Domenico34 - La prima moltiplicazione dei pani – Sommario, Prefazione, Introduzione. Capitoli 1-4

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Domenico34
00mercoledì 22 febbraio 2012 14:57

La prima moltiplicazione dei pani




INDICE DEL VOLUME




Prefazione
Introduzione

ACAPITOLO 1
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI MATTEO
1. L’azione preparatoria per il miracolo
2. Il testo del racconto di Matteo
3. Come appare a Matteo la scena di quel giorno glorioso
4. La preparazione per la moltiplicazione dei pani
5. Un messaggio particolare per ogni discepolo di Gesù
6. Il significato che potrebbe avere i cinque pani e i due
pesci
7. Gesù ordina che le folle si mettano a sedere sull’erba
8. Quello che Gesù fece e disse
9. La conclusione del miracolo
10. Riepilogo del miracolo della prima moltiplicazione dei pani

CAPITOLO 2
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI MARCO
1. Il testo
2. Preambolo
3. Una moltitudine di gente che si muove
4. Gesù vide una gran folla
5. Gesù insegnò molte cose
6. L’intervento dei discepoli presso il maestro
7. Il senso della risposta dei discepoli
8. L’ordine di Gesù

CAPITOLO 3
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI LUCA
1. Il testo
2. Preambolo
3. Gesù accoglie le folle
4. Parlava loro del regno di Dio
5. Gesù guarì quelli che avevano bisogno di essere guariti
5 bIsaia «E guariva quelli che avevano bisogno di guarigione 6. L’intervento dei dodici per quella situazione particolare
7. La risposta di Gesù e la sua conseguenza

CAPITOLO 4
LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI
SECONDO IL RESOCONTO DI GIOVANNI
1. Il testo
2. Preambolo
3. La folla che segue Gesù
4. Gesù sale sul monte
5. Gesù vide la gran folla e si prepara per operare
6. La parte conclusiva della moltiplicazione dei pani
7. Riepilogo generale

BIBLIOGRAFIA

PREFAZIONE

Scrivere un libro che tratti della “Prima moltiplicazione dei pani”, non è forse voler dire più di quello che il Vangelo ci racconta in proposito? Sì, diranno certuni. Eppure l’esegesi biblico?storica che il pastore Domenico Barbera fa su questo testo è molto interessante.

Notiamo subito che certi “Padri della chiesa” nell’intento di voler trarre un’applicazione spirituale da tutti i particolari esposti nel racconto evangelico, sono andati troppo avanti e, a mio avviso, si sono resi in un certo modo anche ridicolo.
Come conciliare l’orzo (materia del pane) col «calpestare il fasto dei banchetti sontuosi» ? (Giovanni Crisostomo)

Come assimilare «i cinque pani al latte» ? (Abrogio)
Come intravedere I «cinque libri di Mosè» nei 5 pani (Agostino)
Come sostenere che quelli che si siedono sull’erba sono ancora carnali e amano le mollezze? (Abrogio + Agostino)

Come affermare che la distribuzione dei pani e dei pesci fatta dagli apostoli «preannunciava l'assegnazione del sangue e del corpo del Signore»? (Ambrogio)
Potremmo continuare nel citare le svariate e cervellotiche interpretazioni patristiche, ma il lettore le troverà lui stesso nel leggere quest’opera.
Il pastore Domenico Barbera, che non è al suo primo lavoro, lungi dal fare applicazioni spirituali, prende in esame i quattro racconti della “Prima moltiplicazione dei pani” riportati dai quattro evangelisti e si sofferma intelligentemente sugli atti (della folla, dei discepoli, di Gesù) per sottolineare e mettere in primo piano l’opera miracolosa di Gesù, il quale, non solo moltiplica, ma “crea” oltre misura il pane e i pesci per sfamare la moltitudine che lo seguiva.

Scopo di quest’opera: proclamare che l’era dei miracoli non è tramontata e non tramonterà, poiché la Scrittura afferma che Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno (Ebrei 13: 8).

Nino Tirelli

INTRODUZIONE

La prima moltiplicazione dei pani che Gesù fece durante il corso del suo pubblico ministero in Palestina, è narrata da tutti e quattro gli evangelisti. La cosa che va subito notata nonostante che tutti e quattro gli evangelisti raccontino lo stesso episodio, è il fatto che ognun di loro mette in evidenza certi particolari, che potrebbero essere interpretati com'elementi contraddittori atti a mettere in dubbio la stessa storicità dell’evento, con l’inevitabile conseguenza di non portarci a valutare separatamente quello che gli evangelisti dicono, per conoscere esattamente quello che si verificò in quella particolare circostanza, e magari spingerci a formulare una richiesta per sapere chi dei quattro evangelisti racconta il vero intorno a quello che esattamente si verificò in quella giornata. Ma se questi particolari vengono valutati nel contesto dell’episodio evangelico per il quale l’evento della «prima moltiplicazione dei pani» viene narrato, e, tenendo soprattutto conto dello scopo per quest'ogni evangelo è stato scritto, non solo sarà rimossa la curiosità tendente a sapere chi dei quattro scrisse il vero, ma si potranno maggiormente capire e valutare questi particolari che, indubbiamente, ci forniranno motivi di riflessioni, per meglio valutare l’opera di Gesù, non solo per ciò che insegnò con la Sua parola, ma anche per quello che Egli fece manifestando il Suo potere miracoloso in mezzo agli uomini e in loro favore.

Ovviamente, l’esame che condurremo intorno alla narrazione evangelica della «prima moltiplicazione dei pani», avrà come obbiettivo, quello di mettere in risalto la «storicità» di quest'evento, differenziarlo dall’altro conosciuto come la «seconda moltiplicazione dei pani», ma soprattutto di esaminarlo a proposito di quello che ogni evangelista dice, così da avere un quadro completo di questa meravigliosa manifestazione del potere miracoloso di Gesù.

In questi tempi in cui l’evento miracoloso viene messo in dubbio e screditato da un numero rilevante di persone, è necessario, non solo prendere una ferma posizione contro l’ateismo secolare, ma anche contro il formalismo religioso, che rigetta facilmente le varie manifestazioni divine, adducendo la motivazione che il tempo dei miracoli è ormai tramontato, ed è soltanto un ricordo del passato, dei periodi antichi, in cui le manifestazioni miracolose si rendevano necessarie, soprattutto per la propagazione dell’evangelo.

Per noi che crediamo alla veracità della parola evangelica e di tutta la S. Scrittura in genere, è importante, non solo considerare l'opera miracolosa di Gesù di quei tempi lontani, ma considerarlo soprattutto tenerne presente la «continuità» ai nostri giorni.

Il migliore augurio che possiamo formulare, non è solamente che ognuno che leggerà le pagine che seguono possa trarne profitto, ma che soprattutto si apprezzasse e si valutasse l’opera miracolosa di Gesù e sapendo che Egli è lo stesso «ieri, oggi e in eterno», questa fede rimanga ferma nella nostra mente e nel nostro cuore, come un saldo pilastro.
Ringraziamo vivamente il caro fratello Nino Tirelli per il lavoro intelligente che ha condotto, nel revisionare quest’opera.

Domenico Barbera

Si continuerà il prossimo giorno
Domenico34
00giovedì 23 febbraio 2012 00:04
Capitolo 1




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL

RESOCONTO DI MATTEO




1.L’AZIONE PREPARATORIA RER IL MIRACOLO

Premessa

L’esame che condurremo intorno alla «prima moltiplicazione dei pani», oltre che basarci su quello che Matteo ha scritto, cercheremo di ignorare – momentaneamente – quello che dice Marco, Luca e Giovanni, non perché questo racconto sia più completo degli altri, e neanche per affermare che Matteo, per quello che ha scritto a questo riguardo, non dipenda dagli altri evangelisti, e che questi a loro volta abbiano elaborato il racconto dell’evento miracoloso, adattandolo al modo per cui hanno scritto il loro evangelo, ma semplicemente per considerare quello che avesse da dirci il nostro evangelista. Questo vuol affermare che prenderemo in esame singolarmente quello che ha scritto Marco, Luca e Giovanni; li esamineremo a parte, separatamente naturalmente, per meglio valutare quello che questi ci hanno tramandato.

Anche se qualcuno obbietterà sulla validità di questo metodo per esaminare le Scritture, lo facciamo perché crediamo all’ispirazione delle Sacre Scritture per opera dello Spirito Santo ed anche perché in questa maniera possiamo meglio conoscere l’interezza dell’avvenimento miracoloso, visto che è nell’insieme di quello che hanno scritto gli evangelisti, che possiamo avere il quadro completo di tutta la situazione.

2. IL TESTO DEL RACCONTO DI MATTEO

Il racconto relativo della prima moltiplicazione dei pani si trova nel capitolo quattordici, dai versetti 13–21 (Nuova Diodati).

Quando Gesù ebbe udito ciò, partì di là su una barca e si ritirò in disparte, in un luogo deserto. E le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città. E Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla e ne ebbe compassione, e ne guarì gli infermi. Poi, facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono, e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi; licenzia dunque le folle affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare. Ma Gesù disse loro: non è necessario che se ne vadano; date voi a loro da mangiare. Ed essi gli dissero: noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci. Ed egli disse: portatemeli qua. Comandò quindi che le folle si sedessero sull’erba; poi prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli, alle folle. E tutti ne mangiarono e furono saziati; poi i discepoli raccolsero i pezzi avanzati in dodici ceste piene. Ora, chi aveva mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

La prima cosa che va subito notata è la forma al singolare « partì» e «si ritirò», che linguisticamente parlando, potrebbe farci pensare che Gesù fu solo quando decise di andare «in disparte in un luogo deserto». Ma leggendo il seguito, ci accorgiamo che assieme a Gesù c’erano anche i suoi discepoli. Se si deve sostenere che Gesù partì solo, stando al detto del v. 13, alla luce del verso 15, che dice:

Poi facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono, e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi; licenzia dunque le folle affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare,

due sono le cose: 1) O Gesù partì solo in barca, senza pensare minimamente ai suoi discepoli (erano con lui i discepoli?); 2) oppure, in un secondo tempo, gli stessi, visto che il Maestro non era con loro, lo raggiunsero. Ma in quale località? Dal momento che il v. 15 affermi che i discepoli di Gesù si trovano assieme col Maestro sul luogo del miracolo, ci sembra più probabile considerare la forma al singolare, «partì», «si ritirò», per affermare che fu Gesù che prese la decisione di partire dal luogo in cui si trovava, anziché pensare che lo spostamento avvenisse da solo.

D’altra parte, leggiamo spesso negli evangeli, che Gesù si trova sempre assieme ai suoi discepoli, specie quando questi avvengono via acqua, attraverso il mare di Galilea. Sarebbe inoltre impensabile che Gesù lasciasse soli i suoi discepoli, per andare in un altro luogo, eccetto che non si trattino di un posto e di un tempo per la preghiera, in questo caso Gesù preferisce trovarsi solo.

Matteo inizia il racconto della «prima moltiplicazione dei pani» col affermarci che, «quando Gesù ebbe udito ciò, partì...». Siccome nei versi precedenti si parla della morte di Giovanni Battista e di quello che fecero i suoi discepoli quando presero il suo corpo e lo seppellirono, e dato che gli stessi andarono a riferire a Gesù quello che era accaduto, è certo che è a quest'avvenimento che allude Matteo.

Quando Gesù lasciò la località in cui si trovava, la sua intenzione era di andarsene «in disparte, in un luogo deserto». Sorge spontanea la domanda: perché? Non voleva avere più a che fare con le persone, visto che la stragrande maggioranza non riceveva le Sue parole e non credeva al Suo nome? Oppure si era stancato per il comportamento ostile delle persone nei suoi confronti? O era per il dolore che sentì della morte crudele che subì Giovanni?

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00venerdì 24 febbraio 2012 00:09
Indubbiamente, la notizia concernente la morte del Battista, soprattutto la maniera con cui venne eseguita, avrà prodotto un dolore profondo nel cuore di Gesù. Con la sua decisione di andarsene in disparte, in un luogo deserto, Egli pensava di allontanarsi dalle persone, – almeno per un po’ di tempo –, per riprendersi. Sia lungi da noi il pensiero che Gesù si fosse stancato e che non avesse più la forza di sopportare l’ostilità delle persone, come per esempio, tantissimi anni prima, si era verificato per il profeta Elia (cfr. 1 Re 19). Il fatto poi che di tutto quello che Gesù aveva preventivato non si avvera, dimostra eloquentemente che non c’erano situazioni così affliggenti – come la morte di suo cugino, secondo la carne –, che avrebbero potuto sottrarlo alle sue responsabilità ministeriali.

Lo spostamento di Gesù non avvenne nel segreto e non restò inosservato. Il testo evangelico precisa: «E le folle, saputolo, lo seguirono a piedi dalle città». Il fatto stesso che le folle vennero a sapere che Gesù si era spostato da quella località, è una dimostrazione che Egli veniva controllato nei suoi movimenti e c’erano sempre persone pronte e disposte a seguirlo dovunque andasse.

La maniera come quelle folle lo seguì, «a piedi», non è solamente un’espressione verbale per abbellire il racconto, o come prova dello stato di povertà di quelle persone, ma denota soprattutto un certo interesse nei confronti di Gesù, che gli fece affrontare dei sacrifici non indifferenti, indipendentemente dal fatto se quelle persone si trovarono nello stato di povertà da non potere avere denaro per prendere le barche.

3. COME APPARE A MATTEO LA SCENA DI QUEL GIORNO GLORIOSO


Il testo precisa:
E Gesù, smontato dalla barca, vide una gran folla e ne ebbe compassione, e ne guarì gli infermi (v. 14).

Come osservammo sopra, nonostante che Gesù si fosse recato in quel luogo con la precisa intenzione di andarsene «in disparte, in un posto deserto», ciò non fu possibile, per il fatto che la folla era già arrivata prima di lui là dove Egli sbarcò.

Se Gesù si fosse comportato come certe persone di questo mondo, avrebbe detto: “Perché non mi lasciate in pace? Perché mi correte sempre appresso? Perché non ve ne andaste alle vostre case, così che potrò rimanere solo senza essere disturbato?” Gesù, sì, era un vero uomo, ma nello stesso tempo era anche Dio fatto carne, Chi era venuto da presso il Padre, per procurare la salvezza all’umanità.

Il vedere di Gesù e la sua compassione

Di fronte a quella grande folla la compassione che Gesù aveva per le persone in genere, non poteva allontanarsi da lui e chiudergli gli occhi. Indubbiamente, il fatto stesso che Gesù ha compassione per quella folla, già denota che Egli vedeva soprattutto quel bisogno che gli altri non scorgevano. Gesù è Chi sa vedere in maniera diversa di come noi uomini vediamo; noi vediamo solamente quello che è apparente, quello che si presenta all’esterno, Gesù invece vede nel di dentro dell’essere umano e scorge i vari bisogni che si nascondono nella vita di una persona. Come farà la Sua «compassione» a rimanere indifferente davanti a quello che i suoi occhi vedono? Ecco perché viene detto: «e ne guarì gli infermi».

Quella grande folla non era composta solamente di persone che stavano bene, fisicamente parlando; c’erano persino degli infermi. Anche se Matteo non specifica il tipo d'infermità che Gesù guarì in quel giorno, dal momento però che ha affermato che c’erano degli infermi, maggiormente la compassione di Gesù non poteva rimanere indifferente. Se quegli infermi furono guariti in quel giorno, lo furono, non solamente per il potere miracoloso di Gesù, ma soprattutto per la Sua compassione, che lo fece desistere dall’andarsene «in disparte in un luogo deserto», e fu grazie alla stessa che la virtù miracolosa raggiunse quelle persone e li guarì.

Questa riflessione è molto importante e merita di essere messa in evidenza. La compassione di Gesù, valicando i tempi lontani del passato, si colloca al presente e nel periodo in cui viviamo, per venire incontro a qualsiasi bisogno, sia grande che piccolo, che l’uomo del ventesimo secolo può avere. Al minimo segno d’interessamento che si ha per Gesù, la Sua compassione viene subito messa in atto, per dimostrare ancora una volta e nel tempo presente, che Egli apprezza ed è molto sensibile, al comportamento dell’uomo nei suoi confronti.

Gesù guarì gli infermi

a) Oltre a non conoscere (perché il nostro evangelista non glielo dice) che tipo d'infermità avevano le persone ammalate, non ci viene neanche detto il quantitativo d'infermi che si trovava in quel giorno e luogo. Se gli ammalati erano uomini, donne o bambini – visto che quella folla era composta di queste persone –, ciò non ha tanta importanza; quello che ha valore e rilievo, non è tanto sapere il numero rilevante o meno d'infermi, quanto il potere miracoloso di Gesù che si manifestò a favore di quei bisognosi.

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Domenico34
00sabato 25 febbraio 2012 00:07
Non ci viene neanche specificato la maniera con cui Gesù guarì gli infermi. Avrà guarito per avere imposte le mani sopra di loro o pronunciando una parola di comando? Se l’evangelista ci avesse fornito una simile notizia, noi potremmo fare le nostre considerazioni e mettere in risalto la maniera con cui Gesù guarisse. Ma siccome si sapeva che Gesù, nelle varie guarigioni che fece, non usò sempre lo stesso metodo, quello che maggiormente bisogna sottolineare non è tanto la regola in se stesso, quanto la potenza e la virtù che si manifestarono a favore di quegli infermi.

Il solo fatto che gli infermi furono sanati, ci dà in se stesso l’idea di un’atmosfera festante e gioiosa che si creò in quel giorno tra quella gran folla. Pensate l’espressione di giubilo che si sarà manifestata nella vita di una madre nel vedere proprio figlio o figlia guariti dall’infermità che avevano! O cerchiamo di immaginare ad un marito o a una moglie, che viene guarita da una deformazione corporale.

Quali grida di esultanza e di giubilo si saranno elevate in mezzo a quella folla! Inoltre, siamo portati a considerare l’enorme rumore che si verificò in quel giorno: chi gridava, per la gioia di vedere un proprio congiunto guarito da un male che aveva portato per tanti anni; chi alzava la voce in lode a Dio, chi batteva le mani per quello che vedeva con i propri occhi; chi danzava di allegrezza per quelle grandi opere; insomma, ci sarà stata una gran confusione, umanamente parlando, e forse qualcuno avrà detto, ma perché tutto questo rumore, tutto questo disordine, tutto questo gridare; non sarebbe meglio che ognuno se ne stesse in santo raccoglimento, e non darsi a questa manifestazione esagerata di esultanza e di grida?

Non sapendo a quale ora del giorno cominciò quella straordinaria riunione e quando terminò – proferendo un discorso compatibile ai nostri dì – possiamo affermare che quella meravigliosa manifestazione di potenza, si protrasse, per alcune ore. La frase che leggiamo: «Poi, facendosi sera», ci permette di convalidare quanto abbiamo detto sopra.

Se dovessimo fare un'applicazione pratica per quanto riguarda le riunioni che si tengono oggi, metteremmo subito in evidenza il troppo silenzio che si nota e la marcata monotonia, che denota la mancanza delle manifestazioni del soprannaturale. Qualcuno giustamente ha detto: «Il miglior luogo per avere silenzio e non sentire nessun rumore, è il cimitero». La Bibbia afferma:
Non sono i morti che lodano l’Eterno, né alcuno di quelli che scendono nel luogo del silenzio. Ma noi (i viventi) benediremo l’Eterno, ora e sempre. Alleluia (Salmo 115:17,18).

