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Domenic34 – Giuseppe... L’uomo denomonata Safnat-Paneac – Capitolo 5. GIUSEPPE IN EGITTO

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    Domenico34
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    00 26/05/2011 00:09

    Capitolo 5




    GIUSEPPE IN EGITTO




    GIUSEPPE VENDUTO COME SCHIAVO A POTIFAR

    Giuseppe venduto dai suoi fratelli agli Ismaeliti, nel giro di poco tempo arriva in Egitto. È lì che viene venduto come schiavo ad un certo Potifar, ufficiale del Faraone (Genesi 39:1). Da questo momento in poi, le quattro volte in cui leggiamo le frasi: l'Eterno fu con Giuseppe (Genesi 39:2,21) e L’Eterno era con lui (Genesi 39:3,23), hanno un significato particolare, nella storia di Giuseppe. Ci dicono chiaramente che quest’uomo era gradito all’Eterno, il quale manifestava la Sua approvazione in tutto quello che Giuseppe faceva.

    A che età Giuseppe arriva nella casa di Potifar? Anche se non possiamo dirlo con precisione, dai dati che la Scrittura ci fornisce, non è difficile stabilire la sua età. Sappiamo, infatti, che quando Giuseppe era con i fratelli a pascolare il gregge, aveva diciassette anni, e ci viene presentato come il prediletto di Giacobbe, il figlio che riceve dal padre il dono della veste lunga nel suo diciassettesimo anno. (Genesi 37:3).

    Molto probabilmente Giuseppe quando era andato a cercare i fratelli a Dothan, aveva ancora diciassette anni. Se si accetta che in quello stesso anno, Giuseppe fu venduto agli Ismaeliti e che nel giro di pochi giorni, gli stessi lo vendettero all’Ufficiale del Faraone, è lecito pensare che quando Giuseppe entra nella casa di Potifar, abbia ancora diciassette anni. Quanto tempo Giuseppe rimase in quella casa, non è difficile calcolarlo.

    Sulla base dei dati che la Scrittura ci fornisce, si può stabilire la durata della permanenza di Giuseppe nella casa di Potifar. Sappiamo, infatti, che quando Giuseppe si presenterà al Faraone per interpretare i suoi sogni, ha trent' anni (Genesi 41:46) e proveniva da due anni di prigionia (Genesi 41:1) dopo l'uscita dalla casa di Potifar.

    Una piccola operazione: 30 anni quando si presenta al Faraone, togliamo 2 anni di prigionia togliamo 17 anni, l' età in cui fu venduto dai suoi fratelli, arriviamo agli 11 anni di permanenza in casa di Potifar. Questo calcolo è logico e coerente. Si può quindi affermare che, Giuseppe, trascorre nella casa di Potifar, il pieno della sua giovinezza, dai 17 ai 28 anni.

    GIUSEPPE AL SERVIZIO DI POTEFAR

    Il testo sacro precisa che Giuseppe era avvenente e di bell’aspetto (Genesi 39:6). Questa bellezza fisica l’aveva ereditata molto probabilmente, dalla madre, donna da tutti ritenuta bella (Genesi 29:17), e ciò aggiungeva un tocco al fascino del giovane. Non sappiamo quanto tempo trascorre prima che a Giuseppe venga affidato l’incarico di maggiordomo nella casa di Potifar. C'è da supporre che non fu nella prima settimana e nemmeno nel primo mese, forse neanche nel primo anno. Però è certo che, quando Giuseppe entra nella casa di Potifar e comincia a svolgere come schiavo il lavoro che gli viene assegnato, Potifar constata che qualsiasi compito gli affidi, tutto prospera nelle sue mani. Preso atto di questa realtà, si convince che è con l'aiuto del Signore che tutto ciò di cui si occupa Giuseppe, prospera (Genesi 39:3). Era il migliore riconoscimento che Giuseppe potesse ricevere da Potifar, ma era anche una significativa testimonianza del suo valore e soprattutto della fedeltà verso il suo Dio. Il rispetto, l’obbedienza e la sottomissione che Giuseppe manifesta verso la casa di Potifar, sono senza dubbio segni indelebili che accrescono, di giorno in giorno, la fiducia e la stima del padrone verso il giovane ebreo.

    GIUSEPPE PROMOSSO ALLA CARICA DI MAGGIORDOMO

    Giuseppe trova grazia agli occhi di lui e si occupa del servizio personale di Potifar, il quale lo promuove a maggiordomo della sua casa e gli affida l’amministrazione di tutto quello che possiede.

