Domenico34 – I segni che accompagneranno coloro che avranno creduto

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Domenico34
00giovedì 8 settembre 2011 00:12

I SEGNI CHE ACCOMPAGNERANNO COLORO CHE AVRANNO

CREDUTO




Or questi sono i segni che accompagneranno coloro che avranno creduto: Nel mio nome cacceranno i demoni; parleranno in lingue nuove; prenderanno in mano dei serpenti; e se pur bevessero alcunché di mortifero, non ne avranno alcun male; imporranno le mani agl'infermi ed essi guariranno (Marco 16:17-18).

Una nota preliminare

La promessa contenuta nei vv. 17,18 del cap. 16 di Marco, è una promessa che riguarda i soli apostoli, o abbraccia tutti i credenti di ogni epoca? Le manifestazioni miraose di cui parlano i vv. 17,18, si limitano esclusivamente al tempo apostolico, o si estendono a tutta l'era della Chiesa fino al ritorno di Cristo?

Secondo A. Comba,

«La fede (non degli apostoli soltanto, ma di tutti quelli che avranno creduto) sarà accompagnata dai segni che ne danno la testimonianza» I Vangeli Sinottici, pag. 167].

Dello stesso parere è R. Pesch [R. Pesch, Marco II, pag. 807]. Se la promessa in questione fosse stata fatta ai soli apostoli, come alcuni vorrebbero, Gesù avrebbe dovuto specificarlo, e non avrebbe dovuto esprimersi nella forma come si è espresso. Già la frase chi avrà creduto, dal punto di vista grammaticale esclude categoricamente che si tratti dei soli apostoli: si parla di un futuro, di chi crederà.

Gli apostoli erano persone che avevano già creduto, e la loro fede, per ciò che riguarda la sua natura, era identica a quella che manifesterà gli altri nel tempo futuro. Gesù sapeva che l'attività apostolica, avrebbe condotto alla fede altre persone, per ciò pregò:

Io non prego soltanto per questi, ma anche per quelli che credono in me per mezzo della loro parola (Giovanni 17:20).

Per provare che la fede degli apostoli era identica (non nella misura, bensì nella natur a quella di chi avrebbe creduto in Cristo, il libro degli Atti ci aiuta a capire questo. Quando lo Spirito Santo fu sparso nella casa di Cornelio e che poi lo stesso Pietro dovette giustificarsi davanti ai fratelli di Gerusalemme che volevano spiegazioni come mai si era permesso di entrare in casa di un gentile, gli rispose:

E come avevo cominciato a parlare lo Spirito Santo scese su loro, com'era sceso su noi da principio. Se dunque Iddio ha dato loro lo stesso dono che ha dato anche a noi che abbiamo creduto nel Signor Gesù Cristo, chi era io da potermi opporre a Dio? (Atti 11:15,17).

Si noti che il credere degli apostoli sarebbe stato identico a quello della casa di Cornelio. La promessa di Cristo dunque, è per tutti chi crederà, senza limitazione di numero e di tempo. C'è chi afferma:

«La promessa contenuta in questi versetti, quantunque fatta in termini generali, si riferisce soltanto all'impianto e alla diffusione della Chiesa nei primi secoli della sua esistenza».

Ed ancora:
«Sennonché codesti dati miraosi furono un dono soltanto temporaneo, come lo ha dimostrato ampiamente l'esperienza successiva della chiesa, e quantunque non potesse precisarsi con certezza il tempo in cui cessarono interamente, era più che probabile ciò fosse gradatamente, con la morte di chi aveva ricevuto il dono dei mirai dalle mani degli apostoli» [R. G. Stewart, L’evangelo secondo Matteo e Marco, pag. 421].

Che quest'autore crede che il tempo dei mirai, debba limitarsi all'era apostolica, l'afferma chiaramente quando dice: «L'età dei mirai fisici è passata, e Dio non dà più la fede che si richiede ad operarli» Idem, pag. 370].

A parte che non è detto in nessun punto del N.T. che il tempo dei mirai era limitato al solo periodo apostolico e che con la loro morte cesseranno i prodigi, ci domandiamo che valore ha la promessa di Gesù in questo testo di (Marco 16:17,18) se la stessa non può riferirsi a tutti i credenti di ogni generazione? Inoltre, il fatto stesso che si accetta che la promessa non è solamente per i soli apostoli, smentisce e confuta l'affermazione secondo la quale l'era dei mirai è cessata, e che Dio non da più la fede che si richiede per operarli.

Che valore avrebbe la promessa di Gesù, contenuta in Giovanni 14:12:

In verità, in verità vi affermo che chi crede in me farà anch'egli le opere che faccio io; e ne farà di maggiori perché io me ne vado al Padre?

Questa, unitamente a (Marco 16:17,18) e tante altre promesse, che si leggono, specie nel N.T., nella forma grammaticale che Gesù le pronunciò, ci autorizza a rigettare l'affermazione dello Stewart, non solo perché non incoraggia la fede, ma addirittura perché si trova in piena contraddizione con l'insegnamento del N.T. Quando leggiamo,

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Domenico34
00venerdì 9 settembre 2011 00:16
Dio ha costituito nella chiesa primieramente degli apostoli; in secondo luogo dei profeti; in terzo luogo dei dottori; poi, i miracoli; poi i doni di guarigione, ecc. (1 Corinzi 12:28),

ci viene spontaneo chiedere: che senso e valore hanno il fatto che Dio «ha costituito NELLA Chiesa» (e non per la chies i mirai e i doni di guarigione? È concepibile forse pensare alla Chiesa, come ai soli apostoli e a chi visse nel loro tempo? Non crediamo che ci siano seri studiosi della Bibbia che abbiano la presunzione e l'arditezza di affermare una cosa del genere.

Ammesso che esistessero studiosi della Bibbia con simili convinzioni, ogni credente al di fuori dell'era apostolica, si sentirebbe offeso nella sua professione di fede, e sarebbe portato, come conseguenza logica, a concludere che Dio, non è imparziale, come la Bibbia afferma, dal momento che ad alcuni concede la fede per operare i mirai, mentre ad altri gliela nega. Con quale coerenza logica e teologica si potrebbe portare avanti un simile discorso? Dal momento che per Chiesa si intende la totalità dei credenti, dal giorno in cui Cristo venne (altri direbbero, dal dì della Pentecost fino il giorno del suo ritorno, è assurdo e contraddittorio negare quello che “Dio ha costituito nella chiesa.

Se la chiesa al tempo degli apostoli, per la propagazione dell'evangelo, secondo la missione affidatale dal Gesù Signor, aveva questi «segni» che l'accompagnavano, la Chiesa del nostro tempo, trattandosi della medesima Chiesa, deve avere gli stessi segni di allora, perché lo stesso è il Signore che l'ha comprata e l'ha fatta sua sposa e suo corpo. Inoltre, come farebbe questa chiesa dei nostri giorni a continuare la missione che gli apostoli iniziarono, se Gesù Cristo, suo autore e conduttore, negasse il potere miraoso? Se Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e in eterno (Ebrei 13:8); e se è vero che c'è una sola Chiesa, nel senso universale, e non nel senso denominazionale, va da se che tutti oro che credono in Cristo Gesù, quale Figlio di Dio, colui che diede se stesso quale vittima propiziatoria e che risuscitò per la loro giustificazione (Romani 4:25), debbono essere considerati nel numero di oro ai quali Gesù fece la promessa secondo Marco 16:17,18, non importa se sono apostoli, persone che vissero ai loro tempi o persone che vivono ai nostri giorni. Se hanno creduto nello stesso Signore Gesù Cristo, si trovano sulla stessa parità per quanto riguarda la promessa di Cristo.

1. NEL MIO NOME CACCERANNO I DEMONI.

È importante considerare questi cinque segni di cui parla (Marco 16:17,18) e perché il primo parla di cacciare i demoni nel nome di Gesù.

Si va affermando che il «primo cristianesimo è un movimento esorcistico» [R. Pesch, Marco II, pag. 807]. Con quest'affermazione si vuole mettere in risalto quello che si verificava in seno al cristianesimo all'inizio della sua esistenza. Le manifestazioni esorcistiche, furono largamente praticate da Gesù, durante il suo ministero, e molte persone furono liberate da influenze demoniache.

Se Gesù, ha seguito di questa sua specifica attività, non l'avesse giudicata importante, non tanto per mettere in mostra e pubblicizzare la sua azione, quanto per venire incontro ad un reale bisogno nella vita di tante persone, non avrebbe eseguito l'esorcismo. Il fatto stesso che Gesù l'esercitò, dà valore ed importanza a tutto il problema, perché mette in evidenza l'esistenza di forze demoniache che si nascondono ed operano nella vita dell'uomo, procurando tante di quelle strane manifestazioni, ed alterando lo svolgimento di un'esistenza normale.

Non è difficile, ai nostri giorni, negare l'esistenza di forze demoniache o sataniche che operano in mezzo all'umanità. Negare l'esistenza del diavolo, basandosi sul fatto che sono state le antiche tradizioni tramandate di generazioni in generazioni che hanno inculcato nella mente dell'uomo l'accettazione di questa credenza, non significa sol perché ciò è stato fatto, che la tradizione in se stessa sia falsa, priva di un qualsiasi fondamento, perché non coincide con la mentalità moderna.

Chi crede alla tradizione evangelica, vale a dire a tutto ciò che viene riferito, circa l'esorcismo che Gesù praticò, non potrà mai negare la realtà dell'esistenza di Satana, come forza avversa a Dio.

L'esistenza della luce, implica necessariamente la realtà delle tenebre, perché solo con il buio si può valutare il chiarore. L'esistenza di una forza benefica, implica necessariamente la presenza di una potenza malefica. Solo mettendo a confronto la forza benefica con quella malefica, si possono valutare le due energie, e stabilire che cosa è la potenza benefica e che cosa è la forza malefica.

La realtà di Dio, come forza benefica, implica necessariamente l'esistenza di Satana, come forza malefica. Come Dio è una reale persona, per chi crede, lo deve essere anche per Satana. Come Dio svolge le sue azioni, così anche Satana svolge le sue; con la differenza: Dio è autore di tutto ciò che è bene, Satana invece è artefice di tutto ciò che è male. Detto questo, passiamo ad esaminare i casi di esorcismo, secondo la tradizione evangelica.

Secondo quello che Marco 1:21 e Luca 4:31-37 ci raccontano, sappiamo che un giorno Gesù si trovò nella sinagoga di Capernaum, secondo la sua usanza di frequentare quei luoghi (Luca 4:16). Gesù in quel giorno stava insegnando, e tutti oro che l'udivano, stupivano

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Domenico34
00domenica 11 settembre 2011 00:09
della sua dottrina, perch'egli li ammaestrava come avente autorità e non come gli Scribi (Marco 1:22).

Non sappiamo se l'uomo posseduto da uno spirito immondo, che si trovava nella sinagoga in quel giorno cominciò a gridare, non appena Gesù si mise a parlare, o mentre andava avanti nel suo insegnamento. Anche se la narrazione evangelica afferma che in quel giorno nella sinagoga di Capernaum, vi era un uomo posseduto da uno spirito immondo, non sappiamo se quell'essere umano era un abituale frequentatore dell'edificio di culto, oppure si trovò lì per caso in quel giorno.

Trattandosi di un ebreo, possiamo supporre che quell'uomo frequentava la sinagoga con la stessa assiduità come tutti gli altri e che non fu per puro caso di trovarsi in quel giorno nell'edificio di culto. Stabilito che la nostra supposizione è esatta, veniamo sorpresi come mai quell'uomo, pur essendo uno che era posseduto da uno spirito immondo, non ha gridato mentre si svolgeva la riunione. È, infatti, impensabile che il capo della sinagoga lasci un uomo in quel luogo che invece di contribuire al buon andamento della riunione, producesse disturbi e distrazioni.

