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Domenico34 - Giacomo 2:14-26 - LA FEDE NELL'INSEGNAMENTO DELLA BIBBIA

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    Domenico34
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    Età: 90
    Sesso: Maschile
    00 13/09/2010 05:38
    LA FEDE NELLA SEZIONE DI GIACOMO 2:14-26


    Voglio condividere una mia riflessione sulla sezione di Giacomo 2:14-26, nella speranza che possa contribuire al chiarimento dell’argomento in questione.

    Nota preliminare

    È necessario esaminare la sezione (Giacomo 2:14-26), che è stato oggetto di lunghe discussioni, a cominciare da Lutero, il quale non ebbe nessuna difficoltà a definire l’intera epistola di Giacomo, uno scritto non apostolico, paragonato come una epistola di ‘paglia’ in confronto con gli altri scritti del N.T. Senza dubbio, se Lutero ai suoi giorni espresse simili giudizi negativi, e fraintese l’insegnamento di Giacomo per ciò che riguarda la giustificazione per le opere, lo fece principalmente per la polemica che aveva ingaggiato con i papisti che si servivano di questo scritto del N.T. per sostenere che la giustificazione non era soltanto quella per fede, ma era anche quella per le opere.

    In vista di questa posizione, Lutero vedeva una chiara contraddizione con quello che Paolo insegna sullo stesso tema della giustificazione, per cui non riusciva a conciliare i due insegnamenti e sfidava chiunque osasse mettere in dubbio le sue conclusioni. Ovviamente Lutero, visto che aveva davanti a sé, un’aspra polemica con Roma, e, con i papisti in modo particolare, non seppe cogliere il valore e il significato di tutta l’argomentazione che faceva Giacomo. Però, se si considerano obbiettivamento le affermazioni di Giacomo, non si può concludere di vedere delle marcate contraddizioni sul tema della giustificazione, rispetto a quello che Paolo insegna. Lo stesso Calvino, più tardi, pur avendo mantenuto l’ordine dei libri fatto da Lutero, vide chiaramente l’inesistenza di una contraddizione fra Paolo e Giacomo sulla questione della giustificazione per fede e delle opere.

    In vista di quanto si è detto e scritto sulla sezione (Giacomo 2:14-26), ci accingiamo ad esaminare questo testo, anche se ci rendiamo conto che il testo in questione non è di facile interpretazione, tuttavia, faremo del nostro meglio per cercare di capire la posizione di Giacomo e nello stesso tempo evitare di farlo apparire in contraddizione con l’insegnamento di Paolo.
    Per mettere in risalto l’importanza e la portata che ha la sezione (Giacomo 2:14-26) per ciò che riguarda la fede, basta dire che delle 16 occorrenze che ci sono in tutta la lettera, ben 11 si trovano in questi 13 vv. Questo elemento statistico, in sé è abbastanza eloquente per farci comprendere come Giacomo considerava la fede e quale valore le dava.

    Giacomo 2:14:

    A che giova, fratelli miei, se uno dice di aver fede pistin ma non ha opere? Può la fede pistis salvarlo?

    Con le due domande che Giacomo pone all’inizio di questa sezione, egli pone subito il problema della salvezza, e domanda se la si può ottenere con la sola fede senza le opere. Con questa sua precisazione, l’Apostolo lascia intravedere come egli concepisca la fede e come deve essere valutata nel contesto della salvezza. Siccome la salvezza non ha a che fare solamente con la vita presente, ma investe appieno quella futura, cioè quella dell’eternità, nel porla al centro della discussione, già di per sé denota che, da un punto di vista della vita pratica, ci possono essere errate posizioni e falsi vanti che potrebbero portare le persone a pensare di trovarsi nella giusta posizione, o possedere quancosa di vitale importanza, mentre in effetti vi sarebbero solamente delle illusioni o dei vanti apparenti, privi della realtà.

    Un esame più approfondito di questo primo versetto, ci porterà sicuramente a capire meglio Giacomo in quello che egli voleva dire. Ponendo delle precise interrogazioni — a titolo prettamente statistico, nella sezione (Giacomo 2:14-26), l’Apostolo formula 6 interrogazioni —, che di per sé stesse portano il lettere a riflettere posatamente sulla serietà dell’argomentazione che farà in tutta la sezione in questione.

    Le traduzioni, come: G. Diodati, G. Luzzi, N. Diodati, N. Riveduta, A. Martini ed altri ancora, che hanno reso la parte terminale me dunataie pistis sosai auton; può la fede salvarlo? non è abbastanza chiara per far comprendere quello che effettivamente Giacomo voleva dire e può facilmente prestarsi a fraintendimenti. Secondo la valutazione che ne fa Tasker, è addirittura fuorviante, e non esprime la forza data nel greco dall’articolo determinativo [R.U.G. Tasker, L’Epistola di Giacomo, p. 83. La CEI, Marietti, come anche alcune versioni Inglesi, l’hanno invece resa, con maggiore incisività: Forse che "quella" (La sottolineatura è nostra), fede può salvarlo? La risposta, anche se Giacomo non la dà, è decisamente no!

    Per Giacomo, come anche per Paolo, (cfr. Galati 5:6) è inconcepibile una fede senza opere. Anche se nella nostra lettera non si leggono mai frasi come: ‘fede vera’ o ‘fede viva’, è però in questo senso che Giacomo concepisce la fede . Una ‘fede viva’, non si limita solamente a formulare parole su parole, ma agisce con atti visibili e concreti che tutti possono vedere e constatare; mentre una fede morta, ha solo parole e nient’altro che parole. Le parole, quanto belle e significative possano essere, sono sempre parole. Sicuramente le parole di Gesù, erano orientate in questo senso:

    Non chiunque mi dice: Signore, Signore entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli (Matteo 7:21).

    Non ha nessuna importanza sapere a chi si riferiva Giacomo con la frase: se uno dice di aver fede — come hanno cercato di individuare i commentatori, scorgendo un possibile riferimento a Paolo, per alcuni, mentre per altri non è possibile pensare in quel modo —. La frase posta in forma condizionale, non necessariamente deve riferirsi a una determinata persona; può semplicemente precisare che, nell’eventualità ci fosse una persona — non importa chi — o più di una che si limitassero a dire solamente di aver fede, quelle persone, avrebbero solamente espressioni verbali della loro fede e nient’altro che parole. Una simile fede, fatta di sole parole, non è degna di questo nome e non può essere accettata come autentica fede. Poiché la persona che ha questa fede, di cui sta parlando chiaramente Giacomo, e non ha opere, è una coerenza lineare e logica sotto ogni aspetto, che una simile fede non può salvare.

    Giacomo 2:17:

    Così è pure della fede; pistis se non ha le opere, per se stessa è morta.
    In (Giacomo 2:15,16) l’apostolo porta un esempio — è immaginario o vero? Non ha nessuna importanza stabilire in un modo o nell’altro —, la cosa che maggiormente conta è la verita che si vuole illustrare.

    Se un fratello o una sorella sono nudi — meglio senza vestimenti — e mancano del cibo quotidiano, e qualcuno di voi dice loro: Andatevene in pace, scaldatevi e saziatevi, ma non date loro le cose di cui hanno bisogno per il corpo, a che giova?.

    In vista di quello che Giacomo ha detto nel Giacomo 2:14, ora vuole precisare il significato delle opere, e lo fa portando il lettore sul piano della vita pratica. Non è infatti improbabile che in mezzo alla fratellanza si potessero verificare episodi come quello che egli indica in (Giacomo 2:15,16). Indipendentemente se quel caso si fosse veramente verificato in mezzo ai destinatari dell’epistola, non sarà difficile all’Apostolo raggiungere lo scopo per cui ha portato quell’esempio e per i destinatari è molto facile capire l’argomentazione dell’autore. Se davanti a un reale bisogno di carattere economico, uno che si vanta di aver fede, dovesse rivolgere le parole contenute in (Giacomo 2:16): Andatevene in pace, scaldatevi e saziatevi, l’Apostolo giustamente domanda: che giova?.

    Dal momento che al fratello e alla sorella bisognosi non si è dato loro niente, le belle parole non possono sostituirsi alla mancanza del vestito e del cibo. Se poi l’esempio rispecchia fatti avvenuti in mezzo alla fratellanza, la conclusione di Giacomo acquista più forza persuasiva, facendo vedere chiaramente a quali ‘opere’ si riferisca egli. In definitiva, conclude Giacomo: una fede senza opere di amore, per se stessa è morta, cioè non ha nessun valore né per questa vita né per l’eternità.