4. LA PREPARAZIONE PER LA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI


Poi, facendosi sera, i suoi discepoli gli si accostarono, e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi; licenzia dunque le folle affinché vadano per i villaggi a comprarsi da mangiare (v.15).

Che i discepoli di Gesù si trovavano da molto tempo in quel luogo (da quando arrivò Gesù?), lo desumiamo dalla frase «si accostarono». Supposto che erano arrivati assieme a Gesù, avevano assistito a quella riunione fin dall’inizio, e, per diverse ore, avevano sentito e veduto tutto quello che si era manifestato in mezzo a quella gran folla, per le diverse guarigioni verificatesi.

Indubbiamente, i discepoli di Gesù, avranno partecipato attivamente in quella giornata, in diverse maniere: ora aiutando l’uno ora l’altro, in tutto quello che si vedeva; e, sicuramente, non saranno rimasti da semplici spettatori.

L’intervento dei discepoli

Ora, però, vedendo che Gesù non accenna a chiudere la riunione – si dirà con il linguaggio di oggi –, sicuramente si saranno consultati a vicenda per stabilire se era il caso di intervenire presso il Maestro, per suggerirgli di chiudere la riunione. Il testo non afferma che uno dei discepoli si accostò, ma che «i suoi discepoli gli si accostarono». È abbastanza chiaro quindi, che l’azione venne concertata e concordata, per dare più risalto che, in fin dei conti, che quello che proponevano a Gesù, non era il risultato di un singolo che la vedeva e la pensava in quella maniera; ma doveva essere piuttosto considerata soprattutto come l’espressione collegiale, «di tutti i discepoli», senza che nessuno venisse escluso.

Se dobbiamo considerare l’intervento dei discepoli, dal punto di vista collegiale, nel senso che avevano raggiunto un unanime accordo, quindi, dal punto di vista della «maggioranza» – si direbbe oggi –, c’era poco da obbiettare e discutere, dobbiamo subito mettere in evidenza che, in quell’intervento si rivelava tutta la natura umana, intesa non solamente per ciò che riguardasse le sue debolezze e le sue lacune, ma anche per l’accortezza e la viva preoccupazione che venisse chiaramente manifestata nei confronti di quella gran folla. Facendo un’analisi delle parole che i discepoli dissero a Gesù, possiamo descriverlo nel seguente modo:

L’intervento dei discepoli, mirava a far ricordare a Gesù che già era «sera», come se Egli non avesse avuto occhi per vedere che la giornata era quasi terminata;
indirettamente, si dava un rimprovero a Gesù per la lunghezza della riunione;
Gesù non stava agendo con intelligenza nel mantenere presso di sé tanta gente per diverse ore;
il luogo era deserto;
l’ora era già tardi;
la folla non aveva da mangiare.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00domenica 26 febbraio 2012 00:05
Tutte le considerazioni che avevano fatto i discepoli, per suggerire a Gesù di «licenziare le folle», da un punto di vista umano e per la sua logica, rispondevano a verità. Ma secondo Dio e il suo piano, essi mancavano di un saggio discernimento, dato che non sapevano vedere nient’altro che era «sera» e che era «tardi».

L’accortezza umana


L’accortezza che noi uomini spesso manifestiamo, nel prevenire certe particolari situazioni di disagio, non è sempre dettata da un saggio e spirituale discernimento. Spesse volte, non è lo Spirito Santo che ci muove, ma la nostra umana intelligenza. Dal momento che siamo mossi da sentimenti e valutazioni umane, non sempre ci apriamo all’opera dello Spirito, e tante volte addirittura si vorrebbero sopprimerla con la giustificazione di volere favorire una certa logica e una certa coerenza sul piano della vita pratica. Questo finisce con l’ostacolare l’opera del Signore, intesa come manifestazione del potere miracoloso di Dio.

Cerchiamo di immaginare che cosa sarebbe successo se Gesù avesse accolto il suggerimento dei suoi discepoli (umanamente parlando era saggio) e avesse «licenziate» le folle.

In quel giorno non ci sarebbe stata la moltiplicazione dei pani, quindi, il miracolo di questo tipo, non si sarebbe manifestato;

Le persone accorse in quel luogo (senza escludere i discepoli di Gesù), non avrebbero visto, con i propri occhi, la manifestazione miracolosa del potere divino di Gesù;
Il racconto di questo straordinario evento miracoloso non sarebbe stato scritto nel Vangelo, con la conseguenza, che nessuno dell’umanità, avrebbe saputo che con 5 pani e due pesci, Gesù diede da mangiare a 5.000 uomini oltre le donne e i bambini;

Per ultimo, – che certamente non è meno importante dei tre punti sopra indicati –, Gesù, sarebbe apparso come uno che si lascia guidare dai suoi discepoli, nello svolgimento del suo ministero per il quale era stato mandato dal Padre in questa terra.

Considerando attentamente il valore e la portata dell’implicazione che ha avuto l’intervento dei discepoli per ciò che riguardava il ministero di Gesù, la risposta che venne data, pur non contenendo nessun elemento che lasci trasparire un rimprovero, mette i discepoli in una condizione, non solo d'imbarazzo, – per quella reale situazione che appariva ai loro occhi –, ma anche d'incertezza, perché appunto non sa ciò che devono fare e come risolvere quell’enorme problema.

La risposta di Gesù

Notate con quale gentilezza e fermezza nello stesso tempo, Gesù risponde ai suoi discepoli che gli avevano suggerito di «licenziare» le folle: Non è necessario che se ne vadano; date voi a loro da mangiare. Dal momento che per Gesù, il luogo «deserto», la «sera» o l’orario «tardi», non rappresentavano dei seri problemi, si permise di affermare che, quella «necessità» di licenziare le folle, lui non la vedeva.

Se Gesù si fosse fermato solamente sul fatto che non era «necessario» di licenziare le folle, sicuramente i discepoli non sarebbero rimasti con le bocche chiuse; a dire poco, avrebbero chiesto delle spiegazioni, dei chiarimenti per sapere come avrebbe fatto a risolvere quel gran problema. Ma dal momento che Cristo va oltre a quello che i discepoli potevano aspettarsi, nella risposta che questi danno a Gesù, senza fare nessun riferimento alla sua affermazione: «non è necessario» e neanche mettere in discussione la validità di quella sua dichiarazione; non nascondono la loro perplessità e preoccupazione, e, davanti a quel preciso ordine, Date voi a loro da mangiare, si affrettano a precisare, ...Noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci.

A questo punto, si impone, come necessità, di capire perché Gesù diede quella risposta e come deve essere intesa la Sua parola. Se dovessimo interpretare la risposta di Gesù nel senso che Egli non era obbiettivo a quello che i discepoli gli avevano prospettato, rischieremmo di accusare Gesù come una persona fanatica che non vuole prendere coscienza di una reale situazione di contingenza. Non dobbiamo neanche pensare che nella risposta di Gesù, c’era una buona dose di risentimento, per l’ingerenza indebita dei discepoli, per ciò che riguardava lo svolgimento del suo ministero. Una simile supposizione ci porterebbe a classificare Gesù come un qualsiasi uomo peccatore, e, quindi, la sua giustizia e la sua santità, verrebbe messe sotto accusa.

Ma se invece pensiamo a Gesù come a chi voleva insegnare ai suoi discepoli, – attraverso quella particolare e difficile situazione – un'importante verità circa le possibilità divine, a condizione che imparino a guardare le cose, non solo con gli occhi della carne, ma soprattutto con quelli della fede, allora davanti ai discepoli si schiuderà la prospettiva di una nuova e grandiosa esperienza della potenza miracolosa di Dio.

È assurdo pensare che i discepoli, con le loro facoltà e con la scarsezza di una provvista limitatissima, possano dare da mangiare ad una folla di migliaia di persone. Ma se invece il discepolo impara a valutare quanto sia importante la manifestazione del potere miracoloso di Dio, non solo lo potrà esperimentare nel corso della sua vita, ma avrà anche modo di condividere con altri le sue esperienze.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00lunedì 27 febbraio 2012 00:04
5. UN MESSAGGIO PARTICOLARE PER OGNI DISCEPOLO DI GESÙ

Le considerazioni che abbiamo fatto fino a questo punto, non sono le sole; credo che ce ne siano delle altre, da applicare nella vita di ogni discepolo di Gesù e particolarmente in quelli che sono chiamati al ministero, per quanto riguarda le loro responsabilità inerenti allo svolgimento del compito stesso. Un ministero, qualunque esso sia, non viene dato per l’utilità di chi lo riceve, ma essenzialmente per il beneficio degli altri. Che questi sono potuti essere individuati nell’ambito di una Comunità, intesi come chiesa locale o possono estendersi al di fuori di lei, non cambia il fine per questo il ministero è stato dato. Tenendo presente lo scopo divino, ogni persona chiamata al ministero, dovrebbe fare molta attenzione a non essere di ostacolo all’azione e all’opera dello Spirito Santo.

Quando leggiamo di non contristare lo Spirito Santo di Dio... (Efesini 4:30), dobbiamo ricordare che quella esortazione Paolo la rivolgeva ai credenti e non al mondo incredulo. Ciò significa che il credente o colui che ha ricevuto il ministero in un modo particolare, ha ancora la facoltà di opporsi a quello che lo Spirito Santo vuole fare, cioè contristarlo, per il fatto che non gli si permette di fare quello che vorrebbe.

Le opere e le azioni dello Spirito Santo, devono essere valutate con una mente illuminata dalla Parola di Dio e con occhi unti dal collirio divino (Apocalisse 3:18). Colui che è stato chiamato al ministero, – e non soltanto il semplice discepolo che si limita a seguire il Signore Gesù in obbedienza alla Sua Parola –, deve imparare dal Divino Maestro e cercare di imitarlo nel miglior modo, perché nel suo ministero non vi siano solamente parole, ma soprattutto quelle manifestazioni dello Spirito, che contrassegnano l’opera divina. Credo che si potrebbero applicare le parole dell’apostolo Paolo, nel contesto di quello che stiamo dicendo:

La mia parola e la mia predicazione non consistettero in parole persuasive di umana sapienza, ma in dimostrazione di Spirito e di potenza (1 Corinzi 2:4).

Il servitore del Signore che, nell’esercizio del suo ministero non sa valutare quelle circostanze e situazioni particolari che si presentano davanti a sé, e tiene maggiormente conto del fattore tempo, inteso come durata da dedicare all’attività ministeriale e non dei reali bisogni delle persone, non è certo un buon servitore, che favorisce le manifestazioni dello Spirito di Dio.

Oggi, in modo particolare, viviamo programmando il tempo, con un certo rigore, in maniera tale che tutto si svolge secondo una ben definita tabella di marcia. Lungi da noi il volere disprezzare o minimizzare coloro che si attengono ad una rigorosa programmazione delle varie attività della vita. Le considerazioni che stiamo facendo, non hanno di mira le attività secolari, ma lo svolgimento dell’opera del ministero, aperto alle manifestazioni divine.
I discepoli di quei tempi, pensavano e credevano che Gesù in quel giorno, avesse dimenticato che era arrivata la sera, che era tardi, e che fosse stato più che ragionevole che la folla venisse mandata a casa, senza ulteriori ritardi, in modo che tutti avessero avuto la possibilità di comprarsi da mangiare, dato che si trovavano in un luogo deserto.

Oggi, vale a dire nel nostro tempo, non è difficile costatare che le riunioni nei luoghi di culto vengono tenute con una certa programmazione; lo svolgimento del raduno è previsto entro un certo orario e tutto deve terminare entro quell’ora stabilita. Se qualche riunione si protrae oltre al normale, non mancano chi protesta: È tardi, è trascorso troppo tempo, è ora di mandare tutti a casa. Mi domando: come farà lo Spirito Santo a muoversi in mezzo al popolo, quando gli stessi ministri, che dovrebbe favorire le manifestazioni spirituali, Lo impediscono e vi si oppongono?

Non sta a noi stabilire a quale orario del culto si deve muovere lo Spirito di Dio. Quando lo sguardo è rivolto al reale bisogno del popolo, non si dirà mai: È tardi, è troppo il tempo che siamo stati in chiesa.

«Date voi a loro da mangiare», non sono parole che hanno il solo significato per quanto riguarda le cose materiali, contengono il messaggio della responsabilità. L’umanità in genere, è piena di problemi; i bisogni che si possono notare sono tanti e diversi l’uno dall’altro. Gesù si rivolge ai suoi discepoli, con quel preciso comando, non solo perché sono gli unici ai quali può rivolgere un simile ordine, ma anche e soprattutto per far capire loro che, invece di pensare di mandare tutti a casa, devono capire la loro responsabilità, che li impegna, come seguaci di Gesù, a darsi da fare a che quel bisogno che essi stessi vedono possa essere risolto. A questo punto si potrà chiedere: come sarà ciò possibile? Non si possono invertire le posizioni, che cioè Gesù occupi il posto dei discepoli e gli alunni quello di Gesù. Pensare in questo modo, è quanto mai assurdo e blasfemo.

Quando però, il discepolo di Gesù e particolarmente colui che è chiamato al ministero, prende atto della sua responsabilità inerente al suo appello, invece di sottrarsi alla sua responsabilità, potrà piuttosto pensare a quel detto dell’apostolo Paolo: Io posso ogni cosa in Cristo che mi fortifica (Filippesi 4:13).

Facendo affidamento su Cristo, sulla veracità della Sua Parola e sul Suo potere, il discepolo può diventare un attivo collaboratore del Signore, il solo che ha il potere di produrre il miracolo. Una cosa è declinare la propria responsabilità, con la motivazione: “Io non posso fare nulla”, e un’altra idea è tenerla costantemente presente. «Date voi a loro da mangiare».

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Domenico34
00martedì 28 febbraio 2012 00:09
6. IL SIGNIFICATO CHE POTREBBERO AVERE I CINQUE PANI E I DUE PESCI

Dopo che i discepoli si sentirono dire da Gesù: Date voi a loro da mangiare, e la risposta immediata che ne seguì, noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci, Gesù ordina: Portatemeli qua.

Il comando di Gesù è stato preciso e perentorio; non c’era altro da fare: ubbidire alla parola del Maestro. Anche se nel cuore dei discepoli avrà balenato qualche pensiero come per esempio: “Ma che cosa vorrà fare Gesù con questi cinque pani e due pesci”? Nessuna considerazione umana sarebbe stata giustificata, se l’ordine di Gesù fosse stato messo in discussione.

Quando Gesù ordina una cosa, bisogna ubbidire, se si vuole vedere la manifestazione del Suo potere miracoloso. Non sempre gli ordini del Signore trovano una certa coerenza con la logica umana e non sempre appaiono chiari nel loro significato. Gesù non ci chiede di comprendere prima i Suoi ordini e poi eseguirli; al contrario, prima va rispettato la disposizione di ubbidienza e poi immancabilmente seguirà la comprensione.

Possiamo immaginare con quale stato d’animo i discepoli avranno portato i cinque pani e i due pesci a Gesù, senza forse intravedere uno sbocco, una soluzione al difficile problema. I discepoli avevano visto durante la giornata tanti miracoli che Gesù aveva fatto alle persone ammalate di quella gran folla, ma mai si era verificato nel passato che Gesù aveva fatto un miracolo di moltiplicare i pani, da favorire una certa tranquillità nella loro vita.

Matteo non ci dice chiaramente se quei cinque pani e due pesci erano una piccola scorta di viveri che i discepoli avevano, o se sono appartenuti a qualcuno della folla. Considerando però attentamente la frase: Noi non abbiamo qui altro che cinque pani e due pesci, specialmente il pronome «noi», con ogni probabilità si può pensare che quella piccola scorta, si trovi in mano dei discepoli. Indipendentemente chi aveva quei pani e pesci, ai fini del comando, ciò non aveva nessun'importanza; il vero valore consisteva nel fatto che quella piccola scorta fosse portata a Gesù.

I cinque pani e i due pesci, attraverso i secoli, sono stati variamente interpretati. Per citare qualche esempio diciamo: G. Crisostomo, riprendendo quello che dice Giovanni, così interpretava.

«L’evangelista Giovanni, da parte sua, precisa che i pani erano d’orzo, dettaglio che non è senza significato, ma che c'insegna a calpestare il fasto dei banchetti sontuosi. Tale era anche il cibo dei profeti» [Cfr. S. Giovanni Crisostomo, Commento al vangelo di S. Matteo, II, pag. 305].

Per Ambrogio:
«I cinque pani corrispondono al latte; il cibo solido è il corpo di Cristo; la bevanda generosa è il sangue del Signore» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 322].

Per Agostino
«I cinque pani significano i cinque libri di Mosè: giustamente essi non sono di frumento ma d’orzo, poiché essi appartengono al Vecchio Testamento. Quanto ai due pesci, mi sembrano significare quelle due auguste persone del Vecchio Testamento, che ricevevano l’unzione per santificare e per governare il popolo, cioè il sacerdote e il re» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 375].

Non si può accettare una simile interpretazione così puntualizzata, non solo perché non è unanime, ma soprattutto perché ci sembra forzata, e, addirittura rispecchia la mentalità di quei tempi e circostanze in cui vissero quegli uomini. Quando si spiritualizza troppo il testo biblico, si corre il rischio di far dire alla Bibbia quello che essa non vuol dire, con la conseguenza di insegnare verità estranee al testo biblico.

Se si può permettere una certa spiritualizzazione per i cinque pani e i due pesci, soprattutto con riferimento al comando di Gesù: «Portatemeli qua», si potrebbe affermare che potrebbero rappresentare la «pochezza dell’uomo», da un punto di vista generale. Se è vero che quei cinque pani e i due pesci, erano una piccolissima scorta di viveri, in confronto a quella gran folla, appare evidente la pochezza di quei pani e pesci per dare a mangiare ad una moltitudine di 5.000 uomini oltre alle donne e ai bambini. Però, se questa pochezza viene portata a Gesù, il Suo potere miracoloso li moltiplica, e il poco diventerà assai e sarà sufficiente per sfamare quelle migliaia di persone. La logica di questa spiritualizzazione, crediamo che non contrasti col testo evangelico, tanto meno che apparisca come una «forzatura», e neanche entri in conflitto con la Parola del Signore, sia quella dell’A.T. che del N.T.

Quando l’interpretazione di cui sopra, viene messa in relazione col ministero, essa diventa più significativa, per il fatto che nell’opera del ministero, concorrono, non solo il dono di Dio, ma anche la parte umana, intesa come strumentalità che lo Spirito usa secondo il volere divino. Quando una persona fa valere i suoi titoli, la sua capacità di conoscenza e di sapere bene organizzare le cose, è come se dicesse: “Ce la posso fare da me; non ho bisogno di nessuno”. Ma quando si riconosce la propria incapacità, è come se si dicesse: “Ma che cosa posso ottenere col mio saper fare, con la mia intelligenza, con la mia forza umana, davanti ad un mondo che mi circonda con bisogni che oltrepassano le mie risorse?” Gesù aveva detto ai suoi discepoli, «Date voi a loro da mangiare».

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Domenico34
00mercoledì 29 febbraio 2012 01:29
I discepoli avevano pensato che fosse meglio e più giusto mandare tutta quella folla a casa, senza minimamente prevenire che era loro responsabilità dare da mangiare a quella moltitudine. Quando non si capisce la responsabilità inerente al ministero, si fa presto a sbarazzarsi di una situazione incomoda; ma quando si accetta la propria consapevolezza, non solo non si fanno certe conclusioni, ma si passa subito ad un'azione, che è quella di portare a Gesù le poche cose che abbiamo.