Da un punto di vista religioso, la sinagoga era un luogo dove il popolo si radunava per funzioni prettamente religiose e tutto quello che si faceva, sia nel cantare, sia nella lettura e spiegare la Scrittura, era centrato su l'unico vero Dio, che la nazione ebraica adorava e serviva.

Nella sinagoga non si compivano atti idolatrici, nel senso di pregare varie divinità; si adorava il solo vero Dio e si leggeva e si commentava la sua parola, tutti gli scritti dell'A.T. Quelli che dirigevano quelle riunioni, erano considerate persone consacrate a Dio e che nell'esercizio del loro ministero, contribuivano al benessere spirituale di quanti frequentavano le sinagoghe.

Ammesso per scontato che l'uomo del nostro testo era un assiduo frequentatore della sinagoga e che astasse con interesse la lettura e la spiegazione delle Scritture Sacre, niente di anormale si verificava nell'edificio di culto, né per quanto riguardava se stesso, né per quanto concerneva gli altri. Come mai lo spirito immondo che si trovava in lui non reagiva nella sinagoga, nella stessa maniera che reagì quando sentì parlare Gesù? È una prova evidente che si può vedere tra i dirigenti della sinagoga, da una parte, e Gesù, dall'altra. Oltre al fatto che gli Scribi (persone addette all'insegnamento del popolo) non ammaestravano con autorità, come faceva Gesù, l'uomo posseduto dal demonio, non era minimamente disturbato da quelle pratiche cui assisteva a da tutto ciò che udiva.

Ma quando sentì la predica che fece Gesù, possiamo immaginare quale sia stata la sua reazione, non dell'uomo in se stesso, ma dello spirito immondo che abitava nell'essere umano. Possiamo supporre di vederlo irrequieto e fare tanti movimenti che disturbava seriamente quanti gli erano vicini. Con ogni probabilità, quelle persone avranno detto: perché in questo giorno manifesti inquietitudine, tu non ti secoli mai comportato in questa maniera da quando noi ti conosciamo. Non è questa la prima volta che vieni nella sinagoga con noi e sempre abbiamo notato in te un contegno rispettoso ed ordinato. Perché oggi ti comporti come se ti trovassi sopra le spine, come una persona che ha perso la sua compostezza e la sua serietà?

Immaginiamo come se quell'uomo cerchi di dare una spiegazione alle domande che gli venivano rivolte, e avesse detto: non saprei che cosa mi sta succedendo oggi. Riconosco anch'io che non mi sono mai comportato in questa maniera, ma da quando quell'uomo, di nome Gesù, ha cominciato a parlare, non posso stare più fermo; mi viene addirittura la voglia di gridare. Così dicendo esplode, davanti a tutti e a voce forte disse:

Che v'è fra noi e te, Gesù Nazareno? Sei tu venuto per perderci? Io so chi tu sei: il Santo di Dio!

Gesù, che conobbe subito che la voce che gridava in quella maniera, non era quella dell'uomo, ma quello dello spirito immondo, ordinò subito di

ammutolire ed uscire da quell'uomo. Detto questo, lo spirito immondo, straziatolo e gridando forte, uscì da lui; e Luca precisa senza fargli alcun male.

Poteva Gesù restare indifferente davanti a quell'insolita manifestazione del gridare di quell'uomo? Se Gesù non fosse intervenuto in quel giorno, non solo sarebbe stato considerato come tutti gli altri, ma quell'infelice, non sarebbe stato liberato dallo spirito immondo che lo possedeva. L'esorcismo che Gesù praticò in quel giorno, cacciando la forza demoniaca, non solo portò liberazione a quell'uomo, ma contribuì a convincere le persone che in Lui c'era una potenza ed un'autorità che poteva impartire ordini perfino agli spiriti immondi; ed essi gli ubbidiscono.

La storia dell'indemoniato di Gadara, viene raccontata da (Matteo 8:28-34; da Marco 5:1-20 e da Luca 8:26-39) con una ricchezza di partiari, ch'è impossibile pensare a quell'uomo come se si trattasse di una comune malattia nevrotica che lo portava a continue manifestazioni disordinate e convulse, da farlo considerare un pazzo furioso.

Anche se Matteo parla di “due indemoniati, mentre Marco e Luca parlano di “un indemoniato, ciò non oscura minimamente questa storia per quello che riguarda la potenza diabolica che agiva in quell'ossesso o in quegli indemoniati. Considerando come ci viene presentato quest'uomo, notiamo:

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Domenico34
00lunedì 12 settembre 2011 01:36
1) Non abitava in una casa, ma in un cimitero. I cimiteri venivano considerati, sia in ambiente giudaico che in quel pagano, luoghi nei quali dimoravano i demoni [R. Pesch, Marco I, pag. 452]. C'è consentito domandare: Era un uomo libero, l'ossesso o era ammogliato? Non sappiamo niente del suo stato civile; l'unica cosa che sappiamo è che da lungo tempo si trovava in quella condizione. Che quest'uomo aveva una famiglia, è detto chiaramente quando Gesù gli ordinò: Vai a casa tua dai tuoi. Se poi questa frase deve essere intesa nel senso dei suoi genitori e di altri della famiglia oppure della sua moglie e dei suoi figli, non possiamo dirlo. Comunque era, che si trattasse di un uomo come figlio di famiglia, o come un essere umano che possedeva la sua casa, nel senso di un nuovo nucleo famigliare, la sua condizione era motivo di dolore e di preoccupazione per tutti chi faceva parte dei suoi.

2) Non aveva vestimento addosso. Il nudismo appariva come una conseguenza di quella forza diabolica che agiva nella vita di quell'uomo e non come un sentimento o un atteggiamento da assumere con riferimento ai primi esseri umani, come vorrebbero chi è stato coinvolto nella pratica del nudismo.
Nello stato d'innocenza, Adamo ed Eva erano ignudi senza che provassero un minimo di vergogna e che fossero piti dal sentimento di pevolezza. Ma dopo di aver trasgredito l'ordine di Dio, fu necessario provvedere, da parte di Dio, alla loro copertura. Il nudismo eccita la sessualità e spinge l'uomo e la donna ad agire sotto la spinta della libidine. I demoni essendo spiriti impuri, trovano il loro diletto nella sessualità e nella libidine.

3) Legato con catene e nei ceppi, rompeva serie di anelli e spezzava pezzi di tronco, talché nessuno lo poteva domare, e talmente era furioso, che nessuno si azzardava a passare per quella via.

4) Il suo modo di comportarsi era quello di gridare giorno e notte, tra i sepolcri e su per i monti, percuotendosi con delle pietre. Quindi, non solo non abitava in casa sua con i suoi, non era vestito, rompeva catene e spezzava ceppi, quando si cercava di immobilizzarlo a causa delle sue violenti convulsioni, gridava giorno e notte (il riposo e il sonno della nottata non li conoscev, ma si percuoteva con le pietre, procurandosi auto-lesioni. Davanti a questi partiari, la singolarità e la gravità del caso appaiono in tutta la loro tragica e cruda realtà.

In questa scena si è cercato di vedere il
«simbolismo della potenza caotica e annientatrice del paganesimo» [R. Pesch, Marco I, pag. 454].

Anche se si accetta il simbolismo della forza annientatrice del paganesimo, rimane sempre la tragica realtà dell'esistenza della potenza demoniaca che agisce in vari settori della vita, portando confusione e distruzione, procurando un certo tipo di «isolamento», non solo per quanto riguarda la comunione con l'uomo, ma anche e soprattutto per quanto concerne le relazioni con Dio.

Un uomo di questo genere, nella condizione in cui si trova, non può essere aiutato da nessuno e non c'è nessun rimedio, dal punto di vista medico, che possa sanare la sua follia, perché la sua pazzia è ormai in uno stato di avanzamento spaventoso; il suo male non è di carattere fisiologico, è causato dalla presenza di molti demoni abitante nella sua vita. Il pazzo di Gadara può essere sanato completamente dalla sua follia e ritornare un uomo normale, a condizione che i demoni che controllano la sua vita, siano scacciati.

Ma chi scaccerà i molti demoni che abitano nella sua vita? Chi sarà l'esorcista capace di fare ciò? Se crediamo che l'uomo di Gadara non era padrone della sua volontà, in tutti i suoi movimenti e in tutte le sue azioni, cioè, tutto quello che egli diceva e faceva non era il risultato della sua libera scelta, ma il desiderio e la volontà dei demoni che padroneggiavano la sua vita, il correre verso Gesù e il prostrarsi davanti a lui, non era un gesto che l'uomo di Gadara compiva, ma un movimento che i demoni compirono, servendosi della strumentalità di quell'essere umano, ormai assoggettato in maniera totale.

A quale scopo i demoni vanno a Gesù e lo adorano? È forse nell'indole dei demoni adorare Gesù? Non aveva Satana chiesto a Gesù di adorarlo, in compenso di tutti i regni del mondo?

(Matteo 4:9) È concepibile che i demoni abbino il desiderio e la volontà di adorare Gesù con un atto spontaneo? Se davanti a queste domande non si può rispondere che con un secco no, quale fu allora lo scopo principale di questo insolito camuffamento? Ci sembra di scorgere un tentativo dei demoni, che camuffandosi con una falsa sottomissione cercano di vedere se possono intenerire il cuore di Gesù a non essere severo ed implacabile nei loro confronti.

Gli atti esteriori, che sovente nascondono realtà interiori, a volte vengono compiute per ingannare chi non ha il discernimento. Com'è possibile ingannare Gesù, da quella manifestazione di falsa pietà, quando Egli, in virtù della sua divinità può leggere e conoscere i veri movimenti che determinano le varie azioni? È veramente sottomissione a Gesù quella che si può leggere nell'atto di adorazione che compì l'indemoniato di Gadara?

Tutto ci fa pensare ad una strategia abilmente concepita dai demoni per cercare di ridurre all'impotenza Gesù. Lo stesso grido:

Che v'è fra me e te, o Gesù Figliol dell'Iddio altissimo? Io ti scongiuro, in nome di Dio, di non tormentarci,

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Domenico34
00martedì 13 settembre 2011 00:48
sembra volere attutire questa mossa. Anche se è evidente che i demoni riconoscono e confessano Gesù, quale Figliol dell'Iddio altissimo, è altrettanto vero che non vogliono essere tormentati. Dal nome che Gesù chiede, potrebbe sembrare che l'adorazione e il grido dei demoni, abbia avuto un certo effetto sulla vita di Gesù. Questa specie di temporeggiamento, potrebbe sembrare che si aprisse uno spiraglio di speranza davanti ai demoni. Ma era proprio questo il fine che Gesù si proponeva nel chiedere il nome? Qualcuno ha suggerito che dalla conoscenza del nome, Gesù avrebbe avuto un certo potere sull'avversario [C. E. Graham Switt, Commentario Biblico, III, pag. 103], come si pensava anticamente. Ma il potere di Gesù dipendeva forse dalla conoscenza del nome del demone, e non dalla sua divinità? Qualche altro suggerisce l'idea che Gesù nel chiedere il nome,

«cerca di fare in modo che l'indemoniato acquistasse il senso della propria personalità indipendentemente dal dominio che lo possedeva».

Tutto dipende stabilire a chi era rivolta la domanda. Se la domanda fosse stata rivolta all'uomo di Gadara, allora, ci sarebbe stata la possibilità di condurre quell'essere umano al riacquisto della sua volontà, per facilitare la sua liberazione; se invece la domanda era rivolta al demone (come tutto il racconto lascia pensar, è una pura fantasia formulare quest'ipotesi.

