto se quelle persone si trovarono nello stato di povertà da non potere avere denaro per prendere le barche.

3. COME APPARE A MATTEO LA SCENA DI QUEL GIORNO GLORIOSO


Il testo precisa:
E Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla e ne ebbe compassione, e ne guarì gli infermi (v. 14).

Come osservammo sopra, nonostante che Gesù si fosse recato in quel luogo con la precisa intenzione di andarsene «in disparte, in un posto deserto», ciò non fu possibile, per il fatto che la folla era già arrivata prima di lui là dove Egli sbarcò.

Se Gesù si fosse comportato come certe persone di questo mondo, avrebbe detto: “Perché non mi lasciate in pace? Perché mi correte sempre appresso? Perché non ve ne andaste alle vostre case, così che potrò rimanere solo senza essere disturbato?” Gesù, sì, era un vero uomo, ma nello stesso tempo era anche Dio fatto carne, Chi era venuto da presso il Padre, per procurare la salvezza all’umanità.

Il vedere di Gesù e la sua compassione

Di fronte a quella grande folla la compassione che Gesù aveva per le persone in genere, non poteva allontanarsi da lui e chiudergli gli occhi. Indubbiamente, il fatto stesso che Gesù ha compassione per quella folla, già denota che Egli vedeva soprattutto quel bisogno che gli altri non scorgevano. Gesù è Chi sa vedere in maniera diversa di come noi uomini vediamo; noi vediamo solamente quello che è apparente, quello che si presenta all’esterno, Gesù invece vede nel di dentro dell’essere umano e scorge i vari bisogni che si nascondono nella vita di una persona. Come farà la Sua «compassione» a rimanere indifferente davanti a quello che i suoi occhi vedono? Ecco perché viene detto: «e ne guarì gli infermi».

Quella grande folla non era composta solamente di persone che stavano bene, fisicamente parlando; c’erano persino degli infermi. Anche se Matteo non specifica il tipo d'infermità che Gesù guarì in quel giorno, dal momento però che ha affermato che c’erano degli infermi, maggiormente la compassione di Gesù non poteva rimanere indifferente. Se quegli infermi furono guariti in quel giorno, lo furono, non solamente per il potere miracoloso di Gesù, ma soprattutto per la Sua compassione, che lo fece desistere dall’andarsene «in disparte in un luogo deserto», e fu grazie alla stessa che la virtù miracolosa raggiunse quelle persone e li guarì.

Questa riflessione è molto importante e merita di essere messa in evidenza. La compassione di Gesù, valicando i tempi lontani del passato, si colloca al presente e nel periodo in cui viviamo, per venire incontro a qualsiasi bisogno, sia grande che piccolo, che l’uomo del ventesimo secolo può avere. Al minimo segno d’interessamento che si ha per Gesù, la Sua compassione viene subito messa in atto, per dimostrare ancora una volta e nel tempo presente, che Egli apprezza ed è molto sensibile, al comportamento dell’uomo nei suoi confronti.

Gesù guarì gli infermi

a) Oltre a non conoscere (perché il nostro evangelista non glielo dice) che tipo d'infermità avevano le persone ammalate, non ci viene neanche detto il quantitativo d'infermi che si trovava in quel giorno e luogo. Se gli ammalati erano uomini, donne o bambini – visto che quella folla era composta di queste persone –, ciò non ha tanta importanza; quello che ha valore e rilievo, non è tanto sapere il numero rilevante o meno d'infermi, quanto il potere miracoloso di Gesù che si manifestò a favore di quei bisognosi.

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25/02/2012 00:07

Non ci viene neanche specificato la maniera con cui Gesù guarì gli infermi. Avrà guarito per avere imposte le mani sopra di loro o pronunciando una parola di comando? Se l’evangelista ci avesse fornito una simile notizia, noi potremmo fare le nostre considerazioni e mettere in risalto la maniera con cui Gesù guarisse. Ma siccome si sapeva che Gesù, nelle varie guarigioni che fece, non usò sempre lo stesso metodo, quello che maggiormente bisogna sottolineare non è tanto la regola in se stesso, quanto la potenza e la virtù che si manifestarono a favore di quegli infermi.

Il solo fatto che gli infermi furono sanati, ci dà in se stesso l’idea di un’atmosfera festante e gioiosa che si creò in quel giorno tra quella gran folla. Pensate l’espressione di giubilo che si sarà manifestata nella vita di una madre nel vedere proprio figlio o figlia guariti dall’infermità che avevano! O cerchiamo di immaginare ad un marito o a una moglie, che viene guarita da una deformazione corporale.

Quali grida di esultanza e di giubilo si saranno elevate in mezzo a quella folla! Inoltre, siamo portati a considerare l’enorme rumore che si verificò in quel giorno: chi gridava, per la gioia di vedere un proprio congiunto guarito da un male che aveva portato per tanti anni; chi alzava la voce in lode a Dio, chi batteva le mani per quello che vedeva con i propri occhi; chi danzava di allegrezza per quelle grandi opere; insomma, ci sarà stata una gran confusione, umanamente parlando, e forse qualcuno avrà detto, ma perché tutto questo rumore, tutto questo disordine, tutto questo gridare; non sarebbe meglio che ognuno se ne stesse in santo raccoglimento, e non darsi a questa manifestazione esagerata di esultanza e di grida?

Non sapendo a quale ora del giorno cominciò quella straordinaria riunione e quando terminò – proferendo un discorso compatibile ai nostri dì – possiamo affermare che quella meravigliosa manifestazione di potenza, si protrasse, per alcune ore. La frase che leggiamo: «Poi, facendosi sera», ci permette di convalidare quanto abbiamo detto sopra.

Se dovessimo fare un'applicazione pratica per quanto riguarda le riunioni che si tengono oggi, metteremmo subito in evidenza il troppo silenzio che si nota e la marcata monotonia, che denota la mancanza delle manifestazioni del soprannaturale. Qualcuno giustamente ha detto: «Il miglior luogo per avere silenzio e non sentire nessun rumore, è il cimitero». La Bibbia afferma:
Non sono i morti che lodano l’Eterno, né alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio. Ma noi (i viventi) benediremo l’Eterno, ora e sempre. Alleluia (Salmo 115:17,18).

4. LA PREPARAZIONE PER LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI


Poi, facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono, e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi; licenzia dunque le folle affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare (v.15).

Che i discepoli di Gesù si trovavano da molto tempo in quel luogo (da quando arrivò Gesù?), lo desumiamo dalla frase «si accostarono». Supposto che erano arrivati assieme a Gesù, avevano assistito a quella riunione fin dall’inizio, e, per diverse ore, avevano sentito e veduto tutto quello che si era manifestato in mezzo a quella gran folla, per le diverse guarigioni verificatesi.

Indubbiamente, i discepoli di Gesù, avranno partecipato attivamente in quella giornata, in diverse maniere: ora aiutando l’uno ora l’altro, in tutto quello che si vedeva; e, sicuramente, non saranno rimasti da semplici spettatori.

L’intervento dei discepoli

Ora, però, vedendo che Gesù non accenna a chiudere la riunione – si dirà con il linguaggio di oggi –, sicuramente si saranno consultati a vicenda per stabilire se era il caso di intervenire presso il Maestro, per suggerirgli di chiudere la riunione. Il testo non afferma che uno dei discepoli si accostò, ma che «i suoi discepoli gli si accostarono». È abbastanza chiaro quindi, che l’azione venne concertata e concordata, per dare più risalto che, in fin dei conti, che quello che proponevano a Gesù, non era il risultato di un singolo che la vedeva e la pensava in quella maniera; ma doveva essere piuttosto considerata soprattutto come l’espressione collegiale, «di tutti i discepoli», senza che nessuno venisse escluso.