Dio, attraverso i secoli, non ha mai agito da solo, – anche se Egli può fare da solo tutte le cose –, ha sempre preferito farle assieme all’uomo. Dio, in qualità di Spirito, com'Egli è, non ha una bocca per parlare, userà quella dell’uomo; non ha una mano per toccare, userà quella dell’essere umano; non ha un piede per camminare, userà quello dell’uomo. La tua bocca, la tua mano e il tuo piede, diventeranno gli strumenti che Dio userà, per parlare, per toccare e per camminare. Vista in questa maniera, le nostre poche cose che abbiamo, portiamole a Lui, soprattutto perché Gesù ci dice chiaramente: «Portatemeli qua».

7. GESÙÙ ORDINA CHE LE FOLLE SI' METTANO A SEDERE SULL’ERBA


Comandò quindi che le folle si sedessero sull’erba; poi prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli, alle folle.

La sua interpretazione

È importante notare che Gesù prima di compiere il miracolo della moltiplicazione dei pani, ordinò che le folle si mettessero a sedere sull’erba. Anche il sedersi sull’erba, per Ambrogio aveva un particolare significato. Ecco le sue parole:

«C’è differenza tra i racconti non soltanto circa il tipo e il numero dei pani, ma anche sul posto e sul modo in cui siedono le persone. Quelli sono seduti sull’erba, questi per terra: i cinquemila sull’erba, i quattromila per terra. Appoggiarsi per terra è più che giacere sull’erba: quelli infatti i cui sensi sono ancora carnali amano le mollezze e per questo si siedono sull’erba – infatti “ogni carne è come erba...”» (Isaia 40:6) [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 328].

Anche Agostino, usando lo stesso testo di Isaia 40:6 interpretò:

«Essi erano distesi sull’erba; avevano una sapienza carnale, ed in lei restavano. La carne è, infatti, non dissimile dall’erba» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 376].

Darsi a questo tipo di interpretazione, anche se Isaia 40:6 afferma che «ogni carne è come erba», a parte la forzatura del testo che si può facilmente notare, non ci sembra che sia coerente e si armonizzi con la parola di Gesù. Se quella folla si distese sull’erba, in fin dei conti fu perché Gesù ordinò loro di farlo. Se la scelta l’avessero fatta loro, si potrebbero prendere in considerazioni le parole di Ambrogio e di Agostino, ma siccome fu Gesù che ordinò quello, la loro interpretazione è quanto mai fantasiosa, perché non tiene conto della parola del Maestro.

Quello che potrebbe essere il suo significato

Se non accettiamo l’interpretazione di Ambrogio e di Agostino – anche se ammettiamo e crediamo quello che dice Isaia 40:6 –, per noi, se dobbiamo parlare di spiritualizzazione, dovremmo farlo in riferimento al sedersi della folla, senza però cercare per questo concetto, versi della Bibbia per provare la giustezza della nostra interpretazione e non sull’erba. Ecco qui di seguito i motivi della nostra considerazione:

Una folla di quella dimensione, restando in piedi, avrebbe notevolmente impedito lo svolgimento della distribuzione del cibo.
Migliaia di persone in piedi, avrebbero favorito la confusione e il disordine, e il lavoro di distribuzione del pane e del pesce, sarebbe stato notevolmente ritardato.

Una folla seduta, invece, avrebbe facilitato il lavoro della distribuzione del cibo, con minor tempo senza il disordine e confusione.

Se la folla e gli stessi discepoli non sapevano quello che Gesù avrebbe fatto nel giro di qualche minuto e tutto il lavoro che ne sarebbe seguito, Gesù, conoscendo tutto, comandando di far sedere la folla sull’erba, volle prevenire il disordine e la confusione, così che i suoi discepoli avrebbero potuto portare a termine il loro lavoro tranquillamente.

Inoltre, il sedersi, denota una posizione di attesa. A questo punto è molto importante puntualizzare: l'ordine di sedersi, venne dato per la folla che doveva ricevere e non per i discepoli che dovevano dare, amministrare. Se sei un discepolo di Gesù, non lo sei solamente per seguire il tuo Maestro, per sederti assieme agli altri, ma anche e soprattutto per amministrare quello che Gesù metterà nelle tue mani.

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Domenico34
00giovedì 1 marzo 2012 00:05
Anche se il nostro evangelista non precisa che la folla si sedette sull’erba, c’è però da presupporlo, anche per dare valore al comando di Gesù. Dato per certo che, la gran folla ubbidì alla Parola di Gesù, e che tutto era in ordine, Gesù può compiere il miracolo e con lui manifestare tutta la Sua potenza e la Sua grandezza, come Signore e Creatore di tutto l’universo.

8. QUEL CHE GESÙ FECE E DISSE


...e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli alle folle.

Dopo che i cinque pani e i due pesci arrivarono nelle mani di Gesù, Matteo precisa che Gesù compì quattro azioni:

Alzò gli occhi al cielo;
benedisse i pani e i pesci;
spezzò i pani (ma non ci dice se fece lo stesso per i pesci);
diede i pani spezzati ai suoi discepoli.

1) Alzò gli occhi al cielo

Per quanto riguarda il gesto di «alzare gli occhi al cielo», indubbiamente questo denota «l’intima unione di Gesù col Padre» e della sua «dignità di Figlio». [Cfr. R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni, II, pagg. 563,564] È probabile che voglia anche significare che Gesù, con questo gesto, intendesse «raccogliere le forze per compiere il miracolo» [Cfr. R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, pag. 549], come suggerisce R. Pesch, nel suo commentario al vangelo di Marco Che l'atto di alzare gli occhi al cielo non venga accompagnato da una parola rivolta al Padre, come dimostrano invece altri due esempi, Giovanni 11:41, in cui è detto:

...Gesù allora, alzati in alto gli occhi, disse: Padre, ti ringrazio che mi hai esaudito,
e Giovanni 17:1:
Queste cose disse Gesù, poi alzò gli occhi al cielo e disse: Padre, l’ora è venuta; glorifica il Figlio tuo, affinché anche il Figlio glorifichi te,

prova che Gesù non alzò gli occhi al cielo per pregare, ma per manifestare davanti a tutti, non solo l’intima unione che c’era tra lui e il Padre, ma anche per dire chiaramente che il potere di compiere i miracoli, non gli veniva dalla terra ma dal cielo.

2) Benedisse i pani e i pesci

Questa benedizione che Gesù impartì ai pani e ai pesci, non era solamente per adeguarsi ad un’usanza ebraica, per quanto riguardava la benedizione che veniva data dal capo di famiglia, nei banchetti conviviali prima che i commensali cominciassero a mangiare, come fanno rilevare i vari commentatori, ma era soprattutto una necessità perché i pani e i pesci si potessero moltiplicare. Anche se il miracolo della moltiplicazione si fosse verificato nelle mani dei discepoli, man mano che questi distribuivano alle folle, non si può escludere che il miracolo ha origine nella benedizione.
(Proverbi 10:22) afferma: La benedizione dell’Eterno arricchisce....

Ricchezza è sinonimo di abbondanza. I cinque pani e i due pesci erano troppo pochi per dare da mangiare ad una folla di migliaia di persone; era pertanto necessario che avvenisse un miracolo, perché quella moltitudine potesse mangiare a sazietà. Per questo ci pensò la benedizione di Gesù.

3) Spezzò i pani

Nello spezzare il pane, alcuni vedono un riferimento all’eucaristia, specie quando si vuole che «Matteo rappresenti qui i discepoli di Cristo come i ministri liturgici». A parte che a giudizio di J. Gnilka

«Questa è un’interpretazione eccessiva e non giustificata», aggiunge anche che «non è possibile pensare che Mt. intenda presentare il pasto dei cinquemila come immagine dell’eucaristia» [Cfr. J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, II, pag. 21, nota 11].

Se questo «spezzare il pane» deve essere inteso nel senso eucaristico, dovremmo pensare nello stesso modo per l’episodio di Paolo, che «rompe il pane», secondo (Atti 27:35). Ora, siccome, nell’episodio eucaristico, Matteo ricorda che
Gesù prese il pane e lo benedisse, lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli... (Matteo 6:26),
qui, si vuole vedere una somiglianza per affermare che la moltiplicazione dei cinque pani rappresenta l’eucaristia. Il voler mettere in evidenza una particolare tendenza sacramentale, (che a rigore non ha nessun'attinenza al testo), la sua forzatura appare inevitabile e ingiustificata.

Inoltre, a parte che nell’eucaristia c’è il vino, e qui non c’è la minima traccia, tutti i testi neotestamentari che ne fanno esplicito riferimento, glielo presentano sempre nell’ambito dei credenti, vale ad affermare che l’eucaristia non viene mai celebrata assieme a persone estranee al gruppo dei discepoli di Gesù, ma sempre tra loro. Se lo «spezzare il pane», viene inteso invece come in un comune banchetto dove il padre di famiglia spezza il pane per dare inizio al pasto, non c’è nessun bisogno d’intravedere qui, la rappresentazione dell’atto sacramentale dell’eucaristia.

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Domenico34
00venerdì 2 marzo 2012 00:05
4) Diede i pani spezzati ai suoi discepoli

L’ultima azione di Gesù fu di dare i pani spezzati in mano ai suoi discepoli perché questi li distribuissero alle folle. A queste venne ordinato di sedersi sull’erba, mentre ai discepoli venne affidato l’incarico e l’onore di distribuire il cibo alle persone (sedute sull’erba. Qui non c’è da vedere, ciò che vorrebbe Ambrogio, quando dice:

«...che il cibo sia servito dagli apostoli, ciò preannuncia la distribuzione del sangue e del corpo del Signore» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 329].

Come abbiamo fatto notare sopra, l’interpretazione sacramentale dell’eucaristia è estranea al testo e volerne insistere, significa in ultima analisi non tenere conto dell’insieme della narrazione evangelica. Indubbiamente, i discepoli hanno un posto ed un ruolo particolare in questa speciale circostanza, soprattutto se si tiene conto che a loro Cristo aveva ordinato: «Date voi a loro da mangiare».

Il lavoro di «distribuire» il cibo materiale, anche se appare un umile servizio, è sempre un’attività importante e significativa che fa onore al discepolo di Gesù, soprattutto se questo lavoro viene considerato come un atto di ubbidienza al preciso comando di Gesù.

Spesso si sottovalutano le attività sociali, come se il discepolo fosse chiamato ad amministrare solamente beni spirituali. Non si mette in dubbio che i beni spirituali sono di gran lungo superiore a quelli materiali, e che il discepolo di Gesù deve maggiormente impegnarsi, con tutte le sue energie. Questo però non esclude che il seguace del Cristo possa anche svolgere un’attività che ha a che fare con le cose attinenti al corpo, specie quando si vedono chiaramente.

Anche se la moltiplicazione dei pani c'insegna verità spirituali, non si può negare che in quel giorno Cristo pensò di venire incontro ad un bisogno materiale, riguardante il corpo fisico, e che in questa sua attività coinvolse, in senso pieno, anche i suoi discepoli.

9. LA CONCLUSIONE DEL MIRACOLO

E tutti mangiarono e furono saziati; poi i discepoli raccolsero i pezzi avanzati in dodici ceste piene. Ora, chi aveva mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

Come parte conclusiva di questa manifestazione miracolosa, va notata che il cibo che Gesù moltiplicò in quel giorno, fu talmente abbondante, che tutti gli astanti ne mangiarono a sazietà. Se il cibo non fosse stato abbondante, Matteo non solo non avrebbe potuto scrivere che «tutti mangiarono e furono saziati», ma neanche lo stesso miracolo avrebbe avuto quel significato, e noi oggi, non sapremmo ammirare le meraviglie del Signore.

Quando Gesù compie un miracolo, non lo fa tanto per accomodare, quanto per imprimere, in una maniera inequivocabile, il segno del divino e l’evidenza più marcata della potenza miracolosa.

L’interpretazione data ai cinquemila

Come si è cercato di spiritualizzare i cinque pani e i due pesci, così si è cercato di dare pure un significato particolare al numero « cinquemila».
Per Ambrogio, che fa un paragone, tra i cinquemila e i quattromila dei due eventi miracolosi, così si esprime:

«Non sono senza significato né il numero né l’ordine né gli avanzi di chi hanno mangiato. Infatti, i più numerosi, cioè i cinquemila, furono nutriti con cinque pani, ossia con un numero minore di pani, mentre il meno numerosi, cioè i quattromila, furono saziati con sette pani, cioè con una quantità di pani maggiore. Se noi ci atteniamo al solo avvenimento miracoloso, ci sembra più divino il fatto di una minore quantità sia stato sufficiente per un maggior numero. E perché ciò che è più piccolo è stato aggiunto a ciò che è più grande, come più importante? Noi leggiamo che cinquemila persone furono saziate con cinque pani, e poi che quattromila individui furono saziati con sette pani. Cerchiamo dunque il mistero, che importa più del miracolo. Sembra che le cinquemila persone, come i cinque sensi del corpo, riceviamo da Cristo un alimento ancora adatto a degli esseri carnali...» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 326].

Per Agostino, che vedeva le cose diverse, significavano:
«Quel gran numero di persone che furono saziate, indicano il popolo posto sotto la legge. Erano cinquemila, proprio perché significavano chi stava sotto la legge, che appunto è contenuto nei cinque libri di Mosè» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 376].

L’interpretazione data agli avanzi

Ecco, cosa diceva Ambrogio:
«Vediamo in qual modo si raccolgono gli avanzi. La legge dice: «Non commettere adulterio» (Esodo 20:14). Ebbene, Cristo ha spezzato questo pane, ha distribuito la sua parola, senza aggiungervi niente di estraneo, ma dando del suo. «Chi guarda una donna con desiderio» – dice – «ha già commesso adulterio con lei» (Matteo 5:28); ecco un frammento del suo. «Se il tuo occhio destro» – aggiunge – «ti è d’inciampo, strappalo» (Matteo 5:29); e ancora: «Se la tua mano destra ti scandalizza, tagliala» (Matteo 5:30); e infine: «Chi sposa una ripudiata da suo marito, commette adulterio» (Matteo 5:32). Vedi quanti frammenti derivano da una cosa sola. Mosè dice che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla libera (Cfr. Genesi 21:2–9). E Paolo: «Questi sono i due Testamenti» (Galati 4:24). Ha diviso questa parola e ne ha trovato il significato. Felice chi raccoglie ciò che Cristo ha diviso» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pagg. 331,332].

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Domenico34
00sabato 3 marzo 2012 00:06
Per Agostino, gli avanzi hanno un altro significato.
«Che significato ha poi i frammenti avanzati? Si deve intendere cioè che ci siano certe verità ancora più segrete, che la folla non sempre può capire. E che fare di ciò che resta, di questi segreti che la folla non può penetrare, se non darli a chi può intenderli e insegnarli agli altri, come appunto erano capaci di fare gli apostoli?» [Cfr. Sant’Agostino, Commento al vangelo di S. Giovanni, I, pag. 376].

L’interpretazione data alle ceste


Ecco quello che scrisse Ambrogio, a proposito delle ceste che vennero riempite dagli avanzi.

«Ma per quale ragione Cristo riempì dodici ceste? Non fu forse per mettere fine alla prova cui fu sottoposto il popolo giudaico, in quanto «le sue mani servirono con le ceste» ? (Salmo 81:6) Cioè, il popolo che una volta raccoglieva l’argilla nelle ceste (Esodo 1:14), raccoglie ora, per mezzo della croce di Cristo, l’alimento celeste, e riempie con il nutrimento della fede ciò che una volta conteneva il fango dell’incredulità pagana. E questo non è un dono dato solo a pochi, ma è un dono dato a tutti. Nelle dodici ceste è raffigurata infatti la fede che sovrabbonda e che conquista tutte e dodici le tribù: ed ecco, «il pane rafforza il cuore degli uomini» (Salmo 104:15) [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 332].

Se abbiamo riportato le interpretazioni summenzionate, non l’abbiamo fatto solamente per portare a conoscenza del lettore come hanno interpretato, Crisostomo, Ambrogio e Agostino il miracolo della prima moltiplicazione dei pani, ma principalmente per far conoscere che la loro spiritualizzazione è quanto mai fantasiosa, ed è capace di far dire al testo biblico quello che esso non vuol dire assolutamente.

Ogni tipo d'interpretazione, specie per quanto riguarda l’aspetto spirituale o le applicazioni spirituali che si vogliono fare, se sono troppo forzate, si finisce col mettere in giro quello che può giustamente definirsi il «frutto della speculazione umana», col pretesto di una profonda conoscenza spirituale. Indipendentemente dal fatto se il numero dei «cinquemila» ha avuto un significato spirituale, come anche le dodici ceste riempite dagli avanzi, la cosa più semplice e importante nello stesso tempo, è il dato di fatto che con quei cinque pani e due pesci, una folla di diverse migliaia di persone venne saziata.

Anche se il testo biblico non dicesse quanti erano le «donne e i bambini», il fatto però che venissero menzionati, dovrebbe portarci a considerare che il numero delle persone che mangiò a sazietà in quel giorno non fosse di cinquemila, ma forse, undici, dodicimila individui.

10. RIEPILOGO DEL MIRACOLO DELLA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI

Il luogo deserto

Il termine «deserto» che viene menzionato nel testo evangelico, non deve essere inteso come un luogo dove non c’è nessuna vegetazione; la presenza «dell’erba», infatti, non favorisce certamente quest'interpretazione. È più probabile del termine «deserto» indichi un luogo dove non c’èra abitazione, che piuttosto pensare ad un posto arido. Il fatto poi che questo luogo fu inizialmente scelto da Gesù, per starsene in disparte, aumenta, a nostro avviso, questa probabilità.

Le folle che seguirono Gesù

Le folle che seguirono Gesù, anche se erano nell’ordine di diverse migliaia di persone, venivano «dalle città». Quali furono queste città, il testo evangelico non glielo dice. Quello che bisogna mettere in risalto, perché è importante, è il fatto che le folle, oltre a venire dalle città, erano andate a piedi. Quest'elemento dimostra l’interessamento che c’era nei confronti di Gesù, anche se non si può parlare di gente che segue Gesù per fede. Il fatto poi che tra la folla vi erano degli infermi, anche se non è precisato che tipo d'infermità si trattasse, tutto questo ci porta a valutare maggiormente l’interessamento di queste persone per Gesù.

Il vedere di Gesù e gli infermi che vennero sanati

Anche se Gesù era diretto a ritirarsi «in disparte in un luogo deserto», non fu possibile però per lui di attivare il suo piano, vedendo quella gran folla. Davanti al bisogno reale delle persone, Gesù non rimase indifferente, e quindi non pensò al suo ritiro per riprendersi dallo choc avuto per la morte di Giovanni Battista, ma manifestò quali erano le sue reali tendenze verso gli afflitti e i sofferenti. Guarendo gli ammalati in quel giorno, Gesù, riaccese in loro la speranza per la vita.

I discepoli suggeriscono a Gesù di mandare tutti a casa

La logica umana, tante volte, per non dire sempre, acceca la mente e il cuore dell’uomo e non gli fa vedere nessun barlume di luce. Spessissimo, l’accorgimento e l’accortezza dell’uomo, rappresentano dei seri ostacoli alla fede, e la potenza del Signore viene limitata o impedita. Non solo questo, ma spesse volte si trasforma in una marcata manifestazione di egoismo, diventando così insensibile ad ogni reale necessità.

