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La risposta che Giuseppe dà a quell'indecente richiesta, è: «Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha.
In questa casa, egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?»
(Genesi 39:8-9).

Una simile risposta, denota la fermezza e l'onestà, con cui Giuseppe affronta la situazione. Se questo giovane non fosse stato fermo nel suo ideale di mantenersi puro, davanti a quella richiesta appassionata, non ci avrebbe pensato due volte: si sarebbe dato anima e corpo. C’è veramente da ammirare l’atteggiamento fermo e deciso che Giuseppe assume davanti alla proposta che appare come una seria minaccia alla sua integrità. La convinzione che egli manifesta con le sue parole, merita un’attenta riflessione.

Giuseppe teneva alla fiducia che il suo padrone gli aveva accordato, il quale aveva messo nelle sue mani la piena e totale amministrazione di tutte le sue cose. Il fatto stesso che a Giuseppe non venisse chiesto di rendere conto di quanto c’era nella casa, denota la piena stima che egli godeva. Inoltre egli sapeva che nella casa dell’Egiziano, non c’era differenza di grandezza tra lui e il suo padrone. Potifar, sicuramente, non trattava più Giuseppe come uno schiavo, bensì come persona di fiducia che curava i suoi interessi. Pertanto, acconsentire alla lasciva richiesta della moglie, significava tradire il suo padrone, e ricambiare con il male il bene ricevuto. Giuseppe non era disposto a fare al suo padrone questo affronto. Inoltre acconsentire alle voglie della moglie di Potifar, significava peccare contro Dio e commettere adulterio.

Sebbene ogni giorno, quella donna cercasse di sedurlo con ogni mezzo, Giuseppe non acconsente mai; nemmeno il giorno in cui si trova solo in casa con quella donna. Per non peccare contro Dio (Genesi 39:9), Giuseppe lascia in mano a quella donna, scappando, la sua veste ed esce di corsa dalla casa. Tale gesto gli costa un’ingiusta accusa, la diffamazione e la prigione per due anni interi.

La fermezza con cui Giuseppe difende la propria purezza può essere meraviglioso esempio per ogni giovane, d’ambo i sessi. È un grande atto di coraggio non cadere nella tentazione, attirandosi così l’approvazione di Dio, ma dovrebbe anche essere l'atteggiamento di coloro cui preme la dignità personale e la purezza del corpo e dello spirito.

Con questo concetto ribadiamo l'atteggiamento della Chiesa nei confronti dei rapporti sessuali al di fuori del matrimonio. La società moderna, non è disposta ad accettare la verginità prematrimoniale considerandola un “tabù”, inadatta all’evoluzione dei tempi e chiaro segno di regressione morale. Il detto della Scrittura:

Sia il matrimonio tenuto in onore da tutti e il letto coniugale sia incontaminato, poiché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri (Ebrei 13:4),

non è certamente ben accetto da una buona parte della società contemporanea. Infatti l’uomo moderno si concede ampia libertà in materia di rapporti sessuali, soprattutto per opera di discutibili "educatori sessuali", i quali convincono uomini e donne che non c’è nulla di peccaminoso in un rapporto sessuale extra matrimoniale.

Noi, invece, continuiamo a ripetere quello che dice la Bibbia: Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri, e riteniamo che ogni rapporto sessuale al di fuori del matrimonio, è peccato, così come ha fatto Giuseppe, il quale ha considerato un peccato contro Dio (Genesi 37:9), l’unione sessuale con la moglie di Potifar. Più tardi Paolo dirà:

Fuggite la fornicazione. Qualunque altro peccato che l’uomo commetta è fuori dal corpo, ma chi commette fornicazione pecca contro il suo proprio corpo (1 Corinzi 6:18),

ne consegue:

1) Dato che i nostri corpi sono membra di Cristo (1Corinzi 6:15;
2); visto che il nostro corpo è il tempio dello Spirito Santo (1Corinzi 6:19);
3) tenuto conto che siamo stati comprati a caro prezzo (1Corinzi 6:20); 4) e che non apparteniamo a noi stessi (1Corinzi 6:19), veniamo esortati a glorificare dunque Dio nel vostro corpo e nel vostro spirito, che appartengono a Dio (1Corinzi 6:20).

Siccome il peccato è violazione della legge (1Giovanni 3:4), ne consegue che quando le norme di Dio riportate nella Bibbia, vengono infrante, l’uomo commette peccato.