Se dobbiamo considerare l’intervento dei discepoli, dal punto di vista collegiale, nel senso che avevano raggiunto un unanime accordo, quindi, dal punto di vista della «maggioranza» – si direbbe oggi –, c’era poco da obbiettare e discutere, dobbiamo subito mettere in evidenza che, in quell’intervento si rivelava tutta la natura umana, intesa non solamente per ciò che riguardasse le sue debolezze e le sue lacune, ma anche per l’accortezza e la viva preoccupazione che venisse chiaramente manifestata nei confronti di quella gran folla. Facendo un’analisi delle parole che i discepoli dissero a Gesù, possiamo descriverlo nel seguente modo:

L’intervento dei discepoli, mirava a far ricordare a Gesù che già era «sera», come se Egli non avesse avuto occhi per vedere che la giornata era quasi terminata;
indirettamente, si dava un rimprovero a Gesù per la lunghezza della riunione;
Gesù non stava agendo con intelligenza nel mantenere presso di sé tanta gente per diverse ore;
il luogo era deserto;
l’ora era già tardi;
la folla non aveva da mangiare.

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26/02/2012 00:05

Tutte le considerazioni che avevano fatto i discepoli, per suggerire a Gesù di «licenziare le folle», da un punto di vista umano e per la sua logica, rispondevano a verità. Ma secondo Dio e il suo piano, essi mancavano di un saggio discernimento, dato che non sapevano vedere nient’altro che era «sera» e che era «tardi».

L’accortezza umana


L’accortezza che noi uomini spesso manifestiamo, nel prevenire certe particolari situazioni di disagio, non è sempre dettata da un saggio e spirituale discernimento. Spesse volte, non è lo Spirito Santo che ci muove, ma la nostra umana intelligenza. Dal momento che siamo mossi da sentimenti e valutazioni umane, non sempre ci apriamo all’opera dello Spirito, e tante volte addirittura si vorrebbero sopprimerla con la giustificazione di volere favorire una certa logica e una certa coerenza sul piano della vita pratica. Questo finisce con l’ostacolare l’opera del Signore, intesa come manifestazione del potere miracoloso di Dio.

Cerchiamo di immaginare che cosa sarebbe successo se Gesù avesse accolto il suggerimento dei suoi discepoli (umanamente parlando era saggio) e avesse «licenziate» le folle.

In quel giorno non ci sarebbe stata la moltiplicazione dei pani, quindi, il miracolo di questo tipo, non si sarebbe manifestato;

Le persone accorse in quel luogo (senza escludere i discepoli di Gesù), non avrebbero visto, con i propri occhi, la manifestazione miracolosa del potere divino di Gesù;
Il racconto di questo straordinario evento miracoloso non sarebbe stato scritto nel Vangelo, con la conseguenza, che nessuno dell’umanità, avrebbe saputo che con 5 pani e due pesci, Gesù diede da mangiare a 5.000 uomini oltre le donne e i bambini;

Per ultimo, – che certamente non è meno importante dei tre punti sopra indicati –, Gesù, sarebbe apparso come uno che si lascia guidare dai suoi discepoli, nello svolgimento del suo ministero per il quale era stato mandato dal Padre in questa terra.

Considerando attentamente il valore e la portata dell’implicazione che ha avuto l’intervento dei discepoli per ciò che riguardava il ministero di Gesù, la risposta che venne data, pur non contenendo nessun elemento che lasci trasparire un rimprovero, mette i discepoli in una condizione, non solo d'imbarazzo, – per quella reale situazione che appariva ai loro occhi –, ma anche d'incertezza, perché appunto non sa ciò che devono fare e come risolvere quell’enorme problema.

La risposta di Gesù

Notate con quale gentilezza e fermezza nello stesso tempo, Gesù risponde ai suoi discepoli che gli avevano suggerito di «licenziare» le folle: Non è necessario che se ne vadano; date voi a loro da mangiare. Dal momento che per Gesù, il luogo «deserto», la «sera» o l’orario «tardi», non rappresentavano dei seri problemi, si permise di affermare che, quella «necessità» di licenziare le folle, lui non la vedeva.

Se Gesù si fosse fermato solamente sul fatto che non era «necessario» di licenziare le folle, sicuramente i discepoli non sarebbero rimasti con le bocche chiuse; a dire poco, avrebbero chiesto delle spiegazioni, dei chiarimenti per sapere come avrebbe fatto a risolvere quel gran problema. Ma dal momento che Cristo va oltre a quello che i discepoli potevano aspettarsi, nella risposta che questi danno a Gesù, senza fare nessun riferimento alla sua affermazione: «non è necessario» e neanche mettere in discussione la validità di quella sua dichiarazione; non nascondono la loro perplessità e preoccupazione, e, davanti a quel preciso ordine, Date voi a loro da mangiare, si affrettano a precisare, ...Noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci.

A questo punto, si impone, come necessità, di capire perché Gesù diede quella risposta e come deve essere intesa la Sua parola. Se dovessimo interpretare la risposta di Gesù nel senso che Egli non era obbiettivo a quello che i discepoli gli avevano prospettato, rischieremmo di accusare Gesù come una persona fanatica che non vuole prendere coscienza di una reale situazione di contingenza. Non dobbiamo neanche pensare che nella risposta di Gesù, c’era una buona dose di risentimento, per l’ingerenza indebita dei discepoli, per ciò che riguardava lo svolgimento del suo ministero. Una simile supposizione ci porterebbe a classificare Gesù come un qualsiasi uomo peccatore, e, quindi, la sua giustizia e la sua santità, verrebbe messe sotto accusa.

Ma se invece pensiamo a Gesù come a chi voleva insegnare ai suoi discepoli, – attraverso quella particolare e difficile situazione – un'importante verità circa le possibilità divine, a condizione che imparino a guardare le cose, non solo con gli occhi della carne, ma soprattutto con quelli della fede, allora davanti ai discepoli si schiuderà la prospettiva di una nuova e grandiosa esperienza della potenza miracolosa di Dio.

È assurdo pensare che i discepoli, con le loro facoltà e con la scarsezza di una provvista limitatissima, possano dare da mangiare ad una folla di migliaia di persone. Ma se invece il discepolo impara a valutare quanto sia importante la manifestazione del potere miracoloso di Dio, non solo lo potrà esperimentare nel corso della sua vita, ma avrà anche modo di condividere con altri le sue esperienze.

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27/02/2012 00:04

5. UN MESSAGGIO PARTICOLARE PER OGNI DISCEPOLO DI GESÙ

Le considerazioni che abbiamo fatto fino a questo punto, non sono le sole; credo che ce ne siano delle altre, da applicare nella vita di ogni discepolo di Gesù e particolarmente in quelli che sono chiamati al ministero, per quanto riguarda le loro responsabilità inerenti allo svolgimento del compito stesso. Un ministero, qualunque esso sia, non viene dato per l’utilità di chi lo riceve, ma essenzialmente per il beneficio degli altri. Che questi sono potuti essere individuati nell’ambito di una Comunità, intesi come chiesa locale o possono estendersi al di fuori di lei, non cambia il fine per questo il ministero è stato dato. Tenendo presente lo scopo divino, ogni persona chiamata al ministero, dovrebbe fare molta attenzione a non essere di ostacolo all’azione e all’opera dello Spirito Santo.

Quando leggiamo di non contristare lo Spirito Santo di Dio... (Efesini 4:30), dobbiamo ricordare che quella esortazione Paolo la rivolgeva ai credenti e non al mondo incredulo. Ciò significa che il credente o colui che ha ricevuto il ministero in un modo particolare, ha ancora la facoltà di opporsi a quello che lo Spirito Santo vuole fare, cioè contristarlo, per il fatto che non gli si permette di fare quello che vorrebbe.

Le opere e le azioni dello Spirito Santo, devono essere valutate con una mente illuminata dalla Parola di Dio e con occhi unti dal collirio divino (Apocalisse 3:18). Colui che è stato chiamato al ministero, – e non soltanto il semplice discepolo che si limita a seguire il Signore Gesù in obbedienza alla Sua Parola –, deve imparare dal Divino Maestro e cercare di imitarlo nel miglior modo, perché nel suo ministero non vi siano solamente parole, ma soprattutto quelle manifestazioni dello Spirito, che contrassegnano l’opera divina. Credo che si potrebbero applicare le parole dell’apostolo Paolo, nel contesto di quello che stiamo dicendo:

La mia parola e la mia predicazione non consistettero in parole persuasive di umana sapienza, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza (1 Corinzi 2:4).