    Giacomo 2:18:

    Ma qualcuno dirà: Tu hai la fede, pistin io ho le opere; mostrami la tua fede pistin senza le tue opere e io ti mostrerò la mia fede pistin con le mie opere.

    Questo versetto è stato giudicato dai commentatori, specialmente Dibelius, «uno dei più difficili passi del N.T.» [F. Mussner, La lettera di Giacomo, p. 192, nota 19].

    La difficoltà consiste nello stabilire se qui viene presentato un altro personaggio diverso di (Giacomo 2:14) o è lo stesso; se il ragionamento che viene fatto è quello dell’Apostolo o se sono le parole di un nuovo avversario. Dal momento che la forma grammaticale del testo gr. presenta queste difficoltà, colui che si attiene ad essa, non viene facilitato a spiegare il passo. Indipendentemente da quello che dicono gli esegeti, e chi sia o siano il personaggio o i personaggi presentati in questo testo, quello che viene presentato nell’argomentazione è abbastanza chiaro ed eloquente da permettere una facile comprensione del testo. Qualunque siano i personaggi descritti in (Giacomo 2:18), quello che a noi interessa mettere in evidenza è che questo verso presenta due posizioni: la prima parla di una fede che però non può essere mostrata, dato che non ha opere e la seconda che può mostrare la sua fede con le opere. Il nocciolo della questione consiste appunto nella ‘dimostrazione’ che si può produrre. Per l’Apostolo che ci tiene ancora una volta a sottolineare che la vera fede, cioè quella viva, si manifesta nelle opere e non nelle sole parole, l’unica prova convincente e vera è quella delle opere, cioè una fede che opera nell’amore (Galati 5:6), vale a dire non di opere in senso generale, ma di opere personali: le mie opere.

    Giacomo 2:20:

    Ma vuoi renderti conto, o insensato, che la fede pistis senza le opere è morta?.

    Avendo Giacomo, in 2:19 affermato che anche i demoni credono in Dio e tremano, questa sua affermazione non deve però indurre il suo interlocutore che se egli ha la sua fede nell’unico Dio, che questa fede sia autentica, vera e viva. Una fede come quella dei demoni, non serve a niente, non ha nessun valore. Il tono forte, espresso nel termine ‘insensato’, cioè: Privo di senno, di giudizio; che pensa e agisce in modo irragionevole e imprudente; che parla sconsideratamente, anche con pericolo di recare danno a sé o ad altri; che manca di buon senno; sciocco, stolto, scriteriato, dissennato, dovrebbe portare la persona a riflettere seriamente, nella speranza che la sua persistenza a rimanere nella posizione in cui si trova, cioè in quella convinzione che la fede monoteistica sia sufficiente e valida, possa cedere per dare spazio a quello che Giacomo afferma, che una fede senza le opere è vana, senza valore, quindi morta.

    LE PROVE SCRITTURALI CHE GIACOMO ADDUCE

    Giacomo 2:22

    Tu vedi che la fede pistis operava insieme alle opere di lui, e che per mezzo delle opere la fede pistis fu resa perfetta.

    Questo verso per poterlo capire, deve essere concatenato e letto assieme al (Giacomo 2:21), il quale ci permette di comprendere ed apprezzare la fede che aveva Abrahamo, valutarla nella sua reale portata e vederla sotto l’aspetto della vita pratica.

    Col riferimento ad Abrahamo, Giacomo fornisce la prova scritturale a sostegno della sua precedente argomentazione. Specificando che Abrahamo fu giustificato per mezzo delle opere quando offrì il proprio figlio Isacco, il passo scritturale è senza dubbio Genesi 22. Infatti, è in questo capitolo che viene raccontato il sacrificio di Isacco. Leggendo questo racconto, l’ubbidienza di Abrahamo al comando di Dio che gli chiedeva di offrirgli il suo unico figlio, quello che egli amava, cioè Isacco, è senza dubbio l’elemento essenziale di questo episodio.

    L’ubbidienza di Abrahamo non solo viene messa in evidenza in maniera incondizionata e piena, ma viene addirittura presentata — come diciamo ai nostri giorni — contro la logica umana. Questo elemento appare vistosamente se si tiene presente che il patriarca ha dovuto aspettare 25 anni prima che la promessa divina si avverasse, cioè prima che nascesse Isacco. Ora, — secondo la logica umana — se questo figlio deve essere offerto in olocausto al Signore, come si sarebbe potuto realizzare la promessa dell’Eterno, poiché la richiesta di Dio, umanamente parlando, avrebbe neutralizzato la promessa divina, per ciò che riguardava la progenie di Abrahamo numerosa come le stelle del cielo e la sabbia sul lido del mare? (Genesi 22:17).

    Si tenga inoltre presente che la promessa di Dio ripetuta ad Abrahamo nel giorno che egli offrì Isacco, all’Eterno, di una abbondante discendenza, paragonata come le stelle del cielo, era stata fatta al patriarca quando lo stesso pensava che l’erede della sua casa sarebbe stato il suo servo Eliezer di Damasco, poiché sua moglie Sara, fino a quel giorno, non gli aveva dato nessun figlio (Genesi 15:2-5). Fu in quella circostanza che Abrahamo credette all’Eterno, che glielo mise in conto di giustizia (Genesi 15:6).

    Nell’argomentazione che Giacomo fa di Abrahamo, fa notare al suo interlocutore che la fede del patriarca operava insieme alle opere, e che per mezzo di esse la fede fu resa perfetta o ‘completa’ — N. Riveduta. Nonostante che la fede di Abrahamo venga messa in evidenza nel capitolo 15 della Genesi, è però nel capitolo 22 che la fede, non solo si rende visibile agli altri, ma si completa attraverso l’opera del sacrificio di suo figlio. Giacomo non fa una netta separazione tra fede e opere, come se si trattasse di due entità distinte e separate, ma di fede e opere che operavano insieme. È chiaro che nel pensiero di Giacomo, le opere a cui fa riferimento il nostro testo, si riferiscono all’ubbidienza di Abrahamo all’ordine divino e al sacrificio di suo figlio Isacco.

    Se si valuta giustamente tutta l’argomentazione che fa Giacomo, non è possibile vedere gli estremi di una confutazione alla dottrina di Paolo, o che esistono gli estremi di una netta contraddizione con l’insegnamento paolino. Dal momento che Giacomo non può separare fede e opere — e neanche Paolo lo avrebbe fatto se avesse fatta la stessa argomentazione di Giacomo —, vedere il completamento della fede nelle opere che compì Abrahamo, era la chiara e lineare conseguenza di questo preciso atteggiamento di Abrahamo.

    In altre parole: se non ci fossero state le opere di obbedienza e di sottomissione completa ai voleri divini da parte di Abrahamo, la sua fede, non solo sarebbe stata vana, perché composta di sole parole, quindi morta, ma la sua stessa giustificazione sarebbe stata messa in gioco. Vedendo nelle ‘opere’ del patriarca, gli elementi determinanti e qualificanti, Giacomo non ha nessuna incertezza di affermare che Abrahamo fu giustificato non solo per la sua fede, quando credette a Dio per la promessa che gli faceva circa la sua discendenza, ma con le ‘opere’ che egli compì, dimostrò la sua reale e viva fede, anche e soprattutto nel fatto che Dio, che gli aveva chiesto di offrirgli il suo unico figlio Isacco, sarebbe stato capace di risuscitarlo dai morti, così che la Sua promessa si sarebbe ugualmente avverata (Ebrei 11:19).

    L’affermazione quindi di Giacomo, nel contesto di quello che egli effettivamente voleva dire:

    Così si adempì la Scrittura, che dice: Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia; e fu chiamato amico di Dio (Giacomo 2:23, cfr. Genesi 15:6),

    trova la sua perfetta coesione e rappresenta una motivazione qualificante. Siccome (Giacomo 2:21,22) ha parlato dell’offerta che Abrahamo fece del figlio Isacco — anche se in effetti Isacco non venne offerto all’Eterno, perché al suo posto venne offerto un montone (Genesi 22:13), nondimeno Dio considerò fatta l’offerta, e, per approvare l’operato del suo servo, aggiunse:

    …Io giuro per me stesso, dice l’Eterno, poiché tu hai fatto questo e non hai risparmiato tuo figlio, l’unico tuo figlio, io certo ti benedirò grandemente e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza possederà la porta dei suoi nemici. E tutte le nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché tu hai ubbidito alla mia voce (Genesi 22:16-18).

