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Ragionando...

Domenico34 – La fede – XIII. La fede di Rahab

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    Domenico34
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    00 01/01/2011 13:42
    Capitolo 13



    LA fede DI RAHAB



    Per fede Rahab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto in pace le spie (Ebrei 11:31).

    Il motivo per cui la prostituta Rahab, non perì con gli increduli, fu dunque perché accolse in casa sua le spie mandate da Giosuè. Per meglio valutare la fede di questa donna - stando all’affermazione della lettera agli Ebrei -, dobbiamo esaminare il racconto che scrive il libro di Giosuè. Il testo precisa:

    Or Giosuè, figlio di Nun, mandò due uomini da Scittim per spiare di nascosto, dicendo: Andate, ispezionate il paese di Gerico. Così essi andarono ed entrarono in casa di una donna prostituta, chiamata Rahab, e là alloggiarono (Giosuè 2:1).

    Inoltre, sappiamo che la casa di Rahab era situata sulle mura della città ed ella stessa abitava sulle mura (Giosuè 2:15). Non sappiamo se sulle mura della città di Gerico c’era solamente la casa di Rahab, - visto che lei era una prostituta - o ve ne fossero altre.
    Da un primo esame superficiale, sembra impossibile credere come abbiano fatto le due spie del popolo d’Israele, - che poi erano di età giovanile - (Giosuè 6:23), a dirigersi verso una casa di una donna prostituta.

    Sicuramente Giosuè, che li aveva mandati a Gerico, non avrà dato loro consigli perché si dirigessero in casa di una prostituta. Se poi si tiene presente la rigida proibizione che vigeva in mezzo ai figli d’Israele:

    Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele (Deuteronomio 23:17);
    Non contaminare la tua figlia, facendola divenire una prostituta, affinché il paese non si dia alla prostituzione e il paese non si riempia di scelleratezze (Levitico 19:29),

    appare improbabile che i due giovani mandati da Giosuè per spiare Gerico, siano andati in casa di Rahab, la prostituta, per prostituirsi. Sorge, allora spontanea la domanda: quale fu il vero motivo che indusse i due uomini Israeliti di andare a finire in casa di una prostituta, ed alloggiare là?
    Pensando a quella casa situata sulle mura della città, e dato che la muraglia di quel centro abitato era abbastanza alta da fungere come di un vero osservatorio, e quindi permettere alle spie di vedere Gerico nel suo complesso, e non pensando che quella casa era un edificio dove abitava una prostituta, sicuramente i due giovani Israeliti vi si recarono, per meglio portare a termine la loro missione.

    Quando però, si resero conto che si trattava di una casa di una prostituta, allora si comportarono da figli d’Israele e fecero subito sapere a Rahab per quale scopo erano venuti nella sua casa. A questo punto la cosa diventa più chiara, principalmente se si tiene conto che nel frattempo la notizia che nella casa di Rahab erano andati due uomini, non solo era arrivata al re di Gerico, ma che quegli uomini, erano venuti, per esplorare tutto il paese (Giosuè 2:3).
    Rahab, intuisce subito che la vita di quei due uomini è in serio pericolo, quindi con prontezza e tempestività - anche se dice una menzogna agli inviati del re - ha premura di nascondere i due uomini:

    (Essa invece li aveva fatti salire sul tetto e li aveva nascosti fra gli steli di lino, che aveva disteso sul tetto) (Giosuè 2:6).

    Quando i messaggeri del re, lasciarono la casa di Rahab e si misero ad inseguire le due spie, nella speranza di poterli raggiungere e catturarli, secondo il consiglio che la stessa Rahab aveva loro dato, le parole che lei pronunciò ai due uomini Israeliti, già ci permettono di intravedere la fede di questa donna.