Non sapeva Gesù, in virtù della sua divinità, il nome del demone? Se Gesù conosceva il nome del demone, per quale motivo glielo chiede? Sono domande alle quali dobbiamo dare una precisa risposta, inquadrando tutto nel contesto del racconto evangelico, per ciò che riguarda la presenza di una forza demoniaca nella vita dell'uomo di Gadara.

Supponiamo che si neghi la presenza di una forza demoniaca nella vita dell'ossesso e tutto si spieghi dal punto di vista della psichiatria. Tutta la follia periosa di quell'uomo aveva dovuto all'aggravarsi della sua malattia, trovandosi in uno stato avanzatissimo, per questo motivo l'ossesso viveva e si comportava in quella maniera. Dal momento che l'uomo di Gadara si trova in una condizione disperata, a che serve domandargli come si chiama? Ammesso che quell'uomo avesse detto il suo nome, il pronunciamento del solo termine, avrebbe avuto il potere e l'effetto di tirar fuori quell'infelice dalla sua fortissima depressione? Questa non è una seduta psichiatrica durante la quale lo psichiatra fa tante domande all'ammalato per cercare di ricostruire e scoprire le varie motivazioni che hanno causato lo sfacelo. Dal semplice nome dell'ammalato, che cosa potrà ricavare un medico? Nulla!

Ma se l'episodio si spiega con la presenza di una forza demoniaca, che ha causato quella follia, conoscere il nome, equivale a rivelare l'entità numerica di potenze diaboliche presenti nella vita dell'uomo di Gadara.

Questa conoscenza non è tanto necessaria per Gesù, quanto per noi che leggiamo il racconto evangelico. Legione, a parte di essere un termine romano, denota nel suo letterale significato «migliaia». Questo ci aiuta a capire che i demoni presenti in quell'uomo erano nell'ordine di migliaia.

Si afferma che quando una legione era completa, ammontava a 6.000 unità [R. G. Stewart, L’evangelo secondo Matteo e Marco, pag. 302]. Quindi, ci troviamo davanti ad un uomo che è stato invaso dalla forza demoniaca nell'ordine di diverse migliaia di unità. Conoscere quest'entità numerica, per Gesù, non rappresentava un ostao, ma rappresentava un motivo di più, per dimostrare, non solamente a quelle migliaia di demoni, ma a tutta l'umanità, a tutto l'universo, chi egli era. Gesù non è un comune esorcista che esercita la sua autorità sopra i demoni, è Dio fatto carne, che non ha nessuna limitazione nel suo potere.

Allora appare chiaro che Gesù non chiese il nome solamente per sapere come si chiamava quel demone, e sopra quello spirito esercitare la sua autorità, ma lo chiese essenzialmente per far conoscere l'entità numerica delle nature incorporee che si trovava nell'uomo di Gadara, e conoscendoli, si potesse maggiormente valutare, nella sua vera portata, chi era veramente Gesù.

Per giustificare che il nome Legione, non deve essere inteso nel senso di un comune vocabolo, ma com'entità numerica, l'evangelista precisa: Il mio nome è Legione perché siamo in molti, e Luca, per evitare un'errata interpretazione, precisa, Perché molti demoni erano entrati in lui.

Che in queste migliaia di demoni entrati nell'uomo di Gadara, ci fosse uno che facesse da capo e coordinasse tutte le azioni, viene provato dalla forma singolare: Il mio nome è; e lo pregava con insistenza. Non c'è nessun dubbio, credendo alla storia evangelica: l'uomo di Gadara è pazzo furioso, indomabile, perché i demoni lo ridussero in quella maniera e non una malattia prettamente fisiologica che aveva determinato quello stato di cose. Qualcuno in questa faccenda ha visto «un'allusione alla dominazione straniera dei romani» [R. Pesch, Marco I, pag. 457, nota 26].

Dalla preghiera che i demoni fecero a Gesù di entrare nel branco di porci che si trovavano in quella vicinanza, qualcuno suggerisce la volontà dei demoni di voler restare nel territorio dei gadareni, probabilmente dettato dalla paura di venire caccati nel deserto (cfr. Isaia 13:21; 34:14; o pensando che cristo avesse comandato loro di andare nell'abisso (Luca 8:31).

Non essendo andata a buon fine la tattica dei demoni, capiscono di avere il tempo contato e non potendo più rimanere nell'uomo di Gadara, perché Cristo non glielo permette, pregano con insistenza Gesù di entrare nel branco dei porci. Dopo che quella mandra di porci, nell'ordine di 2.000 unità, impazzì per la presenza in loro dei demoni e si precipitò nelle acque del mare ed affogarono, dell'uomo di Gadara ci viene affermato che la gente della città accorsa sul luogo, videro l'indemoniato seduto, vestito e in buon senno. Ecco, in poche parole, descritta la liberazione completa dell'ossesso.

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Domenico34
00mercoledì 14 settembre 2011 00:04
Una volta che i demoni uscirono dalla sua vita, l'uomo pazzo ed indomabile, diventa una persona normale, e può raccontare a quelli di

casa sua, le grandi cose che il Signore gli aveva fatto, e com'Egli aveva avuto pietà di lui.

La storia del fanciullo lunatico, riferita da Matteo 17:14-23 Marco 9:14-29 e Luca 9:37-45, con tanti partiari, ci permette di valutare l'azione esorcistica di Gesù e le varie conseguenze derivate dalla presenza della forza demoniaca nella sua vita.

Dal racconto di Marco sappiamo che in quel giorno, ci fu una disputa tra gli Scribi e i nove discepoli di Gesù rimasti a valle, in conseguenza di un vano tentativo di esorcismo nei confronti di un fanciullo affetto da uno spirito muto. Non è fuori posto pensare come R. G. Stewart che

«gli Scribi, menando trionfo dell'insuccesso dei discepoli, non solamente li trattassero d'impostori, ma anche insinuassero dei dubbi intorno alla potenza del loro Maestro» [R. G. Stewart, L’evangelo secondo Matteo e Marco, pag. 338].

Ma quando si pensa che chi aveva avuto insuccesso nel liberare il fanciullo epilettico erano proprio gli Scribi [R. Pesch, Marco II, pag. 143], ci troviamo davanti ad un'interpretazione che non sentiamo di condividere. Quando W. Schenk riconosce che originariamente gli Scribi svolsero un ruolo dei discepoli Idem, nota 2], abbiamo seri motivi per dissentire da questa sua constatazione.

Se l'oggetto della disputa fosse stato l'insuccesso del fallimento degli Scribi, chi animava questa discussione dovevano essere i discepoli di Gesù e la folla, non essendo concepibile pensare che gli Scribi facessero la disputa contro se stessi.

A parte che il N.T. non fornisce nessuna notizia che gli Scribi esercitassero l'esorcismo e che i discepoli di Gesù entrassero in dispute contro di loro per i loro insuccessi, è detto invece chiaramente in molti testi, che sono sempre gli Scribi che hanno da contestare per quanto riguarda l'operare di Gesù e quello dei suoi discepoli. Prescindendo da questa considerazione, che non è priva di senso, quando esaminiamo il testo di Marco sappiamo incontestabilmente che l'uomo della folla, che rispose alla domanda di Gesù, che è appena arrivato con i suoi discepoli, era il padre del fanciullo epilettico e che questi disse: Ho detto ai tuoi seguaci che lo cacciassero ma non hanno potuto (v. 18).

Dallo stesso padre sappiamo anche che inizialmente il fanciullo era stato menato a Gesù. Maestro, io t'ho menato il mio Figliolo che ha uno spirito mutolo (v. 17). Pensare agli Scribi, che tentarono invano l'esorcismo, è contro la stessa volontà del padre, e la loro potrebbe essere giustamente considerata un'indebita intromissione.

Ma se pensiamo all'insuccesso dei discepoli, come giustamente il testo ci fa chiaramente capire (v. 28), la disputa degli Scribi appare nella sua giusta dimensione, non come chi semplicemente assiste, ma come veri e propri fomentatori. Davanti alla minuziosa descrizione di tutto quello che avviene nella vita del fanciullo, non è difficile, per la scienza medica, avere tutti i segni e gli elementi per affermare che il ragazzo è affetto da epilessia. Con il vangelo nelle mani da una parte e con la scienza medica dall'altra parte, ci troviamo davanti ad una precisa situazione che richiede una scelta [R. Pesch, Marco II, pag. 145].

Non aveva torto Origene quando, spiegando il passo, diceva:

«I medici possono tuttavia tentare una spiegazione naturale (alla malatti, poiché secondo la loro convinzione non agisce qui alcuno spirito impuro, bensì abbiamo un fenomeno d'infermità del corpo. Nel loro modo naturale di spiegare le cose essi possono sostenere che l'umidità si muove nella testa secondo una certa simpatia con la luce della luna, che ha parimenti una natura umida. Noi però crediamo al vangelo anche in ciò, che questa malattia è evidentemente provocata in chi ne sia affetto da uno spirito immondo» Idem, nota 16].

Il fatto che si affermasse, che ai giorni nostri, «sulla scorta delle ricerche mediche e dell'indagine storica concettuale», si sia abbandonata la vecchia credenza, è un indizio abbastanza chiaro da farci vedere che la ricerca storica concettuale, porta ad annullare la parola del vangelo e quelli che l'accettano, come conseguenza logica, rifiutano l'elemento miraoso, come dimostrazione della potenza del soprannaturale, del potere di Dio.

Con queste parole non intendiamo affatto generalizzare, nel senso che tutte le forme di epilessia presenti nell'uomo, siano da attribuire alla presenza del demonio che le causa. Questo però non c'esime dall'affermare che ci sono epilettici, la cui epilessia è causata dalla presenza di forze demoniache, e quando i demoni vengono scacciati, la convulsione scompare e l'ammalato viene guarito senza che si debba attribuire la sua guarigione ai farmaci che gli sono stati somministrati. Una malattia prettamente neurologica, può essere combattuta e debellata, attraverso trattamenti e farmaci adeguati, ed anche se a volte l'ammalato non ricupera completamente la salute, si può sperare in un suo miglioramento.

Ma una malattia mentale, causata dalle forze demoniache, non sarà mai guarita né ridotta ad uno stato di miglioramento, con le cure e i trattamenti di cui dispone la scienza medica.

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Domenico34
00giovedì 15 settembre 2011 00:44
Il fanciullo, del quale parlano gli evangelisti, era epilettico non nel senso come la scienza neurologica lo spiegava, perché sappiamo senza tema di sbagliare, che la sua epilessia era causata dallo spirito immondo che abitava in lui. Anche se è vero, la definizione dell'epilessia che significa: «essere preso, afferrato, sopraffatto», è altrettanto vero che lo stesso padre riconosceva che l'azione di prendere, afferrare e sopraffare, era svolta dal demone.

Maestro, ti avevo condotto mio figlio che ha uno spirito muto, e dovunque lo afferra, lo strazia ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce (v. 18).

È vero che il padre del fanciullo non era un neurologo, e come tale non poteva definire l'epilessia di suo figlio, derivata dalla presenza del demonio. Ma l'esorcizzatone che Gesù compì, quando disse allo spirito:

Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da lui e non entrare più in lui (v. 25),

è più che convincente per affermare che il padre del fanciullo non si sbagliava quando definì l'epilessia del figlio, un'azione derivata e causata dal demonio.