Il servitore del Signore che, nell’esercizio del suo ministero non sa valutare quelle circostanze e situazioni particolari che si presentano davanti a sé, e tiene maggiormente conto del fattore tempo, inteso come durata da dedicare all’attività ministeriale e non dei reali bisogni delle persone, non è certo un buon servitore, che favorisce le manifestazioni dello Spirito di Dio.

Oggi, in modo particolare, viviamo programmando il tempo, con un certo rigore, in maniera tale che tutto si svolge secondo una ben definita tabella di marcia. Lungi da noi il volere disprezzare o minimizzare coloro che si attengono ad una rigorosa programmazione delle varie attività della vita. Le considerazioni che stiamo facendo, non hanno di mira le attività secolari, ma lo svolgimento dell’opera del ministero, aperto alle manifestazioni divine.
I discepoli di quei tempi, pensavano e credevano che Gesù in quel giorno, avesse dimenticato che era arrivata la sera, che era tardi, e che fosse stato più che ragionevole che la folla venisse mandata a casa, senza ulteriori ritardi, in modo che tutti avessero avuto la possibilità di comprarsi da mangiare, dato che si trovavano in un luogo deserto.

Oggi, vale a dire nel nostro tempo, non è difficile costatare che le riunioni nei luoghi di culto vengono tenute con una certa programmazione; lo svolgimento del raduno è previsto entro un certo orario e tutto deve terminare entro quell’ora stabilita. Se qualche riunione si protrae oltre al normale, non mancano chi protesta: È tardi, è trascorso troppo tempo, è ora di mandare tutti a casa. Mi domando: come farà lo Spirito Santo a muoversi in mezzo al popolo, quando gli stessi ministri, che dovrebbe favorire le manifestazioni spirituali, Lo impediscono e vi si oppongono?

Non sta a noi stabilire a quale orario del culto si deve muovere lo Spirito di Dio. Quando lo sguardo è rivolto al reale bisogno del popolo, non si dirà mai: È tardi, è troppo il tempo che siamo stati in chiesa.

«Date voi a loro da mangiare», non sono parole che hanno il solo significato per quanto riguarda le cose materiali, contengono il messaggio della responsabilità. L’umanità in genere, è piena di problemi; i bisogni che si possono notare sono tanti e diversi l’uno dall’altro. Gesù si rivolge ai suoi discepoli, con quel preciso comando, non solo perché sono gli unici ai quali può rivolgere un simile ordine, ma anche e soprattutto per far capire loro che, invece di pensare di mandare tutti a casa, devono capire la loro responsabilità, che li impegna, come seguaci di Gesù, a darsi da fare a che quel bisogno che essi stessi vedono possa essere risolto. A questo punto si potrà chiedere: come sarà ciò possibile? Non si possono invertire le posizioni, che cioè Gesù occupi il posto dei discepoli e gli alunni quello di Gesù. Pensare in questo modo, è quanto mai assurdo e blasfemo.

Quando però, il discepolo di Gesù e particolarmente colui che è chiamato al ministero, prende atto della sua responsabilità inerente al suo appello, invece di sottrarsi alla sua responsabilità, potrà piuttosto pensare a quel detto dell’apostolo Paolo: Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica (Filippesi 4:13).

Facendo affidamento su Cristo, sulla veracità della Sua Parola e sul Suo potere, il discepolo può diventare un attivo collaboratore del Signore, il solo che ha il potere di produrre il miracolo. Una cosa è declinare la propria responsabilità, con la motivazione: “Io non posso fare nulla”, e un’altra idea è tenerla costantemente presente. «Date voi a loro da mangiare».

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28/02/2012 00:09

6. IL SIGNIFICATO CHE POTREBBERO AVERE I CINQUE PANI E I DUE PESCI

Dopo che i discepoli si sentirono dire da Gesù: Date voi a loro da mangiare, e la risposta immediata che ne seguì, noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci, Gesù ordina: Portatemeli qua.

Il comando di Gesù è stato preciso e perentorio; non c’era altro da fare: ubbidire alla parola del Maestro. Anche se nel cuore dei discepoli avrà balenato qualche pensiero come per esempio: “Ma che cosa vorrà fare Gesù con questi cinque pani e due pesci”? Nessuna considerazione umana sarebbe stata giustificata, se l’ordine di Gesù fosse stato messo in discussione.

Quando Gesù ordina una cosa, bisogna ubbidire, se si vuole vedere la manifestazione del Suo potere miracoloso. Non sempre gli ordini del Signore trovano una certa coerenza con la logica umana e non sempre appaiono chiari nel loro significato. Gesù non ci chiede di comprendere prima i Suoi ordini e poi eseguirli; al contrario, prima va rispettato la disposizione di ubbidienza e poi immancabilmente seguirà la comprensione.

Possiamo immaginare con quale stato d’animo i discepoli avranno portato i cinque pani e i due pesci a Gesù, senza forse intravedere uno sbocco, una soluzione al difficile problema. I discepoli avevano visto durante la giornata tanti miracoli che Gesù aveva fatto alle persone ammalate di quella gran folla, ma mai si era verificato nel passato che Gesù aveva fatto un miracolo di moltiplicare i pani, da favorire una certa tranquillità nella loro vita.

Matteo non ci dice chiaramente se quei cinque pani e due pesci erano una piccola scorta di viveri che i discepoli avevano, o se sono appartenuti a qualcuno della folla. Considerando però attentamente la frase: Noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci, specialmente il pronome «noi», con ogni probabilità si può pensare che quella piccola scorta, si trovi in mano dei discepoli. Indipendentemente chi aveva quei pani e pesci, ai fini del comando, ciò non aveva nessun'importanza; il vero valore consisteva nel fatto che quella piccola scorta fosse portata a Gesù.

I cinque pani e i due pesci, attraverso i secoli, sono stati variamente interpretati. Per citare qualche esempio diciamo: G. Crisostomo, riprendendo quello che dice Giovanni, così interpretava.

«L’evangelista Giovanni, da parte sua, precisa che i pani erano d’orzo, dettaglio che non è senza significato, ma che c'insegna a calpestare il fasto dei banchetti sontuosi. Tale era anche il cibo dei profeti» [Cfr. S. Giovanni Crisostomo, Commento al vangelo di S. Matteo, II, pag. 305].

Per Ambrogio:
«I cinque pani corrispondono al latte; il cibo solido è il corpo di Cristo; la bevanda generosa è il sangue del Signore» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 322].

Per Agostino
«I cinque pani significano i cinque libri di Mosè: giustamente essi non sono di frumento ma d’orzo, poiché essi appartengono al Vecchio Testamento. Quanto ai due pesci, mi sembrano significare quelle due auguste persone del Vecchio Testamento, che ricevevano l’unzione per santificare e per governare il popolo, cioè il sacerdote e il re» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 375].

Non si può accettare una simile interpretazione così puntualizzata, non solo perché non è unanime, ma soprattutto perché ci sembra forzata, e, addirittura rispecchia la mentalità di quei tempi e circostanze in cui vissero quegli uomini. Quando si spiritualizza troppo il testo biblico, si corre il rischio di far dire alla Bibbia quello che essa non vuol dire, con la conseguenza di insegnare verità estranee al testo biblico.

Se si può permettere una certa spiritualizzazione per i cinque pani e i due pesci, soprattutto con riferimento al comando di Gesù: «Portatemeli qua», si potrebbe affermare che potrebbero rappresentare la «pochezza dell’uomo», da un punto di vista generale. Se è vero che quei cinque pani e i due pesci, erano una piccolissima scorta di viveri, in confronto a quella gran folla, appare evidente la pochezza di quei pani e pesci per dare a mangiare ad una moltitudine di 5.000 uomini oltre alle donne e ai bambini. Però, se questa pochezza viene portata a Gesù, il Suo potere miracoloso li moltiplica, e il poco diventerà assai e sarà sufficiente per sfamare quelle migliaia di persone. La logica di questa spiritualizzazione, crediamo che non contrasti col testo evangelico, tanto meno che apparisca come una «forzatura», e neanche entri in conflitto con la Parola del Signore, sia quella dell’A.T. che del N.T.