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Domenico34
00domenica 4 marzo 2012 00:32
Gesù ordina ai suoi discepoli di dare da mangiare alle folle

Tra lo stupore (e forse anche un marcato senso d'incomprensione), i discepoli dicono a Gesù di non avere i mezzi sufficienti per venire incontro al gran bisogno della folla. Però, in questa disperata situazione, sanno affermare che hanno una piccolissima scorta di vivere, di cinque pani e due pesci. Al che Gesù, risponde: «Portatemeli qua». Quando le nostre pochezze vengono portate al Maestro divino, Egli usa il poco per farlo diventare assai.

Le folle sedute sull’erba

Dato il numero piuttosto rilevante, – cinquemila uomini oltre le donne e i bambini – era necessario che in quella gran folla ci fosse ordine e meno confusione possibile, in modo che il lavoro di distribuzione del cibo, non fosse impedito ma facilitato.

Gesù benedisse i pani e li spezzò

In quest'azione di Gesù, anche se diversi hanno visto un’allusione al sacramento dell’eucaristia, sia nei tempi antichi come in quelli moderni, non c’è niente nel testo, visto soprattutto da un punto di vista obbiettivo, che possa autorizzare una simile interpretazione.

I discepoli incaricati di distribuire il cibo alla folla

Il discepolo, non è soltanto chi segue il Maestro dal punto di vista spirituale, nell’ubbidienza alla Parola di Dio e di Cristo Gesù, ma anche chi viene coinvolto attivamente in quelle opere che si definiscono «attività sociali», perché hanno a che fare con le cose che riguardano il corpo, la vita fisica. Amministrare il cibo a persone che ne hanno di bisogno, non offusca e non degrada la dignità e la missione di discepolo del Cristo.

Gli avanzi raccolti

Tutto ciò che opera la provvidenza, anche se si tratta di cibo materiale, non solo non deve essere considerato di nessun'importanza, ma neanche deve essere gettato in un mondezzaio, come un comune rifiuto.

Se al termine del capitolo 1 ci sono domande da fare, fatele e risponderemo con premura


Capitolo 2




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL RESOCONTO DI MARCO




1. Il testo

Ora gli apostoli si radunarono intorno a Gesù, e gli riferirono tutto quello che avevano fatto ed insegnato. Ed egli disse loro: venite in disparte in un luogo solitario e riposatevi un po’. Poiché era tanta la gente che andava e veniva, che essi non avevano neppure il tempo di mangiare. Partirono quindi in barca verso un luogo solitario e appartato. La folla però li vide partire, e molti lo riconobbero; e da tutte le città accorsero là a piedi ed arrivarono prima di loro; e si strinsero intorno a lui. E Gesù, sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore; e prese ad insegnare loro molte cose. Ed essendo già tardi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi. Licenzia questa gente perché se ne vada nelle campagne e nei villaggi all’intorno a comprarsi del pane, perché non ha nulla da mangiare. Ma egli, rispondendo, disse loro: date voi a loro da mangiare. Ed essi gli dissero: dobbiamo andare noi a comprare del pane per duecento denari e dare loro da mangiare? Ed egli disse loro: quanti pani avete? Andate a vedere. Ed essi, accertatesi, dissero: cinque pani e due pesci. Allora egli ordinò loro di farli accomodare tutti, per gruppi, sull’erba verde. Così essi si sedettero in gruppi di cento e di cinquanta. Poi egli prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; quindi spezzò i pani e li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero loro; e divise pure i due pesci fra tutti. Mangiarono tutti a sazietà. E raccolsero dodici ceste piene di pezzi di pane e di resti dei pesci. Or coloro che avevano mangiato di quei pani erano cinquemila uomini (Marco 6:30–44).

2. Preambolo

Gli apostoli riferirono a Gesù tutto quello che avevano fatto ed insegnato. Questo naturalmente, riguardante la loro attività missionaria che da poco si era conclusa (cfr. 6:7–13), e non c’è nessun dubbio. Gesù, sentendo quel rapporto, manifesta loro tutto il suo apprezzamento e la sua soddisfazione per tutto quello che i suoi discepoli hanno fatto ed insegnato, e, senza perdere tempo, non esita a concedere loro un periodo di riposo, in un luogo solitario, visto che la gente, così numerosa che va e viene, non dà loro neanche il tempo di mangiare.

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Domenico34
00lunedì 5 marzo 2012 01:32
Questo particolare che Marco menziona, merita di essere considerato, soprattutto per i suoi riflessi nella vita pratica. Gesù come vero uomo, sa capire la stanchezza fisica dei suoi discepoli e si dimostra nello stesso tempo, molto sensibile nei loro confronti, considerando le molte energie che hanno speso per portare a termine la loro missione. Anche se di Gesù non si parla mai che si sia preso un tempo di riposo, nondimeno egli lo concesse ai suoi, per insegnarci che Lui non è insensibile alla stanchezza umana. Se Gesù avesse mandato solo i suoi discepoli a riposarsi, non avrebbe fatto certo niente di male; però, invece di mandarli soli, preferì di andare assieme a loro, per insegnarci che anche in tempo di riposo, Egli vuole rimanere vicino a noi.

I servi del Signore, cioè chi è impegnato nel ministero, nell’esercizio della loro missione, vanno incontro a tante fatiche: di giorno e di notte. Sia che si tratti di predicare la Parola di Dio, o di correre al capezzale di un sofferente di un moribondo, o per altri motivi, sempre inerenti alla loro missione, essendo uomini, essi sono soggetti alla stanchezza fisica. Un tempo di riposo, farà bene sia al corpo che allo spirito.

3. UNA MOLTITUDINE DI GENTE CHE SI' MUOVE


La folla però li vide partire, e molti lo riconobbero; e da tutte le città accorsero là a piedi ed arrivarono prima di loro; e si strinsero intorno a lui.

La partenza di Gesù con i suoi discepoli non fu un atto nascosto e tanto meno inosservato. Gesù non era un personaggio comune per sfuggire all’attenzione del popolo. Infatti, quello che compiva, attraverso la manifestazione della Sua potenza e della Sua bontà, era tanto importante e anche tanto evidente da lasciare le più profonde tracce nella vita e nella coscienza degli uomini.

Le parole: La folla li vide partire, ci parla appunto di questo fatto. Gesù non faceva degli annunci preventivi quando aveva in programma uno spostamento; Egli si spostava secondo il bisogno che vedeva e le circostanze che si determinavano. Fare un annuncio di uno spostamento, non significa solamente rendere nota la decisione di una persona, significa anche fare della pubblicità.

Gesù non era venuto nel mondo per farsi pubblicità e tanto meno per andare in cerca di applausi e consensi umani. Quello che faceva, era più che sufficiente per destare l’attenzione degli astanti. Spesso si dà importanza allo strumento anziché a chi usa l'arnese e si costruiscono intorno all’uomo tutte quelle impalcature per metterlo in risalto e accrescerne la sua gloria. Lo scopo di tutta la narrazione evangelica, non è basata tanto sugli aspetti umani, quanto nel presentare con chiarezza la persona e l’opera di Gesù, il Figlio di Dio. È su di lui che gli scrittori sacri concentrano la loro massima attenzione, ed è Lui che additano com'esempio e modello da imitare. In questa moltitudine che si muove, cui fa chiaro riferimento Marco, si può notare quanto segue:

La decisione della folla

È molto importante considerare alcuni elementi che determinarono la decisione di quella folla, perché da loro possiamo valutare la portata di quel l'atto.

1) Quella folla, con ogni probabilità, in precedenza, aveva fatto qualche esperienza che, in certo qual senso agiva come stimolante nella loro vita. L’esperienza che si fa nella vita cristiana, non è solamente lodevole dal punto di vista di “un passato”, da collocarsi in un “mi ricordo che di un giorno”; essa serve principalmente a spronarci in avanti alla ricerca di altre esperienze, allorquando si determinano nuove situazioni.

2) In conseguenza di questa nuova situazione venutasi a creare tra quella folla, probabilmente, in lei, si sarà manifestato un senso d'inquietitudine. La presenza di Gesù tra loro, portava benessere e tranquillità, mentre la sua assenza produceva un vuoto. Quando una persona è inquieta, manifesta con atti esterni, che qualcosa manca o ha perduto; e fino a quando non si riacquista quella cosa, la sua inquietitudine non lo lascerà in pace. Lo stato d’animo di un uomo di Dio, è chiaramente descritto nel (Salmo 42:2,5) e vale la pena considerarlo.

L’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente, Quando verrò e comparirò davanti a DIO? Perché ti abbatti, anima mia, perché gemi dentro di me? Spera in DIO, perché io lo celebrerò ancora per la liberazione della sua presenza.

Solo Gesù può calmare l’inquietitudine di un’anima che, conscia della propria colpevolezza e miseria, va in cerca della pace, della serenità e della gioia.

3) Gesù fu con noi per un po’ di tempo, (avranno detto quelle persone); abbiamo sentito la Sua Parola, abbiamo visto la Sua potenza operare verso i malati e i bisognosi; ecco, ora se ne è andato in un altro luogo. Egli, probabilmente ritornerà tra noi, e ci si ripresenterà la possibilità di rivederlo ancora. Gesù non ci ha però detto niente della sua partenza e tanto meno del suo ritorno. Se quello che noi pensiamo, circa un suo eventuale ritorno non si dovesse verificare, avremo noi un’altra opportunità di rivedere Chi tanto abbiamo apprezzato ed ammirato? È meglio per noi, quindi, dato che non conosciamo quello che sarà il domani, di andare nel nuovo luogo dove Lui è andato.

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Domenico34
00martedì 6 marzo 2012 00:07
4) Noi siamo bisognosi, sia dal punto di vista morale che materiale. Ci ricordiamo le parole sentite con le nostre orecchie, quando Gesù diceva:
Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò risposo (Matteo 11:28).

Gesù, quindi, vuole essere cercato da coloro che l’hanno conosciuto; siamo noi che dobbiamo andare a Lui, e non solamente Lui a noi. Tutte queste considerazioni che abbiamo cercato di intuire nell’animo di quella folla, avranno fatto leva nei loro sentimenti spingendoli così a dirigersi verso il luogo dove si era diretto Gesù con i suoi discepoli.

Tutte le grandi o piccole realizzazioni dell’uomo, sono state sempre e sempre saranno, il risultato di una determinazione e di una precisa decisione. Non c’è arrivo senza partenza; non c’è premio senza eroismo e non c’è vittoria senza lotta. Una buona decisione presa per il Signore, servirà a cambiare il corso del futuro di una vita umana. Quante persone, trovandosi in un bivio, non sanno decidersi se andare a destra o a sinistra! È meraviglioso imparare la lezione che ci fornisce questa folla che, allorquando si rende conto che Gesù non era più con loro, si levarono ed andarono verso la nuova località dove Egli si era diretto.

La meta ben precisa della folla


Accorsero là, precisa il nostro testo, cioè nel luogo preciso dove si era trasferito Gesù. È importante notare come questa folla non perse tempo nel girovagare a destra e a sinistra. Il tempo nel quale viviamo, dicono gli uomini d’affari, è denaro; non possiamo permetterci di andare qui e là, senza una meta ben precisa, se non vogliamo andare incontro a dei rischi. Noi, invece, diciamo: “Il tempo che Dio ci dà, è per il nostro bene, non tanto per le cose materiali, quanto per quelle spirituali. Dio stesso, nella Sua gran bontà e misericordia, ci procura, tramite gli svariati mezzi della Sua grazia, le opportunità per la nostra vita presente e futura. Non si può parlare di un futuro felice e radioso, se non si vive al presente, in armonia col piano e con la volontà di Dio. In altre parole: non si può parlare della gloria dell’eternità, se al presente non si accettano le premesse e le condizioni per la vita d’oltretomba.

Se mentre viviamo su questa terra non sappiamo fare buon uso del tempo che Dio ci dà, non potremo certamente aspettarci un futuro luminoso. È proprio durante questa vita che l’orologio di Dio misura il nostro tempo, per vedere come viene speso. La folla, di cui il nostro racconto evangelico, non si smarrì lungo il cammino; non deviò, imboccando sentieri incerti, ma si accorse là, dove si trovava Gesù.

È da elogiare, ed anche da imitare, l’atteggiamento di quella folla. Il loro andare può essere messo con ragione davanti agli uomini di oggi, per dir loro: voi vivete in mezzo ad un mondo pieno di confusione, religioni a destra e a sinistra; pubblicità per questa e quell’altra cosa. Non lasciatevi influenzare dalla morale di Tizio e di Caio; non lasciatevi trasportare da questo o da quel altro; non lasciatevi ingannare da chi si presenta come la giusta direzione da seguire. Non ci sono molte vie che conducono a Dio; la strada per la quale camminò Gesù, è tinta di sangue; se non vedete questo segno, fin dall’inizio, fermatevi e cercate quell’insegna che ha questo scritto:
Io sono la Via, la Verità e la Vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me (Giovanni 14: 6).

Una volta imboccata questa direzione, non vi fermate; continuate a camminare fino a quando arriverete là dove c’è Gesù.

Il sacrificio della folla

...Da tutte le città accorsero là a piedi. Questa frase ci parla appunto di un sacrificio che affrontò quella folla. Non fu una cosa lieve per quella gente spostarsi da un posto e dirigersi verso un altro, senza mezzi di trasporto. In quel tempo, non c’erano i mezzi di trasporto come oggi. Coprire una certa distanza a piedi, – anche se non si tratta di centinaia di chilometri rappresentava una prova per la volontà e per la determinazione.

Non dobbiamo dimenticare che quella moltitudine era composta di uomini, di donne e di bambini. Per un uomo, coprire una certa distanza a piedi, non è un eccessivo problema; ma per una donna, specie quando è madre ed ha con sé piccoli bambini, è una vera prova di resistenza. Le tante madri, che con ogni probabilità si trovavano tra quella folla, non avranno lasciato i loro figli in casa, in custodia di qualcuno; facilmente li condussero e li portarono con loro. È una doppia responsabilità quella delle madri: una che riguarda la loro vita e l’altra che concerne quella dei propri figli.

La via per la quale si giunge a Gesù, non è sempre costellata di fiori e rose; si incontrano spesso spine che, entrando nella nostra carne, oltre ad insanguinarla, ci fanno sentire dolore. Per un’anima che ha preso la decisione di andare a Gesù, c’è anche la determinazione di affrontare e sopportare quel sacrificio riguardante la propria scelta. Tutto diventa leggero e sopportabile quando c’è una ferma volontà di proseguire; ma quando questa viene meno, anche le cose piccole diventano grandi e le grandi insopportabili.

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Domenico34
00mercoledì 7 marzo 2012 00:06
Il discernimento della moltitudine

Per concludere l’esame del verso 33, notiamo infine che la moltitudine, una volta arrivata, si strinse intorno a lui.

Questa frase ci parla chiaramente del discernimento di quella folla. La grande folla non si era spostata dalla casa per andare in cerca di Giovanni, di Pietro, o di qualche altro apostolo; la loro decisione fu mossa dal desiderio di trovarsi con Gesù. Trovare i discepoli assieme a Gesù, non sempre significa che trovando l’uno si trovi anche l’altro. È vero che Gesù di solito si trova quasi sempre con i suoi discepoli, ad eccezione di qualche caso (cfr. Giovanni 4:7-27).

Questa eccezione che non è una regola, si può anche verificare ai nostri giorni in cui viviamo. Pertanto, può accadere che trovando i discepoli non si trovi Gesù. A prima vista, questa affermazione potrebbe sembrare eccessiva per non dire paradossale. Non sempre le cose imparate da un punto di vista teorico, trovano il loro riscontro nella vita pratica.

Si dice (e la storia evangelica sembra confermare) che tra Gesù e uno dei suoi discepoli di nome Giovanni, ci fosse una somiglianza di fisionomia tale da confondere chiunque (cfr. Matteo 26:48). È molto facile, quindi, che un discepolo di Gesù (si noti bene di Gesù), possa essere scambiato con Lui. Anche se il discepolo ha la tendenza di assomigliare al Maestro, però, rimane fermo il fatto che tra l’uno e l’atro c’è una notevole differenza. Mai si è verificato, e mai crediamo si verificherà, che il discepolo prenda il posto di Gesù e Gesù quello del discepolo. Questo tipo di ragionamento non rappresenta un gioco di parole, è una precisazione tendente a mettere in risalto una verità basilare, secondo la quale l’uomo deve raccogliersi presso Gesù, anche se vicino a Lui, si possono trovare i suoi discepoli.

Quante volte, non avendo il dovuto discernimento, confondiamo il divino con l’umano e scegliamo l’uomo anziché il soprannaturale! Dobbiamo stare attenti a non cadere in quest'errore, per non trovarci delusi alla fine, privi di quello che vorremo.

Riepilogando, possiamo dire: la gran folla, del testo evangelico, seppe fare una ferma decisione; ebbe una meta ben precisa; affrontò dei sacrifici non lievi ed infine ebbe il discernimento, una volta arrivata, di stringersi intorno a lui, cioè a Gesù.

4. GESÙÙ VIDE UNA GRANDE FOLLA

E Gesù, sbarcato, vide una gran folla e ne ebbe compassione, perché erano come pecore senza pastore; e prese ad insegnare loro molte cose.

Lo scopo dello spostamento di Gesù, fu per dare “un po’ di riposo ai suoi discepoli”, i quali, a causa della moltitudine che andava e veniva, non avevano neppure il tempo di mangiare. Perciò Gesù pensò di ritirarsi con loro in un luogo solitario. Sebbene fosse questa la sua intenzione iniziale, non ebbe però il risultato sperato, a motivo della moltitudine che li raggiunse presto. Sia Matteo che Marco sono concordi nel affermarci che Gesù, una volta sbarcato, vide una gran folla. Indubbiamente questo vedere di Gesù, ha un particolare significato, per il fatto che non sono i suoi discepoli a vedere quelle persone anche se con gli occhi fisici li videro anche loro, ma Gesù, il Figlio di Dio. Di conseguenza, dato che il vedere di Gesù, fu diverso, dal comune vedere degli altri, è interessante esaminare quest'aspetto del percepire, così come ce lo presenta l’evangelista Marco.

Presso i greci, si attribuiva maggiore importanza al “vedere” rispetto a quello che sì “udiva”. Non per niente questo popolo, in maniera particolare fu chiamato: “Un popolo dell’occhio”.

«Gli Elleni avevano in sommo grado il dono della vista, della contemplazione. Erano un popolo dell’occhio, molto dotati per le visioni più disparate ai più diversi livelli spirituali».
La lingua greca ha una serie di verbi per descrivere il senso della vista. Essi, non sono certamente soltanto sinonimi puri e semplici, ma indicano varie forme del vedere o ne mettono in rilievo aspetti particolari. Lasciando da parte l’esame semantico di questi vari verbi greci contenuti nel N.T., ci limitiamo a mettere in risalto quanto segue.

Prendiamo com'esempio il capitolo 20 del vangelo di Giovanni,
1) «Vedere, nel senso casuale del termine; vista fisica, sguardo casuale, osservazione di ciò che può apparire in un primo momento».

Questo è il senso che viene dato al termine greco blepo. Questo verbo è riportato in Giovanni 20:5, con tale significato. In questa parte della narrazione evangelica, si parla di due discepoli di Gesù, uno dei quali fu Pietro, i quali, correndo assieme, arrivarono al sepolcro di Gesù.

Ma l’altro discepolo corse avanti più in fretta di Pietro e arrivò primo al sepolcro. E, chinatosi, vide Blepei i panni di lino che giacevano nel sepolcro, ma non vi entrò.