Se ci siamo fermati a considerare il caso dell'epilettico, non l'abbiamo fatto per discutere le varie cose che si verificano, alcune delle quali le abbiamo esaminate, ed altre neanche accennate, ma solamente per mettere in risalto l'esorcismo che Gesù praticava ai suoi giorni.

I tre casi riferiti, l'indemoniato di Capernaum, l'ossesso di Gadara e il fanciullo epilettico, immancabilmente hanno più significato nella storia evangelica ci presenta (senza sminuire gli altri che ci vengono narrat, per descrivere l'azione esorcista che Gesù compì ai suoi giorni e di cui non possiamo ignorare la ripercussione che ha a proposito dei segni che accompagneranno chi crede.

L'ESORCISMO AL DI FUORI DI MARCO 16:17

Da quello che abbiamo esaminato, non c'è nessun dubbio: Gesù fu un vero e proprio esorcista, sempre pronto ad intervenire in quei casi disperati ed inguaribili. Uno dei motivi per questo il Figlio di Dio era venuto in terra, non era solamente per

distruggere colui che aveva l'imperio della morte, cioè il diavolo (Ebrei 2:14),

ma anche per distruggere le sue opere (1 Giovanni 3: 8). Una delle tante opere che il diavolo compie è costituita dagli spiriti immondi o demoni che si stabiliscono nella vita di certe persone, producendo tutti quei malesseri che la storia evangelica descrive.

Davanti all'opera devastatrice del diavolo, Gesù non poteva rimanere indifferente, perché nella sua missione, vi era appunto inclusa la distruzione dell'attività di Satana. Ecco perché Gesù cacciava i demoni e liberava gli indemoniati. La missione che gli apostoli, per i primi svolsero e in seguito gli altri che seguirono, non avrebbe potuto ignorare questo punto fondamentale della missione di Gesù Cristo.

È sotto questo profilo che deve essere inquadrata e interpretata la missione dei dodici, secondo che si legge in Matteo 10:1-8; Marco 6:7-13 e Luca 9:1-6. Gli apostoli non devono solamente predicare e dire:

Il regno dei cieli è vicino, devono anche sanare gli infermi, risuscitare i morti, nettare i lebbrosi, cacciare i demoni.

Anche se l'azione esorcista figura all'ultimo posto, pur nondimeno deve essere eseguita nella stessa maniera che si compiono gli altri eventi. Per dare peso a questa missione, ci viene affermato che Gesù diede ai dodici
la podestà di cacciare gli spiriti immondi, e Luca precisa: autorità su tutti i demoni (Luca 9:1).

Dato che tutti gli spiriti immondi e tutti i demoni, sono capitanati da Satana, e il solo che lo poteva affrontare era Gesù, ecco perché è detto specificatamente che per cacciare i demoni, Gesù diede ai suoi tale potere. Il potere che gli apostoli avevano ricevuto nel cacciare i demoni, non era un potere umano, ma divino, davanti al quale essi non avrebbero potuto resistere, od opporre la loro resistenza.

Il potere che i demoni hanno, è un potere che viene loro dato da Satana. Anche se si può parlare di un grande potere che soggioga e rende impotenti gli uomini, è sempre un potere di Satana che non ha nulla a che vedere la capacità di Gesù, che parla eloquentemente dell'onnipotenza di Dio. La nota specifica «su tutti i demoni», vuole dire appunto, dominio completo sulla potenza demoniaca.

Non c'è da meravigliarsi se nel campo della demonologia, esistano varietà di demoni, con diversa potenza l'uno rispetto all'altro. Anche se noi non sappiamo formulare una classificazione chiaramente specificata, non solo non si può ignorare una certa gerarchia esistente nel mondo della demonologico, ma la frase «su tutti i demoni», è più che sufficiente per fornirci la garanzia che non esiste potenza demoniaca che possa sfuggire al potere di Gesù.

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Domenico34
00venerdì 16 settembre 2011 00:08
Quando gli apostoli, in virtù della loro missione, esercitavano l'esorcismo, lo facevano esclusivamente potere che Gesù aveva conferito loro. In altre parole, non era la potenza umana, o il potere di una forte organizzazione religiosa che si metteva in evidenza, era solamente la forza dell'Onnipotente che veniva manifestata, attraverso l'azione esorcista degli apostoli. La sola potenza cui i demoni sottostavano e alla quale obbedivano, era quella divina, che appariva nella sua luminosità, la sola che dava ampia garanzia e sicuro successo.

La prova di quest'affermazione l'abbiamo dall'episodio che Luca ci fornisce nel libro degli Atti. Sì, è vero che oltre agli apostoli che compivano opere esorcistiche, vi erano anche esorcisti giudei che andavano attorno (Atti 19:13), ma questi, quando tentarono di invocare il nome di Gesù che Paolo predicava su quelli che avevano gli spiriti maligni, a parte che gli spiriti non furono loro soggetti, si avventarono addirittura su loro, con una tale violenza, che dovettero fuggire, nudi e feriti (Atti 19:16).

Di questi casi non ne abbiamo nella missione degli apostoli, sia quando Gesù era ancora sulla terra, sia dopo la sua risurrezione.

Agli apostoli Gesù aveva conferito la stessa potenza per cacciare i demoni, non solo fu sempre efficacia e risolutiva, ma addirittura fece sbalordire gli apostoli stessi, quando davanti agli occhi loro vedevano la liberazione degli indemoniati ha seguito del loro esorcismo. La relazione che i settanta fecero, al termine della loro missione a Gesù, fu: Signore, anche i demoni ci sono sottoposti nel tuo nome (Luca 10:17). Gesù nella sua missione cacciava i demoni perché sapeva che attraverso loro, il diavolo compiva le sue opere, e Gesù era venuto appunto per distruggere le opere del diavolo.

Quella degli apostoli, non era dunque una diversa missione; era lo stesso mandato che Gesù aveva cominciato tra gli uomini. Gli apostoli non erano i rappresentanti di un nuovo movimento religioso, no, erano i rappresentanti di Gesù Cristo, tanto che Gesù poté dire di loro: Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi (Giovanni 20:21).

Era nella logica delle cose che ci sarebbe stato una certa somiglianza tra Gesù che manda e i discepoli che vanno. D'altra parte, la norma che Gesù stabilisce

un discepolo non è da più del maestro - basti al discepolo di essere come il suo maestro (Matteo 10:24),

si applica anche in questo settore del ministero degli apostoli e dei discepoli in genere.

Se è vero che tra Gesù e i discepoli, ci deve essere una certa continuità, che giustifichi l'opera del ministero, quest'estensione lineare non deve essere soltanto nell'insegnamento e nella predicazione, deve essere anche in quello che Gesù compì ai suoi giorni, incluso l'esorcismo.

L'IMPORTANZA DI CACCIARE I DEMONI NEL NOME DI GESÙ

Se abbiamo fatto un lungo giro per quanto riguarda l'esorcismo, che ci ha indotto a fare delle specifiche considerazioni, l'abbiamo fatto allo scopo, non solo per giustificare l'esercizio in se stesso dell'esorcismo, così come veniva praticato da Gesù e dagli apostoli, ma soprattutto per dare valore di attualità, all'importanza che ha di cacciare i demoni nel nome di Gesù.

(Marco 16:17), afferma che il cacciare i demoni nel nome di Gesù, è un «segno» che accompagnerà chi crederà. Non vogliamo addentrarci sul vero credere e neanche vogliamo sederci sulla poltrona del giudice, per stabilire e condannare chi crede veramente, secondo la parola di Gesù. Gesù non ha detto quella parola per servire come regola di giudizio tra una persona e l'altra, tra un credente e l'altro. Una simile eventualità d'interpretazione non avrebbe sicuramente favorito, lo sviluppo dell'opera missionaria che i credenti venivano chiamati a svolgere.

Gesù non ha detto, che cacciare i demoni nel suo nome, è una «prova» che accompagnerà chi crederà; ha solamente detto: Un segno che accompagnerà. La cosa che maggiormente dobbiamo sottolineare è questa: l'esorcismo praticato nel nome di Gesù, ha sempre favorito lo sviluppo della predicazione del vangelo. Satana, con tutti i suoi alleati, ha sempre ostaato l'opera missionaria, sia che si tratta nella penetrazione di un campo nuovo e sia che si tratta in un luogo dove l'evangelo è stato annunciato.

Il diavolo sa che quando una persona arriva a contatto vangelo di Gesù Cristo, che è potenza di Dio (Romani 1:17), si incontra con una forza superiore alla sua, e in virtù di quel potere superiore e benefica, la persona può essere liberata dalla forza malefica. La forza malefica di Satana, è chiaramente manifestata nei demoni, suoi alleati e dipendenti che pur non avendo una propria corporeità, si servono del corpo umano per portare a compimento la loro missione. Come fanno questi demoni ad entrare in un corpo umano, non c'è dato di sapere. Una cosa è certa: quando un demone si stabilisce nella vita di una persona, produce dei capovolgimenti, specie quando controlla la mente, e farà il suo possibile per impedire l'accesso del vangelo in quella vita.

I demoni sono forze invisibili, e tante volte per non farsi scoprire, sono anche capaci di affermare una certa verità. È il classico esempio della donna di Filippi, che avendo uno spirito indovino, gridava dietro a Paolo e Sila:

Questi uomini sono servitori dell'Iddio altissimo, e vi annunziano la via della salvezza (Atti 16:17).

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Domenico34
00sabato 17 settembre 2011 00:10
Chi avrebbe mai pensato che era il demone che abitava in quella donna che si esprimeva in quel modo? Paolo, per il discernimento dello Spirito di Dio, conobbe molto bene che le parole che aveva sentito, non erano termini di quella donna, perciò non ebbe nessun'esitazione di dire allo spirito:

Io ti comando nel nome di Gesù Cristo, che tu esci da costei. Ed esso uscì in quell'istante (Atti 16:18).

Cacciare i demoni nel nome di Gesù, significa rimuovere l’ostacolo principale che si oppone all'annuncio del vangelo, e dà la libertà agli uomini di ricevere la grazia di Dio. Non è un puro caso che l'esorcismo si trova nel contesto del comando di Gesù di predicare l'evangelo ad ogni creatura. Non sono soltanto i missionari che devono fare uso dell'esorcismo, specie quando si trovano in quei campi pagani infestati da spiriti immondi, anche se loro sono chiamati in prima persona a combattere la battaglia spirituale, che vede da una parte, le potenze dell'inferno impegnate ad ostaare ad oltranza il diffondersi della predicazione evangelica, e dall'altra il potere di Gesù, che dà garanzia alla buona riuscita di ogni opera missionaria, ma anche ogni credente, che veramente ha a cuore il progresso dell'opera di Dio in mezzo agli uomini.

Il nome di Gesù, è il solo che possa debellare ogni forza satanica e demoniaca che si può incontrare nel cammino della vita, in tutti quegli impegni tendenti all'avanzamento del regno di Dio. Una volta che la presenza dei demoni viene ravvisata, sia che si tratti in persone singole o in lettività, essa deve essere cacciata con l'autorità del nome di Gesù.

Nessun demone, pico o grande, possente o meno, lascerà una dimora in cui si è stabilito, di sua volontà, in cerca di un'altra migliore sistemazione. Il credente, che ha l'autorità da Cristo Gesù di usare il suo nome, non deve aver nessuna titubanza o incertezza nel cacciare i demoni. D'altra parte, il testo non afferma che sarà Cristo Gesù che caccerà i demoni, ma chi crederà nel suo nome che faranno uso della potenza del none di Gesù.