L’ACCUSA CONTRO GIUSEPPE

Quando lei vide che egli le aveva lasciato la veste in mano e che era fuggito, chiamò la gente di casa sua e disse: «Vedete, ci ha portato un Ebreo perché questi si prendesse giuoco di noi; egli è venuto da me per unirsi a me, ma io ho gridato a gran voce.
E com’egli ha udito che io alzavo la voce e gridavo, mi ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito».
E si tenne accanto la veste di lui finché il suo padrone non tornò a casa.
Allora gli parlò in questa maniera: «Quel servo ebreo che hai condotto in casa è venuto da me per prendersi giuoco di me».
Ma appena io ho alzato la voce e ho gridato, egli mi ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito.
Quando il padrone di Giuseppe udì le parole di sua moglie che gli diceva: «Il tuo servo mi ha fatto questo!» si accese d’ira.
Il padrone di Giuseppe lo prese e lo mise nella prigione, nel luogo dove si tenevano chiusi i carcerati del re. Egli era dunque là in quella prigione
(Genesi 39:13-20).

La donna, umiliata e offesa, rifiutata nel suo morboso desiderio, si vendica mistificando i fatti. La veste di Giuseppe nelle sue mani, serve per provare, sia davanti alla gente di casa, sia davanti a suo marito, che se Giuseppe non la violentò, fu perché lei gridò a gran voce, e lui fuggì lasciandole la veste nelle mani. Era successo esattamente il contrario e la Genesi lo dice chiaramente. La donna afferrò Giuseppe per la veste e gli disse unisciti a me, quando non c’era presente nessuno della gente di casa.

Nessuno del personale di servizio poteva parlare di Giuseppe come di un ragazzo che voleva sedurre la moglie del padrone, e lo stesso Potifar, non aveva mai sospettato potesse Giuseppe compiere un simile gesto. Tutti però finiscono col credere a quello che la donna afferma. Come conseguenza di questa terribile ed ingiusta infamia, Giuseppe viene incriminato per molestia sessuale e il suo padrone lo prese e lo mise nella prigione, nel luogo dove si tenevano chiusi i carcerati del re, e lì vi rimane per due anni.

QUALCHE CONSIDERAZIONE DI CARATTERE PRATICO

Dal punto di vista generale, si sa che le prigioni esistono per rinchiudere i fuori legge, chi si macchia di crimini. I magistrati esistono con un preciso ruolo, puntualmente descritto dall’apostolo Paolo nell’epistola ai Romani.

Infatti i magistrati non sono da temere per le opere buone, ma per le cattive. Tu non vuoi temere l’autorità? Fa’ il bene e avrai la sua approvazione,
perché il magistrato è un ministro di Dio per il tuo bene; ma se fai il male, temi, perché egli non porta la spada invano; infatti, è un ministro di Dio per infliggere una giusta punizione a chi fa il male
(Romani 13:3-4).

Questo però non significa che in prigione ci vadano solo i fuori legge, i criminali e chiunque si macchi di efferati delitti. Si sa, infatti, che a volte, sia per errori giudiziari e sia per false testimonianze gli innocenti finiscono con l’essere condannati al carcere per crimini che non hanno commesso.

L’esempio di Giuseppe è il classico caso in cui un innocente può essere processato e condannato ad una pena detentiva. Giuseppe rimane in carcere solo due anni, non era certamente quello il tempo in cui avrebbe dovuto rimanerci. Se Dio non fosse intervenuto in modo insolito ed inatteso, non sapremmo per quanto tempo avrebbe dovuto rimanere in prigione, dal momento che non si conoscono esattamente i termini della condanna comminata.

Possiamo immaginare il modo in cui Giuseppe veniva considerato dai carcerati, quando varca la soglia della prigione: un ragazzo che aveva tentato di violentare la nobile moglie di un funzionario Egiziano. Quali giorni terribili per Giuseppe! Ma egli era puro e nulla aveva commesso per meritare la prigione. Egli era stato accusato ingiustamente e Dio non tarda a manifestare il suo favore verso di lui. Le parole che il testo sacro adopera, sono abbastanza significative:

E il SIGNORE fu con Giuseppe, gli mostrò il suo favore e gli fece trovar grazia agli occhi del governatore della prigione. Così il governatore della prigione affidò alla sorveglianza di Giuseppe tutti i detenuti che erano nel carcere; e nulla si faceva senza di lui.
Il governatore della prigione non rivedeva niente di quello che era affidato a lui, perché il SIGNORE era con lui, e il SIGNORE faceva prosperare tutto quello che egli intraprendeva
(Genesi 39:21-23).

Possiamo dunque affermare, concludendo, che gli innocenti, anche se vengono messi in carcere per un lungo periodo, non vi rimarranno a lungo come criminali, come colpevoli, perché verrà il giorno in cui la loro innocenza sarà apertamente riconosciuta; e, se questo non avverrà su questa terra, sicuramente, nell’altra vita, davanti alla corte celeste, verrà proclamata l’innocenza di quanti, ingiustamente, avranno subite condanne pene detentive.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e noi risponderemo con premura