Quando l’interpretazione di cui sopra, viene messa in relazione col ministero, essa diventa più significativa, per il fatto che nell’opera del ministero, concorrono, non solo il dono di Dio, ma anche la parte umana, intesa come strumentalità che lo Spirito usa secondo il volere divino. Quando una persona fa valere i suoi titoli, la sua capacità di conoscenza e di sapere bene organizzare le cose, è come se dicesse: “Ce la posso fare da me; non ho bisogno di nessuno”. Ma quando si riconosce la propria incapacità, è come se si dicesse: “Ma che cosa posso ottenere col mio saper fare, con la mia intelligenza, con la mia forza umana, davanti ad un mondo che mi circonda con bisogni che oltrepassano le mie risorse?” Gesù aveva detto ai suoi discepoli, «Date voi a loro da mangiare».

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29/02/2012 01:29

I discepoli avevano pensato che fosse meglio e più giusto mandare tutta quella folla a casa, senza minimamente prevenire che era loro responsabilità dare da mangiare a quella moltitudine. Quando non si capisce la responsabilità inerente al ministero, si fa presto a sbarazzarsi di una situazione incomoda; ma quando si accetta la propria consapevolezza, non solo non si fanno certe conclusioni, ma si passa subito ad un'azione, che è quella di portare a Gesù le poche cose che abbiamo.

Dio, attraverso i secoli, non ha mai agito da solo, – anche se Egli può fare da solo tutte le cose –, ha sempre preferito farle assieme all’uomo. Dio, in qualità di Spirito, com'Egli è, non ha una bocca per parlare, userà quella dell’uomo; non ha una mano per toccare, userà quella dell’essere umano; non ha un piede per camminare, userà quello dell’uomo. La tua bocca, la tua mano e il tuo piede, diventeranno gli strumenti che Dio userà, per parlare, per toccare e per camminare. Vista in questa maniera, le nostre poche cose che abbiamo, portiamole a Lui, soprattutto perché Gesù ci dice chiaramente: «Portatemeli qua».

7. GESÙÙ ORDINA CHE LE FOLLE SI' METTANO A SEDERE SULL’ERBA


Comandò quindi che le folle si sedessero sull’erba; poi prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli, alle folle.

La sua interpretazione

È importante notare che Gesù prima di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani, ordinò che le folle si mettessero a sedere sull’erba. Anche il sedersi sull’erba, per Ambrogio aveva un particolare significato. Ecco le sue parole:

«C’è differenza tra i racconti non soltanto circa il tipo e il numero dei pani, ma anche sul posto e sul modo in cui siedono le persone. Quelli sono seduti sull’erba, questi per terra: i cinquemila sull’erba, i quattromila per terra. Appoggiarsi per terra è più che giacere sull’erba: quelli infatti i cui sensi sono ancora carnali amano le mollezze e per questo si siedono sull’erba – infatti “ogni carne è come erba...”» (Isaia 40:6) [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 328].

Anche Agostino, usando lo stesso testo di Isaia 40:6 interpretò:

«Essi erano distesi sull’erba; avevano una sapienza carnale, ed in lei restavano. La carne è, infatti, non dissimile dall’erba» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 376].

Darsi a questo tipo di interpretazione, anche se Isaia 40:6 afferma che «ogni carne è come erba», a parte la forzatura del testo che si può facilmente notare, non ci sembra che sia coerente e si armonizzi con la parola di Gesù. Se quella folla si distese sull’erba, in fin dei conti fu perché Gesù ordinò loro di farlo. Se la scelta l’avessero fatta loro, si potrebbero prendere in considerazioni le parole di Ambrogio e di Agostino, ma siccome fu Gesù che ordinò quello, la loro interpretazione è quanto mai fantasiosa, perché non tiene conto della parola del Maestro.

Quello che potrebbe essere il suo significato

Se non accettiamo l’interpretazione di Ambrogio e di Agostino – anche se ammettiamo e crediamo quello che dice Isaia 40:6 –, per noi, se dobbiamo parlare di spiritualizzazione, dovremmo farlo in riferimento al sedersi della folla, senza però cercare per questo concetto, versi della Bibbia per provare la giustezza della nostra interpretazione e non sull’erba. Ecco qui di seguito i motivi della nostra considerazione:

Una folla di quella dimensione, restando in piedi, avrebbe notevolmente impedito lo svolgimento della distribuzione del cibo.
Migliaia di persone in piedi, avrebbero favorito la confusione e il disordine, e il lavoro di distribuzione del pane e del pesce, sarebbe stato notevolmente ritardato.

Una folla seduta, invece, avrebbe facilitato il lavoro della distribuzione del cibo, con minor tempo senza il disordine e confusione.

Se la folla e gli stessi discepoli non sapevano quello che Gesù avrebbe fatto nel giro di qualche minuto e tutto il lavoro che ne sarebbe seguito, Gesù, conoscendo tutto, comandando di far sedere la folla sull’erba, volle prevenire il disordine e la confusione, così che i suoi discepoli avrebbero potuto portare a termine il loro lavoro tranquillamente.

Inoltre, il sedersi, denota una posizione di attesa. A questo punto è molto importante puntualizzare: l'ordine di sedersi, venne dato per la folla che doveva ricevere e non per i discepoli che dovevano dare, amministrare. Se sei un discepolo di Gesù, non lo sei solamente per seguire il tuo Maestro, per sederti assieme agli altri, ma anche e soprattutto per amministrare quello che Gesù metterà nelle tue mani.

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01/03/2012 00:05

Anche se il nostro evangelista non precisa che la folla si sedette sull’erba, c’è però da presupporlo, anche per dare valore al comando di Gesù. Dato per certo che, la gran folla ubbidì alla Parola di Gesù, e che tutto era in ordine, Gesù può compiere il miracolo e con lui manifestare tutta la Sua potenza e la Sua grandezza, come Signore e Creatore di tutto l’universo.

8. QUEL CHE GESÙ FECE E DISSE


...e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli alle folle.

Dopo che i cinque pani e i due pesci arrivarono nelle mani di Gesù, Matteo precisa che Gesù compì quattro azioni:

Alzò gli occhi al cielo;
benedisse i pani e i pesci;
spezzò i pani (ma non ci dice se fece lo stesso per i pesci);
diede i pani spezzati ai suoi discepoli.

1) Alzò gli occhi al cielo

Per quanto riguarda il gesto di «alzare gli occhi al cielo», indubbiamente questo denota «l’intima unione di Gesù col Padre» e della sua «dignità di Figlio». [Cfr. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni, II, pagg. 563,564] È probabile che voglia anche significare che Gesù, con questo gesto, intendesse «raccogliere le forze per compiere il miracolo» [Cfr. R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, pag. 549], come suggerisce R. Pesch, nel suo commentario al vangelo di Marco Che l'atto di alzare gli occhi al cielo non venga accompagnato da una parola rivolta al Padre, come dimostrano invece altri due esempi, Giovanni 11:41, in cui è detto:

...Gesù allora, alzati in alto gli occhi, disse: Padre, ti ringrazio che mi hai esaudito,
e Giovanni 17:1:
Queste cose disse Gesù, poi alzò gli occhi al cielo e disse: Padre, l’ora è venuta; glorifica il Figlio tuo, affinché anche il Figlio glorifichi te,

prova che Gesù non alzò gli occhi al cielo per pregare, ma per manifestare davanti a tutti, non solo l’intima unione che c’era tra lui e il Padre, ma anche per dire chiaramente che il potere di compiere i miracoli, non gli veniva dalla terra ma dal cielo.

2) Benedisse i pani e i pesci

Questa benedizione che Gesù impartì ai pani e ai pesci, non era solamente per adeguarsi ad un’usanza ebraica, per quanto riguardava la benedizione che veniva data dal capo di famiglia, nei banchetti conviviali prima che i commensali cominciassero a mangiare, come fanno rilevare i vari commentatori, ma era soprattutto una necessità perché i pani e i pesci si potessero moltiplicare. Anche se il miracolo della moltiplicazione si fosse verificato nelle mani dei discepoli, man mano che questi distribuivano alle folle, non si può escludere che il miracolo ha origine nella benedizione.
(Proverbi 10:22) afferma: La benedizione dell’Eterno arricchisce....