    Dal momento che l’ebbe fatto maggiordomo della sua casa e gli ebbe affidato tutto quello che possedeva, il SIGNORE benedisse la casa dell’Egiziano per amore di Giuseppe; la benedizione del SIGNORE si posò su tutto ciò che egli possedeva, in casa e in campagna.
    Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe; non s’occupava più di nulla, tranne che del cibo che mangiava. Giuseppe era avvenente e di bell’aspetto
    (Genesi 39:4-6).

    La promozione di Giuseppe a maggiordomo nella casa di Potifar, non solo segna una svolta nella vita di Giuseppe, ma produce anche un gran beneficio su tutto quello che appartiene a Potifar, sia per tutto quello che possiede nella sua casa, sia nei suoi campi. Il fatto stesso che il testo precisi che il SIGNORE benedisse la casa dell’Egiziano, a seguito della promozione di Giuseppe a maggiordomo, sta a significare che l’Iddio d’Israele, non solo teneva i Suoi occhi su Giuseppe, ma Egli soprattutto lo gradiva e lo guidava in tutte le attività che svolgeva come responsabile della casa di Potifar. Se Giuseppe viene promosso alla carica di maggiordomo dopo un anno di servizio, visto che egli ivi rimane per undici lunghi annii, la ricchezza della benedizione divina che si riverserà sulla casa dell’Egiziano, sarà senza dubbio immensa.

    La stima di tutto il personale al servizio di Potifar verso Giuseppe, è elemento certo, indubitabile. Egli era onesto e retto in ogni sua mansione, e tutti quelli che stavano alle sue dipendenze, lo ammiravano e lodavano, soprattutto perché egli era un uomo che aveva il timore di Dio. Per quanto riguarda l’aspetto religioso, cioè la fede di Giuseppe nel Dio d’Israele, anche se la Scrittura non fa cenno al suo comportamento, era senza dubbio profonda e sincera. Non si vergognava nel dichiararsi Ebreo, appartenente al popolo di Dio. Nel suo modo di vivere la religione, di comportarsi, era senza dubbio diverso dagli Egiziani.

    LA PROVA DI GIUSEPPE

    Giuseppe era giovane ed anche avvenente e di bell’aspetto (Genesi 39:6), e la moglie di Potifar (non ci è dato di sapere se altrettanto bella e giovane) iniziò a corteggiarlo.

    Dopo queste cose, la moglie del padrone di Giuseppe gli mise gli occhi addosso e gli disse: «Unisciti a me!»
    Ma egli rifiutò e disse alla moglie del suo padrone: «Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha.
    In questa casa, egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?»
    Benché lei gliene parlasse ogni giorno, Giuseppe non acconsentì ad unirsi né a stare con lei.
    Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro; lì non c’era nessuno della gente di casa;
    allora lei lo afferrò per la veste e gli disse: «Unisciti a me!» Ma egli le lasciò in mano la veste e fuggì
    (Genesi 39:7-12).

    Quando la moglie di Potifar si innamora di Giuseppe? Non subito. Probabilmente dopo la promozione a maggiordomo. In quella posizione di contatto ravvicinato nella casa di Potifar, Giuseppe è maggiormente in vista, e consente alla donna di guardarlo con particolare attenzione e di ammirarne le doti morali, ma soprattutto quelle fisiche. La Sacra scrittura riferisce chiaramente la richiesta della moglie di Potifar a Giuseppe, Unisciti a me!, cioè vieni a letto con me. La richiesta così esplicita e senza pudore denuncia il folle amore della donna. Certamente la richiesta non sarà stata fatta in pubblico, l’avrà fatta senza dubbio in un momento in cui Giuseppe era solo, in modo da non correre il rischio di far trapelare i suoi sentimenti al personale di servizio.

    Si continuerà il preossimo giorno...
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    Domenico34
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    00 27/05/2011 00:10
    La risposta che Giuseppe dà a quell'indecente richiesta, è: «Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha.
    In questa casa, egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?»
    (Genesi 39:8-9).

    Una simile risposta, denota la fermezza e l'onestà, con cui Giuseppe affronta la situazione. Se questo giovane non fosse stato fermo nel suo ideale di mantenersi puro, davanti a quella richiesta appassionata, non ci avrebbe pensato due volte: si sarebbe dato anima e corpo. C’è veramente da ammirare l’atteggiamento fermo e deciso che Giuseppe assume davanti alla proposta che appare come una seria minaccia alla sua integrità. La convinzione che egli manifesta con le sue parole, merita un’attenta riflessione.