2) Quando Pietro arrivò, egli
entrò nel sepolcro e vide i panni di lino che giacevano per terra, e il sudario, che era stato posto sul capo di Gesù; esso non giaceva con i panni, ma era ripiegato in un luogo a parte (Giovanni 20:6,7).


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Domenico34
00giovedì 8 marzo 2012 00:08
Il termine greco per descrivere il vedere di Pietro è theōrei, che significa: «Chi sta attento allo spettacolo; stare a guardare, andare a vedere qualcosa, guardare, contemplare, considerare, esaminare» (tutti in senso mentale).

3) Infine, dopo che Pietro fece la constatazione che il sudario non era assieme con i panni di lino, viene detto dell’altro discepolo:
Allora entrò anche l’altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, vide e credette (Giovanni 20:8).

La forma verbale usata in questo verso è eiden, che a differenza di Blepo e Theōreo, ha il significato di: «Riconoscere = vedere da lontano, discernere–scorgere = distinguere accettare per vero».

Il verbo usato per descrivere il vedere di Gesù, secondo Marco 6:34 è appunto eido. Il vedere di Gesù, quindi, non fu nel senso casuale del termine, e neanche sotto il profilo intellettuale di chi avrebbe guardato uno spettacolo, ma nel significato di riconoscere, di scorgere. Ovviamente, il vedere di Gesù, non mirava la parte fisica dell’uomo, bensì quell'intima, la spirituale. Fu in conseguenza di questo particolare vedere di Gesù, che quella gran folla venne vista come pecore senza pastore.

Gli uomini sanno vedere le cose, solamente dal punto di vista umano, vale a dire, vedono quelle essenze che si presentano in superficie; non possono vedere, con le loro facoltà, il bisogno di un cuore e lo stato d’animo di un peccatore. Solo Gesù sa e può vedere il lato interiore dell’essere umano, mettendone in luce le varie caratteristiche e nello stesso tempo provvederne il rimedio, per sanare un cuore ammalato e sollevare un’anima abbattuta ed affranta.

La frase: Pecore senza pastore, ci porta a considerare i seguenti punti:

Mancanza di guida


Quella grande folla davanti a Gesù, appariva come un gregge senza pastore. Il pastore è una guida per il grege, e quando questa viene a mancare, il bestiame può smarrirsi ed andare alla deriva. Questo pensiero viene maggiormente lumeggiato, quando pensiamo al Salmo 23. In questo Salmo troviamo la seguente espressione:

Egli mi fa giacere in pascoli di tenera erba, mi guida lungo acque riposanti. Egli mi ristora l’anima, mi conduce per sentieri di giustizia, per amore del suo nome (Salmo 23:2,3).

Per Davide, che era anche un pastore, era gioioso sapere che sopra di lui stesso, c’era uno che lo guidava alle acque riposanti. Non è solamente una pura e semplice composizione poetica, se in questo Salmo viene fatto riferimento all’acqua riposante. Questa frase, in termini espliciti, ci fa vedere il discernimento che ha il pastore. Il pastore non è solamente guida per il gregge, ma è anche chi sa interpretarne i vari bisogni. Il pastore conosce l’esistenza delle acque infette e torbide, e, non lascia alla mercé della pecora di dirigersi verso là.

Egli stesso sceglie l’acqua per dissetare il suo gregge. La pecora non ha il discernimento per conoscere l’acqua sana e pulita e lasciare quella torbida e avvelenata. Oh! Quante persone, ai nostri giorni, si dissetano alle acque avvelenate di questo mondo, senza badare alle future conseguenze! In verità però, la persona che beve alle acque avvelenate della pornografia, non appaga la sua sete, anche se da un punto di vista sessuale soddisfa la sua carne, ma rovina la vita per il tempo e per l’eternità.

È solo Gesù, il pastore divino che sa interpretare il reale bisogno di un’anima, perciò la guida verso le acque riposanti della Sua Parola e per i sentieri di giustizia. Il fatto che il Salmo 23 accenni anche ai sentieri di giustizia, ci permette ulteriormente di approfondire il senso della cura che ha il pastore verso la pecora. La pecora non solo manca di discernimento, difetta anche di orientamento. Se una pecora non fosse guidata e fosse lasciata sola in un deserto, sicuramente si perderebbe e non saprebbe indovinare il sentiero giusto per ritornare all’ovile. Ebbene, quella moltitudine, cui il testo evangelico faceva riferimento, fu vista da Gesù, come pecore senza pastore, per il fatto che non avevano una guida che le dirigesse nel sentiero del bene, della volontà di Dio.

L’uomo di questo mondo, che vive al di fuori della salvezza in Cristo, si può paragonare ad uno che viva in un deserto e che facilmente potrebbe smarrirsi nei sentieri tortuosi della vita.

Mancanza di difesa

Il pastore, non è solamente per un gregge la guida, è anche protezione e difesa. La pecora per se stessa, è un animale che non sa difendersi quando viene aggredita; cede facilmente e diventa preda dall’assalitore. È sempre il pastore che supplisce alla mancanza di autodifesa della pecora. È meraviglioso meditare le parole di Gesù, riportate da Giovanni:

Io sono il buon pastore; il buon mandriano depone la sua vita per le pecore (Giovanni 10:11).

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Domenico34
00venerdì 9 marzo 2012 00:11
Notate che il pastore sacrifica la sua vita per il suo gregge; non fa lo stesso per quelli che non gli appartengono (v. 12). Anche Davide, con l’azione descritta in 1 Samuele 17:34,35, dice la stessa cosa. Se egli liberò la pecora dalla bocca del leone e dell’orso, e mise in pericolo la sua vita, lo fece perché quella pecora era di proprietà di suo padre; era quindi qualcosa che gli apparteneva, di conseguenza non poteva rimanere indifferente e passivo.

Mancanza di aiuto


Il pastore è guida per il gregge, difesa, protezione e aiuto. La pecora ha bisogno di essere guidata al pascolo e alle acque; ha necessità di essere protetta e liberata quando viene assalita dalle belve, ed ha anche bisogno di essere aiutata quando cade.

Quest’ultimo pensiero, può essere maggiormente sviluppato quando pensiamo alla parabola della pecora smarrita, narrata da Luca, al capitolo 15 del suo evangelo. In quella parabola si parla della caduta e dello smarrimento di una pecora, e, nello stesso tempo si mette in risalto l’impossibilità che la pecora ha di risollevarsi.

Vediamo lo zelo e lo slancio del pastore che lasciando le novantanove nel deserto, va in cerca dell’unica che si era smarrita, non curandosi delle difficoltà che incontrerà, dei sacrifici che dovrà affrontare, per riportare all’ovile, quella sola persona che non si trovava più assieme alle altre.

Il lavoro che attende il pastore non è facile e lieve, è piuttosto pieno di rischi e pericoli. Ma per l’amore che porta verso quella pecora smarrita, è disposto a tutto. La sua ricerca non è sommaria e superficiale; è minuziosa e piena. Non si ferma alle prime battute, non si avvilisce davanti all’intemperie, non si stanca col passare del tempo; la sua meta è una: trovare a qualsiasi costo la smarrita. Egli interpreta la situazione nella quale può trovarsi la sua pecora, a causa del suo smarrimento, pensa, con cuore palpitante, alle sofferenze che sta subendo, immagina il posto dove potrebbe trovarsi incastrata, tra le spaccature di una rupe, e, pensando all’impossibilità di liberarsi da sola, di più si accende nel suo cuore l’amore e lo zelo per ritrovare e salvare la sua pecora, prima che questa muoia.

Finalmente, dopo un estenuante lavoro di minuziosa ricerca, riesce a scorgere la sua pecora, tra le fessure di una roccia. A prima vista gli sembra che sia morta, ma poi scorge che ancora ha fiato; è solamente sfinita, stanca ed abbattuta in se stessa. Egli la prende con estrema cura e tenerezza, come se le speranze di sopravvivenza dipendessero dalle sue gesta. La tira fuori di quella fessura e la porta in un luogo sicuro. Ben presto il pastore si accorge che la pecora non ha neanche la forza di reggersi in piedi; non si avvilisce, non si scoraggia, non pensa alla sua stanchezza, bensì a quella della sua pecora, e con un atto pronto e risoluto, si china verso la sua bestiola, la carica sulle spalle e la porta sana e salva all’ovile.

Qui c’è la descrizione minuziosa di tutta la storia della redenzione; dell’opera che Gesù, il Figlio di Dio, venne a compiere in favore delle anime perdute. Luca, dice, che Gesù venne per cercare e per salvare ciò che era perduto (Luca 19:10).

Ritornando alla prima parte di Marco 6: 34, leggiamo che Gesù si mosse a compassione verso quella grande folla, perché erano come pecore senza pastore. La compassione di Gesù, deve essere inquadrata in relazione a quello che egli vide. Gesù non è come un qualsiasi uomo che davanti a una situazione pietosa, rimane indifferente; egli ha un cuore troppo tenero; ha una sensibilità straordinaria per comprendere lo stato d’animo di un peccatore ed infine ha un amore smisurato per aiutare e salvare il bisognoso.

La sua compassione quindi, non è una pura e semplice commiserazione, mirante la parte fisica dell’uomo; non si limita ad un solo pronto intervento, non usa discriminazione di razza e di ceto, non è fermato da circostanze e situazioni particolari; egli va in fondo nella Sua azione, raggiunge l’anima, la parte intima dell’essere umano. È proprio in quella parte dell’uomo che Egli, quale pastore divino, vuole guidare verso le acque riposanti, verso i paschi di erba tenera, verso sentieri di giustizia e di dirittura. Egli vuole proteggere la vita del peccatore, da ogni assalto nemico, per liberarlo da ogni difficile situazione, ed infine, Gesù vuole essere il nostro aiuto, per liberarci dalla nostra stanchezza e sollevarci nelle nostre cadute, in modo che possiamo godere la gioia di una vita guidata, protetta ed aiutata dalla Sua mano divina.

5. GESÙ INSEGNÒ MOLTE COSE

...E prese ad insegnare loro molte cose. Avendo considerato il vedere di Gesù e la sua compassione, ora consideriamo l’insegnamento che diede a quella folla. In questa parte della descrizione evangelica, ci piace la frase di Marco a questo riguardo, soprattutto quando teniamo presente l’importanza e il valore dell’insegnamento, visto soprattutto nel contesto biblico, e non solamente dal lato linguistico. Certo, non possiamo ignorare questo.

L’inguisticamente parlando, il verbo, greco didasko significa: Istruire, ammaestrare, addestrare, educare, ecc.; mentre dal punto di vista biblico l’insegnamento è:

Una luce (Proverbi 6:23)
La vita (Proverbi 4:13).

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Domenico34
00sabato 10 marzo 2012 00:06
Da quello che dice Salomone, nei due summenzionati testi, appare chiaro il valore e l’importanza dell’insegnamento. L’insegnamento è una luce perché illumina la mente e il cuore per quanto riguarda la conoscenza della volontà di Dio, la comprensione della Sua Parola, e tutte quelle verità che riguardano l’insieme dottrinario del cristianesimo e l’etica cristiana, vista soprattutto dal punto di vista degli scritti neotestamentari.

L’insegnamento è vita, perché riguarda essenzialmente le relazioni di comunione che intercorrono tra Dio e l’uomo. In questa relazione di comunione è anche compresa quella parte che riguarda gli uomini tra loro.
È certissimo che Gesù nell’«insegnare molte cose» a quelle folle, anche se il testo evangelico non precisasse su quali punti si sia soffermato, non avrà trattato di materie scolastiche, come per esempio: la matematica, la fisica, l’astronomia e via di questo passo.

Egli non era venuto in questo mondo per compiere una simile attività; si occupava essenzialmente dell’insegnamento per quanto riguarda la conoscenza della volontà di Dio, il regno di Dio, e tutte quelle istruzioni inerenti all’amore di Dio e del prossimo, l’abbandono della propria vita nelle mani del Padre celeste, con la piena certezza e consapevolezza che egli prende cura di noi. Insegnare le persone intorno a queste cose, significa prepararli ad esperimentare nella loro vita la potenza di Dio, e tutte quelle manifestazioni della fedeltà e della bontà di Dio nei confronti dell’uomo bisognoso della sua grazia.

6. L’INTERVENTO DEI DISCEPOLI PRESSO IL MAESTRO


Ed essendo già tardi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e gli dissero: questo luogo è deserto, ed è già tardi. Licenzia questa gente perché se ne vada nelle campagne e nei villaggi all’intorno a comprarsi del pane, perché non ha nulla da mangiare (vv. 35,36).

L’orario tardi, il luogo deserto e il fatto che la gente non ha nulla da mangiare, spinge i discepoli ad intervenire presso il Maestro, affinché mandi a casa quella folla. Non bisogna giudicare i discepoli e classificarli come persone che non hanno fede.

Indubbiamente, la loro fede è ancora poca e non riescono ad intravedere che in quel luogo deserto, sinonimo d'impossibilità umane, può esserci una logica soluzione per la mancanza di cibo per quella folla. Quando le persone vengono meno nella loro fede e i discepoli di Gesù non sono esclusi si riesce a vedere e a metterne in evidenza solamente l’ora tardi e il luogo deserto. A questo punto non è la gran folla che deve imparare ad aver fede in Gesù; devono impararlo i suoi discepoli, perché sono loro che hanno manifestato quella seria preoccupazione.

Da un punto di vista umano, non si può sprezzare l’intervento dei discepoli presso il Maestro, senza negare l’obbiettività della loro osservazione. Nella loro logica, i discepoli avevano ragione; e, il loro suggerimento di licenziare la folla, era più che giustificato, quindi, bisognava accettarlo in pieno, senza ulteriori ritardi. Gesù però, a differenza dei suoi discepoli, che già intravedeva come quella gran folla sarebbe stata saziata, coglie il momento giusto per condurre i suoi allievi ad un livello di fede che ancora non avevano raggiunto, per dare loro la possibilità di vedere la potenza miracolosa di Gesù in azione.

La risposta fu: Date voi a loro da mangiare. Questa parola, che poi è un ordine, non deve essere interpretata come un netto rifiuto e neanche come un severo rimprovero, ma deve essere intesa come un'opportunità che Gesù concede ai suoi discepoli per elevarli al disopra della folla ed entrare in quella sfera d’azione ove la loro responsabilità appare nella sua giusta dimensione.

7. IL SENSO DELLA RISPOSTA DEI DISCEPOLI

Se Gesù non avesse detto loro: Date voi a loro da mangiare, difficilmente i discepoli si sarebbero espressi in quei termini.

...Dobbiamo andare noi a comprare del pane per duecento denari e dare loro da mangiare? (v. 37).

L’intervento dei discepoli presso il Maestro, prevedeva che la folla venisse licenziata e che ognuno fosse messo in condizione di andare per le campagne e per i villaggi a comprarsi da mangiare. Davanti alla precisa parola di Gesù, i discepoli non vedono altra scelta e non intravedono altra soluzione. Dal momento che la folla non viene licenziata e non va a comprarsi da mangiare, tocca a loro andare e comprare il pane. Notate come i discepoli, non comprendendo la parola di Gesù, invertono i termini. Gesù non aveva ordinato di andare a comprare il pane per dare da mangiare alla folla, aveva solamente detto: Date voi a loro da mangiare. Quando la parola del Maestro non viene compresa, e, soprattutto la mente e il cuore non vengono illuminati dalla fede, si fa presto a voler fare qualcosa che il Signore non ha detto.

Il fatto che i discepoli danno la risposta in forma interrogativa, denota in se stesso un certo senso di perplessità. Duecento denari, era una somma equivalente alla paga di 200 giornate lavorative di un operaio. Si vede subito che quella somma, per un piccolo numero, quali erano i discepoli, non avevano grandi entrate ammesso che avevano quella cifra, era una gran cifra.

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Domenico34
00domenica 11 marzo 2012 00:18
Con la sua domanda chiarificatrice, Quanti pani avete? Gesù si affretta a far capire ai suoi che non devono pensare in termini di andare a comprare il pane, ma devono pensare piuttosto a quello che essi hanno. Progettare di andare a comprare il pane anche se ci vogliono duecento denari, è molto più logico anziché pensare ad una piccolissima scorta di viveri di cinque pani e due pesci, per dare da mangiare ad una folla di cinquemila uomini. Quando l’uomo non sa vedere quello che Dio può fare col suo potere divino, egli non pensa di mettere il poco che ha a disposizione degli altri.

Indubbiamente, quei cinque pani e due pesci, oltre a costituire una piccolissima scorta di viveri per i discepoli, dal punto di vista umano, non c’è neanche da pensare di poterli mettere a disposizione di quelle persone che non hanno nulla, senza essere assillati dalla preoccupazione per il futuro. Ma è proprio qui che bisogna mettere in pratica il principio divino: Stimando gli altri più di se stesso (Filippesi 2:3). Quando il discepolo impara a mettere in pratica il principio divino, questo equivale a permette a Dio di usare il poco per il bene degli altri.

8. L’ORDINE DI GESÙ


Allora egli ordinò loro di farli accomodare tutti, per gruppi, sull’erba verde. Così essi si sedettero in gruppi di cento e di cinquanta (vv. 39,40).

La menzione dell’«erba verde», ci aiuta meglio a capire che il termine «deserto» non deve essere inteso come un luogo arido, privo di qualsiasi forma di vita, ma come un posto che non è un centro abitato. Se non ci fosse la specificazione che l’erba era verde, si potrebbe pensare all’erba secca, e ciò comporterebbe lo spostamento dalla primavera all’estate.

Il fatto poi che la folla si sedette sell’erba verde in gruppi di cento e di cinquanta anche se non appare chiaro che sia stato Gesù a ordinare questa disposizione, ciò avrebbe certamente facilitato il lavoro di distribuzione che sarebbe seguito nel giro di poco tempo, senza ammettervi quel simbolismo, che vedeva Ambrogio.

«C’è differenza tra i racconti non soltanto circa il tipo e il numero dei pani, ma anche sul posto e sul modo in cui siedono le persone. Quelli sono seduti sull’erba, questi per terra: i cinquemila sull’erba, i quattromila per terra. Appoggiarsi per terra è più che giacere sull’erba: quelli infatti i cui sensi sono ancora carnali amano le mollezze e per questo si siedono sull’erba infatti “ogni carne è come erba” (Isaia 40:6); quanto agli altri, è sulla terra, produttrice del grano, del vino e dell’olio, che ottengono l’alimento della grazia. I primi sono seduti, gli altri distesi infatti è maggiore il riposo di chi sta disteso. Là ci sono due pesci, qui non ne è specificato il numero» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di S. Luca, I, pag. 328].

Dopo di avere
prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse; quindi spezzò i pani... (v. 41),

Marco precisa che anche i pesci vennero divisi fra tutti e che, i discepoli raccolsero anche i resti dei pesci (v. 43). Questi particolari servono essenzialmente a mettere in evidenza l’azione miracolosa di Gesù. I resti di pane e di pesce, dopo che quei di cinquemila uomini, mangiarono tutti a sazietà, sono segni inconfondibili di testimonianza della potenza e della grandezza di Gesù.