    In vista della valutazione che fece Dio, e in perfetta coerenza con l’argomentazione di Giacomo, il passo scritturale di (Genesi 15:6), — che per Lutero ed altri rappresenta la prova schiacciante della contraddizione tra Paolo e Giacomo —, viene spostato e fatto precedere dal capitolo 22 della Genesi. A questo punto si potrebbe chiedere: Perché Giacomo ha fatto questo idealmente? La risposta è una sola: In tutto quello che Abrahamo fece, prima nell’ubbidire pienamente a Dio e poi nell’offrire suo figlio Isacco, la Scrittura di (Genesi 15:6) si adempiva in Genesi 22, anche se tra i due avvenimenti intercorrono circa 30 anni.

    Gicomo 2:24:

    Perciò vedete che l’uomo è giustificato per le opere e non per fede pisteos soltanto.

    Avendo dimostrato che Abrahamo fu giustificato per le opere che derivavano dalla sua fede attiva, tutta l’argomentazione-dimostrazione che Giacomo ha condotto sulla vita di Abrahamo, gli serve come base per affermare un principio teologico di carattere generale. Il termine vedete, chiaramente indirizzato ai destinatari o più precisamente — agli pseudo-paolinisti? — porta i lettori a riflettere seriamente, in modo da permetter loro di vedere l’aspetto pratico della fede — opere, e, considerandolo obbiettivamente, si potrà vedere il legame inscindibile che esiste tra fede e opere, non come due entità separate, ma come un tutt’uno che produce la giustificazione dell’uomo.

    «Giacomo non afferma affatto che la fede non abbia alcun valore giustificante, ma solo che la giustificazione non proviene dalla fede soltanto, bensì anche dalle opere; meglio ancora: da una fede, che si dimostra tale nelle opere; fede e opere stanno dunque per Giacomo in rapporto ‘sinergetico’ (Gicomo 2:22). Non si può però intendere tale espressione nel senso di una giustapposizione additiva — fede assommata alle opere; per lui anzi fede e opere operano congiuntamente Gicomo 2:22; e le opere dimostrano la fede (Gicomo 2:18). Le opere risultano necessariamente da una fede viva. Dio giustifica l’uomo non a motivo della fede ‘soltanto’, ma sulla base di quella fede che nelle opere si dimostra viva, come fu per Abramo» [F. Mussner, La lettera di Giacomo, pp. 208,209].

    L’Apostolo Giacomo avrebbe potuto chiudere la sezione 2:14-26, col solo esempio di Abrahamo, e se l’avesse fatto, la sua argomentazione sarebbe stata ugualmente abbastanza chiara. Egli però preferisce inserire anche la prostituta Rahab, all’unico scopo di rafforzare ulteriormente la sua dimostrazione scritturale. Anche se Giacomo non parla della fede di Rahab, — lo fa chiaramente in Ebrei 11, dal testo di (Giosuè 2:9) ne viene dedotta una specifica dimostrazione:

    Io so che l’Eterno vi ha dato il paese… perché l’Eterno, il vostro Dio, è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra (Giosuè 2:11). Per fede Rahab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto in pace le spie.

    Le ‘opere’, per le quali questa pagana fu giustificata, consistettero dapprima nella pacifica accoglienza degli esploratori in casa sua, senza tradirli, e poi nell’averne resa possibile la fuga segreta da Gerico. La ‘giustificazione’ della meretrice consistette nella salvezza sua e di tutta la sua famiglia dalla distruzione della città. Una diffusa tradizione rabbinica ne fa la madre di numerosi sacerdoti e profeti, in particolare di Geremia, di Ezechiele e della profetessa Holda [G. Kittel, GLNT, Volume IV, colonna 147]. Infine, Rahab viene onorata per essere stata inclusa nella genealogia di Gesù (Matteo 1:5).

    Giacomo 2:26:

    Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede pistis senza le opere è morta.

    Con un paragone tratto dall’antropologia, Giacomo chiude la sezione centrale della sua epistola: Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta. Una fede morta è come un cadavere e non ha pertanto alcuna portata salvifica, non può ‘salvare’. Le opere dell’amore, secondo Giacomo, fanno della fede una salvifica fede viva.

    In conseguenza del valore e dell’importanza che riveste la sezione (Giacomo 2:14-26) per ciò che riguarda la giustificazione, — che poi investe in pieno la teologia della salvezza —, non possiamo chiudere il discorso, senza esaminare il soggetto delle opere, così come viene presentato dall’insegnamento del N.T. In questo esame che stiamo conducendo prenderemo in considerazione solamente tre frasi: ‘Le opere della legge’, le ‘buone opere’, nella forma plurale e la ‘buona opera’, nella forma singolare, espressioni che hanno una larga risonanza in tutto il N.T. Naturalmente tutto questo ha di mira la giusta comprensione del soggetto delle opere, tenendo presente le stesse sotto il profilo della precisa finalità: la ‘dimostrazione’ e la ‘completezza’ della fede .

    Infine, per non rimanere solamente sul piano ipotetico, ma armonizzarle soprattutto nella vita pratica, in modo che la fede venga giustamente valorizzata mediante manifestazioni concrete che tutti possono vedere e capire.

    LE OPERE IN GIACOMO E NEL RESTO DEL N.T.

    a. Le opere della legge

    Questa frase si trova solamente negli scritti paolini, e precisamente nelle due epistole ai Romani e ai Galati. Ecco qui di seguito i testi:

    perché nessuna carne sarà giustificata davanti a lui — cioè Dio — per le opere della legge; mediante la legge infatti vi è la conoscenza del peccato (Romani 3:20).

    Noi dunque riteniamo che l’uomo è giustificato mediante la fede senza le opere della legge (Romani 3:28).

    Perché? Perché la cercava non mediante la fede ma mediante le opere della legge; essi infatti hanno urtato nella pietra d’inciampo (Romani 9:32).

    sapendo che l’uomo non è giustificato per le opere della legge ma per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù, affinché fossimo giustificati mediante la fede di Cristo e non mediante le opere della legge, poiché nessuna carne sarà giustificata per mezzo della legge (Galati 2:16).

    Questo solo desidero sapere da voi: avete ricevuto lo Spirito mediante le opere della legge o attraverso la predicazione della fede? (Galati 3:2).

    Colui dunque che vi dispensa lo Spirito e opera tra voi potenti operazioni, lo fa mediante le opere della legge o mediante la predicazione della fede? (Galati 3:5).

    Ora tutti coloro che si fondano sulle opere della legge sono sotto la maledizione, perché sta scritto: Maledetto chiunque non persevera in tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle (Galati 3:10).

    Questi testi letti nei loro contesti mostrano chiaramente che se Paolo usò questa espressione, — le opere della legge — lo fece solamente per far comprendere che la salvezza non si ottiene con l’osservanza del rito della circoncisione e di tutte quelle pratiche cerimoniali che elencava la legge, come affermava il giudaismo, ma solamente per la fede in Cristo Gesù. Che questa convinzione fosse profondamente radicata nella convinzione del giudeo, anche di quelli che avevano accettato il cristianesimo, lo si può constatare dalle seguenti parole, che vennero pronunciate in occasione della prima assemblea generale tenuta a Gerusalemme, secondo il resoconto che ci dà Atti 15.

    Or alcuni, discesi dalla Giudea, insegnavano ai fratelli, dicendo: Se non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati. Ma alcuni della setta dei farisei che avevano creduto si alzarono, dicendo: Bisogna circoncidere i gentili e comandar loro di osservare la legge di Mosè (Atti 15:1,5).

    Davanti a questa errata convinzione, Paolo, al quale in maniera particolare era stato rivelato il vangelo di Gesù Cristo (Galati 1:11,12), si oppose energicamente, mettendo chiaramente in risalto il valore della predicazione della fede in Cristo. In tutta l’argomentazione che egli condusse con i giudaizzanti, che si opponevano alla predicazione del vangelo, libero dalla legge, non fece altro che smantellare e confutare la loro posizione, avvisando nel frattempo quei fratelli che erano stati negativamente influenzati da questa dottrina, il pericolo a cui andavano incontro, se fossero ritornati sotto il giogo della schiavitù. Questo in pratica significava essere separati da Cristo; scaduti dalla grazia (Galati 5:1,4).