I demoni cacciati, lasceranno il campo libero all'evangelo, e le persone potranno riceverlo con maggiore facilità, ricevendo la salvezza in Cristo. Da quando il diavolo fu cacciato dal cielo e gettato sulla terra, la sua furia si è maggiormente inasprita, sapendo che ha poco tempo (Apocalisse 12:8,9,12), e tutte le sue strategie e le lotte che egli ingaggia, tramite i suoi alleati, che sono essenzialmente i demoni, ha come mira l'arresto dell'avanzata della predicazione del vangelo.

Se si crede che l'evangelo è la potenza di Dio (Romani 1:17), e che non esiste altro potere pari che possa essere usata per far saltare tutte le forze nemiche, il credente in genere e il missionario in partiare, non dovranno sottovalutare il nome di Gesù da opporre a tutti i demoni, in modo che l'evangelo possa avere via libera; così le tante prigioni di Satana che detengono serrate milioni di persone, potranno aprirsi, e le persone in loro trattenute, uscire e godere la vera libertà che sa dare il solo Figlio di Dio, Gesù Cristo, Signore dei signori e Re dei re.

2. PARLERANNO IN LINGUE NUOVE

Il secondo dei cinque segni presentato da (Marco 16:17,18), concerne il parlare in lingue nuove, vale a dire, un nuovo linguaggio rispetto al vecchio e al normale, che sta ad indicare una nuova manifestazione spirituale, prodotta appunto dallo Spirito di Dio che esprime il fenomeno estatico della glossolalia. Che il fenomeno estatico della glossolalia abbia avuto inizio a Pentecoste, in occasione della discesa dello Spirito Santo, è un fatto storicamente documentabile e riconosciuto da ogni studioso della Bibbia.

Nel capitolo due del libro degli Atti viene descritta la partiare manifestazione dello Spirito Santo che scese nel giorno di Pentecoste sopra la Chiesa, vale a dire sopra 120 persone, dando inizio a questa nuova manifestazione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa.

Il profeta Gioele prima (2:28) e poi Gesù (Atti 1:5,8), avevano detto chiaramente che lo Spirito Santo sarebbe venuto, come avvenimento di un preciso piano divino, e che per mezzo di questo Spirito, l'opera iniziata da Gesù Cristo, continuerebbe nel corso dei secoli e portata a compimento.

Il profeta Gioele non aveva predetto che nel giorno in cui lo Spirito Santo sarebbe stato sparso, ci sarebbe stato il fenomeno del parlare in lingue come prova dell'adempimento profetico. Nonostante ciò, dalle parole che Pietro disse nel giorno di Pentecoste circa chi aveva ricevuto lo Spirito Santo, si trattava dell'adempimento letterale della vecchia profezia di Gioele (Atti 2: 17). Da quel giorno, che segnò l'inizio di una nuova manifestazione dello Spirito Santo e la nascita della Chiesa, il fenomeno estatico della glossolalia, si manifesta ogni volta che si rinnova la dimostrazione concreta pentecostale nella vita dei credenti.

Che il detto fenomeno della glossolalia non è una manifestazione isolata e circoscritta al solo giorno della Pentecoste, è provato dal N.T. in diverse citazioni. D'altra parte, se la manifestazione della glossolalia, dovesse essere circoscritta al solo giorno della Pentecoste, tutti i riferimenti che il N.T. contengono, non avrebbero nessun senso, e la Chiesa nel corso dei secoli, non ne riceverebbe nessun beneficio. Dal momento che il N.T. documenta il ripetersi del fenomeno della glossolalia, come segno e prova della venuta dello Spirito Santo sulla vita dei credenti, il volerlo negare significa chiudersi in una posizione altamente preconcetta, per affermare un punto di vista che non ha l'appoggio delle S. Scritture.

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Domenico34
00domenica 18 settembre 2011 00:15
Se passiamo in rassegna i passi che il N.T. ha, ove la glossolalia appare com'evidenza della venuta dello Spirito Santo, potremo meglio valutare questo fenomeno e poi chiedere se la glossolalia si fermò nella sua primiera manifestazione al tempo dell'era apostolica, o se continuò in periodi successivi, e se ai nostri giorni, è compatibile con la dottrina del N.T. in perfetta aderenza teologica che questo fenomeno comporta.

La promessa che venne affermata nel giorno della Pentecoste per la bocca di Pietro, è ben nota a tutti e tutti ne citano le parole e poi possibilmente si rimane scettici per quanto riguarda il futuro.

Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo. Poiché per voi è la promessa, e per i vostri Figlioli, e per tutti quelli che sono lontani, per quanti il Signor Iddio nostro ne chiamerà (Atti 2:38,39).

I credenti di Samaria (Atti 8:﷓17)

Il voler stabilire in forma quasi dogmatica, che con il battesimo in acqua si riceve anche il dono dello Spirito Santo [Quando si leggono le seguenti parole: «Per i cristiani è fondamentale la ricezione dello Spirito nel battesimo» (G. Schneider, Gli Atti degli Apostoli, I, pag. 360), e «la stretta connessione tra battesimo e dono dello Spirito» (G. Stählin, Gli Atti degli Apostoli, pag. 105, e «questo di cui parla qui Pietro è il battesimo nel nome (epitóponomat di Gesù Cristo e di conseguenza fa ricevere il dono del santo Spirito» (G. Ricciotti, Gli Atti degli Apostoli e le lettere di S. Paolo, pag. 124. Resta da vedere se è vero quanto sopra affermato, compreso la seguente: «Ma il battesimo cristiano comunicava un’altra benedizione ancora. Giovanni come egli stesso aveva detto, battezzava (solo) con acqua, ma il Messia avrebbe battezzato con lo Spirito Santo, un dono che avrebbe accompagnato il battesimo con acqua, fatto dalla chiesa nel nome di Gesù. I due doni sono strettamente uniti insieme» (I. H. Marshall, Gli Atti degli Apostoli, pag. 102], significa ignorare volutamente quei testi del N.T. che si oppongono in maniera decisa e ferma, con la chiara conseguenza di fare apparire la manifestazione pentecostale (intesa non nel senso denominazionale, ma nel significato carismatico della parola, come una prova tangibile del passato e non come una perpetua manifestazione dello Spirito Santo nella vita della Chiesa.

La Chiesa apostolica, così come ci viene principalmente presentata dal libro degli Atti, conosce il dono dello Spirito Santo, che i credenti ricevono, quale promessa in accordo a Atti 2:38,39, ch'è una specifica conseguenza dell'esaltazione di Gesù alla destra di Dio (Atti 2:32), attraverso un segno visibile, che non è stato mai frainteso: il parlare in lingue. In mancanza di questo segno, nessuno apostolo si azzardava ad affermare che sol perché un credente era stato battezzato in acqua a seguito della sua fede in Cristo, crocifisso e risuscitato, avesse ricevuto lo Spirito Santo, così come Pietro lo intese inizialmente.

È il caso lampante della discesa dello Spirito Santo sui credenti di Samaria, che prima erano stati battezzati in acqua da Filippo, ha seguito della loro fede in Cristo. Se quello che i moderni teologi affermano fosse vero, cioè che lo Spirito Santo si riceve nel momento del battesimo in acqua, questa sarebbe la prima confutazione ufficiale che gli apostoli, Pietro e Giovanni avrebbero fatto.

È risaputo quello che accadde ai credenti di Samaria, allorquando la notizia della loro conversione arrivò agli apostoli che erano in Gerusalemme, essi mandarono Pietro e Giovanni, i quali arrivati là

pregarono per loro affinché ricevessero lo Spirito Santo; poiché non era ancora disceso sopra di alcuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signor Gesù (Atti 8:14-17);

e dopo che gli apostoli, Pietro e Giovanni, ebbero imposto loro le mani, ricevettero lo Spirito Santo.

In questa circostanza non viene detto esplicitamente che ci fu il parlare estatico della glossolalia. Quelli che si oppongono alla preghiera come pratica per ricevere lo Spirito Santo, giudicando una simile pratica o una simile attitudine, non necessaria, per la relazione che c'è con l'esaltazione di Gesù alla destra di Dio, dovrebbero almeno confutare l'affermazione di (Atti 8:17); e se non bastasse la parola degli apostoli, si dovrebbe ricordare quella di Gesù, secondo (Luca 11:13).

Confutare degnamente una pratica della Chiesa apostolica, confermata dalle S. Scritture, non è sicuramente una cosa facile, senza correre il rischio di annullare la parola scritta. Se poi esistesse un modo plausibile di una simile confutazione, in pratica significherebbe non tener conto del valore della testimonianza apostolica e dell'autorità della Parola di Dio.

La testimonianza apostolica registrata nel libro degli Atti, è superiore ad una qualsiasi deposizione della tradizione, anche se la stessa fosse antichissima, la più antica che si possa annoverare, ma non può essere mai più antica di quella degli apostoli, tramandata a noi da Luca. Se gli apostoli pregarono perché i credenti di Samaria ricevessero lo Spirito Santo, è prova che la preghiera a tale scopo ha la sua importanza e la sua efficacia, avendo le sue origini al cenao, dove gli apostoli, con le donne, con Maria, madre di Gesù e con i fratelli di Lui perseverarono di pari consentimento nella preghiera, prima dell'evento di Pentecoste (Atti 1:14).

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Domenico34
00lunedì 19 settembre 2011 00:07
Abbiamo detto poco fa che per i credenti di Samaria, ai quali venne dato lo Spirito Santo, non è detto espressamente che parlarono in lingue, come prova e segno esterno che lo Spirito Santo era disceso su di loro. Anche se questo è vero, è altrettanto vero che gli apostoli, Pietro e Giovanni, dopo la preghiera e l'imposizione delle loro mani, si resero conto che i nuovi convertiti avevano ricevuto lo Spirito Santo.

Quale prova potevano addurre davanti agli altri apostoli e davanti agli stessi credenti samaritani? La logica stringente, dato che l'evento pentecostale si era manifestato in Gerusalemme da poco tempo, e che lo Spirito Santo nel discendere sopra i 120 li aveva fatti parlare in lingue, era che anche quei credenti samaritani, alla cui presenza c'erano Pietro e Giovanni, avranno certamente parlato in lingue, come segno esterno che lo Spirito Santo era venuto sopra da loro.

Alla luce della giustificazione che Pietro addusse ai fratelli di Gerusalemme che gli contestarono la sua entrata in casa di un pagano, ci viene detto:

Avevo appena cominciato a parlare, quando lo Spirito Santo discese su loro, com'era sceso al principio su di noi (Atti 11: 15),

la nostra conclusione è più che giustificata. Se poi si pensa alle parole che Luca adopera per descrivere la nuova situazione che venne a determinarsi nella mente di Simon mago:

Or Simone, vedendo che per l'imposizione delle mani degli apostoli era dato lo Spirito Santo, offerse loro del denaro, dicendo: Date anche a me questa podestà, che ui al quale io imponga le mani riceva lo Spirito Santo (Atti 8:18),

si può maggiormente valutare, criticamente parlando, il fenomeno del parlare in lingue.

Simone, assieme alle altre persone di Samaria, aveva visto quello che Filippo aveva fatto, nel cacciare gli spiriti immondi, nel sanare i paralitici e gli zoppi. Ma per nessuna di queste opere grandi, Simone era stato impressionato, come per quello che «vide», quando gli apostoli imponendo le mani sopra i credenti di Samaria, avevano ricevuto lo Spirito Santo. Lo Spirito Santo non è qualcosa che si può paragonare ad un qualsiasi oggetto al controllo della nostra vista. Dal momento che lo Spirito Santo è invisibile, con quale dimostrazione pratica si poteva affermare che quei nuovi convertiti, ai quali gli apostoli imposero le mani, avevano ricevuto lo Spirito Santo, l'identico Spirito che Pietro e Giovanni avevano ricevuto nel giorno della Pentecoste?