Se al termine del capitolo 2 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura


Capitolo 3




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL RESOCONTO DI LUCA




1. IL TESTO

Quando gli apostoli ritornarono, raccontarono a Gesù le cose che avevano fatto. Allora egli li prese con sé e si ritirò in disparte in un luogo deserto di una città, detta Betsaida. Ma quando le folle lo vennero a sapere, lo seguirono; ed egli le accolse e parlava loro del regno di Dio, e guariva chi aveva bisogno di guarigione. Or il giorno cominciava a declinare; e i dodici, accostatisi, gli dissero: congeda la folla, perché se ne vada per i villaggi e per le campagne d’intorno a trovare alloggio e nutrimento, perché qui siamo in un luogo deserto. Ma egli disse loro: date voi a loro da mangiare. Essi risposero: noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci, eccetto che andiamo noi stessi a comprare dei viveri per tutta questa gente. Erano, infatti, circa cinquemila uomini. Ma egli disse ai suoi discepoli: fateli accomodare a gruppi di cinquanta. Essi fecero così e fecero accomodare tutti. Egli allora prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero alla folla. E tutti mangiarono e furono saziati; e dei pezzi avanzati ne raccolsero dodici ceste (Luca 9:10–17).

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Domenico34
00lunedì 12 marzo 2012 00:30
2. Preambolo

Da quello che Luca ha scritto, sappiamo che la località nella quale Gesù si ritirò in disparte con i suoi discepoli–apostoli, fu Betsaida. Non è improbabile quello che suppone H. Schürmann, cioè «Luca pensa che Gesù sia ancora sconosciuto colà, e che possa trovarvi tranquillità» [Cfr. H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, pag. 805]. È del tutto incerto, invece quello che dice R. Pache, cioè che Gesù «si recò in un luogo solitario, ad oriente del lago, a 3 Km circa dalla riva» [Cfr. R. Pache, Nuovo Dizionario Biblico, pag. 128].

Da quello che precisa Luca: Ma quando le folle lo vennero a sapere, lo seguirono; ed egli le accolse, ci sembra che Gesù con i suoi discepoli arrivi prima della moltitudine. Il particolare che Luca menziona intorno all’accoglienza delle folle, merita di essere considerato, non solamente perché si trova solo in quest'evangelo, ma soprattutto per l’importanza che riveste nel contesto di questa particolare circostanza. La stessa cosa dicasi per i riferimenti al “regno di Dio” e a “chi aveva bisogno di guarigione”. Questi tre elementi della narrazione di Luca, vale a dire:

L’accoglienza delle folle;
parlava loro del regno di Dio;
guariva chi aveva bisogno di guarigione,

li tratteremo separatamente, per meglio capire e valutare quello che Gesù fece e disse in quel giorno]. Luca ignora la presenza dell’erba, e menziona solamente che la folla si accomodò in gruppi di cinquanta. Anche per Luca si tratta di una folla di circa cinquemila uomini.

3. GESÙ ACCOGLIE LE FOLLE

Il particolare relativo dell’accoglienza di quella gran folla, non deve essere né ignorato né sottovalutato, per il fatto che ci permette, non solo di arricchire l’insieme del racconto evangelico, ma nello stesso tempo ci permette pure di approfondire il pensiero sul valore e sull’importanza di quest'accoglienza, soprattutto a proposito di quella particolare circostanza.

Davanti a questa manifestazione di simpatia, il gesto di Gesù ci spinge a formulare la seguente domanda: come accolse Gesù la gran folla? Conoscerne la maniera, equivale a scoprire il suo stesso cuore. Non solamente dobbiamo approfondire l’esame del nostro testo per conoscere il pensiero di Gesù, ma dobbiamo soprattutto imparare ad imitarlo nel corso della nostra vita, per ciò che riguarda le relazioni che intercorrono tra noi e gli altri, nell'andamento dell'esistenza di ogni giorno. Gesù deve essere il nostro modello, lo specchio ove rispecchiarsi e da cui trarre in atti pratici la nostra conoscenza di lui.

Senza nessuna parzialità

L’imparzialità, elemento che abbiamo messo al primo punto, è tanto importante da meritare un approfondito esame. L’imparzialità non fa nessuna distinzione, non discrimina gli uomini, catalogandoli per ceti e posizioni sociali, ma tratta tutti alla stessa stregua, senza nessun riguardo personale.

Luca precisa, come fanno del resto tutti gli altri evangelisti che quella folla era di circa cinquemila persone. Se poi si fa riferimento a Matteo che aggiunge le donne e i bambini, non è difficile pensare (come qualcuno ha suggerito) ad un numero che oscilli tra i dodici e le tredicimila unità. Accogliere questa massa di gente senza fare nessuna differenza tra loro, non sarà stata certo una cosa comune e facile nello stesso tempo.

Dal nostro evangelista, come fanno anche Matteo, Marco e Giovanni, non sappiamo il tipo di persone che componevano quella folla. Possiamo pensare (e non crediamo di trovarci tanto lontano dalla realtà) che in quella moltitudine, ci sono stati persone che rispecchiassero i diversi ceti sociali esistenti in quel tempo. Il tipo di accoglienza che Gesù riserbò loro, non è solamente meraviglioso in se, contiene anche una gran lezione, diretta a tutta l’umanità, incluse i discepoli di Gesù.

Oh! Quale gran benessere avrebbe l’umanità, se gli uomini sapessero agire nella stessa maniera come Gesù agì! La verità è che, l’umanità, attraverso tutti i secoli, non ha saputo apprezzare quello che Gesù fece ai suoi giorni. Oggi, come sempre, si hanno molti riguardi personali; molte manifestazioni di parzialità si notano in tutti i settori della vita e a tutti i livelli. Gli uomini vengono classificati secondo la loro posizione sociale, la cultura e la civiltà, cui appartiene, e non secondo un criterio di uguaglianza e d'imparzialità.

Un cristiano che presuppone di conoscere Cristo e di seguirlo, non può rimanere indifferente e freddo nel constatare la mancanza d’imparzialità in mezzo all’umanità. È molto più doloroso e tragico se quest'imparzialità viene meno nella vita dei cristiani, dei figli di Dio, e si nota lo stesso atteggiamento di parzialità, che si riscontra purtroppo nell'esistenza di chi vive nell’egoismo, lontani da Dio e del vangelo di Gesù Cristo.

A questo punto, non si può fare a meno di ricordare la calorosa esortazione di Giacomo:

Fratelli miei, non associate favoritismi personali alla fede del nostro Signore Gesù Cristo, il Signore della gloria (Giacomo 2:1).

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Domenico34
00martedì 13 marzo 2012 00:16
Giacomo conosceva molto bene il problema della parzialità esistente in mezzo agli uomini del suo tempo, e, pensando che una simile attitudine si sarebbe potuta infiltrare tra la fratellanza, con la conseguenza di inquinare la serenità dei cristiani e di turbare la relazione della comunione fraterna, esortò la comunità a non avere la fede della gloria di Gesù Cristo, con riguardi alle qualità delle persone.

Dalle parole che questo apostolo scrisse, risulta evidente che egli è contro i favoritismi, le discriminazioni e le differenziazioni d’ogni genere. Per Giacomo, che considerava la serietà della vita cristiana, principalmente sotto l’aspetto pratico, era cosa seria e preoccupante nello stesso tempo che, l’attitudine della parzialità venisse a manifestarsi nell’ambito della fratellanza, con la conseguenza di offuscare e incrinare la stessa essenza della vita cristiana.

Notate che la fede della gloria di Gesù Cristo, si può avere con riguardi alle qualità delle persone; ma quando ciò si verifica, quella fede, così chiamata, è stata svuotata e snaturata nella sua essenza. La vera fede della gloria di Gesù Cristo, non solo non dà posto alla parzialità nelle sue svariate manifestazioni, ma la condanna come manifestazione e frutto della carne, che si oppone al piano e alla volontà di Dio.

Giacomo non è l’uomo che resta sul piano ipotetico quando esorta la fratellanza a non essere parziali, la spiega e la corrobora nello stesso tempo con un esempio pratico. Quest'apostolo non è l’uomo delle grandi affermazioni teologiche, viste dal punto di vista intellettuale e scolastico; egli è l’essere umano, che pure affermando la verità da un punto di vista teologico, scende sul terreno della vita pratica, per far comprendere meglio il vero che vuole insegnare.

Se nella vostra assemblea (o nelle vostre riunioni di culto), infatti, entra un uomo con un anello d’oro, vestito splendidamente, ed entra anche un povero con un vestito sporco, e voi avete un particolare riguardo a colui che porta la veste splendida e gli dite: Tu siediti qui in un bel posto, e al povero dite, Tu stattene là in piedi, oppure, Siediti qui vicino al mio sgabello, nonavete fatto una discriminazione fra voi stessi, divenendo così giudici dai ragionamenti malvagi? (Giacomo 2:2–4).

Ovviamente qui, l’apostolo Giacomo, non vuole assolutamente incoraggiare l’indecenza e la sporcizia; egli non vuole insegnare che se si va in un luogo di culto con vestimenti sozzi, sia una cosa da non pensarci. Se potessimo interrogare Giacomo e chiedergli un consiglio come presentarsi nell’assemblea, inteso come luogo dove si celebra il culto, sicuramente egli ci risponderebbe: con abito ordinato e pulito.

L’argomentazione che Giacomo fa, non verte tanto sulla parte visibile dell’uomo anello d’oro e vestimento splendido, quanto sull’attitudine che questi prende davanti agli elementi esterni dell’abbigliamento. Tante volte, per non dire sempre, l’uomo fa riferimento agli elementi esterni per giustificare la sua attitudine di parzialità. Non c’è nessuna giustificazione che possa convalidare la parzialità, o può farla apparire sotto un’altra veste.

L’imparzialità non discrimina gli uomini, non ha riguardi personali, non ha due pesi e due misure; li valuta nella stessa maniera, senza badare agli elementi esterni; li tratta alla stessa stregua e li valuta sullo stesso piano. Con questo ragionamento non vogliamo affatto negare l’esistenza del ricco e del povero, di chi indossa un abito lussuoso e di chi veste un vestito sozzo e a brandelli. L’uomo non deve essere trattato e valutato a proposito della sua eleganza; deve essere valutato con riferimento al fatto che egli è un essere che è stato creato all’immagine di Dio, e come tale si distingue dalle bestie e non da un altro uomo.

Se un cristiano (usiamo questo termine perché non possiamo ignorare l’esistenza della parzialità che esiste nell’ambito della cristianità) sapesse tener sempre presente quanto summenzionato, si potrebbero evitare i trattamenti e le accoglienze di stampo paternalistico, così da risparmiare tutte quelle manifestazioni che feriscono la vita di quelle persone che non possono apparire come gli altri, dal punto di vista dell’abbigliamento e dell’ornamento.

Ritornando a Giacomo, notiamo che egli è molto severo sull’argomento della parzialità. Addirittura per lui, discriminare gli uomini, a proposito di quello che si vede anello d’oro e abito splendido, equivale ad essere giudici dai ragionamenti malvagi. La parzialità non è qualcosa da lasciare correre; deve essere arginata con estrema energia e prontezza, prima che sconvolga e guasti tutto.

Impariamo ad accogliere l’uomo, sia nell’ambito della fratellanza che fuori di lei, ...come anche Cristo ci ha accolto per la gloria di Dio (Romani 15: 7). Seguiamo l’esempio e l’insegnamento di nostro Signore, Gesù Cristo, nella vita di tutti i giorni in modo che il Suo nome sia glorificato e magnificato, non solamente in noi, ma anche in altri, attraverso noi.

Con umiltà


La gran folla venne accolta da Gesù con spirito di umiltà. Non troviamo nessun segno che possa farci pensare che in quella circostanza Cristo abbia assunto un atteggiamento austero e superbo.


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Domenico34
00mercoledì 14 marzo 2012 00:31
La superbia è un male non meno nocivo della parzialità, che deve essere bandita con prontezza e senza indugi. L’umiltà e la superbia, sono due attitudini che non hanno niente in comune. Se la prima favorisce la grazia, la seconda la respinge e la disprezza. Gesù disse di se stesso:

Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me, perché io sono mansueto ed umile di cuore; e voi troverete riposo per le vostre anime (Matteo 11:29).
...Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili (Giacomo 4:6);

lo sguardo dell’Eterno si posa sull’umile (Isaia 66:2); l’umiltà precede la gloria (Proverbi 15:33); l’Eterno sostiene gli umili (Salmo 147:6).

Tanti altri testi si potrebbero elencare per mettere in risalto l’importanza che le Sacre Scritture attribuiscono all’umiltà. L’umiltà non è solamente qualcosa che riguarda la relazione dell’uomo con Dio, investe anche e con una certa rilevanza, la sfera della società con la quale si vive. L’umiltà di Gesù verso quella gran folla, venne manifestata dalla premura e dalla sollecitudine che egli ebbe nel dare aiuto a quelle persone.

Indubbiamente, anche la sua gentilezza e la sua cortesia, parlavano della sua umiltà. Gesù non assunse l’atteggiamento di “uomo grande di questa terra”; Egli, pur sapendo di essere il Signore dei signori e il Re dei re, non disprezzò quelle persone, anzi li accolse con molto calore, come se si trattasse di membri della stessa famiglia.

L’umiltà inoltre, viene maggiormente messa in risalto, dalle seguenti parole:
...e parlava loro del regno di Dio. Questo parlare, ha il significato di uno che entra in un rapporto amichevole e di dialogo con l’altro; di uno insomma che vuole comunicare e vuole esprimersi in una forma familiare. Anche se l’argomento verteva sul regno di Dio, verità fondamentale che spesso Gesù insegnò durante il tempo del suo ministero, lo fece in una maniera diversa, per far capire a quelle persone che Egli, l’inviato del Padre, si avvicinava a loro in modo comune, e non nella veste di uno che voleva mantenere una distanza col suo interlocutore.

Con profondo amore


Indubbiamente, non fu la circostanza particolare che obbligò nostro Signore ad agire nella maniera com'Egli agì (anche se non si può negare), fu piuttosto il suo amore che lo costrinse a venire incontro al bisogno di quella folla. L’elemento più importante di tutto il racconto della moltiplicazione dei pani, è sicuramente l’amore.

L’amore, infatti, supera tutte le difficoltà (ivi compresa l’esortazione dei discepoli di Gesù a licenziare quella follL’amore, non guarda senza speranza le circostanze avverse; non si ferma dinanzi ad un ostacolo, come per dire: qui non posso far niente; non si rassegna, ma va in fondo fino a che il suo desiderio venga adempiuto. Notate che l’amore che spinse Gesù ad “accogliere” la gran folla, non fu né umano né scolorito, cioè privo di calore e di affetto, ma divino, con segni chiarissimi di premura e d'interessamento.

Se dovessimo dare una definizione dell’amore, lo definiremmo in questo modo: «L’amore è un donare di se stesso per il bene degli altri». Anche la Sacra Scrittura parla in questo senso, quando ricorda l’amore di Dio verso l’umanità.

Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3:16).

Purtroppo, tante volte nella vita dell’uomo, si manifesta un tipo di amore di sole parole:

Figlioletti miei, non amiamo a parole né con la lingua, ma a fatti e in verità (1 Giovanni 3:18).

È l’opera tangibile e visibile, che prova l’esistenza del vero amore. Per non essere frainteso, Giovanni, precisa:

Ora, se uno ha dei beni di questo mondo e vede proprio fratello che è nel bisogno e gli chiude le sue viscere, come dimora in lui l’amore di Dio? (1 Giovanni 3:17).

È in virtù dell’amore che abbiamo e che pratichiamo, che tutti conosceranno che seguiamo Gesù (Giovanni 13:35). A questo punto aggiungiamo: L’amore di Dio che è stato sparso nei nostri cuori per mezzo dello spirito Santo (Romani 5:5), non è destinato a manifestarsi solamente nell’ambito della fratellanza. Sarebbe troppo poco, per non dire nullo se non valicasse i suoi confini.

Una persona che veramente ama, secondo la volontà di Dio e col suo amore, non limiterà la manifestazione dell’amore solamente a quelli che l’accolgono con deferenza e rispetto, con simpatia e amicizia; andrà più avanti, verso colui che è ostile, che nutre malumore e disprezzo; verso colui che non guarda di buon occhio, fosse anche un acerrimo nemico (cfr. Matteo 5:43,46; 19:19; Luca 6:27,32,35; Romani 13:9; Galati 5:14; Giacomo 2:8).

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Domenico34
00giovedì 15 marzo 2012 00:32
Impariamo dal nostro Gesù Maestro ad agire come Lui agì, nel manifestare la nostra imparzialità con i fratelli e con tutti quelli che sono al di fuori di loro; ad essere umili con tutti e soprattutto ad amare, di quell’amore palpitante ed affettuoso, non con sole parole, ma con i fatti e in verità.

4. PARLAVA LORO DEL REGNO DI DIO


A differenza di Marco che afferma che Gesù prese ad insegnare loro molte cose, rimanendo così nel vago e nel generico, Luca, preferisce specificare che si trattava del “regno di Dio”. Il tema del regno di Dio, non è per Gesù un argomento occasionale e marginale, è il soggetto principale su cui si basano i suoi insegnamenti e la sua predicazione, fin dall’inizio del suo pubblico ministero. Questo tema ricorre spesse volte nella bocca di Gesù; e, a dire il vero, tutto quello che fece, nel sanare le varie infermità, nel parlare in parabole e nel liberare i posseduti dai demoni, mirava essenzialmente a proclamare il regno di Dio.

Talmente era primario il tema del regno di Dio che Gesù trattò durante tutto l’arco della sua missione in mezzo agli uomini, non solo da costituirne un pilastro portante del suo mandato, ma rappresentava essenzialmente il punto focale sul quale attirava l’attenzione di quanti lo ascoltavano e nello stesso tempo faceva comprender loro, che cosa era veramente il regno di Dio.

L’importanza che Luca dà al regno di Dio, parlandone frequentemente, in se stesso è un elemento significativo. Basta ricordare che delle 62 volte che viene nominato nel N.T. (ci riferiamo alla sola frase “regno di Dio”), 32 volte viene ripetuta nel suo evangelo. Questo dato statistico, non ha bisogno di un particolare commento, si commenta da solo. Per valutare tutta la portata che ha il “regno di Dio”, nel ministero di Gesù, e il suo significato e la sua importanza, si dovrebbero passare in rassegna tutti i testi, del N.T. principalmente, quelli che trattano questo tema.

Ovviamente, una simile trattazione, oltre a richiedere molto spazio, eluderebbe da questo lavoro, anche se nella parte della narrazione evangelica che Luca fa a proposito della prima moltiplicazione dei pani, parli specificatamente del regno di Dio. Quello che qui vogliamo dire, con poche parole, è questo: anche se Luca afferma che Gesù trattò il tema del regno di Dio, con quella folla in quel giorno, Egli non lo fece sotto forma di un rigido “insegnamento”, ma “parlava loro”. Questo principalmente per far capire che Gesù, volle assumere un atteggiamento piuttosto amichevole, anziché mantenere una certa distanza con quelle persone.

5. GESÙ GUARÌÌ QUELLI CHE AVEVANO BISOGNO DI ESSERE GUARITI

Avendo considerato il particolare dell’"accoglienza" che Gesù fece alla folla, ora ci accingiamo a considerare l’altro che riguarda: E guariva chi aveva bisogno di guarigione. Anche se Matteo fa riferimento agli infermi che Gesù guarì tra la folla, la precisazione che fa Luca chi aveva bisogno, non è certamente casuale e priva di significato.

Da Marco abbiamo appreso che Gesù insegnò molte cose. Nel capitolo II di questo libro, a proposito dell’insegnamento, abbiamo scritto che: “L’istruzione prepara la mente per conoscere, il cuore per ricevere e la vita per esperimentare”. Con l’esame della guarigione, secondo il resoconto di Luca, entriamo nel campo dell’esperienza, per ciò che riguarda il corpo, dato che è certissimo che Gesù in quel giorno guarì malattie fisiche.