    Io so che l’Eterno vi ha dato il paese, che il terrore di voi è caduto su di noi, e che tutti gli abitanti del paese vengono meno dalla paura davanti a voi.
    Poiché noi abbiamo udito come l’Eterno asciugò le acque del Mar Rosso davanti a voi quando usciste dall’Egitto, e ciò che faceste ai due re degli Amorei, di là dal Giordano, Sihon e Og, che votaste allo sterminio.
    All’udire queste cose, il nostro cuore è venuto meno e non è più rimasto coraggio in alcuno a motivo di voi, perché l’Eterno, il vostro DIO, è DIO lassù nei cieli e quaggiù sulla terra.
    Or dunque, vi prego, giuratemi per l’Eterno che, come io vi ho usato clemenza, anche voi userete clemenza con la casa di mio padre; datemi quindi un segno sicuro
    che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che appartiene loro, e che risparmierete le nostre vite dalla morte
    (Giosuè 2:9-13).

    La risposta e la promessa le venne subito data, a queste precise condizioni:

    1) ...purché non sveliate questo nostro affare (Giosuè 2:14;
    2) ...tu attacchi alla finestra per la quale ci fai scendere
    3) questa cordicella di filo di scarlatto
    4) e raduni in casa presso di te tuo padre, tua madre, i tuoi
    5) fratelli e tutta la famiglia di tuo padre (Giosuè 2:18).

    Il fatto che quella donna, in quello stesso giorno, legò la cordicella scarlatta alla finestra (Giosuè 2:21), è già una prova, non solo che ella accettò le condizioni stabilite, ma della sua fede, derivata dal fatto che credeva a quello che l’Eterno aveva operato nel passato per il popolo d’Israele, e che lo stesso avrebbe portato a compimento la presa di Gerico da parte dei figli d’Israele.

    Credendo quindi a quello che le due spie le avevano detto, non solo li accolse in casa sua, li nascose sul tetto della sua casa, li alloggiò in quella notte, ma anche si distaccò dagli altri, - che l’Epistola agli Ebrei chiama “increduli”.

    Ormai la promessa era stata fatta, e fatta a precise condizioni; Rahab aveva provveduto a calare dalla sua finestra con una corda le due spie; aveva confessato la sua fede su quello che l’Eterno aveva fatto ad Israele; aveva appeso la cordicella scarlatta alla finestra, non rimaneva che aspettare il nuovo evento.

    La verità sulla fede di Rahab deve essere proclamata con tutta chiarezza, non solamente perché alla sua finestra c’è appesa una cordicella scarlatta, - qualcuno dirà: simbolo del sangue di Gesù Cristo - ma essenzialmente perché in lei non c’è più l’incredulità, rispetto a tutti gli altri abitanti di Gerico.

    Quando le mura della città di Gerico crollarono, - anche se si accetta che fu un movimento tellurico che causò quel crollo, (stando a quello che dicono gli archeologi) non si può però escludere l’intervento di Dio - la casa di Rahab, che era stata costruita sulle mura, non crollò; non solo perché Dio protesse quell’edificio, ma anche perché in quella casa ci abitava una donna che aveva creduto, che aveva fede.

    Più tardi questa prostituta venne inclusa nell’elenco genealogico di Gesù Cristo, secondo quello che ha scritto Matteo, divenendo così un chiaro riferimento della misericordia e della compassione di Dio in favore dei più abbietti peccatori. L’apostolo Paolo più tardi scriverà:

    Or la legge intervenne affinché la trasgressione abbondasse; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata (Romani 5:20).

    Si continuerà il prossimo giorno...
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    Domenico34
    Post: 1.112
    Età: 90
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    00 02/01/2011 12:29
    QUEL CHE DICE L’APOSTOLO GIACOMO A PROPOSITO DI RAHAB

    A questo punto, si impone la necessità, di mettere in risalto quello che dice l’apostolo Giacomo nella sua epistola, riguardo a Rahab, la meretrice, per meglio comprendere, non solo la fede che questa donna manifestò nell’Iddio d’Israele, ma anche e soprattutto la grazia che ricevette da parte dell’Eterno.

    Che la prostituta Rahab, non debba essere considerata solamente pensando al solo fatto che non perisse assieme agli abitanti di Gerico, ma soprattutto in riferimento a quello che insegnasse il N.T. per quanto riguarda la sua salvezza, intesa come perdono dei peccati e riconciliazione con Dio, questo lo ricaviamo da quello che dice l’apostolo Giacomo:

    Similmente anche Rahab, la prostituta, non fu essa giustificata per le opere quando accolse i messi e li rimandò per un’altra strada? (Giacomo 2:25).

