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QUEL CHE DICE L’APOSTOLO GIACOMO A PROPOSITO DI RAHAB

A questo punto, si impone la necessità, di mettere in risalto quello che dice l’apostolo Giacomo nella sua epistola, riguardo a Rahab, la meretrice, per meglio comprendere, non solo la fede che questa donna manifestò nell’Iddio d’Israele, ma anche e soprattutto la grazia che ricevette da parte dell’Eterno.

Che la prostituta Rahab, non debba essere considerata solamente pensando al solo fatto che non perisse assieme agli abitanti di Gerico, ma soprattutto in riferimento a quello che insegnasse il N.T. per quanto riguarda la sua salvezza, intesa come perdono dei peccati e riconciliazione con Dio, questo lo ricaviamo da quello che dice l’apostolo Giacomo:

Similmente anche Rahab, la prostituta, non fu essa giustificata per le opere quando accolse i messi e li rimandò per un’altra strada? (Giacomo 2:25).

Il fatto che l’apostolo affermi che Rahab fu giustificata, è una chiara prova che Giacomo considerava questa pagana, non solo una prostituta, quindi una peccatrice, ma una persona raggiunta dalla grazia di Dio.
Il termine Giustificare, infatti, che troviamo spesso nel N.T. ha sempre il significato di un’azione squisitamente divina in favore del peccatore, e di per se stessa, è più che sufficiente per stabilire la grazia che Rahab ricevette da parte di Dio.

Che poi Giacomo precisi che la giustificazione Rahab l’ottenne per le opere, e non per fede solamente, come dice Paolo (cfr. Romani 3:28; 5:1), non vuol dire assolutamente che la fede di Rahab venga messa in discussione, anzi al contrario la sua fede viene messa in evidenza da quello che ella fece nell’accogliere i messi.

Interpretando giustamente quello che Giacomo dice, non c’è da pensare che questo apostolo stia contraddicendo l’insegnamento di Paolo per ciò che riguarda la dottrina della giustificazione.

A questo punto, naturalmente, per la rilevanza che ha la dottrina della giustificazione in Giacomo, non si può ignorare o sottovalutare quello che Lutero scrisse e disse a proposito dell’epistola di Giacomo, per la ripercussione che ebbe in quel tempo e per quello che continua ad avere anche oggi, per avere una giusta valutazione di quest’epistola e soprattutto per quanto riguarda la dottrina della giustificazione, così come viene puntualizzata.

Davanti ad una precisa presa di posizione, Lutero non ebbe nessuna difficoltà ad esprimere il suo severo giudizio negativo nei confronti di questo scritto, anche se lo considerava buono dal punto di vista della legge di Dio, non credeva però che fosse uno scritto apostolico, perché secondo lui non parlava di Cristo, e per questo motivo, non poteva essere considerato ispirato.
Quando lo paragonava al “Vangelo di Giovanni, alle lettere di Paolo (“specialmente quelle ai Romani, ai Galati, agli Efesini”) e alla prima di Pietro, Lutero così scriveva:

«Perciò l’epistola di san Giacomo, rispetto a queste, è un’epistola di paglia, poiché non ha nulla di evangelico». [La presente citazione l’abbiamo presa da Franz Mussner, La lettera di Giacono, pagg. 67-69].

Come conseguenza di questa dura critica, Lutero arrivò addirittura ad affermare di non volerla nella sua Bibbia, assieme agli scritti apostolici, per il fatto che Giacomo sosteneva la legge e le sue opere. Improntata in questi termini tutta l’argomentazione e con questa precisa valutazione, bisogna vedere se Giacomo parla delle opere della legge, o se le opere che egli menziona hanno un altro significato.
Ovviamente, per conoscere che cosa voleva dire Giacomo effettivamente quando menzionava le opere, non ci resta altro che esaminare quei passi dell’epistola dove vengono chiaramente specificate.

ESAME DEL TESTO BIBLICO

Delle 15 volte che il termine greco ergon opere, si trova nella nostra epistola, ben dodici volte ricorre nella sezione principale di 2:14-26 ed è proprio in questa sezione che Giacomo afferma:

Perciò vedete che l’uomo è giustificato per le opere e non per fede soltanto (Giacomo 2:24).