    Una volta compreso questo ampio contesto e non travisato nelle sue linee essenziali, non si può accusare Paolo di essere decisamente contro le buone opere e non dare nessun valore ad esse. Se egli prese una ferma posizione, lo fece specificatamente intorno alle ‘opere della legge’, che davano valore giustificante, ai fini della salvezza.

    L’Apostolo Giacomo, con l’impiego del termine ‘opere’, — nella sola sezione (Giacomo 2:14-26) viene impiegato 12 volte — in tutta la sua argomentazione, non parla mai delle ‘opere della legge’, ma sempre di quelle dell’amore, che dimostrano la vera fede, quella viva. Una volta che questo concetto viene ben capito, l’ostacolo e la contraddizione che tanti hanno visto nelle affermazioni di Giacomo a confronto con l’insegnamento paolino, non esistono, perché l’uno e l’altro affrontano due temi diversi.

    Se Giacomo non avesse specificato che l’uomo è giustificato per le opere e non per fede soltanto (Giacomo 2:24), la sua affermazione si presterebbe ad un serio equivoco e lascerebbe aperta la porta della contraddizione con l’insegnamento paolino. Ma poiché l’Apostolo, ha anche chiaramente affermato che le opere non seguono una via indipendente dalla fede, ma sono mezzi visivi che la ‘dimostrano’ e la rendono completa (Giacomo 2:18,22), le sue precisazioni, oltre ad essere preziose, gettano luce sul legame inscindibile che c’è tra fede e opere.

    b. Le buone opere, forma al plurale

    Sotto questa voce, non solo possiamo conoscere quello che Paolo ha lasciato scritto nei suoi scritti, ma anche prendere atto di quello che hanno detto Gesù ed alcuni scrittori del N.T. Qui di seguito elenchiamo tutti i riferimenti che si leggono nel N.T. intorno alle ‘buone opere’ nella forma plurale.

    Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Matteo 5:16).

    Nei Quattro evangeli, è l’unica volta che troviamo nella bocca di Gesù, le parole del nostro testo e che solo Matteo ha riportato. Appare abbastanza chiaro il valore e l’importanza che Gesù dava alle ‘buone opere’, che senza dubbio erano di gran lunga superiori a quelle che i religiosi Giudei facevano ai loro giorni. Il valore delle ‘buone opere’, non si prefiggeva come finalità l’esaltazione di colui che li compiva, ma mirava invece a glorificare il Padre celeste.

    «La conclusione all’imperativo riassume tutto e dà la spiegazione delle immagini. La luce, che i discepoli devono essere e il diffondere, sono le opere buone che essi devono compiere di fronte agli uomini, per indurli a lodare il Padre celeste. Questo imperativo può essere frainteso nel senso di una giustizia sociale solo se si trascura la struttura matteana della fede . Adesione a Gesù, sequela, accettazione del vangelo del regno si esplicano nella prassi della fede . Se ciò non avviene vuol dire che la discepolanza è divenuta incerta, insignificante o — per rimanere nell’immagine — insipida; si è fatta tenebra. Non si separa il vangelo accettato con fede dal vangelo vissuto. Essi costituiscono un’unità, come formano un’unità l’amore di Dio e l’amore del prossimo (Matteo 22:37)» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, prima parte, p. 212].

    Atti 9:36:

    Di una certa discepola di nome Tabitha di Ioppe viene detto che faceva molte buone opere. Senza dubbio, in quell’ambiente e in quell’epoca, le buone opere che le persone compivano durante il tempo della loro vita terrena, non venivano sottovalutate ma ricordate a beneficio delle persone che le compivano. Per Luca, che ricorda l’episodio di questa pia credente, ciò rappresenta una prova che questa sorella in Cristo, non professava la sua fede con le sole parole, ma la dimostrava con le sue buone opere.

    Per quanto riguarda Paolo, per ciò che ha lasciato scritto intorno alle buone opere, poiché sono parecchi i passaggi che ne parlano nelle sue epistole, la cosa da fare è quella di elencarli così da averli sottocchio e avere nello stesso tempo un quadro completo.

    Romani 2:7:

    la vita eterna a coloro che cercano gloria, onore e immortalità, perseverando nelle opere di bene — o opere buone, come dice un’altra versione .

    Nei versetti precedenti l’Apostolo ha parlato del giorno del giudizio in cui sarà reso a ciascuno secondo le sue opere Romani 2:6. Se colui che disprezza le ricchezze della sua benignità, della sua pazienza e longanimità… — cioè quella di Dio — e, a motivo della durezza del cuore impenitente si accumula un tesoro d’ira, per il giorno dell’ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio (Romani 2:4,5), è perfettamente coerente nell’argomentazione dell’Apostolo, che lo stesso Dio manterrà una posizione severa verso coloro che non hanno fatto stima della sua grazia, terrà conto benevolmente delle opere buone degli altri. Questo testo, unico nel suo genere in tutto il N.T., parla addirittura della vita eterna che sarà data a quelli che persevereranno nelle opere di bene. Come Dio punirà ogni opera malvagia, così darà una giusta ricompensa a tutte le opere buone che saranno fatte, specialmente quelle di misericordia (cfr. Matteo 25:31-46).

    Romani 13:3:

    I magistrati infatti non sono da temere per le opere buone, ma per le malvagie; ora vuoi non temere l’autorità? Fa’ ciò che è bene, e tu riceverai lode da essa.

    Se i magistrati fanno paura e puniscono, a volte duramente, lo fanno in riferimento a quelli che infrangono le leggi e fanno opere malvagie.

    Efesini 2:10:

    Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha precedentemente preparato, perché le compiamo.

    Questo testo, spessissimo è sorvolato o trascurato, per dare più spazio a (Efesini 2:8,9), in cui viene affermato:

    Voi infatti siete salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perché nessuno si glori.

    È indiscutibile che la salvezza è un dono di Dio e la si riceve mediante la fede senza le opere. È altrettanto vero che una persona veramente salvata, produrrà opere buone, come dimostrazione che la sua fede in Cristo, è una fede viva, cioè operante. Un cristianesimo che si vanta di avere fede in Cristo e non ha buone opere, è un falso cristianesimo che non tiene conto che le buone opere che Dio ha precedentemente preparato le ha fatte perché noi le compiamo. Se le buone opere non vengano praticate, in pratica si rende vano quello che è inerente ai disegni e ai piani divini.

    «Noi non siamo salvati mediante buone opere, ma in quanto salvati mediante la grazia tramite la fede, in Cristo Gesù siamo fatti per buone opere. Le opere non sono il principio, ma il fine dell’esistenza cristiana. Esse, d’altro canto, sono, per così dire, lo splendore e la luce della grazia che, mediante i battezzati, viene da Dio mostrata agli Eoni venienti» [H. Schlier, La lettera agli Efesini, p. 178].

    1Timoteo 2:10:

    ma di buone opere, come conviene a donne che fanno professione di pieta.

    Con le pastorali, il riferimento alle ‘buone opere’ — plurale — e alla ‘buona opera’ — singolare —, in tutto 13 volte, c’è una dovizia di insegnamenti che si possono ricavare e soprattutto vedere come questi scritti neotestamentari inquadrano e valutano il soggetto.

    La specificazione di donne che fanno professione di pieta, è senza dubbio una chiara indicazione di donne cristiane. È a costoro che viene indirizzata l’esortazione a non vestire in modo indecoroso, ma di indossare abiti decenti con verecondia e modestia e che il loro ornamento non sia di trecce o d’oro, o di perle o di abiti costosi (1Timoteo 2:9), ma abbiano piuttosto un ‘ornamento’ di buone opere, che senza dubbio vale di gran lunga a tutti gli ornamenti esterni che abbelliscono il corpo femminile.

    «Qui e altrove nelle Pastorali è posto un accento particolare sulla necessità delle opere buone, probabilmente perché le idee correnti tendevano a dividere la dottrina dalla pratica. L’idea delle buone opere come ornamento è suggestivo poiché una vita di altruistica dedizione agli altri può ben far migliorare l’aspetto. L’ornamento di una donna, risiede non in ciò che indossa ma nel servizio d’amore che rende» [D. Guthrie, Le epistole pastorali, p. 88].

    1Timoteo 5:10:

    e abbia testimonianza di opere buone: se ha nutrito i suoi figli, se ha ospitato i forestieri, se ha lavato i piedi ai santi, se ha soccorso gli afflitti, se si è data continuamente ad ogni opera buona.