    Giuseppe teneva alla fiducia che il suo padrone gli aveva accordato, il quale aveva messo nelle sue mani la piena e totale amministrazione di tutte le sue cose. Il fatto stesso che a Giuseppe non venisse chiesto di rendere conto di quanto c’era nella casa, denota la piena stima che egli godeva. Inoltre egli sapeva che nella casa dell’Egiziano, non c’era differenza di grandezza tra lui e il suo padrone. Potifar, sicuramente, non trattava più Giuseppe come uno schiavo, bensì come persona di fiducia che curava i suoi interessi. Pertanto, acconsentire alla lasciva richiesta della moglie, significava tradire il suo padrone, e ricambiare con il male il bene ricevuto. Giuseppe non era disposto a fare al suo padrone questo affronto. Inoltre acconsentire alle voglie della moglie di Potifar, significava peccare contro Dio e commettere adulterio.

    Sebbene ogni giorno, quella donna cercasse di sedurlo con ogni mezzo, Giuseppe non acconsente mai; nemmeno il giorno in cui si trova solo in casa con quella donna. Per non peccare contro Dio (Genesi 39:9), Giuseppe lascia in mano a quella donna, scappando, la sua veste ed esce di corsa dalla casa. Tale gesto gli costa un’ingiusta accusa, la diffamazione e la prigione per due anni interi.

    La fermezza con cui Giuseppe difende la propria purezza può essere meraviglioso esempio per ogni giovane, d’ambo i sessi. È un grande atto di coraggio non cadere nella tentazione, attirandosi così l’approvazione di Dio, ma dovrebbe anche essere l'atteggiamento di coloro cui preme la dignità personale e la purezza del corpo e dello spirito.

    Con questo concetto ribadiamo l'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. La società moderna, non è disposta ad accettare la verginità prematrimoniale considerandola un “tabù”, inadatta all’evoluzione dei tempi e chiaro segno di regressione morale. Il detto della Scrittura:

    Sia il matrimonio tenuto in onore da tutti e il letto coniugale sia incontaminato, poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri (Ebrei 13:4),

    non è certamente ben accetto da una buona parte della società contemporanea. Infatti l’uomo moderno si concede ampia libertà in materia di rapporti sessuali, soprattutto per opera di discutibili "educatori sessuali", i quali convincono uomini e donne che non c’è nulla di peccaminoso in un rapporto sessuale extra matrimoniale.

    Noi, invece, continuiamo a ripetere quello che dice la Bibbia: Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri, e riteniamo che ogni rapporto sessuale al di fuori del matrimonio, è peccato, così come ha fatto Giuseppe, il quale ha considerato un peccato contro Dio (Genesi 37:9), l’unione sessuale con la moglie di Potifar. Più tardi Paolo dirà:

    Fuggite la fornicazione. Qualunque altro peccato che l’uomo commetta è fuori dal corpo, ma chi commette fornicazione pecca contro il suo proprio corpo (1 Corinzi 6:18),

    ne consegue:

    1) Dato che i nostri corpi sono membra di Cristo (1Corinzi 6:15;
    2); visto che il nostro corpo è il tempio dello Spirito Santo (1Corinzi 6:19);
    3) tenuto conto che siamo stati comprati a caro prezzo (1Corinzi 6:20); 4) e che non apparteniamo a noi stessi (1Corinzi 6:19), veniamo esortati a glorificare dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a Dio (1Corinzi 6:20).

    Siccome il peccato è violazione della legge (1Giovanni 3:4), ne consegue che quando le norme di Dio riportate nella Bibbia, vengono infrante, l’uomo commette peccato.