Ricchezza è sinonimo di abbondanza. I cinque pani e i due pesci erano troppo pochi per dare da mangiare ad una folla di migliaia di persone; era pertanto necessario che avvenisse un miracolo, perché quella moltitudine potesse mangiare a sazietà. Per questo ci pensò la benedizione di Gesù.

3) Spezzò i pani

Nello spezzare il pane, alcuni vedono un riferimento all’eucaristia, specie quando si vuole che «Matteo rappresenti qui i discepoli di Cristo come i ministri liturgici». A parte che a giudizio di J. Gnilka

«Questa è un’interpretazione eccessiva e non giustificata», aggiunge anche che «non è possibile pensare che Mt. intenda presentare il pasto dei cinquemila come immagine dell’eucaristia» [Cfr. J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, II, pag. 21, nota 11].

Se questo «spezzare il pane» deve essere inteso nel senso eucaristico, dovremmo pensare nello stesso modo per l’episodio di Paolo, che «rompe il pane», secondo (Atti 27:35). Ora, siccome, nell’episodio eucaristico, Matteo ricorda che
Gesù prese il pane e lo benedisse, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli... (Matteo 6:26),
qui, si vuole vedere una somiglianza per affermare che la moltiplicazione dei cinque pani rappresenta l’eucaristia. Il voler mettere in evidenza una particolare tendenza sacramentale, (che a rigore non ha nessun'attinenza al testo), la sua forzatura appare inevitabile e ingiustificata.

Inoltre, a parte che nell’eucaristia c’è il vino, e qui non c’è la minima traccia, tutti i testi neotestamentari che ne fanno esplicito riferimento, glielo presentano sempre nell’ambito dei credenti, vale ad affermare che l’eucaristia non viene mai celebrata assieme a persone estranee al gruppo dei discepoli di Gesù, ma sempre tra loro. Se lo «spezzare il pane», viene inteso invece come in un comune banchetto dove il padre di famiglia spezza il pane per dare inizio al pasto, non c’è nessun bisogno d’intravedere qui, la rappresentazione dell’atto sacramentale dell’eucaristia.

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02/03/2012 00:05

4) Diede i pani spezzati ai suoi discepoli

L’ultima azione di Gesù fu di dare i pani spezzati in mano ai suoi discepoli perché questi li distribuissero alle folle. A queste venne ordinato di sedersi sull’erba, mentre ai discepoli venne affidato l’incarico e l’onore di distribuire il cibo alle persone (sedute sull’erba. Qui non c’è da vedere, ciò che vorrebbe Ambrogio, quando dice:

«...che il cibo sia servito dagli apostoli, ciò preannuncia la distribuzione del sangue e del corpo del Signore» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 329].

Come abbiamo fatto notare sopra, l’interpretazione sacramentale dell’eucaristia è estranea al testo e volerne insistere, significa in ultima analisi non tenere conto dell’insieme della narrazione evangelica. Indubbiamente, i discepoli hanno un posto ed un ruolo particolare in questa speciale circostanza, soprattutto se si tiene conto che a loro Cristo aveva ordinato: «Date voi a loro da mangiare».

Il lavoro di «distribuire» il cibo materiale, anche se appare un umile servizio, è sempre un’attività importante e significativa che fa onore al discepolo di Gesù, soprattutto se questo lavoro viene considerato come un atto di ubbidienza al preciso comando di Gesù.

Spesso si sottovalutano le attività sociali, come se il discepolo fosse chiamato ad amministrare solamente beni spirituali. Non si mette in dubbio che i beni spirituali sono di gran lungo superiore a quelli materiali, e che il discepolo di Gesù deve maggiormente impegnarsi, con tutte le sue energie. Questo però non esclude che il seguace del Cristo possa anche svolgere un’attività che ha a che fare con le cose attinenti al corpo, specie quando si vedono chiaramente.

Anche se la moltiplicazione dei pani c'insegna verità spirituali, non si può negare che in quel giorno Cristo pensò di venire incontro ad un bisogno materiale, riguardante il corpo fisico, e che in questa sua attività coinvolse, in senso pieno, anche i suoi discepoli.

9. LA CONCLUSIONE DEL MIRACOLO

E tutti mangiarono e furono saziati; poi i discepoli raccolsero i pezzi avanzati in dodici ceste piene. Ora, chi aveva mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Come parte conclusiva di questa manifestazione miracolosa, va notata che il cibo che Gesù moltiplicò in quel giorno, fu talmente abbondante, che tutti gli astanti ne mangiarono a sazietà. Se il cibo non fosse stato abbondante, Matteo non solo non avrebbe potuto scrivere che «tutti mangiarono e furono saziati», ma neanche lo stesso miracolo avrebbe avuto quel significato, e noi oggi, non sapremmo ammirare le meraviglie del Signore.

Quando Gesù compie un miracolo, non lo fa tanto per accomodare, quanto per imprimere, in una maniera inequivocabile, il segno del divino e l’evidenza più marcata della potenza miracolosa.

L’interpretazione data ai cinquemila

Come si è cercato di spiritualizzare i cinque pani e i due pesci, così si è cercato di dare pure un significato particolare al numero « cinquemila».
Per Ambrogio, che fa un paragone, tra i cinquemila e i quattromila dei due eventi miracolosi, così si esprime:

«Non sono senza significato né il numero né l’ordine né gli avanzi di chi hanno mangiato. Infatti, i più numerosi, cioè i cinquemila, furono nutriti con cinque pani, ossia con un numero minore di pani, mentre il meno numerosi, cioè i quattromila, furono saziati con sette pani, cioè con una quantità di pani maggiore. Se noi ci atteniamo al solo avvenimento miracoloso, ci sembra più divino il fatto di una minore quantità sia stato sufficiente per un maggior numero. E perché ciò che è più piccolo è stato aggiunto a ciò che è più grande, come più importante? Noi leggiamo che cinquemila persone furono saziate con cinque pani, e poi che quattromila individui furono saziati con sette pani. Cerchiamo dunque il mistero, che importa più del miracolo. Sembra che le cinquemila persone, come i cinque sensi del corpo, riceviamo da Cristo un alimento ancora adatto a degli esseri carnali...» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 326].

Per Agostino, che vedeva le cose diverse, significavano:
«Quel gran numero di persone che furono saziate, indicano il popolo posto sotto la legge. Erano cinquemila, proprio perché significavano chi stava sotto la legge, che appunto è contenuto nei cinque libri di Mosè» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 376].

L’interpretazione data agli avanzi

Ecco, cosa diceva Ambrogio:
«Vediamo in qual modo si raccolgono gli avanzi. La legge dice: «Non commettere adulterio» (Esodo 20:14). Ebbene, Cristo ha spezzato questo pane, ha distribuito la sua parola, senza aggiungervi niente di estraneo, ma dando del suo. «Chi guarda una donna con desiderio» – dice – «ha già commesso adulterio con lei» (Matteo 5:28); ecco un frammento del suo. «Se il tuo occhio destro» – aggiunge – «ti è d’inciampo, strappalo» (Matteo 5:29); e ancora: «Se la tua mano destra ti scandalizza, tagliala» (Matteo 5:30); e infine: «Chi sposa una ripudiata da suo marito, commette adulterio» (Matteo 5:32). Vedi quanti frammenti derivano da una cosa sola. Mosè dice che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla libera (Cfr. Genesi 21:2–9). E Paolo: «Questi sono i due Testamenti» (Galati 4:24). Ha diviso questa parola e ne ha trovato il significato. Felice chi raccoglie ciò che Cristo ha diviso» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pagg. 331,332].

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03/03/2012 00:06

Per Agostino, gli avanzi hanno un altro significato.
«Che significato ha poi i frammenti avanzati? Si deve intendere cioè che ci siano certe verità ancora più segrete, che la folla non sempre può capire. E che fare di ciò che resta, di questi segreti che la folla non può penetrare, se non darli a chi può intenderli e insegnarli agli altri, come appunto erano capaci di fare gli apostoli?» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 376].