Queste considerazioni, in vista del dato di fatto che il libro degli Atti presenta come prova che lo Spirito Santo era venuto nella vita della Chiesa, con l'evidenza del parlare nuove lingue, ci porta a concludere inconfutabilmente, che i nuovi credenti di Samaria, parlarono le lingue, secondo (Atti 2:4).

La conversione di Saulo da Tarso (Atti 9:1-19)

Di questo feroce ed accanito persecutore di oro che invocavano il nome di Gesù, Saulo da Tarso, il libro degli Atti ci comunica delle informazioni che ci permettono di valutare questo personaggio.

La storia della sua conversione è narrata da Luca con tutti i partiari che la rendono interessante. Dopo che questo giovane persecutore venne fermato da Gesù, sulla strada di Damasco, Luca c'informa che Saulo rimase tre giorni senza vedere, e non mangiò e non bevve (Atti 9:9). Attraverso un messaggio partiare che Gesù indirizzò ad un suo servitore di nome Anania, Saulo riceve la visita di quest'inviato speciale, il quale, con le imposizioni delle sue mani, Saulo ricupera la vista e viene riempito dallo Spirito Santo (Atti 9: 18-19).

Il termine che Luca usò qui per indicare che Saulo fu ripieno plēsthēs, di Spirito Santo, venne usato anche nel capitolo due per indicare che le persone che ricevettero lo Spirito Santo il giorno della Pentecoste, furono ripiene. Con la sola differenza che nel capitolo due, viene detto chiaramente che chi fu ripieno di Spirito Santo parlarono in lingue, mentre per Saulo non viene affermato che parlò in lingue. Anche se Luca lascerà una lacuna su questo avvenimento dell'esperienza pentecostale di Paolo, relativamente al parlare in lingue, ci penserà più tardi lo stesso apostolo a dirci che lui parlava in altre lingue più dei Corinzi (1 Corinzi 14:18).

In nessun punto del N.T. ci viene affermato che il parlare in lingue nuove, può essere fatto da persone che non hanno ricevuto lo Spirito Santo. Tutti quelli che manifestarono questo segno esterno, testimoniarono eloquentemente, che su di loro era sceso lo Spirito Santo, com'era sceso nel giorno di Pentecoste.

La casa di Cornelio (Atti 10)

L'episodio concernente la discesa dello Spirito Santo su chi astarono la parola di Pietro nella casa di Cornelio, il Centurione romano, è descritto nel capitolo 10 del libro degli Atti.

Già ci troviamo in territorio pagano, fuori le mura del popolo ebraico, come più tardi lo steso Pietro affermò, quando dichiarò che il popolo gentile ricevette il vangelo per mezzo di lui (Atti 15.7). Più tardi Giacomo, ribadì la stessa cosa, quando affermò:

Simone ha raccontato come per la prima volta Dio ha visitato i gentili, per scegliersi da quelli un popolo per il suo nome (Atti 15:14).

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Domenico34
00martedì 20 settembre 2011 00:14
Se l'episodio della casa di Cornelio, Giacomo lo definì la prima volta che Dio ha visitato i gentili, e in questa prima visitazione divina verso un popolo straniero ai patti della promessa (Efesini 2:12), viene dato lo Spirito Santo, questa è una prova che la manifestazione pentecostale, (nel senso come sopra specificato) non solo esce fuori dai confini della Chiesa Giudeo-Cristiana, quindi dalla cerchia degli apostoli, ma trova il suo compimento, secondo la parola della promessa:

Per voi e per i vostri figli e per tutti chi è lontani, e per quanti il Signor Dio nostro ne chiamerà (Atti 2:39).

Che la promessa riguardante, lo Spirito Santo, che Dio avrebbe dato a quanti erano chiamati, sia una parola destinata a ripetersi nel tempo, vale a dire sopra tanti altri gentili, appare chiaramente, alla luce delle tantissime conversioni verificatesi attraverso i secoli fino a noi.

Se Pietro si recò nella casa di Cornelio, non fu certamente spinto dal desiderio personale di proclamare il messaggio evangelico anche in quell'ambiente pagano, ma perché lo Spirito Santo gli disse chiaramente:

Alzati dunque, scendi e va con loro senza alcun'esitazione, perché sono io che li ho mandati (Atti 10:20).

Pietro, come del resto gli altri fratelli Giudei, aveva i suoi pregiudizi, non pensando che i Gentili, popolo pagano, potessero essere meritevole di ricevere la grazia di Dio. All'eliminazione di questi seri pregiudizi, ci pensò Dio. L'apostolo vedendo quella visione di ogni specie di

quadrupedi, di fiere, di rettili terrestri e di uccelli del cielo,

e sentendo un ordine che gli diceva: Pietro, alzati, ammazza e mangia, e al suo rifiuto:

Niente affatto, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla d'impuro e di contaminato,

Dio rispose: Le cose che Dio ha purificate, tu non farle impure (Atti 10:12-15).

Ormai tutto è chiaro nella mente di Pietro, e quando arriva nella casa di Cornelio, dopo aver astato una sua breve relazione circa una sua specifica esperienza e rivelazione da parte di Dio, Pietro può solamente affermare:

Dio mi ha mostrato di non chiamare nessun uomo impuro o contaminato (Atti 10:28).

La porta dei gentili è ormai aperta, e la grazia di Dio può entrare e manifestarsi nella sua pienezza, cominciando da quelli che erano radunati nella casa di Cornelio. Non fa quindi, meraviglia, che Pietro proclami con franchezza e con fermezza, una gloriosa verità fondamentale di teologia cristiana:

Gesù Cristo, è il Signore di tutti, chiunque crede in lui riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome (Atti 10:36,43).

Se Dio, in precedenza aveva dichiarato a Pietro, di aver purificato le cose immonde, (e quello era un chiaro riferimento al popolo gentil, ora deve dimostrare a tutto il mondo, non solo Giudeo, ma anche pagano, che Egli accettava questo popolo, e che a lui veniva data la stessa grazia e lo stesso dono che era stato dato agli apostoli e a tutti quei giudei che avevano creduto in Cristo: lo Spirito Santo. Il sacro testo precisa che mentre Pietro stava parlando,

lo Spirito Santo scese su chi udiva la parola. E tutti i credenti circoncisi, che erano venuti con Pietro, rimasero meravigliati che il dono dello Spirito Santo fu sparso anche sui gentili, perché li udivano parlare in altre lingue (Atti 10:44-46).

Come fecero i credenti circoncisi a riconoscere che quei della casa di Cornelio avevano ricevuto «il dono dello Spirito Santo?» La risposta ce la dà la stessa Scrittura, quando dice: Perché li udivano parlare in altre lingue. Il fenomeno della glossolalia riappare, e si ripete come il giorno di Pentecoste, e, questa volta, a differenza della Pentecoste, sopra i credenti Gentili. Se lo Spirito Santo doveva essere ricevuto con il battesimo in acqua, come mai si manifesta, con l'evidenza della glossolalia, prima che venga amministrato il rito? Questa è una dimostrazione che non è affatto vero che il «dono dello Spirito Santo», si riceve battesimo in acqua.

Il battesimo in acqua, e il dono dello Spirito Santo, sono due diverse esperienze che si fanno nella vita di un credente; la prima ha seguito della propria confessione di fede in Cristo Gesù e la seconda come testimonianza dell'esaltazione di Gesù Cristo alla destra di Dio, in relazione anche alla generosità di Dio, nel dare il dono dello Spirito Santo.

Il N.T. non conosce alcun caso in cui si affermasse che nel momento che una persona viene battezzata in acqua, riceva anche il dono dello Spirito Santo [Da parte di G. Schneider, si afferma: «I pochi casi (Atti 8:16; 10:44; 19:2-6 in cui il dono dello Spirito non viene concesso insieme battesimo sono «eccezioni motivate» (Gli Atti degli Apostoli, I, pag. 386]. Se il N.T., la sola fonte più autorevole di ogni altra, non parla di un solo caso che «assieme» battesimo in acqua si riceve il dono dello Spirito, non sapremmo quale altra fonte potrebbe confutare il N.T. Inoltre, quei testi che lo Schneider cita, come «I pochi casi», confutano la sua stessa affermazione. Pertanto chiediamo: quali e come sarebbero le «eccezioni motivate»? Quando, per sostenere un punto di vista, legato ad una partiare interpretazione si fa dire alla Bibbia quello che essa non dice, significa volutamente ignorare tutto quello che la Bibbia insegna a proposito del «dono dello Spirito Santo», del suo ricevere e del segno «visibile» come prova che è venuto lo Spirito Santo sulla vita di un credente.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00mercoledì 21 settembre 2011 00:08
Il gruppo di Efeso (Atti 19:1-7)

Nel suo terzo viaggio missionario, Paolo, arrivando ad Efeso, e trovando un gruppo di 12 credenti, domandò loro se avevano ricevuto lo Spirito Santo, da quando avevano creduto. Questi affermarono che neanche avevano sentito annunciare che esistesse lo Spirito Santo. Avendo Paolo domandato di quale battesimo fossero battezzati, ed avendo saputo che erano stati battezzati del battesimo di Giovanni, comandò che fossero battezzati nel nome del Gesù Signor. Questi 12 credenti efesini sono stati regolarmente battezzati del battesimo cristiano, vale a dire di quello che Cristo istituì dopo la sua risurrezione, e nonostante ciò, niente accadde in loro che possa portare Paolo a dichiarare che quel gruppo avesse ricevuto lo Spirito Santo, ha seguito di essere stati battezzati in acqua. Se lo Spirito Santo viene dato battesimo in acqua, come grazia derivante da lui, perché mai la Scrittura dice:

e dopo che Paolo ebbe loro imposto le mani, lo Spirito Santo scese su loro, e parlavano in altre lingue e profetizzavano? (v. 6).

La chiarezza di quest'affermazione esclude in maniera categorica che il «dono dello Spirito Santo» si riceve battesimo in acqua. Quando lo Spirito Santo «scese» su quei credenti, ci fu una manifestazione delle lingue, come prova che lo Spirito Santo era stato ricevuto. Nel giorno della Pentecoste è detto:

E tutti furono ripieni dello Spirito Santo, e cominciarono a parlare in altre lingue (Atti 2:4).

Dei credenti samaritani è detto: Ed essi ricevettero lo Spirito Santo (Atti 8:17). Di Paolo è detto: Sii ripieno dello Spirito Santo (Atti 9:17). Della casa di Cornelio è detto:

Lo Spirito Santo cadde sopra di chi udiva la parola (Atti 10:44).

E del gruppo di Efeso è detto: Lo Spirito Santo scese.

Queste testimonianze apostoliche, superiori a tutte le altre assicurazioni, stabiliscono chiaramente:

1) Che in nessun caso il dono dello Spirito Santo venne dato assieme al battesimo in acqua;

2) Col ricevimento del dono dello Spirito Santo, c'era la manifestazione del parlare in altre lingue, come segno esterno che era venuto lo Spirito Santo. Questo è l'unico segno che il N.T. conosce e di cui parla, come prova che portarono gli apostoli ad affermare che lo Spirito Santo era sceso sulla vita di tanti credenti.

Ignorare questa precisa e chiara testimonianza, significa non dare asto e credito alla deposizione apostolica registrata nel N.T. Quando l'assicurazione apostolica non viene presa in seria considerazione, si rischia di far dire al N.T. quello che esso non vuole dire.