Un atto spontaneo

La prima constatazione che va subito fatta, è a proposito del fatto che, dal racconto evangelico, non risulti un minimo accenno che qualcuno della folla o del gruppo dei discepoli di Gesù, ha fatto specifica richiesta di guarire gli infermi. Quando si pensa a quello che si legge nella Bibbia:

Chiedete e vi sarà dato (Matteo 7:7); tutte le cose che domandate pregando, credete di riceverle e le otterrete (Marco 11:24); le vostre richiesta siano rese note a Dio mediante la preghiera (Filippesi 4:6), ecc.

Non è sbagliato concludere che sia necessario avanzare la richiesta ai fini di ottenere una cosa. Qui, naturalmente, ci troviamo davanti ad un caso particolare, che senza che ci fosse stata una richiesta specifica da parte di qualcuno, Gesù fece guarigioni.

Tenendo presente quello che disse Marco, Gesù nel vedere quella folla, li vide come pecore senza pastore e in conseguenza del suo vedere, li istruì intorno a molte cose e parlò loro del regno di Dio. Indubbiamente, questo particolare vedere di Gesù, mirava a mettere in evidenza il bisogno spirituale di quelle persone, ma nello stesso tempo non ignorava quello fisico. Il fatto che Gesù guarisca gli infermi, è una prova che Egli vide in quella stessa folla i mali corporali che affliggeva quei corpi ammalati.

Quindi, la sua stessa compassione che lo spinse ad interessarsi per la parte spirituale, ora si interessa per quello corporale. È quindi, un atto spontaneo che Gesù compie in favore di quelle persone ammalate.

I miracoli di guarigioni, a proposito del ministero di Gesù

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Domenico34
00venerdì 16 marzo 2012 00:12
Ci preme affermare che le guarigioni che Gesù operò mentre era sulla terra, oltre a manifestare il suo potere divino, facevano parte integrale del suo ministero, inteso come missione svolta a favore dell’uomo. È un errore non trascurabile il voler collocare la guarigione divina fuori del ministero, come se questa manifestazione rappresentasse un atto isolato o una dimostrazione concreta tendente ad abbellire un’attività ministeriale per attirare l’attenzione degli spettatori. Le Scritture profetiche infatti, non parlano solamente del fatto che il Messia avrebbe portato su di sé i peccati dell’umanità, ma dicevano anche che Egli avrebbe portato le nostre malattie e si sarebbe caricato dei nostri dolori e per le sue lividure, noi saremmo stati guariti (Isaia 53:4,5).

Oggi, si parla sovente intorno alla guarigione divina, non tanto per metterla in risalto quanto per discreditarla e per renderla quasi inutile ai fini del ministero cristiano. Ci sono poi quelli che pur riconoscendo la storicità delle guarigioni fatte da Gesù e dagli immediati suoi apostoli, non credono che queste manifestazioni divine, avranno a perpetuarsi nella vita della Chiesa. Il loro ragionamento è questo:

«Le guarigioni ai tempi di Gesù e degli apostoli erano necessari ai fini di propagare l’Evangelo; ma dopo che questo venne fatto da Gesù per primo e dai discepoli di Cristo dopo, non si vede il motivo perché si debbano ripetersi ai nostri giorni. Dio concesse il potere miracoloso ai tempi degli apostoli, e solamente per quel periodo e non per estenderlo oltre quei confini. Infatti, con la morte degli apostoli, oltre a terminare il potere miracoloso, Dio non concede più la fede per operare le guarigioni».

Un simile ragionamento è abbastanza eloquente non tanto per convincere le menti poco illuminate quanto per rivelare la scarsezza della conoscenza dell’opera di Cristo. L’opera di Cristo non abbraccia il solo periodo degli apostoli, ma va fino alla sua seconda venuta, vale a dire copre tutto l’arco del tempo della Chiesa militante. Se il potere miracoloso delle guarigioni, riguardasse solamente il periodo in cui Gesù rimase sulla terra e degli apostoli i suoi immediati continuatori, non si vede perché Gesù parlò di:

Questi segni accompagneranno chi avrà creduto... metteranno le mani sopra degli infermi, ed essi staranno bene (Marco 16:18).

Se si dovesse sostenere che quella promessa riguardava solamente la vita degli apostoli e non voleva assolutamente includere l'esistenza della Chiesa nella sua totalità, dai discepoli di Cristo, si dovrebbero considerare i seguenti motivi:

1) L’ordine di andare per tutto il mondo e predicare l’evangelo ad ogni creatura, non sarebbe stato eseguito alla lettera nella sua totalità, perché i soli dodici apostoli, umanamente parlando, non sarebbero stati in condizioni di adempire il comando di Gesù, quindi, sarebbe stato impossibile portarlo a compimento. Dio non ordina cose impossibili nella loro realizzazione, senza che gli stessi cadano nell’invalidità e nella nullità. Ma, se nella Chiesa, intesa come totalità del popolo di Dio, gli ordini divini possono essere eseguiti alla lettera e la missione portata a compimento, è perché non sono soltanto dodici individui a muoversi, ma l’intero corpo dei credenti.

2) L’ordine non prevedeva solamente di percorrere le distanze da un punto all’altro del mondo, diceva anche che questa predicazione sarebbe dovuta essere fatta ad ogni creatura. Come avrebbero potuto fare i soli dodici apostoli a predicare l’evangelo ad ogni creatura, specie se si considera che in quei tempi non esistevano i mezzi di propagazione, radio, televisione, stampa, trasporto, ecc.?

3) Se poi si esamina la forma grammaticale del verso 18 del capitolo 16 di Marco, apparirà molto chiaramente che Gesù nel dare il suo mandato, non si riferiva affatto ai soli apostoli, bensì abbracciava tutta la Chiesa di tutti i tempi. Or questi segni accompagneranno chi avrà creduto. Si noti bene che il “mettere le mani sopra degli infermi”, non fosse un’esclusiva degli apostoli, ma di tutti, chi avrà creduto.

Il credere degli apostoli, paragonato a quello di tutti gli altri, non è un credere particolare e privilegiato, è lo stesso, nella sua natura e nella sua portata, dal momento che la Bibbia dichiara categoricamente che c’è una sola fede (Efesini 4:5). Se Dio concesse il potere miracoloso a coloro che avevano creduto in Gesù, ai tempi degli apostoli, perché dovrebbe negarlo ai nostri giorni? Se noi crediamo nella stessa maniera degli apostoli, appare evidente che il mettere le mani sopra gl’infermi ed essi staranno bene, si riferisca anche a noi e per i nostri tempi.

Se poi esaminiamo quello che l’apostolo Paolo scrisse a proposito dei doni dello Spirito, apparirà molto più chiaro che il potere miracoloso per ciò che concerne la guarigione divina, è anche valida per i nostri tempi. Infatti, Paolo scrivendo intorno ai doni dello Spirito, dice chiaramente che nel numero di questi doni, ci sono quelli delle potenti operazioni e delle guarigioni (1 Corinzi 12:28).

Dal momento che, Paolo precisa che Dio ha costituito nella Chiesa, i doni di guarigioni, si ha ragione di chiedere: Che valore avrebbe per la Chiesa, se questi doni delle potenti operazioni e delle guarigioni, fossero stati dati solamente agli apostoli e per il loro tempo? Più esaminiamo i testi che parlano del potere miracoloso delle guarigioni, più ci convinciamo che i “miracoli di guarigioni”, non furono un’esclusiva degli apostoli, ma è una manifestazione divina che si perpetua nella vita della Chiesa nel corso dei secoli. Senza nessuna incertezza e titubanza, quindi, affermiamo: Il tempo dei miracoli non è terminato.

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Domenico34
00sabato 17 marzo 2012 01:00
I metodi usati da Gesù per guarire gli infermi

La storia della prima moltiplicazione dei pani, così com'è stata tramandata dai Sinottici, non dice nulla per quanto riguarda i metodi che Gesù usò, nel sanare le varie infermità. Dobbiamo necessariamente rivolgerci altrove, sempre nel N.T., per conoscere esattamente come Gesù guarì gli infermi nelle diverse circostanze. Se si parla specificatamente di “metodi”, questo equivale ad affermare che Gesù non guarì gli infermi sempre nella stessa maniera, o come si direbbe più precisamente: Gesù non adottò lo stesso metodo per tutti, come se egli avesse una “regola fissa”. Esaminando i vari testi del N.T. in cui si parla di miracoli operati da Gesù (e non quelli che fece, per i quali il N.T. tace (Giovanni 21:25), e, successivamente dagli apostoli, possiamo conoscere con certezza, la diversità di metodo che Gesù usò nel sanare gli infermi.

Per l’uomo nato cieco, Gesù usò uno strano metodo: sputò in terra, impastò la sua saliva con la polvere della terra la mise sugli occhi del cieco, e dopo che lo stesso andò a lavarsi nella Piscina di Siloe, dietro esplicito ordine di Gesù, egli riacquistò la vista (Giovanni 9).

Per la guarigione di un lebbroso, Gesù stese la sua mano, lo toccò e disse: Sì, io lo voglio, sii mondato (Matteo 8:3); mentre per guarire la febbre della suocera di Pietro, si limitò a toccargli la mano (Matteo 8:15).

Se prendiamo in esame la guarigione del servo del Centurione di Capernaum, vediamo che questa si verificò, non perché Gesù ha proferito «una parola», come aveva sollecitato il Centurione, ma perché questi, credendo che con una sola parola che Gesù avesse detto, il suo servo sarebbe stato guarito, e così avvenne (Matteo 8:5–13).

E che dire della guarigione del paralitico di Capernaum? Gesù disse: Figliuolo, i tuoi peccati ti sono perdonati (Marco 2:5), e la paralisi lasciò il suo corpo, il miracolato si caricò del lettuccio sul quale giaceva, e se ne andò a casa sua con i suoi piedi (Marco 2:9–12).

Per la guarigione della donna col flusso di sangue, Gesù si limitò a mettere in evidenza quello che si era verificato nel corpo della sofferente, a seguito della sua fede, per aver detto: Se solo tocco le sue vesti sarò guarita (Marco 5:28,29); mentre per la guarigione dell’uomo dalla mano secca, Gesù gli ordinò di stenderla, e la sua mano ritornò sana come l’altra (Matteo 12:9– 13).

Per la guarigione della ciecità di alcuni ciechi, Gesù toccò gli occhi loro (Matteo 9:29; 20:34), mentre per il sordo muto della Decapoli, ci vien detto che Gesù mise le sue dita nelle orecchie, sputò e gli toccò la lingua (Marco 7:34).

Per la guarigione del cieco di Betsaida, Gesù lo condusse fuori dal villaggio, gli sputò negli occhi, gli impose le mani, e, dopo avergli domandato se vedeva, gli impose di nuovo le mani (Marco 8:22–25); mentre per la guarigione della donna paralitica, Gesù la chiamò a sé e pose le mani su di lei (Luca 13:12,13).

Per la guarigione dell’uomo idropico, Gesù lo prese per la mano e lo guarì (Luca 14:4); mentre per la guarigione dei dieci lebbrosi, Gesù si limitò a dir loro: Andate a mostrarvi ai sacerdoti (Luca 17:14).

Per la guarigione del figlio dell’Ufficiale reale, Gesù non si recò in casa sua, ma disse: Va’, tuo figlio vive! (Giovanni 4:50); mentre per la guarigione del paralitico di Betsaida, Gesù disse: Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina (Giovanni 5:8).

Le poche parole che Matteo ci fornisce, quando
fattosi sera, gli furono presentati molti indemoniati; ed egli con la parola, scacciò gli spiriti e guarì tutti i malati (Matteo 8:16),

non solo ci precisano che se ciò avvenne fu perché si doveva adempiere quello che il profeta Isaia aveva detto (v. 17, cfr. Isaia 53:4), ma anche perché Gesù, scacciò gli spiriti e guarì gli ammalati, con la parola. Anche se Matteo non precisa le malattie da cui vennero guariti in quella sera, resta sempre fermo il fatto che questi miracoli di guarigioni, Gesù li operò con «la sua parola».

Da quello che abbiamo raccolto dagli evangeli, risulta abbastanza chiaro che Gesù nel guarire gli infermi, non usò sempre lo stesso metodo. In una circostanza impose le mani, in un’altra, toccò la parte ammalata; a volte parlava, sputava e ordinava. Questa diversità di metodi che Gesù usò, c'insegna che la guarigione divina non è imprigionata o regolata da criteri fissi.

Tutti gli elementi esterni, come: sputare, toccare, parlare, sgridare, comandare, sono validi quando sono mossi e guidati dallo Spirito Santo.

Se poi consideriamo le guarigioni operate dagli apostoli, secondo quello che ci dice il N.T., notiamo che anche loro, seguirono la stessa pista che aveva seguito Gesù, poiché anch’essi si mossero, non entro metodi fissi, ma secondo che lo Spirito di Dio li guidava.

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Domenico34
00domenica 18 marzo 2012 00:01
Allo zoppo, che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del Tempio, Pietro disse:

Io non ho né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati a cammina! (Atti 3:6).

Al paralitico di Lidda, Pietro, disse: Enea, Gesù, il Cristo, ti guarisce; alzati e rifatti il letto (Atti 9:34).

Per quanto riguarda la risurrezione di Tabitha, il Sacro testo dice:
Pietro allora, fatti uscire tutti, si pose in ginocchio e pregò. Poi rivoltosi al corpo, disse: Tabitha, alzati! Ed ella aprì gli occhi, e, visto Pietro, si mise a sedere (Atti 9:40).

All’uomo di Listra impotente dei piedi, Paolo, disse: Alzati in piedi (Atti 14:10); mentre per la guarigione del padre di Publio a Malta, la Scrittura dice: Paolo andò a trovarlo e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì (Atti 28:8). Come vi vede, anche gli apostoli, non usarono metodi fissi, nelle varie guarigioni che fecero nel corso del loro ministero. Più tardi Giacomo scriverà:

Qualcuno di voi è infermo? Chiami gli anziani della chiesa, ed essi preghino su di lui, ungendolo di olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo risanerà; e se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati (Giacomo 5:14,15).

5 bIsaia «E GUARIVA QUELLI CHE AVEVANO BISOGNO DI GUARIGIONE»


Dopo di aver parlato delle guarigioni a proposito del ministero e ai metodi che Gesù usò nel guarire gli infermi, ritorniamo al nostro testo, per considerare quanto segue:

Abbiamo detto in precedenza che tra i quattro evangelisti che parlano dello stesso evento (la prima moltiplicazione dei pani), Marco non fa nessun cenno al fatto delle guarigioni. Non sappiamo perché quest'evangelista sorvoli questo particolare della manifestazione divina. Il silenzio di Marco, non deve essere però considerato com'elemento determinante per negare la realtà delle guarigioni. Su questo particolare, non si può costruire la teoria secondo la quale, se non si parla di una determinata cosa, è prova che quella idea non è mai esistita. Ci sono particolari omissioni nelle Scritture, che probabilmente in questa terra non saremo mai capaci di capire e spiegare; solo l’eternità saprà dirci come sono andate le cose.

Scontato il fatto che Gesù fece realmente le guarigioni, in occasione dell’evento della prima moltiplicazione dei pani, passiamo ad esaminarli, per cercare di capire quello che Dio vuole che noi comprendiamo.

Abbiamo affermato in precedenza che Gesù nel guarire gli infermi, compì un atto spontaneo, vale a dire non ebbe bisogno che qualcuno fece presente quale era la reale necessità di quelle persone. Fu Lui, il divino compassionevole, che vide il bisogno che c’era. È sempre Dio che vede per il primo il bisogno dell’uomo; qualunque esso sia, corporale o spirituale.

Questa considerazione dovrebbe indurci a confortarci e nello stesso tempo ispirarci fiducia in Dio, nel senso più completo che questo termine, per tutti i nostri bisogni. Se Egli sa ogni cosa, dirà qualcuno, come mai che tante volte non risponde subito ai vari bisogni dell’uomo e dei suoi figli in particolar modo? Questa domanda non dovrebbe essere usata per combattere la veracità della Parola di Dio. Non dovrebbe neanche essere sfruttata come “prova” che se Dio non dà subito quello che gli viene domandato, è segno che non si interessa del caso. Non dobbiamo mai dimenticare il detto della Scrittura:

Poiché la visione è per un tempo già fissato, ma alla fine parlerà e non mentirà; se tarda, aspettala, perché certamente verrà e non tarderà (Habacuc 2:3).

Anche se questo verso di Habacuc, si riferisce specificatamente alla visione, lo stesso Dio, è chi potrebbe ritardare nel dare una risposta ad un particolare bisogno. Quando parliamo del “ritardo di Dio”, non sempre riusciamo a comprenderlo. Sovente, collochiamo l’attesa, a proposito dei nostri bisogni e non teniamo conto del piano e della volontà divina. Che cosa intendiamo dire con ciò? Semplicemente questo: per ogni cosa, Dio ha un preciso piano ed una precisa volontà da esprimere. Se Gesù ritardò nell’andare nella casa di Marta e di Maria, per guarire Lazzaro, non lo fece perché il caso non lo interessava; se Egli permise che Lazzaro morisse, lo fece affinché la sua potenza si manifestasse in misura più abbondante.

Se Gesù fosse andato subito nella casa di Lazzaro, come avrebbero voluto le due sorelle, Marta e Maria, si sarebbe visto la manifestazione della potenza di Dio, in relazione ad una guarigione; mentre il suo ritardo (non sempre apprezzato e valutato dagli stessi suoi discepoli), fu motivo di far vedere una differente manifestazione miracolosa: la sua potenza sulla morte.

Se il Signore si comporta così nelle Sue azioni, non è certamente perché non tenga conto della sofferenza in cui si trova l’uomo, o che goda nel vederlo soffrire. Niente di tutto questo! Egli agisce così, per un preciso scopo del piano della Sua Volontà, in modo che tutto alla fine risulti per la maggior gloria del Suo nome. Questo pensiero dovrebbe spingerci ad una maggiore resa nelle mani del Signore e ad una maggiore certezza che tutto è sotto il controllo di Dio e che alla fine, ...tutte le cose cooperano al bene per chi ama Dio... (Romani 8: 28).

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Domenico34
00lunedì 19 marzo 2012 00:51
E guariva quelli che avevano bisogno di guarigione. Questa frase ci fa vedere Gesù in azione. La gran compassione divina, si mette in moto, e va incontro al bisognoso. Non ci viene specificato che tipi d'infermità guarì Gesù. Le varie infermità, in parte gravi, non hanno nessun'importanza per l’onnipotenza di Dio.

Per Lui non esistono problemi insolubili o malattie inguaribili. Egli tutto può e tutto è possibile anche a chi crede (Marco 9:23). Se Dio è potente da far ritornare alla vita un morto e raccogliere le ossa secche disperse di una nazione (Ezechiele 37), perché mai non potrebbe guarire una malattia inguaribile, dal punto di vista della scienza medica? Tante volte si rimane scettici davanti al racconto di una guarigione e si chiede: “Hai tu visto questo miracolo?”