L’interpretazione data alle ceste


Ecco quello che scrisse Ambrogio, a proposito delle ceste che vennero riempite dagli avanzi.

«Ma per quale ragione Cristo riempì dodici ceste? Non fu forse per mettere fine alla prova cui fu sottoposto il popolo giudaico, in quanto «le sue mani servirono con le ceste» ? (Salmo 81:6) Cioè, il popolo che una volta raccoglieva l’argilla nelle ceste (Esodo 1:14), raccoglie ora, per mezzo della croce di Cristo, l’alimento celeste, e riempie con il nutrimento della fede ciò che una volta conteneva il fango dell’incredulità pagana. E questo non è un dono dato solo a pochi, ma è un dono dato a tutti. Nelle dodici ceste è raffigurata infatti la fede che sovrabbonda e che conquista tutte e dodici le tribù: ed ecco, «il pane rafforza il cuore degli uomini» (Salmo 104:15) [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 332].

Se abbiamo riportato le interpretazioni summenzionate, non l’abbiamo fatto solamente per portare a conoscenza del lettore come hanno interpretato, Crisostomo, Ambrogio e Agostino il miracolo della prima moltiplicazione dei pani, ma principalmente per far conoscere che la loro spiritualizzazione è quanto mai fantasiosa, ed è capace di far dire al testo biblico quello che esso non vuol dire assolutamente.

Ogni tipo d'interpretazione, specie per quanto riguarda l’aspetto spirituale o le applicazioni spirituali che si vogliono fare, se sono troppo forzate, si finisce col mettere in giro quello che può giustamente definirsi il «frutto della speculazione umana», col pretesto di una profonda conoscenza spirituale. Indipendentemente dal fatto se il numero dei «cinquemila» ha avuto un significato spirituale, come anche le dodici ceste riempite dagli avanzi, la cosa più semplice e importante nello stesso tempo, è il dato di fatto che con quei cinque pani e due pesci, una folla di diverse migliaia di persone venne saziata.

Anche se il testo biblico non dicesse quanti erano le «donne e i bambini», il fatto però che venissero menzionati, dovrebbe portarci a considerare che il numero delle persone che mangiò a sazietà in quel giorno non fosse di cinquemila, ma forse, undici, dodicimila individui.

10. RIEPILOGO DEL MIRACOLO DELLA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

Il luogo deserto

Il termine «deserto» che viene menzionato nel testo evangelico, non deve essere inteso come un luogo dove non c’è nessuna vegetazione; la presenza «dell’erba», infatti, non favorisce certamente quest'interpretazione. È più probabile del termine «deserto» indichi un luogo dove non c’èra abitazione, che piuttosto pensare ad un posto arido. Il fatto poi che questo luogo fu inizialmente scelto da Gesù, per starsene in disparte, aumenta, a nostro avviso, questa probabilità.

Le folle che seguirono Gesù

Le folle che seguirono Gesù, anche se erano nell’ordine di diverse migliaia di persone, venivano «dalle città». Quali furono queste città, il testo evangelico non glielo dice. Quello che bisogna mettere in risalto, perché è importante, è il fatto che le folle, oltre a venire dalle città, erano andate a piedi. Quest'elemento dimostra l’interessamento che c’era nei confronti di Gesù, anche se non si può parlare di gente che segue Gesù per fede. Il fatto poi che tra la folla vi erano degli infermi, anche se non è precisato che tipo d'infermità si trattasse, tutto questo ci porta a valutare maggiormente l’interessamento di queste persone per Gesù.

Il vedere di Gesù e gli infermi che vennero sanati

Anche se Gesù era diretto a ritirarsi «in disparte in un luogo deserto», non fu possibile però per lui di attivare il suo piano, vedendo quella gran folla. Davanti al bisogno reale delle persone, Gesù non rimase indifferente, e quindi non pensò al suo ritiro per riprendersi dallo choc avuto per la morte di Giovanni Battista, ma manifestò quali erano le sue reali tendenze verso gli afflitti e i sofferenti. Guarendo gli ammalati in quel giorno, Gesù, riaccese in loro la speranza per la vita.

I discepoli suggeriscono a Gesù di mandare tutti a casa

La logica umana, tante volte, per non dire sempre, acceca la mente e il cuore dell’uomo e non gli fa vedere nessun barlume di luce. Spessissimo, l’accorgimento e l’accortezza dell’uomo, rappresentano dei seri ostacoli alla fede, e la potenza del Signore viene limitata o impedita. Non solo questo, ma spesse volte si trasforma in una marcata manifestazione di egoismo, diventando così insensibile ad ogni reale necessità.

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04/03/2012 00:32

Gesù ordina ai suoi discepoli di dare da mangiare alle folle

Tra lo stupore (e forse anche un marcato senso d'incomprensione), i discepoli dicono a Gesù di non avere i mezzi sufficienti per venire incontro al gran bisogno della folla. Però, in questa disperata situazione, sanno affermare che hanno una piccolissima scorta di vivere, di cinque pani e due pesci. Al che Gesù, risponde: «Portatemeli qua». Quando le nostre pochezze vengono portate al Maestro divino, Egli usa il poco per farlo diventare assai.

Le folle sedute sull’erba

Dato il numero piuttosto rilevante, – cinquemila uomini oltre le donne e i bambini – era necessario che in quella gran folla ci fosse ordine e meno confusione possibile, in modo che il lavoro di distribuzione del cibo, non fosse impedito ma facilitato.

Gesù benedisse i pani e li spezzò

In quest'azione di Gesù, anche se diversi hanno visto un’allusione al sacramento dell’eucaristia, sia nei tempi antichi come in quelli moderni, non c’è niente nel testo, visto soprattutto da un punto di vista obbiettivo, che possa autorizzare una simile interpretazione.

I discepoli incaricati di distribuire il cibo alla folla

Il discepolo, non è soltanto chi segue il Maestro dal punto di vista spirituale, nell’ubbidienza alla Parola di Dio e di Cristo Gesù, ma anche chi viene coinvolto attivamente in quelle opere che si definiscono «attività sociali», perché hanno a che fare con le cose che riguardano il corpo, la vita fisica. Amministrare il cibo a persone che ne hanno di bisogno, non offusca e non degrada la dignità e la missione di discepolo del Cristo.

Gli avanzi raccolti

Tutto ciò che opera la provvidenza, anche se si tratta di cibo materiale, non solo non deve essere considerato di nessun'importanza, ma neanche deve essere gettato in un mondezzaio, come un comune rifiuto.

Se al termine del capitolo 1 ci sono domande da fare, fatele e risponderemo con premura


Capitolo 2




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL RESOCONTO DI MARCO




1. Il testo

Ora gli apostoli si radunarono intorno a Gesù, e gli riferirono tutto quello che avevano fatto ed insegnato. Ed egli disse loro: venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po’. Poiché era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare. Partirono quindi in barca verso un luogo solitario e appartato. La folla però li vide partire, e molti lo riconobbero; e da tutte le città accorsero là a piedi ed arrivarono prima di loro; e si strinsero intorno a lui. E Gesù, sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore; e prese ad insegnare loro molte cose. Ed essendo già tardi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi. Licenzia questa gente perché se ne vada nelle campagne e nei villaggi all’intorno a comprarsi del pane, perché non ha nulla da mangiare. Ma egli, rispondendo, disse loro: date voi a loro da mangiare. Ed essi gli dissero: dobbiamo andare noi a comprare del pane per duecento denari e dare loro da mangiare? Ed egli disse loro: quanti pani avete? Andate a vedere. Ed essi, accertatesi, dissero: cinque pani e due pesci. Allora egli ordinò loro di farli accomodare tutti, per gruppi, sull’erba verde. Così essi si sedettero in gruppi di cento e di cinquanta. Poi egli prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; quindi spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero loro; e divise pure i due pesci fra tutti. Mangiarono tutti a sazietà. E raccolsero dodici ceste piene di pezzi di pane e di resti dei pesci. Or coloro che avevano mangiato di quei pani erano cinquemila uomini (Marco 6:30–44).