A parte che in tutti i quindici casi in cui leggiamo il termine opere, Giacomo non parla mai di opere della legge, come avviene specificatamente in Paolo (cfr. Romani 3:28), tutta la sua argomentazione non viene condotta a minimizzare la fede e a innalzare le opere, dando a queste il senso “meritorio”, come fa la chiesa Cattolica Romana. Né si può dire che Giacomo presenti due distinte entità, fede, opere, come se l’una e l’altra fossero in antitesi.

Al contrario, l’apostolo Giacomo vuole dimostrare come deve essere intesa la fede e in quale maniera si manifesta quando è presente in una persona, ed è soprattutto fede viva.
Una fede intesa solamente in senso intellettuale = un assenso mentale, a parte che si riduce come qualcosa di astratto, non è essenzialmente fede vera e viva, se non si può dimostrare con azioni reali, tangibili e visibili. Ha perfettamente ragione F. Mussner, quando dice:

«Il verbo sunerghein, se ben considerato, consente di comprendere meglio il concetto di ‘fede’ che ha Giacomo. Esso dimostra che in 2:18-26 Giacomo non intende far valere le opere contro la fede, ma sottolineare la loro unità inscindibile in una sintesi vivente e convincente. Giacomo non dice nemmeno (e ciò va notato) che le opere collaborano con la fede, ma, viceversa, che la fede collabora con le opere; valore primario è dunque per lui la fede. È inconcepibile per Giacomo un’alternativa: fede oppure opere. È per lui possibile solo un insieme di fede e opere, anzi la fede (di Abramo) fu completata dalle opere (v. 22), dove l’accento è posto su eteleiēthē; cioè senza le opere, la fede è un abbozzo, qualcosa di acerbo, d’incompiuto. Solo con le opere, la fede acquista la sua integrità, la sua completezza, notando che completezza’ è qualcosa di diverso e di più che ‘complemento». [Franz Mussner, La lettera di Giacomo, pagg. 204-205].

Intesa in questo senso l’affermazione dell’apostolo Giacomo, non c’è niente in tutta la sua argomentazione che possa farci vedere un certo tipo di conflitto tra lui e Paolo, come alcuni hanno cercato di far vedere, a partire da Lutero o per dirla con più specificità: Giacomo insegna la giustificazione per le opere, mentre Paolo per la sola fede. Il fatto poi che Giacomo dica:

Ma qualcuno dirà: Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere e io ti mostrerò la mia fede con le mie opere (Giacomo 2:18),

dimostra chiaramente che la fede viene messa in evidenza con le opere, vale a dire non è un semplice assenso mentale, e che le opere stesse servono per manifestare la reale presenza della fede, e non come base per la giustificazione. Giustamente Giacomo conclude la sua argomentazione col dire:

Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta (Giacomo 2:26).

Il maggiore scoglio da superare di tutta la discussione che Giacomo fa è quello concernente la giustificazione di Abramo, se questo passaggio viene confrontato con Romani 4. È chiaro infatti che sia Paolo, in Romani 4:3 e Giacomo 2:23, citano Genesi 15:6: Or Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia.
Questa citazione è indiscutibilmente riferita alla sola fede di Abrahamo. Ma tenendo presente Genesi 22:9-12 in cui si racconta del sacrificio di Isacco, come atto supremo dell’obbedienza di Abrahamo alla Parola dell’Eterno, elemento che Paolo non menziona, mentre Giacomo giustamente mette in risalto, ne risulta la conclusione logica che Giacomo fa, quando dice:

Abrahamo, nostro padre non fu forse giustificato per mezzo delle opere, quando offrì il figlio Isacco sull’altare?
Tu vedi che la fede operava insieme alle opere di lui, e che per mezzo delle opere la fede fu resa perfetta
(o compiuta, Luzzi) (Giacomo 2:21-22).

A questo punto «dobbiamo approvare il Dibelius quando sottolinea che la ‘fede’ di Abramo in Giacomo 2:23 non viene affermata tenendo conto soltanto di Genesi 15:6, ma di tutta la vita del patriarca». [Ibidem, pag. 207, nota 17].

Lo stesso Mussner conclude col dire che: “Giacomo non afferma affatto che la fede non abbia alcun valore giustificante, ma solo che la giustificazione non proviene “dalla fede soltanto”, bensì anche dalle opere; meglio ancora: da una fede, che si dimostra tale nelle opere”. Ritornando a Rahab e facendo un confronto tra quello che il libro di Giosuè dice da una parte e quello che dice Giacomo dall’altra, lo scrittore agli Ebrei si trova in piena armonia quando afferma:

Per fede Rahab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto in pace le spie.


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