    Questo testo è un chiaro riferimento alle caratteristiche che una donna doveva avere per essere iscritta nell’elenco delle vedove, oltre alla sua età non meno di sessant’anni.

    1Timoteo 5:25:

    Così pure le buone opere di alcuni sono manifestate; ed anche quando non lo sono, non possono rimanere nascoste.

    Come i peccati di alcuni uomini sono manifeste e li precedono al giudizio, mentre in altri li seguono, (1Timoteo 5:24), allo stesso modo le buone opere si manifestano e non possono essere nascoste. Logicamente, le valutazioni finali che conteranno, sia per i ‘peccati’ come per le ‘buone opere’, saranno quelle che farà Dio stesso nel giorno del giudizio, cioè nel giorno in cui tutti dovranno rendergli conto di quello che avranno fatto durante la loro vita. Il nostro testo stabilisce in maniera precisa che se ci sono le buone opere, le stesse non possono rimanere nascoste: in un modo o in un altro, saranno sicuramente manifestate. Qui ovviamente, non si tratta di pensare solamente al giorno della resa dei conti, in cui i segreti degli uomini saranno palesati, ma riguarda anche il tempo della vita terrena che si conduce in mezzo agli uomini, tra i quali ognuno manifesta la condotta della propria vita con quello che fa.

    1Timoteo 6:18:

    ordina di fare del bene, di essere ricchi in buone opere, di essere generosi e di essere pronti a dare.

    L’esortazione che viene rivolta, sotto forma di un ‘ordine’, riguarda le persone che hanno ricchezze. A loro l’Apostolo rivolge la parola per far capire che non devono riporre la loro speranza nell’incertezza delle ricchezze, ma nel Dio vivente, il quale ci offre abbondandemente ogni cosa per goderne (1Timoteo 6:17).

    Il fatto stesso che l’autore dica ai ricchi di non riporre la speranza nelle ricchezze, già rivela il pericolo che esiste, non tanto nella ricchezza stessa — come se la stessa fosse un male in sé — quanto per l’attitudine che si può assumere davanti ad essa. Riponendo la speranza nell’Iddio vivente, non solo si può evitare il pericolo che minaccia particolarmente la fede, ma si può maggiormente apprezzare quello che Dio dona, e valutare lo scopo per cui Egli offre abbondandemente. La ricchezza, secondo questo testo, non deve rappresentare il fondamento della nostra sicurezza per oggi e per domani, — come l’esempio del ricco della parabola:

    Anima, tu hai molti beni riposti per molti anni; riposati, mangia, bevi e godi (Luca 12:19),

    ma solamente il mezzo per gonerne il beneficio. A questo punto è importante sottolineare che il godimento derivato dalla ricchezza, non deve essere a senso unico, cioè pensando solo a se stesso, ma tenendo presente anche gli altri. Ecco perché il nostro testo esorta il ricco ad essere ricco di ‘buone opere’, pronti a dare con generosità.

    «Per le pastorali, si ricorderà che, le buone opere non sono altro che i segni della retta fede (cfr. 1Timoteo 2:10; 5:25; 2Timoteo 2:21; 3:17; Tito 2:7; 3:1). Pertanto l’autore scegliendo l’espressione arricchirsi di buone opere non vuole sottolineare, in prima linea, la responsabilità sociale che viene dall’essere ricchi, bensì la possibilità per i ricchi di dimostrare, con l’uso della loro ricchezza, la propria fede e la propria pietà» [L. Oberlinner, Le lettere pastorali. La prima lettera a Timoteo, p. 474].

    Tito 2:7:

    presentando in ogni cosa te stesso come esempio di buone opere, mostrando nell’isegnamento integrità, dignità, incorruttibilità.

    La stessa esortazione che qui viene rivolta a Tito è stata rivolta anche a Timoteo (1Timoteo 4:12), con la differenza che per Tito viene specificato che deve essere ‘esempio di buone opere’. Chi è chiamato all’opera del ministero o a chi è stato Affidato un ufficio di responsabilità in una comunità, l’esempio che dovrà dare al popolo, gioca un ruolo determinante per il buon andamento della sua attività. Non deve solamente mostrare ‘integrità nell’insegnamento’, cioè insegnare la sana dottrina e schivare ogni forma di deviazione dalla retta fede, ma deve anche mostrare esempio nel praticare le buone opere. Non è superfluo ricordare che nelle pastorali, queste ultime sono comunque segno caratteristico della retta fede Tito 2:14; 3:8,14 [L. Oberlinner, Le lettere pastorali, La lettera di Tito, p. 151].

    Agendo nella vita pratica coerentemente con l’insegnamento che si predica, le ‘buone opere oltre ad essere ‘segno caratteristico della retta fede’, possono servire anche come ‘stimolo’ per gli altri a compierle.

    Tito 2:14:

    il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e purificare per sé un popolo speciale, zelante nelle buone opere.

    Parlando dell’opera che Cristo Gesù a compiuto per la salvezza dell’uomo, questo testo oltre a parlare del riscatto e della purificazione da ogni iniquità, rivela anche un altro scopo, sempre collegato alla stessa opera, e cioè procracciarsi: un popolo speciale, zelante nelle buone opere.
    Le buone opere, dunque, non sono solo la quintessenza della testimonianza tangibile in un cristianesimo pratico, bensì segno di retta fede. fede e azione sono indissolubilmente unite [L. Oberlinner, Le lettere pastorali, La lettera di Tito, p. 178, note 50,5].

    Il concetto di essere ‘zelante nelle buone opere’, non solo ci fa vedere una certa continuità nel produrle, ma anche ci prospetta un certo impegno e una buona manifestazione di premura e di gioia nel portarle a compimento.

    Tito 3:8:

    Sicura è questa parola, e voglio che tu affermi con forza queste cose, affinché quelli che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a opere buone. Queste sono le cose buone e utili agli uomini.

    Quali sono le cose che Tito deve ‘affermare con forza’, senza lasciarsi influenzare negativamente da quelli che concepiscono la fede in una maniera distorta, e non tengono presente il ‘fondamento’ della sana dottrina? Senza dover riccorrere a certe argomentazioni superficiali, tendenti a sminuire soprattutto la bontà di Dio, nostro Salvatore e il suo amore verso gli uomini (Tito 3:4), bisogna tener presente che la salvezza, intesa come ‘riconciliazione con Dio’ e ‘rigenerati’ e ‘rinnovati’ mediante l’opera dello Spirito Santo, non è fondata sulle ‘opere giuste’, ma unicamente sulla misericodia divina, per mezzo di Cristo Gesù (Tito 3:5,6). Queste verità essenzialmente importanti e basilari per un autentico cristianesimo, non possono essere ‘adattate’ a proprio piacimento, ma devono essere accettate pienamente sulla base della fede in Cristo Gesù. Coloro che hanno creduto in Dio abbiano cura di applicarsi a opere buone, ciò deve essere inteso come chiaro impegno di una chiara testimonianza della fede,

    «in quanto simbolo di retta fede sono anche segno distintivo di fronte ai membri in fede li della comunità; perciò non possono essere presi in considerazione indipendentemente dalla controversia tra sana dottrina e allontanamento dalla verità. Le opere buone possiedono in quanto segno della retta fede una qualità ufficialmente riconosciuta; ed è sulla base di questa importanza che vengono richieste» [L. Oberlinner, Le lettere pastorali, La lettera di Tito, p. 230, nota 14]

    Tito 3:14:

    Or imparino anche i nostri a dedicarsi a buone opere per i bisogni urgenti, affinché non siano senza frutto.

    La specificazione di questa esortazione finale tende a far comprendere ‘ai nostri’, cioè ai credenti della comunità, due cose: 1. Imparare e 2. dedicarsi a buone opere. Conoscere quali sono le ‘buone opere’ da fare, serve ad aprire la strada per camminare in esse e il dedicarsi ad esse, in realtà significa vivere una vita cristiana in senso pratico e non restare sul piano teorico. Il provvedere con ‘cura al viaggio di Zena e di Apollo, perché non manchi loro nulla’ (Tito 3:13), rappresenta una chiara manifestazione della fede in atto e una buona testimonianza a non chiudere gli occhi davanti a un bisogno. Quando si presenta un ‘bisogno urgente’, non si deve mai rimandare a un domani, alla prossima volta. Potrebbe darsi che quel domani non verrà e non ci sarà un’altra volta. Agendo nella vita pratica, non solo si va incontro a una necessità, ma principalmente si porta frutto. Le buone opere in questo testo, sono il frutto che ogni sincero seguace di Gesù Cristo deve portare nella sua vita, come caratteristica di una fede vera e viva.