2. Preambolo

Gli apostoli riferirono a Gesù tutto quello che avevano fatto ed insegnato. Questo naturalmente, riguardante la loro attività missionaria che da poco si era conclusa (cfr. 6:7–13), e non c’è nessun dubbio. Gesù, sentendo quel rapporto, manifesta loro tutto il suo apprezzamento e la sua soddisfazione per tutto quello che i suoi discepoli hanno fatto ed insegnato, e, senza perdere tempo, non esita a concedere loro un periodo di riposo, in un luogo solitario, visto che la gente, così numerosa che va e viene, non dà loro neanche il tempo di mangiare.

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05/03/2012 01:32

Questo particolare che Marco menziona, merita di essere considerato, soprattutto per i suoi riflessi nella vita pratica. Gesù come vero uomo, sa capire la stanchezza fisica dei suoi discepoli e si dimostra nello stesso tempo, molto sensibile nei loro confronti, considerando le molte energie che hanno speso per portare a termine la loro missione. Anche se di Gesù non si parla mai che si sia preso un tempo di riposo, nondimeno egli lo concesse ai suoi, per insegnarci che Lui non è insensibile alla stanchezza umana. Se Gesù avesse mandato solo i suoi discepoli a riposarsi, non avrebbe fatto certo niente di male; però, invece di mandarli soli, preferì di andare assieme a loro, per insegnarci che anche in tempo di riposo, Egli vuole rimanere vicino a noi.

I servi del Signore, cioè chi è impegnato nel ministero, nell’esercizio della loro missione, vanno incontro a tante fatiche: di giorno e di notte. Sia che si tratti di predicare la Parola di Dio, o di correre al capezzale di un sofferente di un moribondo, o per altri motivi, sempre inerenti alla loro missione, essendo uomini, essi sono soggetti alla stanchezza fisica. Un tempo di riposo, farà bene sia al corpo che allo spirito.

3. UNA MOLTITUDINE DI GENTE CHE SI' MUOVE


La folla però li vide partire, e molti lo riconobbero; e da tutte le città accorsero là a piedi ed arrivarono prima di loro; e si strinsero intorno a lui.

La partenza di Gesù con i suoi discepoli non fu un atto nascosto e tanto meno inosservato. Gesù non era un personaggio comune per sfuggire all’attenzione del popolo. Infatti, quello che compiva, attraverso la manifestazione della Sua potenza e della Sua bontà, era tanto importante e anche tanto evidente da lasciare le più profonde tracce nella vita e nella coscienza degli uomini.

Le parole: La folla li vide partire, ci parla appunto di questo fatto. Gesù non faceva degli annunci preventivi quando aveva in programma uno spostamento; Egli si spostava secondo il bisogno che vedeva e le circostanze che si determinavano. Fare un annuncio di uno spostamento, non significa solamente rendere nota la decisione di una persona, significa anche fare della pubblicità.

Gesù non era venuto nel mondo per farsi pubblicità e tanto meno per andare in cerca di applausi e consensi umani. Quello che faceva, era più che sufficiente per destare l’attenzione degli astanti. Spesso si dà importanza allo strumento anziché a chi usa l'arnese e si costruiscono intorno all’uomo tutte quelle impalcature per metterlo in risalto e accrescerne la sua gloria. Lo scopo di tutta la narrazione evangelica, non è basata tanto sugli aspetti umani, quanto nel presentare con chiarezza la persona e l’opera di Gesù, il Figlio di Dio. È su di lui che gli scrittori sacri concentrano la loro massima attenzione, ed è Lui che additano com'esempio e modello da imitare. In questa moltitudine che si muove, cui fa chiaro riferimento Marco, si può notare quanto segue:

La decisione della folla

È molto importante considerare alcuni elementi che determinarono la decisione di quella folla, perché da loro possiamo valutare la portata di quel l'atto.

1) Quella folla, con ogni probabilità, in precedenza, aveva fatto qualche esperienza che, in certo qual senso agiva come stimolante nella loro vita. L’esperienza che si fa nella vita cristiana, non è solamente lodevole dal punto di vista di “un passato”, da collocarsi in un “mi ricordo che di un giorno”; essa serve principalmente a spronarci in avanti alla ricerca di altre esperienze, allorquando si determinano nuove situazioni.

2) In conseguenza di questa nuova situazione venutasi a creare tra quella folla, probabilmente, in lei, si sarà manifestato un senso d'inquietitudine. La presenza di Gesù tra loro, portava benessere e tranquillità, mentre la sua assenza produceva un vuoto. Quando una persona è inquieta, manifesta con atti esterni, che qualcosa manca o ha perduto; e fino a quando non si riacquista quella cosa, la sua inquietitudine non lo lascerà in pace. Lo stato d’animo di un uomo di Dio, è chiaramente descritto nel (Salmo 42:2,5) e vale la pena considerarlo.

L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente, Quando verrò e comparirò davanti a DIO? Perché ti abbatti, anima mia, perché gemi dentro di me? Spera in DIO, perché io lo celebrerò ancora per la liberazione della sua presenza.

Solo Gesù può calmare l’inquietitudine di un’anima che, conscia della propria colpevolezza e miseria, va in cerca della pace, della serenità e della gioia.

3) Gesù fu con noi per un po’ di tempo, (avranno detto quelle persone); abbiamo sentito la Sua Parola, abbiamo visto la Sua potenza operare verso i malati e i bisognosi; ecco, ora se ne è andato in un altro luogo. Egli, probabilmente ritornerà tra noi, e ci si ripresenterà la possibilità di rivederlo ancora. Gesù non ci ha però detto niente della sua partenza e tanto meno del suo ritorno. Se quello che noi pensiamo, circa un suo eventuale ritorno non si dovesse verificare, avremo noi un’altra opportunità di rivedere Chi tanto abbiamo apprezzato ed ammirato? È meglio per noi, quindi, dato che non conosciamo quello che sarà il domani, di andare nel nuovo luogo dove Lui è andato.

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06/03/2012 00:07

4) Noi siamo bisognosi, sia dal punto di vista morale che materiale. Ci ricordiamo le parole sentite con le nostre orecchie, quando Gesù diceva:
Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò risposo (Matteo 11:28).

Gesù, quindi, vuole essere cercato da coloro che l’hanno conosciuto; siamo noi che dobbiamo andare a Lui, e non solamente Lui a noi. Tutte queste considerazioni che abbiamo cercato di intuire nell’animo di quella folla, avranno fatto leva nei loro sentimenti spingendoli così a dirigersi verso il luogo dove si era diretto Gesù con i suoi discepoli.

Tutte le grandi o piccole realizzazioni dell’uomo, sono state sempre e sempre saranno, il risultato di una determinazione e di una precisa decisione. Non c’è arrivo senza partenza; non c’è premio senza eroismo e non c’è vittoria senza lotta. Una buona decisione presa per il Signore, servirà a cambiare il corso del futuro di una vita umana. Quante persone, trovandosi in un bivio, non sanno decidersi se andare a destra o a sinistra! È meraviglioso imparare la lezione che ci fornisce questa folla che, allorquando si rende conto che Gesù non era più con loro, si levarono ed andarono verso la nuova località dove Egli si era diretto.

La meta ben precisa della folla


Accorsero là, precisa il nostro testo, cioè nel luogo preciso dove si era trasferito Gesù. È importante notare come questa folla non perse tempo nel girovagare a destra e a sinistra. Il tempo nel quale viviamo, dicono gli uomini d’affari, è denaro; non possiamo permetterci di andare qui e là, senza una meta ben precisa, se non vogliamo andare incontro a dei rischi. Noi, invece, diciamo: “Il tempo che Dio ci dà, è per il nostro bene, non tanto per le cose materiali, quanto per quelle spirituali. Dio stesso, nella Sua gran bontà e misericordia, ci procura, tramite gli svariati mezzi della Sua grazia, le opportunità per la nostra vita presente e futura. Non si può parlare di un futuro felice e radioso, se non si vive al presente, in armonia col piano e con la volontà di Dio. In altre parole: non si può parlare della gloria dell’eternità, se al presente non si accettano le premesse e le condizioni per la vita d’oltretomba.