    Il fatto che l’apostolo affermi che Rahab fu giustificata, è una chiara prova che Giacomo considerava questa pagana, non solo una prostituta, quindi una peccatrice, ma una persona raggiunta dalla grazia di Dio.
    Il termine Giustificare, infatti, che troviamo spesso nel N.T. ha sempre il significato di un’azione squisitamente divina in favore del peccatore, e di per se stessa, è più che sufficiente per stabilire la grazia che Rahab ricevette da parte di Dio.

    Che poi Giacomo precisi che la giustificazione Rahab l’ottenne per le opere, e non per fede solamente, come dice Paolo (cfr. Romani 3:28; 5:1), non vuol dire assolutamente che la fede di Rahab venga messa in discussione, anzi al contrario la sua fede viene messa in evidenza da quello che ella fece nell’accogliere i messi.

    Interpretando giustamente quello che Giacomo dice, non c’è da pensare che questo apostolo stia contraddicendo l’insegnamento di Paolo per ciò che riguarda la dottrina della giustificazione.

    A questo punto, naturalmente, per la rilevanza che ha la dottrina della giustificazione in Giacomo, non si può ignorare o sottovalutare quello che Lutero scrisse e disse a proposito dell’epistola di Giacomo, per la ripercussione che ebbe in quel tempo e per quello che continua ad avere anche oggi, per avere una giusta valutazione di quest’epistola e soprattutto per quanto riguarda la dottrina della giustificazione, così come viene puntualizzata.

    Davanti ad una precisa presa di posizione, Lutero non ebbe nessuna difficoltà ad esprimere il suo severo giudizio negativo nei confronti di questo scritto, anche se lo considerava buono dal punto di vista della legge di Dio, non credeva però che fosse uno scritto apostolico, perché secondo lui non parlava di Cristo, e per questo motivo, non poteva essere considerato ispirato.
    Quando lo paragonava al “Vangelo di Giovanni, alle lettere di Paolo (“specialmente quelle ai Romani, ai Galati, agli Efesini”) e alla prima di Pietro, Lutero così scriveva:

    «Perciò l’epistola di san Giacomo, rispetto a queste, è un’epistola di paglia, poiché non ha nulla di evangelico». [La presente citazione l’abbiamo presa da Franz Mussner, La lettera di Giacono, pagg. 67-69].

    Come conseguenza di questa dura critica, Lutero arrivò addirittura ad affermare di non volerla nella sua Bibbia, assieme agli scritti apostolici, per il fatto che Giacomo sosteneva la legge e le sue opere. Improntata in questi termini tutta l’argomentazione e con questa precisa valutazione, bisogna vedere se Giacomo parla delle opere della legge, o se le opere che egli menziona hanno un altro significato.
    Ovviamente, per conoscere che cosa voleva dire Giacomo effettivamente quando menzionava le opere, non ci resta altro che esaminare quei passi dell’epistola dove vengono chiaramente specificate.

    ESAME DEL TESTO BIBLICO

    Delle 15 volte che il termine greco ergon opere, si trova nella nostra epistola, ben dodici volte ricorre nella sezione principale di 2:14-26 ed è proprio in questa sezione che Giacomo afferma:

    Perciò vedete che l’uomo è giustificato per le opere e non per fede soltanto (Giacomo 2:24).

    A parte che in tutti i quindici casi in cui leggiamo il termine opere, Giacomo non parla mai di opere della legge, come avviene specificatamente in Paolo (cfr. Romani 3:28), tutta la sua argomentazione non viene condotta a minimizzare la fede e a innalzare le opere, dando a queste il senso “meritorio”, come fa la chiesa Cattolica Romana. Né si può dire che Giacomo presenti due distinte entità, fede, opere, come se l’una e l’altra fossero in antitesi.