    Ebrei 10:24:

    E consideriamo gli uni gli altri, per incitarci ad amore e a buone opere.

    Dopo di aver detto di ritenere ferma la confessione della speranza, pensando che Colui che ha fatto le promesse è fedele, lo scrittore di questa epistola rivolge ancora una volta una calda e significativa esortazione, tendente a far comprendere ai credenti che non devono vivere la loro vita cristiana nel senso egoista, cioè pensando solamente a sé stessi, ma devono considerare gli altri, in modo che ci sia un ‘incitamento’ reciproco all’amore e alle buone opere. Amare e buone opere, di solito vanno insieme nella manifestazione concreta di una autentica vita cristiana. Se uno dice di amare e non trova il modo di esprimere questo amore attraverso il suo operare, si rischia di confessare la propria fede con le sole parole.

    1Pietro 2:12:

    Comportatevi bene fra i gentili affinché, là dove vi accusano di essere dei malfattori, a motivo delle buone opere che osservano in voi, possano glorificare Dio nel giorno della visitazione.

    L’esortazione di Pietro a comportarsi bene fra i gentili, serve soprattutto per autenticare la vera fede in Cristo. Essere accusati come ‘malfattori’, infatti, — anche se non viene generalizzato per tutti — non è un elogio ma un disprezzo. La vera fede in Cristo, attira sempre l’odio del mondo.

    «I cristiani vivono tra i concittadini in un mondo ostile. Devono sentirsi estranei e interpretare questo sentimento da cristiani convinti 1Pietro 1:17, ma senza ritirarsi dal mondo. Devono superare l’odio con la testimonianza di una vita integerrima» [Karl Hermann Schelkle, Le lettere di Pietro. La lettera di Giuda, p. 133]

    Quando si oppongono alla diffamazione e al disprezzo le ‘buone opere’, le stesse persone che vedranno quelle manifestazioni, saranno portati a ‘glorificare Dio nel giorno della visitazione’. Sullo stesso piano si collocano le parole di Gesù:

    Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Matteo 5:16).

    c. La buona opera forma al singolare

    Dopo avere passato in rassegna i testi che parlano di buone opere, ci accingiamo ad esaminare quelli che presentano la forma al singolare. Nell’elenco che seguirà, non compariranno quei testi che parlano dell’opera buona di Dio, come per Esodo Filippesi 1:6, ma solamente quella che compie l’uomo. In questa maniera avremo un quadro completo di quello che il N.T. insegna a proposito delle ‘opere buone’, guardate e valutate sotto il profilo della fede .

    2Corinzi 9:8:

    Ora Dio è potente di fare abbondare in voi ogni grazia affinché, avendo sempre il sufficiente in ogni cosa, voi abbondiate per ogni buona opera.

    Tutto il contesto di questo brano parla chiaramente della colletta di generosità raccolta a favore dei santi (2Corinzi 9:12). Questa colletta non deve raccogliersi sotto la pressione di un invito appassionato di Paolo, deve riflettere invece la generosità, la spontaneità e l’allegrezza di ogni singolo contribuente, soprattutto quando viene inquadrata sotto il profilo del rendimento di grazie a Dio che produce (2Corinzi 9:7,11,12). Questa colletta, l’Apostolo la definisce un’opera buona, non solo perché va incontro ai bisogni dei santi, ma anche perché è qualcosa grata a Dio. Dio che è e sarà sempre il grande ricompensatore, saprà ridondare nella vita del credente ogni grazia, in modo che lo stesso abbondi in ogni buona opera.

    Efesini 4:28:

    Chi rubava non rubi più, ma piuttosto si affatichi facendo qualche buona opera con le proprie mani, affinché abbia qualcosa da dare a chi è nel bisogno.

    L’ammonizione che Paolo fa in questa parte della sua epistola, serve per illuminare la fratellanza che il loro vecchio modo di agire = rubare, deve essere sostituito con la laboriosità, in modo che lavorando con le proprie mani, possa compiersi ‘qualche buona opera’ in favore dei bisognosi. Così agendo, non solo si testimonierà di un cambiamento di vita, ma si darà anche prova di una vita cristiana veramente vissuta all’insegna dell’amore e della comprensione dei vari bisogni che possono esserci in mezzo al popolo di Dio.

    Colossesi 1:10:

    perché camminiate in modo degno del Signore, per piacergli in ogni cosa, portando frutto in ogni opera buona e crescendo nella conoscenza di Dio.

    Il camminare in un modo degno del Signore per piacergli, rappresenta una buona meta e una giusta direzione nella volontà del Signore. Prima della conversione, il camminare dell’uomo, era un modo di agire piuttosto egoista e mirava essenzialmente a soddisfare i desideri della carne. Quando Cristo ha preso possesso della sua vita, tutto ciò che prima non era di gradimento a Lui, diventa uno studio perseverante da parte dell’uomo nella direzione opposta, cioè nel compiere quelle opere che sono di gradimento al Signore. L’esortazione dell’Apostolo mira quindi a far comprendere al credente che camminando in maniera degna del Signore, si è portati a portare frutto in ogni opera buona che si compirà. Così facendo, si crescerà anche nella conoscenza di Dio, nel senso che si imparerà da Lui come vedere le cose che Dio ha preparato, perché noi le compiamo (Efesini 2:10).

    2Tessalonicesi 2:17:

    consoli i vostri cuori e vi confermi in ogni buona parola ed opera.

    L’augurio che Paolo formula per i cristiani di Tessalonica, che i loro ‘cuori siano consolati’, è senza dubbio un chiaro riferimento a quello che Dio può fare nella loro vita. La conferma da parte di Dio, per ciò che riguarda ogni opera buona, che il credente compirà, rappresenta un incitamento indiscusso a camminare ed agire in quella direzione.

    2Timoteo 2:21:

    Se dunque uno si purifica da queste cose, sarà un vaso ad onore, santificato e utile al servizio del padrone, preparato per ogni buona opera.

    Facendo riferimento al fatto che in una casa non ci sono solamente dei vasi d’oro e d’argento, ma anche di legno e di terra, — un chiaro riferimento alla Chiesa come casa di Dio —, non solo si vuole parlare della diversità ma anche della qualità. I vasi che sono ad onore, sono quelli di oro e di argento; mentre a disonore, sono quelli di legno e di terra. La purificazione, di cui parla il nostro testo, ha a che fare con l’iniquità di cui parla (2Timoteo 2:19). Poiché l’iniquità è una vera sporcizia, una volta che la stessa viene rimossa con la purificazione, — opera che il Signore stesso compie mediante il suo sangue —, si diventa un vaso ad onore, santificato, cioè messo da parte, utile al servizio del padrone — della casa si intende, cioè della Chiesa di Gesù Cristo —, preparati per ogni buona opera. Questo significa in pratica che la preparazione a compiere la buona opera, è subordinata all’azione di purificazione e di santificazione che viene compiuta nella vita di una persona. Il traguardo finale e l’aspirazione di ognuno, quindi, non deve essere quello di essere un vaso — recipiente che contiene qualcosa — di qualsiasi genere, ma di essere un vaso ad onore, che serve come ornamento nella casa stessa.

    2Timoteo 3:17:

    affinché l’uomo di Dio sia completo, pienamente fornito per ogni buona opera.

    L’essere pienamente fornito per ogni buona opera, è strettamente collegato con la completezza dell’uomo di Dio. Il verso precedente parla della Scrittura divinamente ispirata che è utile a insegnare, a convincere, a correggere e a istruire nella giustizia.

    «La designazione uomo di Dio non indica i cristiani in senso generale, bensì il pastore, la persona responsabile dei compiti e delle funzioni menzionate nel versetto precedente. Ogni opera buona è da intendere anzitutto come ripetizione sintetica e generalizzata di tutto ciò che è stato già esposto dettagliatamente nei versetti precedenti, compresi il consodidamento della retta fede e la denucia delle colpe degli eretici seguendo l’esempio di Paolo e la testimonianza della Scrittura. Il segno caratteristico di questa retta fede, la disposizione alle opere buone, non può certo mancare al responsabile della comunità» [L. Oberlinner, Le lettere pastorali, la seconda lettera a Timoteo, p. 222].

    Tito 1:16:

    Essi fanno professione di conoscere Dio, ma lo rinnegano con le opere, essendo abominevoli, disubbidienti e incapaci di ogni opera buona.