Se mentre viviamo su questa terra non sappiamo fare buon uso del tempo che Dio ci dà, non potremo certamente aspettarci un futuro luminoso. È proprio durante questa vita che l’orologio di Dio misura il nostro tempo, per vedere come viene speso. La folla, di cui il nostro racconto evangelico, non si smarrì lungo il cammino; non deviò, imboccando sentieri incerti, ma si accorse là, dove si trovava Gesù.

È da elogiare, ed anche da imitare, l’atteggiamento di quella folla. Il loro andare può essere messo con ragione davanti agli uomini di oggi, per dir loro: voi vivete in mezzo ad un mondo pieno di confusione, religioni a destra e a sinistra; pubblicità per questa e quell’altra cosa. Non lasciatevi influenzare dalla morale di Tizio e di Caio; non lasciatevi trasportare da questo o da quel altro; non lasciatevi ingannare da chi si presenta come la giusta direzione da seguire. Non ci sono molte vie che conducono a Dio; la strada per la quale camminò Gesù, è tinta di sangue; se non vedete questo segno, fin dall’inizio, fermatevi e cercate quell’insegna che ha questo scritto:
Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Giovanni 14: 6).

Una volta imboccata questa direzione, non vi fermate; continuate a camminare fino a quando arriverete là dove c’è Gesù.

Il sacrificio della folla

...Da tutte le città accorsero là a piedi. Questa frase ci parla appunto di un sacrificio che affrontò quella folla. Non fu una cosa lieve per quella gente spostarsi da un posto e dirigersi verso un altro, senza mezzi di trasporto. In quel tempo, non c’erano i mezzi di trasporto come oggi. Coprire una certa distanza a piedi, – anche se non si tratta di centinaia di chilometri rappresentava una prova per la volontà e per la determinazione.

Non dobbiamo dimenticare che quella moltitudine era composta di uomini, di donne e di bambini. Per un uomo, coprire una certa distanza a piedi, non è un eccessivo problema; ma per una donna, specie quando è madre ed ha con sé piccoli bambini, è una vera prova di resistenza. Le tante madri, che con ogni probabilità si trovavano tra quella folla, non avranno lasciato i loro figli in casa, in custodia di qualcuno; facilmente li condussero e li portarono con loro. È una doppia responsabilità quella delle madri: una che riguarda la loro vita e l’altra che concerne quella dei propri figli.

La via per la quale si giunge a Gesù, non è sempre costellata di fiori e rose; si incontrano spesso spine che, entrando nella nostra carne, oltre ad insanguinarla, ci fanno sentire dolore. Per un’anima che ha preso la decisione di andare a Gesù, c’è anche la determinazione di affrontare e sopportare quel sacrificio riguardante la propria scelta. Tutto diventa leggero e sopportabile quando c’è una ferma volontà di proseguire; ma quando questa viene meno, anche le cose piccole diventano grandi e le grandi insopportabili.

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07/03/2012 00:06

Il discernimento della moltitudine

Per concludere l’esame del verso 33, notiamo infine che la moltitudine, una volta arrivata, si strinse intorno a lui.

Questa frase ci parla chiaramente del discernimento di quella folla. La grande folla non si era spostata dalla casa per andare in cerca di Giovanni, di Pietro, o di qualche altro apostolo; la loro decisione fu mossa dal desiderio di trovarsi con Gesù. Trovare i discepoli assieme a Gesù, non sempre significa che trovando l’uno si trovi anche l’altro. È vero che Gesù di solito si trova quasi sempre con i suoi discepoli, ad eccezione di qualche caso (cfr. Giovanni 4:7-27).

Questa eccezione che non è una regola, si può anche verificare ai nostri giorni in cui viviamo. Pertanto, può accadere che trovando i discepoli non si trovi Gesù. A prima vista, questa affermazione potrebbe sembrare eccessiva per non dire paradossale. Non sempre le cose imparate da un punto di vista teorico, trovano il loro riscontro nella vita pratica.

Si dice (e la storia evangelica sembra confermare) che tra Gesù e uno dei suoi discepoli di nome Giovanni, ci fosse una somiglianza di fisionomia tale da confondere chiunque (cfr. Matteo 26:48). È molto facile, quindi, che un discepolo di Gesù (si noti bene di Gesù), possa essere scambiato con Lui. Anche se il discepolo ha la tendenza di assomigliare al Maestro, però, rimane fermo il fatto che tra l’uno e l’atro c’è una notevole differenza. Mai si è verificato, e mai crediamo si verificherà, che il discepolo prenda il posto di Gesù e Gesù quello del discepolo. Questo tipo di ragionamento non rappresenta un gioco di parole, è una precisazione tendente a mettere in risalto una verità basilare, secondo la quale l’uomo deve raccogliersi presso Gesù, anche se vicino a Lui, si possono trovare i suoi discepoli.

Quante volte, non avendo il dovuto discernimento, confondiamo il divino con l’umano e scegliamo l’uomo anziché il soprannaturale! Dobbiamo stare attenti a non cadere in quest'errore, per non trovarci delusi alla fine, privi di quello che vorremo.

Riepilogando, possiamo dire: la gran folla, del testo evangelico, seppe fare una ferma decisione; ebbe una meta ben precisa; affrontò dei sacrifici non lievi ed infine ebbe il discernimento, una volta arrivata, di stringersi intorno a lui, cioè a Gesù.

4. GESÙÙ VIDE UNA GRANDE FOLLA

E Gesù, sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore; e prese ad insegnare loro molte cose.

Lo scopo dello spostamento di Gesù, fu per dare “un po’ di riposo ai suoi discepoli”, i quali, a causa della moltitudine che andava e veniva, non avevano neppure il tempo di mangiare. Perciò Gesù pensò di ritirarsi con loro in un luogo solitario. Sebbene fosse questa la sua intenzione iniziale, non ebbe però il risultato sperato, a motivo della moltitudine che li raggiunse presto. Sia Matteo che Marco sono concordi nel affermarci che Gesù, una volta sbarcato, vide una gran folla. Indubbiamente questo vedere di Gesù, ha un particolare significato, per il fatto che non sono i suoi discepoli a vedere quelle persone anche se con gli occhi fisici li videro anche loro, ma Gesù, il Figlio di Dio. Di conseguenza, dato che il vedere di Gesù, fu diverso, dal comune vedere degli altri, è interessante esaminare quest'aspetto del percepire, così come ce lo presenta l’evangelista Marco.

Presso i greci, si attribuiva maggiore importanza al “vedere” rispetto a quello che sì “udiva”. Non per niente questo popolo, in maniera particolare fu chiamato: “Un popolo dell’occhio”.

«Gli Elleni avevano in sommo grado il dono della vista, della contemplazione. Erano un popolo dell’occhio, molto dotati per le visioni più disparate ai più diversi livelli spirituali».
La lingua greca ha una serie di verbi per descrivere il senso della vista. Essi, non sono certamente soltanto sinonimi puri e semplici, ma indicano varie forme del vedere o ne mettono in rilievo aspetti particolari. Lasciando da parte l’esame semantico di questi vari verbi greci contenuti nel N.T., ci limitiamo a mettere in risalto quanto segue.

Prendiamo com'esempio il capitolo 20 del vangelo di Giovanni,
1) «Vedere, nel senso casuale del termine; vista fisica, sguardo casuale, osservazione di ciò che può apparire in un primo momento».

Questo è il senso che viene dato al termine greco blepo. Questo verbo è riportato in Giovanni 20:5, con tale significato. In questa parte della narrazione evangelica, si parla di due discepoli di Gesù, uno dei quali fu Pietro, i quali, correndo assieme, arrivarono al sepolcro di Gesù.

Ma l’altro discepolo corse avanti più in fretta di Pietro e arrivò primo al sepolcro. E, chinatosi, vide Blepei i panni di lino che giacevano nel sepolcro, ma non vi entrò.

2) Quando Pietro arrivò, egli
entrò nel sepolcro e vide i panni di lino che giacevano per terra, e il sudario, che era stato posto sul capo di Gesù; esso non giaceva con i panni, ma era ripiegato in un luogo a parte (Giovanni 20:6,7).


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