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Domenico34 – I segni che accompagneranno coloro che avranno creduto

Ultimo Aggiornamento: 05/10/2011 00:06
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28/09/2011 00:15

Lo Spirito e l'intelligenza

Poiché se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l'intelligenza (vv. 14﷓16).

Pregare e salmeggiare, sono due attività che si possono compiere con l'esercizio del parlare in lingue. Per quanto riguarda la vita privata, non c'è niente che possa impedire un simile esercizio e che una simile pratica non sia valida.

L'esplicito riferimento che Paolo né fa, è prova che esiste una simile possibilità. Sarebbe ridio se si concedesse una simile possibilità solamente su un piano ipotetico e si negasse su quello pratico. Se Paolo poteva dire ai Corinzi: Io ringrazio Dio che parlo in lingue più di tutti voi (v. 18), è una prova che quando Paolo era solo con Dio, dava via libera allo Spirito nella sua vita, talché non solo poteva parlare in lingue a Dio, ma addirittura pregava e salmeggiava con lo stesso entusiasmo e fervore.

Un simile esercizio è compreso e valutato solamente da oro che lo esercitano. Davanti al sacerdote Eli, Anna, che muoveva le sue labbra, era considerata una donna ubriaca, non sapendo però che lei stava spandendo l'anima sua davanti all'Eterno (1 Samuele 1:12﷓15). Le cose dello Spirito sono comprese da oro che sono spirituali (1 Corinzi 2:14). Ma poiché Paolo sta parlando in riferimento a oro che non capiscono il «ringraziamento» che si eleva a Dio attraverso il parlare in lingue, specifica:

Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l'intelligenza.

Con queste parole, «Paolo non si erge a difesa di uno sterile intellettualismo» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 230]. Anche se il pregare e il salmeggiare in lingue possono essere considerati un pio esercizio spirituale, nondimeno, per quanto riguarda il culto pubblico, dove partecipano tante persone, e soprattutto ci possono essere presenti delle persone nuove, senza nessun'esperienza spirituale, a sentire quel tipo di parlare potrebbero essere indotti a qualificare chi parla in lingue come se fosse un pazzo (v. 23). In vista di questa partiare situazione, il consiglio che Paolo dà è quello di dire

cinque parole intelligibili, per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua (v. 19).

È in previsione dell'autocontrollo che Paolo raccomanda di non essere
fanciulli per senno. Siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto a senno, siate uomini compiuti (v. 20).

Questo perché, l'intelligenza deve essere usata, anche nell'esercizio del dono spirituale. Usare l'intelligenza nell'esercizio del dono spirituale, non significa però che il dono dello Spirito deve essere amministrato secondo il criterio e le valutazioni umane, ma significa essenzialmente armonizzare l'esercizio del dono spirituale per il bene e l'edificazione comune.

Sfruttare il significato della frase «uomini maturi» per avvalorare la tese che il parlare in lingue, ai giorni nostri, sarebbe appartenuto ad un tempo di fanciullezza, dove la conoscenza non era tanto sviluppata rispetto a quella di oggi, e continuare a credere all'utilità del parlare in lingue, significa andare indietro anziché avanti, si sentì dire da qualcuno [Prendere l’esortazione di Paolo per ciò che riguarda 1 Corinzi 14:20 e interpretarla che: «Nell’entusiasmo dei Corinzi per la glossolalia, sonora e vistosa, Paolo vede una puerilità da fanciulli inesperti; mentre se essi fossero maturi quanto a sentimenti, preferirebbero alla glossolalia quei carismi che apportano maggiore utilità» (G. Ricciotti, Gli Atti degli Apostoli e le lettere di S. Paolo, pag. 390, significa classificare il «dono del parlare in lingue», come qualcosa che appartenga a l’uomo e non come un dono dello Spirito Santo. Se I Corinzi parlavana in lingue, non era perché erano «fanciulli e immaturi», ma perché lo Spirito Santo aveva dato loro quel dono. Era il loro modo indiscriminato, nell’esercizio del dono ricevuto, che li rendeva fanciulli e immaturi e non perché il dono del parlare in lingue debba essere inteso come segno e prova di immaturità spirituale].

Dare una simile interpretazione alla frase paolina significa leggerla con mente preconcetta e fuori del suo normale contesto.

La citazione della Scrittura che Paolo fa

Egli è scritto nella legge: io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d'altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi asteranno, dice il Signore (v. 21).

Questa citazione si trova in (Isaia 28:11), dove viene messa in risalto la disubbidienza del popolo alla voce del Signore a mezzo del profeta. In conseguenza di questa marcata disubbidienza, il Signore stesso annunzia che parlerà a quel popolo disubbidiente in lingua straniera. Risulta chiaro l'applicazione che Paolo fa, quando afferma che le lingue servono di segno non per i credenti, ma per non i credenti (v. 22). Commenta Norman Hillyer:

«Poiché il popolo di Dio si rifiuterà di astare con obbedienza e fede la sua chiara parola, asterà termini incomprensibili, cioè per punizione saranno esiliati tra gente d'altra lingua, gli Assiri e persevereranno nella loro incredulità» [H. Hillyer, Commentario Biblico, III, pag. 373].

Si continuerà il prossimo giorno...
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