Il parlare in lingue nell'insegnamento di Paolo

Per rispondere adeguatamente se il parlare in lingue o glossolalia, si fermò nell'era apostolica, o se continuò in tempi successivi e se ai nostri giorni è compatibile con la dottrina del N.T. e in perfetta aderenza teologica, dobbiamo esaminare l'insegnamento di Paolo in merito a questo specifico argomento, dato che è soltanto lui, tra gli autori del N.T. (escluso Luca per il libro degli Atti e (Marco 16:17), che tratta l'argomento della glossolalia, anche se negli scritti di Paolo non leggiamo mai che lo Spirito Santo, quando viene nella vita di un credente, o per usare il linguaggio degli Atti, quando è sparso, o quando discende, si manifesta, segno esterno del parlare in lingue. Da quello che Paolo dice però, abbiamo abbastanza materiale, non solo per conoscere l'argomento nella sua giusta dimensione, ma anche e soprattutto per valutare la compatibilità del fenomeno estatico della glossolalia ai nostri giorni.

Qui non si tratta di fare riferimento a quello che si verifica tra i «Pentecostali», si tratta invece di sapere se il parlare in lingue, come segno «accompagnatore» di chi crederà, è valido anche ai nostri giorni, o se ha senso di continuità nella vita della Chiesa di tutti i tempi. Se il parlare in lingue, come fenomeno estatico della glossolalia, è strettamente legato ad una speciale manifestazione dello Spirito Santo, è ingiustificata quindi l'affermazione del teologo carismatico Fugwell, che dice:

«la dottrina dei pentecostali (classic è Scritturalmente e teologicamente errata».

Se poi quello che si verifica tra i «pentecostali» (e non è soltanto in mezzo a loro), circa il fenomeno estatico della glossolalia, è provabile con l'insegnamento paolino (e con la storia del cristianesimo), come manifestazione dello Spirito Santo, il problema del parlare in lingue, interessa la Chiesa nella sua totalità, e non solamente un determinato movimento.

Noi non siamo tanto interessati ad esaminare l'argomento del parlare in lingue, dal punto di vista denominazionale (anche se facciamo parte di questo movimento pentecostal, quanto di esaminarlo per ciò che riguarda la manifestazione dello Spirito Santo, nella vita della Chiesa. Fatta questa premessa, che vuole essere anche una garanzia di serietà e di obiettività, passiamo ad esaminare quello che l'apostolo Paolo ci dice in merito al parlare in lingue.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00giovedì 22 settembre 2011 00:04
I DONI DELLO SPIRITO

Dall'elenco che l'apostolo fornisce nella (1 Corinzi 12:8-11), non solo sappiamo che vi sono 9 doni dello Spirito elencati in questo testo, ma in quei doni, c'è incluso anche quello del parlare in lingue. Che poi il detto elenco venga ampliato, risulta chiaro da (Romani 12:6-8) ed anche da (Efesini 4:11), sebbene quest'ultimo testo parli di ministeri e non di doni. Trattandosi che questi, sono doni dello Spirito e che Egli li distribuisce a ciascuno come vuole (v. 11), non per il bene specifico di colui che li riceve, ma per l'utilità comune (v. 7), i doni dello Spirito devono essere considerati e valutati sotto questo aspetto, cioè: Strumenti di edificazione lettiva.

Anche se il dono delle lingue figura all'ultimo posto della serie [H. Lindsey, Satana è vivo e vegeto sulla terra ultimo pianeta, pag. 138], è sempre un dono dello Spirito, e come tale non deve essere valutato privo d'importanza, perché relegato in fondo alla classifica.

Se si ammette che la parola (atri traducono linguaggio) di sapienza, la parola di conoscenza (o scienz, la fede, i doni di guarigioni, la potenza di operare i mirai, la profezia, il discernimento degli spiriti (non facciamo riferimento al dono dell'interpretazione delle lingue, perché questo è legato a quello delle lingue; venendo a mancare il dono delle lingue, il dono dell'interpretazione delle lingue, non ha nessun senso e nessun motivo di esister e tutti gli altri doni che figurano in (Romani 12:6﷓8 ed Efesini 4:11), sono doni o manifestazioni dello Spirito, dati per l'utilità comune e questi doni sono stati sempre presenti nella Chiesa, perché non c'è nessuna traccia che fossero stati dati solamente agli apostoli e per l'era apostolica, e che all'infuori di questa epoca, i medesimi doni si sarebbero fermati. Perché considerare il parlare in altre lingue, come dono che si manifestò nell'era apostolica, senza nessuna possibilità di varcare questo confine?

Se è ammesso la continuità degli altri doni nella vita della Chiesa lo deve essere necessariamente anche quello del parlare in lingue, trattandosi di un dono che fa parte integrale dell'elenco dei doni dello Spirito. Qui non si tratta di difendere una posizione prettamente denominazionale, si tratta invece di guardare in faccia alla realtà e all'obbiettività dell'insegnamento paolino.

Quando poi si cita 1 Corinzi 13:10

ma quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolita, per provare che il parlare in lingue, non ha più motivo di esistere, si dimostra un'incoerenza con lo stesso contesto, ed un'interpretazione inesatta al termine «perfezione», quando si afferma che

«molti studiosi della Bibbia ritengono che la «perfezione» in questo brano si riferisca all'epoca in cui è stato completato il Canone del Nuovo Testamento» [H. Lindsey, Satana è vivo e vegeto sulla terra ultimo pianeta, pag. 138].

Nel contesto di (1 Corinzi 13:8,12), Paolo sta mettendo in risalto il valore e la portata della carità o amore, con tutte le sue caratteristiche, che non è destinato a vivere per un tempo, dato che la carità non avrà mai fine. Parlando poi di un tempo futuro, nel quale
le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la scienza svanirà (v. 8),

si capisce subito che non è soltanto il parlare in lingue che cesserà, ma anche la profezia e la conoscenza.

Tutto ovviamente dipende dal significato che si dà al termine greco teleion che Paolo adopera in questo testo di 1 Corinzi 13:10. Dal punto di vista lessicale, il termine teleios significa:

1. Finito, completo, compiuto; perfetto, senza difetto.
2. Che ha compiuto la sua crescita, maturo, adulto.
3. Compiuto, portato a termine, verificato.
4. Completo, cui non manca niente
5. Che compie tutto, onnipotente [G. Dilling, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. XIII, 1004-103].

Leggendo Paolo, nelle sue varie epistole, in cui adopera la parola teleios, non c'è la minima traccia, in qualche suo testo (ivi compreso (1 Corinzi 13:10), che il termine in questione abbia il significato di «portare a compimento il Canone del N.T.» come riferisce H. Lindsey. Che i molti studiosi, a cui fa riferimento Lindsey, abbiano dato questo significato al termine teleion di (1 Corinzi 13:10), e poi dichiarino che questo «brano della Scrittura è difficile», tutto questo già mette in evidenza quanto mai sia preconcetta la loro interpretazione.

A prescindere dal resto del N.T. in cui il termine greco telaio ricorre, e il quale non ha mai il significato di «portare a compimento la composizione del Canone del N.T.», esaminiamo 8 casi dell'epistolario di Paolo, in cui il termine in questione ricorre, per sapere se Paolo adoperò il vocabolo telaio, significato degli studiosi succitati.

Lasceremo l'esame di (1 Corinzi 13:10) per ultimo, per ragioni che in seguito specificheremo.

1) Romani 12:2:
E non vi conformate a questo seo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la volontà di Dio, la buona, accettevole e perfetta (telaio) volontà.

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Domenico34
00venerdì 23 settembre 2011 01:03
Un'altra versione dice: Per discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto. È evidente che l'elemento principale di questo testo sia la volontà di Dio. Il rinnovamento della mente, è determinante, perché consente di discernere questa volontà di Dio, alla quale il credente viene esortato. In questo preciso rinnovamento si ha come obbiettivo, «ciò che è bene, gradito e perfetto». Come giustamente dice H. Schlier, «il telaio è proprio un fine da perseguire ininterrottamente» [H. Schlier, La lettera ai Romani, pag. 583].

2) 1 Corinzi 2:6:
Nondimeno fra quelli che sono maturi teleiois noi esponiamo una sapienza, una conoscenza però non di questo seo né dei principi di quest'epoca che stanno per essere annientati.

Il termine «maturi» che il Luzzi ha, viene reso «perfetti» da altri. È chiaro che qui si faccia riferimento ad una crescita, portare cioè ad una certa maturità le persone alle quali la parola di Paolo è rivolta, o meglio l'esposizione che Paolo faccia della sapienza di Dio. Giustamente, dice Leon Morris, teleiois «non indica chi è senza difetti, ma quelli che sono maturi, che hanno raggiunto il loro fine e scopo» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 62].

3) 1 Corinzi 14:20:
Fratelli, non siate fanciulli per senno; siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto a saggezza, siate uomini compiuti

(teleioi), o «maturi», come viene reso da un'altra versione. Il senso di "teleioi" di questo testo è identico a quello di (1 Corinzi 2:6) usato per contrapporre i maturi agli immaturi.

4) Efesini 4:13:
Finché tutti siamo arrivati all'unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato d'uomini fatti, (telaio) all'altezza della statura di Cristo.

Quello che Luzzi traduce «d'uomini fatti», altri traducono: «allo stato di essere umano perfetto». C'è una meta alla quale Paolo vuole che si arrivi: L'unità della fede e la piena conoscenza del Figlio di Dio. A questo traguardo bisogna arrivare «allo stato di uomo perfetto». Lo Schlier, a questo punto cerca di individuare chi è questo anér telaio, e risponde che è Cristo in quanto «capo del suo corpo» [H. Schlier, La lettera agli Efesini, pag. 316].

5) Filippesi 3:15:
Sia questo dunque il sentimento di quanti siamo maturi (teleioi); e se in alcuna cosa voi sentite altrimenti, Iddio vi rivelerà anche quella.

Tutto il capitolo tre di Filippesi, è un'esortazione a guardarsi dai falsi dottori e ad attenersi a Cristo. Quello che Paolo dice in 3:15, non è certo rivolto ai falsi dottori, ma a quanti della Chiesa, unitamente a lui, hanno raggiunto una certa maturità. Anche se nella forma vocativa, teleioi, va «preso ironicamente» [J. Gnilka, La lettera ai Filippesi, pag. 331] come suggerisce J. Gnilka, non cambia minimamente il significato che questo termine ha.

6) Colossesi 1:28:
Il quale noi proclamiamo, ammonendo ciascun uomo e ciascun essere umano ammaestrando in ogni sapienza, affinché presentiamo ogni essere umano perfetto (telaio) in Cristo.

Il lavoro di proclamatore che Paolo fa in accordo mandato divino, non è soltanto di fare sapere agli uomini quello che Dio vuole, ma principalmente in questo testo consiste nel presentare ogni essere umano, perfetto in Cristo. Tutta la fatica apostolica tende a questo fine, anche se il ministero è svolto in circostanze non favorevoli e in mezzo a persone che hanno altri scopi ed altre finalità [E. Lohse, Le lettere ai Colossesi e a Filemone, pag. 157].

7) Colossesi 4:12:
Epafra che è dei vostri e servo di Cristo Gesù, vi saluta. Egli lotta sempre per voi nelle sue preghiere affinché perfetti (teleioi) e pienamente accertati stiate fermi in tutta la volontà di Dio.

L'accenno ad Epafra, quale servo di Cristo, viene inquadrato da Paolo con riferimento alle preghiere che lo stesso Epafra innalza a Dio a favore dei ossesi, affinché questi, si mantengano fermi nella volontà di Dio ha seguito della loro perfezione. «Se questo termine "teleioi", descrive uno stato di avanzamento nella vita spirituale, ciò è dimostrato dal fervore di Epafra nel pregare per la Comunità di Colosse» Idem, pag. 311].