    Fare professione di conoscere Dio, con la sola parola, non ha alcun valore e nessuna importanza quando il modo di operare la smentisce. Che il riferimento sia rivolto ai maestri eretici, è fuori discussione. Con i tre aggettivi menzionati, abominevoli, disubbidienti e incapaci, — o inadatti — si vuole esprimere un severo giudizio. L’uomo, infatti, non è riconosciuto da quello che è dalle parole che proferisce, ma dalle opere che compie. Le parole, pur belle che siano, potrebbero essere un manto di ipocrisia e nascondere la realtà di una vita, di una condotta.
    L’inidoneità alle opere buone come caratteristica degli eretici va valutata tenendo conto del significato delle opere buone come segno di riconoscimento di coloro che si sottomettono totalmente al servizio di Dio (cfr. 2Timoteo 3:17). Le opere buone vengono considerate segno della retta fede, della pietà attestata, sia per le donne in generale (1Timoteo2:10) sia per le vedove in particolare (1Timoteo 5:10), per i ricchi (1Timoteo 6:17), e per tutti i cristiani (Tito 3:1,14); (cfr. anche Tito 3:8). kala erga — = buone opere — fungono da definizione generale del frutto di una vita cristiana [L. Oberlinner, Le lettere pastorali, La lettera di Tito, p. 72, nota 64].

    Tito 3:1:

    Ricorda loro di essere sottomessi ai magistrati e alle autorità, di essere ubbidienti, pronti ad ogni opera buona.

    La triplice esortazione che viene rivolta in questo testo, anche se è indirizzata al responsabile della comunità, cioè a Tito, è valida anche per ogni cristiano, perché con essa il responsabile della comunità deve trasmettere al popolo l’esortazione ricevuta. La sottomissione ai magistrati e alle autorità, che equivale al potere statale, richiama (Romani 13:1-4) e anche (1Timoteo 2:2). Solo nel caso che le autorità statali richiedessero sottomissione ai danni della fede, qui il cristiano non è tenuto ad ascoltarli (cfr. Atti 4:17-20). Per il rimanente, con la sottomissione alle autorità costituite, si dimostra di accettare il principio divino secondo cui il magistrato è un ‘ministro di Dio’, per l’ufficio che occupa nell’amministrare la giustizia. Anche l’ubbidienza, ch’è strettamente collegata alla sottomissione, deve essere tenuta in considerazione. Il cristiano, inoltre, deve essere pronto ad ‘ogni buona opera’, perché sarà con quest’ultima manifestazione di vita pratica che metterà in evidenza la sua vera e retta fede nel suo Signore e Salvatore, Gesù Cristo.

    Ebrei 13:21:

    vi perfezioni in ogni buona opera, per fare la sua volontà, operando in voi ciò che è gradito davanti a lui per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

    La parola katart, tradotta — vi — renda perfetti, potrebbe venire usata a proposito della riconciliazione fra diverse fazioni, o per un’operazione di aggiustamento di ossa rotte. Il suo significato fondamentale è riparare ciò che è rotto o restituzione, ripristino di ciò che è perduto. Secondo Westcott, comprende diversi pensieri: l’armoniosa combinazione di forze diverse (Efesini 4:12), il riferimento di ciò che manca (1Tessalonicesi 3;10) e la correzione di quello che è sbagliato. Se questa triplice definizione può legittimamente applicarsi alla parola usata in questo versetto, allora ne risulta che con una singola parola l’autore provvede ad indicare la soluzione di tutti i problemi presenti nella chiesa [Thomas Hewitt, L’epistola agli Ebrei, p. 260].

    Conclusione

    Da quello che abbiamo raccolto in questa sezione, possiamo dire di avere il quadro completo di quello che il N.T. insegna a proposito delle ‘buone opere’. Anche se l’affermazione di Efesini 2:8,9 rimane salda e ben fissata:

    Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio, non per opere, perché nessuno si glori,

    nondimeno non bisogna mai dimenticare (Efesini 2:10) dello stesso capitolo:
    Noi infatti siamo opera sua, creati in Cristo Gesù per le buone opere che Dio ha preparato, perché le compiamo.

    Poiché la pratica delle buone opere rientra nel piano di Dio, — non dal punto di vista ipotetico ma pratico — se queste non avvengono, non solo si vien meno a quello che Dio ha predisposto per noi, ma anche la stessa vita cristiana viene a trovarsi con un tassello mancante che rivelerà in tutta la sua realtà che l’opera non è completa. Quando poi si pensa che le buone opere sono l’identificazione della vera e retta fede, se queste vengono a mancare, la stessa fede, non è più vera e viva; è una fede di sole parole che non arrecherà alcun beneficio a nessuno. In vista di queste precise considerazioni, la fede nell’epistola di Giacomo, non cammina mai da sola in un sentiero separato ed indipendente; si trova sempre ‘assieme’ alle opere. Anzi, per essere più precisi, — e Giacomo ci tiene a precisarlo — la fede agisce insieme alle opere e per mezzo di esse, viene resa perfetta (Giacomo 2:22).

    Siccome Giacomo non parla mai delle ‘opere della legge’, in virtù delle quali non si è giustificati, ma delle ‘opere della fede ’, vedere nello scritto di Giacomo un chiaro attacco alla posizione teologia di Paolo, è quanto meno inesatto ed inopportuno. Giacomo non ha voluto polemizzare con la teologia di Paolo, sul tema della giustificazione per fede libera dalla legge, ma con un paolonismo distorto, che guardava e teneva in considerazione la sola fede. Se egli non avesse affermato in maniera precisa e categorica che: l’uomo è giustificato per le opere e non per fede solamente (Giacomo 2:24), tutta l’argomentazione fatta in 2:14-26, non avrebbe nessun valore, né dal punto di vista stilistico e tanto meno da quello teologico. La fede che salva non si professa con le sole parole, — anche le più belle, come quelle di (Mat. 7:21): ...Signore, Signore... — ma si manifesta e si rivela con le buone opere che vengono compiute. Infine, le buone opere non manifestano solamente una fede attiva che opera nell’amore (Galati 5:6), ma rappresentano anche un vero ‘ornamento’ per la persona che le compie (1Timoteo 2:9,10).

    ****
    Ps: tratto dal mio libro “La fede nell’insegnamento della Bibbia”. Se qualcuno è interessato a questo libro, che tratta l’argomento della fede, dal punto di vista della Bibbia, potrà rivolgersi all’Editrice Hilkia, presso la qquale è disponibile il libro in questione.
    [Modificato da Domenico34 13/09/2010 05:52]
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    Domenico34
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    00 23/09/2010 02:52
    Tre domande sul testo di Giacomo 2:14-26

    Vorrei porre tre domande sulla sezione di Giacomo 2:14-26.

    1. Che ve ne pare dell’esposizione che è stata fatta sulla sezione di Giacomo 2:14-26?

    2. Condividete la valutazione che fece Lutero sull’Epistola di Giacomo?

    3. Scorgete elementi di contraddizioni tra quello che Paolo e Giacomo affermano sulla dottrina della giustificazione?
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    eliseo.
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    Re:
    Domenico34, 23.09.2010 02:52:

    Tre domande sul testo di Giacomo 2:14-26

    Vorrei porre tre domande sulla sezione di Giacomo 2:14-26.

    1. Che ve ne pare dell’esposizione che è stata fatta sulla sezione di Giacomo 2:14-26?

    2. Condividete la valutazione che fece Lutero sull’Epistola di Giacomo?

    3. Scorgete elementi di contraddizioni tra quello che Paolo e Giacomo affermano sulla dottrina della giustificazione?


    Pace caro Domenico.

    1) Beh..., premesso che non sono abituato a leggere "esposizioni" che spiegano le Scritture "verso per verso", è certo un'esposizione molto "impegnativa" e completa, anche se personalmente sento la mancanza di:
    Matteo 23:23
    Guai a voi, scribi e Farisei ipocriti, perché pagate la decima della menta e dell'aneto e del comino, e trascurate le cose più gravi della legge: il giudicio, e la misericordia, e la fede. Queste son le cose che bisognava fare, senza tralasciar le altre.

    Qui Gesù dice chiaramente e inequivocabilmente ciò che era ed è necessario fare/operare, e parla pure della "fede", una "fede" che è necessario "fare", appunto, non solamente "professare" a suon di dottrine e insegnamenti.

    Quanto più dunque, non riesco a concepire il "pensiero di Lutero"....