Se non si è disposti a credere a quello che la Bibbia dice intorno alle guarigioni divine, non si crederà neanche a colui che dirà: “Questo miracolo l’ho visto coi miei occhi”. Lo scopo della guarigione divina non è quello di mettere in mostra l’uomo (anche se questi viene spesse volte usato quale strumento nelle mani di Dio), ma unicamente Dio che glorifica così il nome del suo Figlio Gesù (Atti 3:12,13). Pertanto, colui che viene usato dal Signore in questo particolare settore del ministero, deve ricordarsi che quando avviene un miracolo,

non (è) per potenza né per forza (umana)... , ma per il mio Spirito, dice dell’Eterno degli eserciti (Zaccaria 4:6),

e che l’uomo (lo strumento) non deve gloriarsi, poiché la gloria spetta di diritto, solamente a Dio, l’operatore dei miracoli.

6. L’INTERVENTO DEI DODICI PER QUELLA SITUAZIONE PARTICOLARE


Or il giorno cominciava a declinare; e i dodici, accostatisi, gli dissero: congeda la folla, perché se ne vada per i villaggi e per le campagne d’intorno a trovare alloggio e nutrimento, perché qui siamo in un luogo deserto.

A giudicare dalle parole che i dodici rivolsero a Gesù, sicuramente nei loro volti si poteva leggere facilmente l’inquietudine e la preoccupazione, per il reale bisogno di quella folla, e, nello stesso tempo capiscono che si trovavano in un «luogo deserto», in cui non ci sono, vitto e alloggi. Trattenere ancora quella gente mentre il giorno sta per declinare, non è certamente una delle scelte migliori che Gesù può fare, così pensano i dodici.

Considerando la preoccupazione degli apostoli, giustificabile solo da un punto di vista umano, non si può ignorare che questo loro intervento, ha lo scopo di far vedere a Gesù la reale situazione di quel momento, come se Egli non sappia che quel luogo «era deserto», il giorno sta per declinare, non c’è cibo ed alloggio per quella folla. La seria preoccupazione dei dodici, era anche soprattutto costituita dal fatto, che non vedevano uno sbocco dignitoso a quella situazione, e, in conseguenza, la loro fede stava venendo meno.

Gesù è molto sensibile a questa nuova situazione; e, considerando l’inesperienza dei dodici, non pronuncia contro di loro nessuna parola di rimprovero, perché sa molto bene, che non è solamente la gran folla che ha bisogno di lui (sebbene il loro sia di carattere materiale), ma anche i suoi discepoli, sotto un altro aspetto.

Il voler far credere che «qui il punto centrale cui mira il racconto sia il banchetto miracoloso nei suoi aspetti insoliti ed allusivi, e che questa narrazione abbia anche il «carattere di parabola » [Cfr. H. Schürmann, Il Vangelo di Luca, I, pag. 808]: ciò non è ammissibile! Com’è possibile che cinquemila uomini, con donne e bambini, trovino alloggio e più tardi, venuta la sera, vitto, nei villaggi e dintorni?» Se si dovesse accettare una simile interpretazione e riconoscere il “carattere di parabola” nel racconto evangelico, la prima moltiplicazione dei pani perderebbe la sua storicità, e tutta la manifestazione miracolosa ne sarebbe seriamente danneggiata [Cfr. R. Pech, Il vangelo di Marco, I, pag. 542, specialmente nota 1, dove vengono riportati le parole di K. Kertelge. «Entrambi i resoconti non hanno raggiunto la forma conclusa di una tipica ‘storia di miracoli’. Comunque, essi non presentano alcun interesse per l’avvenimento miracoloso in quanto tale, né accennano affatto allo stupore della folla»].

7. LA RISPOSTA DI GESÙ E LA SUA CONSEGUENZA

Alla proposta dei dodici di congedare la folla, Gesù rispose: “Date voi a loro da mangiare”. Luca evita le parole di Matteo: Non è necessario che se ne vadano, e nel dare il comando, Gesù, cerca di far comprendere ai suoi, non solo che bisogna dare da mangiare a quella folla, ma che la loro proposta di congedare la moltitudine, anche se è motivata dal fatto che sono in un deserto, è priva di senso di responsabilità.

Essere un discepolo di Gesù, non è soltanto questione di privilegio, comporta anche una precisa responsabilità; consapevolezza che c'impegna non solo sul piano personale, ma soprattutto per quanto riguarda gli altri. Trovarsi sempre disponibili per gli altri, è veramente altruismo e riflette incontestabilmente il principio divino: Stimando gli altri più di se stesso (Filippesi 2:3). Quando si tiene presente la nostra responsabilità, non si cercherà mai di evaderla, adducendo motivi plausibili solamente dal punto di vista umano.

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Domenico34
00martedì 20 marzo 2012 00:05
La somiglianza che c’è tra il comando di Gesù ai suoi e le parole di Eliseo al suo servo (2 Re 4:42–44), è senza dubbio evidente. Dare però il senso di un «futuro» «in cui si terranno i banchetti del Signore, e dove i discepoli, non solo celebreranno di comunità in comunità l'«eucaristia», «spezzando il pane» [Cfr. H. Schürmann, Il vangelo di Luca, I, pag. 809], non ci sembra che nell’intenzione di Gesù e di Luca, vi fosse nascosta una simile verità, cioè che la moltiplicazione dei pani, avrebbe dovuto prefigurare l’eucaristia [R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, pag. 549. Anche J. Gnilka la pensa nella stessa maniera, cfr. Il vangelo di Matteo, II, pag. 21. Condividiamo in pieno quello che dice Gnilka a proposito di quello che ha scritto Van Jersel: NT 7 (1964/65) 192s,: «Matteo rappresenta qui i discepoli di Cristo come i ministri liturgici». Questa è un’interpretazione eccessiva e non giustificata].

L’ordine di Gesù: Date voi a loro da mangiare, spinse i dodici a rispondere:

Noi non abbiamo altro che cinque pani e due pesci, eccetto che andiamo noi stessi a comprare dei viveri per tutta questa gente.

Se i dodici risposero in quella maniera, fu perché probabilmente non si aspettavano un simile comando, e neanche era prevedibile, dal punto di vista della logica umana, pensando soprattutto alle loro reali possibilità economiche. Però, nel dare la risposta, dissero a Cristo quello che egli non aveva detto. Per i dodici era inconcepibile dare da mangiare a cinquemila uomini (Luca omette la presenza delle donne e dei bambini), con soli cinque pani e due pesci, senza dover pensare di andare a comprare dei viveri.

Indubbiamente i dodici, di fronte al preciso comando di Gesù, capiscono che si trovano davanti ad una folla di cinquemila uomini, col preciso ordine di dare loro da mangiare da una parte, e dall’altra, pensando alla loro piccolissima scorta di cinque pani e due pesci, non sapendo come avrebbero potuto eseguire l’ordine del Maestro, decidono giustamente di andare essi stessi a comprare i viveri. Gesù però, non aveva detto di far questo, (ammesso che i dodici avessero avuto il denaro per fare fronte a quella spesQuando le parole del Cristo non vengono capite, si ricorre facilmente all’alternativa umana.

Anche in questo caso Gesù avrebbe potuto rimproverare i suoi di non aver capito la sua parola e di avergli dato un diverso significato. A che serve, a questo punto, rimproverare e spiegare in quale maniera doveva essere compresa la Sua parola? Quello che serviva in quel momento non era tanto intavolare una discussione chiarificatrice con i discepoli, quanto di dare uno sbocco alla situazione, e nello stesso tempo infondere speranza nel cuore dei dodici, mettendoli in uno stato di attesa, in vista della gran manifestazione miracolosa di Gesù.

Fateli accomodare a gruppi di cinquanta. Davanti a questo secondo comando, appare ormai chiaro ai dodici, che il pensare di andare a comprare i viveri, non rientrava nella logica dell’intenzione di Gesù. Quando Gesù ordina, anche se non si capisce, è importante però ubbidire. L’ubbidienza alla parola di Dio, che è un elemento essenziale, ci porta a predisporci ad assumere un'esatta attitudine, in virtù della quale saremo condotti, immancabilmente, sul terreno della manifestazione della sua potenza.

Il Signore non compirà il miracolo sulla base della nostra comprensione della Sua parola; vuole semplicemente la nostra ubbidienza e non necessariamente che si comprenda innanzi a tempo, nei dettagli, quello che egli ci comanda. Sarà, infatti, questa nostra ubbidienza che preparerà e faciliterà la manifestazione del potere miracolo del Signore. Come si può ben vedere, anche se sarà Gesù che compirà il miracolo, nondimeno egli richiede la nostra collaborazione, intesa come disponibilità a quello che egli vorrà fare. Quando l’uomo, si mette a disposizione del Signore, prepara e facilita l’intervento del potere di Dio.

Solo quando il comando di Gesù venne eseguito, cioè che la folla venne fatta accomodare per gruppi di cinquanta,

Egli allora prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, perché li distribuissero alla folla.

Che i cinque pani e i due pesci si fossero moltiplicati man mano che i discepoli li distribuirono alla folla, non è detto chiaramente; ma è in questo senso che dobbiamo comprendere la manifestazione miracolosa. Se le ceste per raccogliere i pezzi avanzati furono dodici, senza dubbio, questo numero deve essere anche messo in rapporto alla quantità degli apostoli che erano appunto dodici, non tanto per stabilire un'equazione, ceste = discepoli di Cristo, quanto per vedere dei recipienti nelle mani degli allievi, che servirono per mettere i pezzi dei pani spezzati.

Quanti pezzi ha fatto Gesù da quei cinque pani, non ci viene dato da sapere; neanche ci viene affermato che grandezza avevano le ceste, se erano state riempite o no quando cominciò la distribuzione. Dato per scontato che la moltiplicazione si verificò nelle mani dei dodici e sotto i loro occhi, la logica ci porta a pensare che quei pezzi che erano stati messi nelle ceste, mentre la folla le prendeva, si moltiplicarono. In questo modo, i pezzi di quei pani, non si esaurivano, perché il miracolo continuava a manifestarsi, fino al punto che quando tutti mangiarono a sazietà, quello che rimase e fu raccolto, riempì di nuovo le dodici ceste.

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Domenico34
00mercoledì 21 marzo 2012 00:33
Chi crede all’azione miracolosa divina, soprattutto quando si tiene presente il fatto che Dio può fare tutto, non si ha difficoltà ad accettare la narrazione evangelica, anche se non si trova il modo per spiegarlo col proprio raziocinio. Quando si vuole comprendere e spiegare il miracolo in se stesso, con l’aiuto della ragione, si finisce spesso col rigettarlo, per il fatto che i due campi, razionale e miracoloso, sono in opposizione reciproca. È in virtù della fede soltanto che l’azione miracolosa può apparire nella sua luminosità, senza dover ricorrere necessariamente alla ragione o farla coincidere con lei. Quando viene a mancare la fede, elemento essenziale che valorizza l’azione miracolosa, tutte le spiegazioni che si riescono a dare, non sempre sono compatibili con la logica umana e non sempre si rimane soddisfatti. A questo punto, è utile ricordare il detto della Scrittura, che suona come un imperioso nomito: Beati coloro che credono senza vedere (Giovanni 20:29).

PS: Se al termine del capitolo 3 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura



Capitolo 4




LA PRIMA MOLTIPLICAZIONE DEI PANI SECONDO IL RESOCONTO DI GIOVANNI




1. Il testo

Dopo queste cose, Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade. E una grande folla lo seguiva, perché vedevano i segni che egli faceva sugli infermi. Ma Gesù salì sul monte e là si sedette con i suoi discepoli. Or la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina. Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva da lui, disse a Filippo: «Dove compreremo del pane perché costoro possano mangiare?» Or diceva questo per metterlo alla prova, perché egli sapeva quello che stava per fare. Filippo gli rispose: «Duecento denari di pane non basterebbero per loro, perché ognuno di loro possa avere un pezzetto. Andrea, fratello di Simon Pietro, uno dei suoi discepoli, gli disse: «V’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due piccoli pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?» e Gesù disse: «Fate sedere la gente!» Or c’era molta erba in quel luogo. La gente dunque si sedette ed erano in numero di circa cinquemila. Poi Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì ai discepoli, e questi alla gente seduta; lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. E, dopo che furono saziati, Gesù disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati perché niente si perda». Essi dunque li raccolsero e riempirono dodici cesti con i pezzi di quei cinque pani d’orzo avanzati a chi aveva mangiato. Allora la gente, avendo visto il segno che Gesù aveva fatto, disse: «Certamente costui è il profeta, che deve venire nel mondo». Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo (Giovanni 6:1–15).

2. Preambolo

A differenza di Matteo che indica un luogo imprecisato, denominato “posto deserto”, Marco “sito solitario” e Luca, una località definita “Betsaida”, Giovanni parla che Gesù se ne andò all’altra riva del mare di Gallilea, cioè di Tiberiade, e non viene fatta nessuna menzione del motivo essenziale dello spostamento di Gesù.

Secondo quello che hanno riferito i Sinottici, si trattava di dare un po’ di riposo ai suoi discepoli, visto che le persone che andavano e venivano da Gesù, erano tante da non permettere neanche il tempo di mangiare (Marco 6:31). Omettendo i diversi particolari dei Sinottici, Giovanni redige il racconto della prima moltiplicazione dei pani, con più scioltezza, senza essere troppo vincolato dal tempo (l’ora tarde dai particolari bisogni della folla, (gli infermi) per presentare, specie «il giorno seguente», Gesù come il «Figlio dell’uomo», che darà il cibo che dura in vita eterna (Giovanni 6:27).

Si discute se Giovanni conosceva la tradizione sinottica o se quello che egli dice debba essere considerato un documento a sé stante, vale a dire senza nessuna dipendenza dai Sinottici, e quindi pensare addirittura al resoconto giovanneo come il più originale. Indipendentemente del come inquadrare questo testo, secondo il parere degli esegeti, dobbiamo considerarlo per quello che egli dice, per capire come sono andate le cose in quel giorno.

3. LA FOLLA CHE SEGUE GESÙ

E una grande folla lo seguiva, perché vedevano i segni che egli faceva sugli infermi.

Il fatto che Giovanni precisi che questa folla che seguiva Gesù, era particolarmente attirata per i «segni» che Egli faceva sugli infermi, denota chiaramente, che i miracoli che Gesù compiva, avevano un effetto particolare sulla vita di questa folla. Che Giovanni chiami «segni», i miracoli di guarigione, rientra nel suo modo di concepire e definire le cose, dato che è accertato che solo lui adopera questo termine, si è portati a pensare essenzialmente al significato teologico che egli dava, ai miracoli di guarigione di Gesù. Indubbiamente, i «segni» di cui parla Giovanni, non solo hanno a che fare con i diversi miracoli di guarigione, ma indicano chiaramente una connotazione del ministero di Gesù, come inviato dal Padre.

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Domenico34
00giovedì 22 marzo 2012 00:25
È vero che il «giorno seguente», Gesù, fu chiaro, preciso e severo con quella stessa folla che ha mangiato il pane, quando disse loro:

In verità, in verità vi affermo che voi mi cercate non perché avete visto i segni, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati (Giovanni 6:26);

nondimeno, non si può negare l’effetto benefico che esercitava su quella folla, la manifestazione miracolosa di Gesù.

Gesù non faceva pubblicità per attirare le folle a sé; ma quello che faceva, era molto più efficace della moderna campagna pubblicitaria; e, senza che Gesù invitasse le persone a seguirlo, erano sempre molti a seguirlo.

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4. GESÙ SALE SUL MONTE


Ma Gesù salì sul monte e là si sedette con i suoi discepoli.

La particolare menzione del monte, anche se l’evangelista non specifichi di che monte si trattasse, ha indotto gli esegeti a pensare che Giovanni non gli dia un particolare significato teologico, ad eccezione del Gherizim (Giovanni 4:20), rispetto ai Sinottici.

La «salita sul monte», senza dubbio rientrava nel piano di Gesù, fin da quando si diresse sulla sponda del Tiberiade, (per fare riposare i suoi discepoli?) altrimenti l’evangelista l’avrebbe specificato, come fece Matteo quando afferma: Ed egli, vedendo le folle, salì sul monte... (Matteo 5:1) e il suo «sedersi» con i suoi discepoli, ci suggerisce l’idea di un tempo in cui Gesù si appartò con i suoi discepoli, non certamente per rimanere indifferente e inattivo. Senza dover fare sforzi d’interpretazione, non ci troviamo qui sul «monte delle beatitudini», in attesa dei precisi insegnamenti che Gesù darà ai suoi discepoli e neppure nell’aspettativa che gli infermi saranno guariti, perché di tutto questo, Giovanni non ne fa la minima menzione. Questo però, non vuol dire che Gesù volesse rimanere passivo, senza che avesse programmato qualche cosa.

Si chiede perché mai Giovanni non menzioni la salita di Gesù sul monte, fin dall’inizio del capitolo, e si cerca nello stesso tempo di capire questa sua ascesa sul monte. C’è una tendenza di vedere una certa affinità con Mosè, per quanto riguarda la sua ascesa sul Sinai. Se questa era l’intenzione dell’evangelista, non ha torto Schnackenburg, quando afferma:

«Così Gesù appare come la guida del popolo, che opera in nome di Dio e si mostra come l’inviato di Dio» [R. Pesch, Il vangelo di Marco, I, pag. 549. Anche J. Gnilka la pensa nella stessa maniera, cfr. Il vangelo di Matteo, II, pag. 21. Condividiamo in pieno quello che dice Gnilka a proposito di quello che ha scritto Van Jersel: NT 7 (1964/65) 192s,: «Matteo rappresenta qui i discepoli di Cristo come i ministri liturgici». Questa è un’interpretazione eccessiva e non giustificata].

La menzione che la Pasqua, la festa dei Giudei, era vicina, (è solo Giovanni che lo riporta), viene fatta, per indicare la primavera, o per dare solamente un significato teologico al discorso che Gesù terrà sul pane della vita, in rapporto con la manna? (Giovanni 6: 31–35,58). A noi sembra che Giovanni voglia alludere alle due cose.

La menzione della Pasqua, per ciò che riguarda la durata del ministero di Gesù, ha una grande importanza, soprattutto a proposito di quelli che sostengono che l'ufficio di Gesù abbia durato solo un anno. Per quelli che avallano una simile ipotesi, questo riferimento è sicuramente molto scomodo, soprattutto quando si pensa all’altra Pasqua, durante la quale Gesù fu crocifisso (Giovanni 19:14) e a quella prima della moltiplicazione dei pani (Giovanni 2:13).

5. GESÙ VIDE LA GRANDE FOLLA E SI' PREPARA PER OPERARE

Gesù dunque, alzati gli occhi e vedendo che una gran folla veniva da lui...).

A differenza di Marco che parla che Gesù vide la folla «come pecore senza pastore», Giovanni, si limita solamente al fatto che la gran moltitudine è diretta verso lui, e che Gesù vide questo, alzando gli occhi. Il fatto che Giovanni non dia nessun'indicazione di orario, come fanno i Sinottici, già ci dimostra che lo scopo per quest'egli inserisce questo racconto nel suo evangelo, non è quello di presentare Gesù che trascorre un’intera giornata con la folla, insegnando e guarendo, ma il Signore che compie il miracolo della moltiplicazione dei pani.

Gesù non può rimanere indifferente davanti a quello che si presenta ai suoi occhi; sa molto bene (e Giovanni ci tiene molto a precisarlo) che la gran folla «veniva da lui». Gesù non è solo; si trova assieme ai suoi discepoli seduti sul monte. Egli non aspetta che la folla arrivi da lui; già da lontano, prima che questa arrivi, comprende che quelle persone sono dirette a lui. È pertanto giustificata la precisazione che fa l’evangelista, per il fatto che la grande folla non è attratta da Pietro, da Filippo o da Andrea; è attratta da Gesù, perché è lui che fa i «segni sugli infermi».

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