    Al contrario, l’apostolo Giacomo vuole dimostrare come deve essere intesa la fede e in quale maniera si manifesta quando è presente in una persona, ed è soprattutto fede viva.
    Una fede intesa solamente in senso intellettuale = un assenso mentale, a parte che si riduce come qualcosa di astratto, non è essenzialmente fede vera e viva, se non si può dimostrare con azioni reali, tangibili e visibili. Ha perfettamente ragione F. Mussner, quando dice:

    «Il verbo sunerghein, se ben considerato, consente di comprendere meglio il concetto di ‘fede’ che ha Giacomo. Esso dimostra che in 2:18-26 Giacomo non intende far valere le opere contro la fede, ma sottolineare la loro unità inscindibile in una sintesi vivente e convincente. Giacomo non dice nemmeno (e ciò va notato) che le opere collaborano con la fede, ma, viceversa, che la fede collabora con le opere; valore primario è dunque per lui la fede. È inconcepibile per Giacomo un’alternativa: fede oppure opere. È per lui possibile solo un insieme di fede e opere, anzi la fede (di Abramo) fu completata dalle opere (v. 22), dove l’accento è posto su eteleiēthē; cioè senza le opere, la fede è un abbozzo, qualcosa di acerbo, d’incompiuto. Solo con le opere, la fede acquista la sua integrità, la sua completezza, notando che completezza’ è qualcosa di diverso e di più che ‘complemento». [Franz Mussner, La lettera di Giacomo, pagg. 204-205].

    Intesa in questo senso l’affermazione dell’apostolo Giacomo, non c’è niente in tutta la sua argomentazione che possa farci vedere un certo tipo di conflitto tra lui e Paolo, come alcuni hanno cercato di far vedere, a partire da Lutero o per dirla con più specificità: Giacomo insegna la giustificazione per le opere, mentre Paolo per la sola fede. Il fatto poi che Giacomo dica:

    Ma qualcuno dirà: Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere e io ti mostrerò la mia fede con le mie opere (Giacomo 2:18),

    dimostra chiaramente che la fede viene messa in evidenza con le opere, vale a dire non è un semplice assenso mentale, e che le opere stesse servono per manifestare la reale presenza della fede, e non come base per la giustificazione. Giustamente Giacomo conclude la sua argomentazione col dire:

    Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta (Giacomo 2:26).

    Il maggiore scoglio da superare di tutta la discussione che Giacomo fa è quello concernente la giustificazione di Abramo, se questo passaggio viene confrontato con Romani 4. È chiaro infatti che sia Paolo, in Romani 4:3 e Giacomo 2:23, citano Genesi 15:6: Or Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia.
    Questa citazione è indiscutibilmente riferita alla sola fede di Abrahamo. Ma tenendo presente Genesi 22:9-12 in cui si racconta del sacrificio di Isacco, come atto supremo dell’obbedienza di Abrahamo alla Parola dell’Eterno, elemento che Paolo non menziona, mentre Giacomo giustamente mette in risalto, ne risulta la conclusione logica che Giacomo fa, quando dice:

    Abrahamo, nostro padre non fu forse giustificato per mezzo delle opere, quando offrì il figlio Isacco sull’altare?
    Tu vedi che la fede operava insieme alle opere di lui, e che per mezzo delle opere la fede fu resa perfetta
    (o compiuta, Luzzi) (Giacomo 2:21-22).

    A questo punto «dobbiamo approvare il Dibelius quando sottolinea che la ‘fede’ di Abramo in Giacomo 2:23 non viene affermata tenendo conto soltanto di Genesi 15:6, ma di tutta la vita del patriarca». [Ibidem, pag. 207, nota 17].

    Lo stesso Mussner conclude col dire che: “Giacomo non afferma affatto che la fede non abbia alcun valore giustificante, ma solo che la giustificazione non proviene “dalla fede soltanto”, bensì anche dalle opere; meglio ancora: da una fede, che si dimostra tale nelle opere”. Ritornando a Rahab e facendo un confronto tra quello che il libro di Giosuè dice da una parte e quello che dice Giacomo dall’altra, lo scrittore agli Ebrei si trova in piena armonia quando afferma:

    Per fede Rahab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto in pace le spie.


    PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente, e, da parte nostra saremo felici di rispondere.