    L’ACCUSA CONTRO GIUSEPPE

    Quando lei vide che egli le aveva lasciato la veste in mano e che era fuggito, chiamò la gente di casa sua e disse: «Vedete, ci ha portato un Ebreo perché questi si prendesse giuoco di noi; egli è venuto da me per unirsi a me, ma io ho gridato a gran voce.
    E com’egli ha udito che io alzavo la voce e gridavo, mi ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito».
    E si tenne accanto la veste di lui finché il suo padrone non tornò a casa.
    Allora gli parlò in questa maniera: «Quel servo ebreo che hai condotto in casa è venuto da me per prendersi giuoco di me».
    Ma appena io ho alzato la voce e ho gridato, egli mi ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito.
    Quando il padrone di Giuseppe udì le parole di sua moglie che gli diceva: «Il tuo servo mi ha fatto questo!» si accese d’ira.
    Il padrone di Giuseppe lo prese e lo mise nella prigione, nel luogo dove si tenevano chiusi i carcerati del re. Egli era dunque là in quella prigione
    (Genesi 39:13-20).

    La donna, umiliata e offesa, rifiutata nel suo morboso desiderio, si vendica mistificando i fatti. La veste di Giuseppe nelle sue mani, serve per provare, sia davanti alla gente di casa, sia davanti a suo marito, che se Giuseppe non la violentò, fu perché lei gridò a gran voce, e lui fuggì lasciandole la veste nelle mani. Era successo esattamente il contrario e la Genesi lo dice chiaramente. La donna afferrò Giuseppe per la veste e gli disse unisciti a me, quando non c’era presente nessuno della gente di casa.

    Nessuno del personale di servizio poteva parlare di Giuseppe come di un ragazzo che voleva sedurre la moglie del padrone, e lo stesso Potifar, non aveva mai sospettato potesse Giuseppe compiere un simile gesto. Tutti però finiscono col credere a quello che la donna afferma. Come conseguenza di questa terribile ed ingiusta infamia, Giuseppe viene incriminato per molestia sessuale e il suo padrone lo prese e lo mise nella prigione, nel luogo dove si tenevano chiusi i carcerati del re, e lì vi rimane per due anni.

    QUALCHE CONSIDERAZIONE DI CARATTERE PRATICO

    Dal punto di vista generale, si sa che le prigioni esistono per rinchiudere i fuori legge, chi si macchia di crimini. I magistrati esistono con un preciso ruolo, puntualmente descritto dall’apostolo Paolo nell’epistola ai Romani.

    Infatti i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Tu non vuoi temere l’autorità? Fa’ il bene e avrai la sua approvazione,
    perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti, è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male
    (Romani 13:3-4).

    Questo però non significa che in prigione ci vadano solo i fuori legge, i criminali e chiunque si macchi di efferati delitti. Si sa, infatti, che a volte, sia per errori giudiziari e sia per false testimonianze gli innocenti finiscono con l’essere condannati al carcere per crimini che non hanno commesso.

    L’esempio di Giuseppe è il classico caso in cui un innocente può essere processato e condannato ad una pena detentiva. Giuseppe rimane in carcere solo due anni, non era certamente quello il tempo in cui avrebbe dovuto rimanerci. Se Dio non fosse intervenuto in modo insolito ed inatteso, non sapremmo per quanto tempo avrebbe dovuto rimanere in prigione, dal momento che non si conoscono esattamente i termini della condanna comminata.

    Possiamo immaginare il modo in cui Giuseppe veniva considerato dai carcerati, quando varca la soglia della prigione: un ragazzo che aveva tentato di violentare la nobile moglie di un funzionario Egiziano. Quali giorni terribili per Giuseppe! Ma egli era puro e nulla aveva commesso per meritare la prigione. Egli era stato accusato ingiustamente e Dio non tarda a manifestare il suo favore verso di lui. Le parole che il testo sacro adopera, sono abbastanza significative:

    E il SIGNORE fu con Giuseppe, gli mostrò il suo favore e gli fece trovar grazia agli occhi del governatore della prigione. Così il governatore della prigione affidò alla sorveglianza di Giuseppe tutti i detenuti che erano nel carcere; e nulla si faceva senza di lui.
    Il governatore della prigione non rivedeva niente di quello che era affidato a lui, perché il SIGNORE era con lui, e il SIGNORE faceva prosperare tutto quello che egli intraprendeva
    (Genesi 39:21-23).

    Possiamo dunque affermare, concludendo, che gli innocenti, anche se vengono messi in carcere per un lungo periodo, non vi rimarranno a lungo come criminali, come colpevoli, perché verrà il giorno in cui la loro innocenza sarà apertamente riconosciuta; e, se questo non avverrà su questa terra, sicuramente, nell’altra vita, davanti alla corte celeste, verrà proclamata l’innocenza di quanti, ingiustamente, avranno subite condanne pene detentive.

    PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e noi risponderemo con premura