    2)E come potrei condividerla?
    Il caro Lutero si arroga il diritto di "stabilire" lui cos'è la "Parola di Dio". Evidentemente per lui (e per moltissimi altri), la Parola di Dio non è "Parola di Dio", ma di volta in volta "parola di Paolo", di Giacomo, ....di Mosè, etc..., e decideva lui dunque, cosa ritenere e cosa rigettare.

    Inoltre mi chiedo come vivesse la sua "Salvezza per Grazia" Lutero, visto che rifiutava un'insegnamento fondamentale per la stessa Salvezza, appunto. Ma questo è un'altro discorso...

    3) Certamente no, in quanto entrambi espongono l'Evangelo del Cristo e la Sua Parola, e non sono nè in competizione nè in antagonismo l'uno con l'altro.
    Stanno semplicemente spiegando, come si fa con i bambini, una cosa alla volta, le parole e l'insegnamento di Gesù. Non ci stanno comunicando le loro opinioni, ma insegnando "il Comandamento" di Cristo.

    Giacomo 2:20:

    Ma vuoi renderti conto, o insensato, che la fede pistis senza le opere è morta?.

    Avendo Giacomo, in 2:19 affermato che anche i demoni credono in Dio e tremano, questa sua affermazione non deve però indurre il suo interlocutore che se egli ha la sua fede nell’unico Dio, che questa fede sia autentica, vera e viva. Una fede come quella dei demoni, non serve a niente, non ha nessun valore. Il tono forte, espresso nel termine ‘insensato’, cioè: Privo di senno, di giudizio; che pensa e agisce in modo irragionevole e imprudente; che parla sconsideratamente, anche con pericolo di recare danno a sé o ad altri; che manca di buon senno; sciocco, stolto, scriteriato, dissennato, dovrebbe portare la persona a riflettere seriamente, nella speranza che la sua persistenza a rimanere nella posizione in cui si trova, cioè in quella convinzione che la fede monoteistica sia sufficiente e valida, possa cedere per dare spazio a quello che Giacomo afferma, che una fede senza le opere è vana, senza valore, quindi morta.


    Personalmente caro Domenico, non potrò mai accettare una "traduzione" che mi traduce questo passo con il termine "insensato" = sciocco, privo di senno, di "giudizio".
    Preferisco la traduzione con "uomo vano".
    Giacomo 2:20
    Ma vuoi tu, o uomo vano, conoscere che la fede senza le opere non ha valore?

    Non parla di "rendersi conto", ma di "conoscere".
    "Chiama uomo vano, letteralmente vuoto, l'antagonista ch'egli combatte, non perchè sian vuoto d'intelligenza, ma perchè è vuoto di serietà morale, perchè è uomo leggero, che considera le grandi realtà del peccato e della salvezza in modo superficiale e si contenta perciò di una adesione della mente a certe verità." (dal commento de laparola.net)

    La "Fede" non è certo una questione di "intelligenza" e di "senno", e non sarà certo con "l'adesione mentale" alle dottrine che si comprenderà la Salvezza e la Giustificazione in Cristo mediante una fede che opera.

    Personalmente dunque, penso che cercando di spiegare questa "realtà spirituale", corriamo il serio rischio di volerla rendere "accessibile" alla mente (intelligenza/comprensione), e contribuire fortemente a far in modo che avvenga proprio questo, e cioè una vana e inutile "adesione mentale", che ignora assolutamente quella realta della Giustificazione in Cristo mediante la Fede, per Grazia, ma non solo, appunto.
    Ma questo si dovrà "gustare" vivendo, non "aderendo" intellettualmente ad una dottrina più o meno corretta e "esegeticamente valida".

    Che vuol dire quella "fede monoteistica"? ...una feda appunto "ragionata", che fonda su sè stessa a motivo delle sue "qualità" monoteistiche= un solo Dio, una fede fondata su dei "concetti indiscutibili" appunto, quasi "creata a tavolino".

    Ci tengo comunque a ricordare quella premessa fatta all'inizio, e cioè che non sono abituato a leggere qualcosa che mi "spieghi le Scritture" e "la Fede", quasi "verso per verso" appunto, e perciò mi pongo sempre in modo "critico" (nel senso migliore del termine, spero...).
    E non vorrei essere frainteso, caro Domenico, in quanto in effetti è un'ottima esposizione, molto precisa e puntigliosa, e ho voluto solamente esprimere il mio "disappunto" per la scelta della "traduzione" di Giacomo 2:20, e ricordare il rischio di arrivare solamente ad una "adesione mentale", riguardo alla comprensione di questo passaggio di Giacomo.

    Pace

    [Modificato da eliseo. 23/09/2010 15:02]
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    Domenico34
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    00 23/09/2010 15:11
    Grazie, per la risposta che hai dato alle mie domande, caro Eliseo, anche se attraverso le tue parole, sono indotto a pensare che, probabilmente, (e mi auguro, sinceramente di sbagliarmi) che non hai letto tutta l'esposizione che ho fatto, con molta attenzione, ai fini di comprendere quello che effettivamente Giacomo ha scritto.

    È innegabile che ognuno di noi abbia le sue convinzioni, per ciò che concerne la comprensione della Parola di Dio. Non è sempre facile accettare qualcosa che non combaci con quello che noi pensiamo; e, tante volte, questa nostra posizione preconcetta, ci priva di guardare obbiettivamente le cose senza pregiudizio.
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    eliseo.
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    00 23/09/2010 18:17
    È innegabile che ognuno di noi abbia le sue convinzioni....
    Pace Domenico, forse non mi hai capito...

    Ti dirò che anche se non l'avevo letta tutta prima, l'ho certamente fatto oggi, e per questo pure ho risposto, considerando soprattutto che avevi fatto delle domande sul testo.
    Suppongo pure che abbia letto con attenzione, visto che si è preso un bel po' di tempo, la lettura, e devo confessare che non sono andato a leggere tutti i versetti segnalati, ma solo quelli riportati. Che poi non sia stato "attento abbastanza", può anche essere.

    In ogni caso, non capisco cosa ti abbia fatto pensare che io non sia d'accordo con quanto hai esposto, o che "pensiamo diversamente" riguardo a quel testo di Giacomo, perchè a me non risulta, appunto.

    Anzi onestamente, sicuramente anche perchè ci sono cresciuto ascoltando meditazioni e predicazioni sull'argomento, e leggendo, naturalmente con "attenzione" le Scritture, per me non si poneva affatto un'eventuale contraddizione tra gli scritti di Paolo e Giacomo, e come detto, per me era "normale" arrivare a comprendere l'Apostolo Giacomo partendo semplicemente dalle parole di Gesù, dal suo insegnamento e in generale da "tutte le Scritture".

    Non mi pare infatti di aver "contestato" nulla dell'esposizione se non "il pensiero di Lutero" e la traduzione della Nuova Riveduta riguardo Giacomo 2:20, spiegandone i motivi (dal mio punto di vista). Per il resto, non mi pare che abbia avuto nulla da ridire o da "pensare diversamente".

    Per quanto riguarda poi il mio relativo "scetticismo" su un certo tipo di "spiegazioni" delle Scritture, non riguarda certo i contenuti, che molte volte sono certamente corretti, ma il fatto che il lettore di solito, si concentra sulle "spiegazioni" fatte e confezionati da altri, e "vi aderisce" in quanto riconosciute per "corrette".
    Dipenderà sicuramente dai miei "precedenti", appunto (e forse è una mia "mancanza" nei confronti degli altri), in quanto personalmente ho letto sempre e solo semplicemente le Scritture; letture personali, accompagnate dagli insegnamenti nella Comunità e in famiglia, per questo magari mi sembra "strano" che per "capire Giacomo", bisogna "consultare" un qualche commentario o libro, tutto qui.

    Se ci si riflette per un momento infatti, uno che si è appena convertito, trova già tutto bello e confezionato, quasi omogeneizzato, e "forma" la sua conoscenza della Parola di Dio già dai primi passi, consultando il tizio e il caio, e il loro "pensiero" a proposito delle "Scritture", che altrimenti, rimangono un "mistero", incomprensibili.

    Comunque sia ripeto, non la "penso diversamente", ma al massimo, ci sono "arrivato" diversamente, alle stesse conclusioni.

    Pace
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    Domenico34
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    00 23/09/2010 21:34
    Sono contento che quello che ho pensato, non era affatto vero.
    [Modificato da Domenico34 23/09/2010 21:34]