8) 1 Corinzi 13:10:
Ma quando la perfezione (telaio), sarà venuta, quello che è solo in parte, sarà abolito.

Un'altra versione rende il testo: «Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà». Come abbiamo osservato all'inizio di queste otto citazioni dell'epistolario paolino, non c'è la minima traccia che in questo testo "to telaio" ha il significato di «epoca in cui è stato completato il Canone del Nuovo Testamento».

Alla pagina 142 dello stesso libro «Satana è vivo e vegeto sulla terra, ultimo pianeta», l'autore torna a parlare della compilazione del Nuovo Testamento, riferimento che ci porta a pensare, che lui è uno di quelli che interpreta (1 Corinzi 13:10), nel senso sopraesposto.

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Domenico34
00sabato 24 settembre 2011 00:16
Che lo stesso H. Lindsey non condivide l'interpretazione di «questi molti studiosi della Bibbia» (a titolo di curiosità vorremmo conoscere i loro nomi, è provato da quanto egli afferma.

«Per ammissione di molti, questo è un brano della Scrittura difficile, ma io sono portato a credere che la «perfezione»

si riferisce ad una condizione che sarà vera quando Cristo tornerà per la Chiesa e ci darà dei corpi glorificati come il suo». Leon Morris, a sua volta afferma: «La perfezione, to telaio, dà l'idea dello scopo ultimo, evidentemente con riferimento al piano di Dio. Quando sarà giunta la fine, tutto ciò che è parziale sarà abolito» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 221]. Anche per N. Hillyer, il testo di 1 Corinzi 13.10 va interpretato: «Quando la perfezione sarà venuta: non la perfezione in senso qualitativo, ma nel senso di completezza, cioè la piena conoscenza di Dio» [N. Hillyer, Commentario Biblico, III, pag. 372].

Anche se non avessimo autori che dissentono, l'esegesi di quegli studiosi che interpretano il testo di 1 Corinzi 13:10 nel senso dell'epoca in cui è stato completato il Canone del N.T., c'induce a condurre un esame critico del testo, per vedere se Paolo avesse mai avuto nella sua mente una simile interpretazione, o se questa interpretazione è capace di superare la prova. Anche se il termine teleios come abbiamo riferito, ha in primo luogo il significato di «Finito, completo, compiuto», a cui sicuramente gli studiosi in questione si sono aggrappati, non vediamo come si possa armonizzare col verbo venire: elthē, che Paolo adopera prima di to teleion.

Che il verbo venire erxomai, viene ampiamente usato nel N.T. con riferimento ad una persona, ad un evento partiare e a giorni decisivi, mentre la forma elthē, presso gli antichi, s'impiegava per la venuta del dio [J. Schneider, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. III, 913-937], tutto questo è largamente documentato. Se Paolo avesse avuto nella sua mente «l'epoca in cui è stato completato il Canone del N.T.», in questo testo di (1 Corinzi 13:10), certamente non avrebbe usato il verbo venire elthé, che non s'addice per quanto riguarda il completamento del Canone del N.T. Tutto invece è normale, se con il termine teleios, s'intende «una condizione», o il completamento della salvezza, che chiuderà il ciclo della venuta del Signore.

È a quel tempo che Paolo allude in 1 Corinzi 13:10, e sa che è in quel tempo, che la profezia, la conoscenza e il parlare in lingue, non avranno nessun motivo di esistere, quindi cesseranno nel loro normale esercizio di manifestazione dello Spirito. Ma in attesa di questo straordinario avvenimento, non c'è nessuna ragione plausibile, perché i doni dello Spirito debbano essere annullati anticipatamente, e non servano più per il benessere lettivo.

Doni e ministeri nella Chiesa

Abbiamo rilevato che i doni dello Spirito, non vengono dati per il bene di chi li riceve, ma per il bene comune. La Chiesa, che è il corpo di Cristo, viene edificata, non solo direttamente dal suo fondatore, Gesù Cristo, ma anche per mezzo dei doni dello Spirito. Per dissipare ogni ombra d'incertezza, circa la funzione e l'utilità dei doni e dei ministeri, Paolo afferma che

Dio ha costituito nella Chiesa (o come altri traduce: Dio ha posto nella Chies in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come dottori (o maestri (1 Corinzi 12:28).

Apostoli, profeti e dottori, fanno parte dei ministeri che Paolo menziona in (Efesini 4:11). Se questi ministeri Dio li ha posti nella Chiesa (e qui Chiesa, non ha il senso di una Comunità locale, come si potrebbe pensare, per Esodo alla chiesa di Corinto), ma l'insieme della cristianità, la totalità di ogni singola Comunità. È impossibile restringer il valore e la dimensione della Chiesa, al solo periodo apostolico. Il tempo della Chiesa, non abbraccia solamente l'era apostolica, si estende fino alla parusia, trattandosi della stessa Chiesa nella quale Dio ha posto i ministeri.

Non vediamo, d'altra parte, come l'affermazione paolina, può intendersi in maniera diversa. Nello stesso testo di 1 Corinzi 12:28, Paolo precisa,
Poi i miracoli; poi i doni di guarigione, i doni di governo, la diversità delle lingue.

In questa seconda parte del testo, vengono nominati tre doni dello Spirito, secondo 1 Corinzi 12:8-10 e due, secondo (Romani 12:6-8). La diversità delle lingue, o il parlare in lingue, Dio li ha costituito o posto nella Chiesa, al pari dell'apostolo, del profeta, dell'insegnante, delle potenti operazioni, delle guarigioni, ecc. senza il minimo accenno, al cosiddetto «tempo apostolico». Se il problema del parlare in lingue si affronta nella maniera come l'apostolo Paolo l'ha esposto, cioè inteso come manifestazione dello Spirito per il bene comune e posto da Dio stesso nella Chiesa, non si può arrivare alla conclusione che la glossolalia fu solamente per la sola epoca apostolica, e che ai giorni nostri è impensabile una continuazione delle stesse manifestazioni.

Quando poi si passa ad esaminare le sette domande formulate nel testo di 1 Corinzi 12:29,30, e tenendo presente la validità dei doni e dei ministeri posti da Dio nella Chiesa, non si può desumere che sol perché l'apostolo Paolo dice che non tutti parlano le lingue, che il fenomeno estatico della glossolalia, debba essere considerato annullato, non avendo niente di utilità ai nostri giorni. Una volta che il testo di 1 Corinzi 13:10, usato per provare la cessazione del parlare in lingue, ha un diverso significato di come è stato interpretato, ogni argomentazione che si è fatta per sostenere quella prova, si trova priva di fondamento, basata su un'errata interpretazione, priva di un qualsiasi legame esegetico e storico, solo per sostenere un punto di vista che non ha niente di scritturale e di teologico.

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Domenico34
00domenica 25 settembre 2011 00:29
Un necessario chiarimento

Da quello che leggiamo nel libro di H. Lindsey, di cui abbiamo fatto qualche riferimento, ci sembra che sia necessario un chiarimento per mettere nel giusto posto, “il dono dello Spirito, di cui Atti 2:38, promessa estesa a
quanti il Signore Iddio nostro ne chiamerà (v. 39), e i doni dello Spirito, dati dallo stesso Spirito Santo a ciascuno in partiare come egli vuole (1 Corinzi 12:11).

Se non si fa questa netta distinzione, come la Parola di Dio lo fa, si fa presto, non solo ad alimentare confusione, ma anche ad emettere giudizi di condanna, tacciando facilmente di non prendere le Scritture come base delle nostre convinzioni.

Quando Gesù ordinò ai suoi apostoli di non andare via da Gerusalemme finché dall'alto siate rivestiti di potenza, in attesa dell'adempimento della promessa del Padre (Luca 24:49; Giovanni 14:26; Atti 1:4), in quella circostanza venne fatta una specificazione:

Poiché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati con lo Spirito Santo fra non molti giorni (Atti 1:5).

Al v. 8 si precisa:
Ma voi riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su voi, e mi sarete testimoni e in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all'estremità della terra.

Che lo Spirito Santo non è ancora venuto sugli apostoli, è cosa provata dalle stesse parole di Gesù:
Egli v'è utile che io me ne vada; poiché se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò (Giovanni 16:7),

e dalla parola di Pietro:
Egli dunque, essendo stato esaltato alla destra di Dio, ed avendo ricevuto dal Padre lo Spirito Santo promesso, ha sparso quello che ora vedete ed udite (Atti 2:33).

Nel giorno della Pentecoste, i 120 ricevettero quello che Gesù aveva promesso, cioè lo Spirito Santo. Che poi Pietro definisca «dono» lo Spirito Santo, ciò è con riferimento al fatto del libero donare del Padre e del Figliolo. Se lo Spirito Santo venne nel giorno di Pentecoste su oro che l'aspettavano, fu perché il Padre e il Figlio lo mandò. Gesù non fece la promessa agli apostoli che avrebbero ricevuto i doni dello Spirito Santo, perché sapeva che una volta venuto lo Spirito Santo, Egli stesso avrebbe pensato a darli. Nel giorno di Pentecoste, la promessa che venne fatta fu:

Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo.

Pietro non affermò che tutti quelli che Dio avrebbe chiamato, avrebbero ricevuto i doni dello Spirito ma specificatamente il dono dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo è dato al credente dal Padre e dal Figliolo; mentre i doni dello Spirito, sono dati esclusivamente dallo Spirito Santo.

Quando si afferma che «il dono del parlare in lingue è riportato per la prima volta nel libro degli Atti», si vuole chiaramente affermare che nel giorno della Pentecoste, i 120 radunati nell'alto solaio, ricevettero, non il dono dello Spirito, ma il «dono del parlare in lingue». Questo perché in quel giorno ha avuto inizio il fenomeno estatico della glossolalia, ha seguito della venuta dello Spirito Santo. Che nel giorno della Pentecoste abbia avuto inizio il parlare in lingue, non vuol dire affatto che i 120 che parlarono in lingue ricevettero dallo Spirito il «dono del parlare in lingue».

Il parlare in lingue nel giorno della Pentecoste stava ad indicare che lo Spirito Santo promesso era venuto. Sia la profezia di Gioele e sia la promessa di Gesù, non affermavano che quando fosse venuto lo Spirito Santo, ci sarebbe stato questo segno visibile del parlare in lingue, come prova della venuta dello Spirito Santo promesso. Nonostante ciò, Pietro non ebbe nessuna diffità ad affermare che quello che si vedeva e si udiva in quel giorno, era esattamente quello che il profeta Gioele aveva predetto (Gioele 2:28﷓32; Atti 2:16) e che la promessa di Gesù si era adempiuta (Atti 2:33). Se il parlare in lingue nel giorno della Pentecoste, dice chiaramente che lo Spirito Santo era venuto e che in occasione di quella divina venuta, si ebbe quel fenomeno di parlare in lingue, questa manifestazione deve essere essenzialmente intesa come prova visibile dell'adempimento profetico e della promessa di Gesù.

Che le lingue parlate nel giorno della Pentecoste furono secondo come lo Spirito dava loro d'esprimersi (Atti 2: 4), cioè che era lo Spirito che li faceva parlare in quella maniera, ciò è chiaramente detto. Non è però chiaramente detto (può darsi che si verificò in seguito), che in quel giorno, lo Spirito Santo ha dato anche il «dono del parlare in lingue».

È forse un puro caso che la venuta dello Spirito Santo è stata manifestata parlare in lingue? Perché Dio scelse questo modo e questa manifestazione, al sorgere di questo straordinario evento? Il parlare in lingue come prova della venuta dello Spirito Santo, fu soltanto un caso isolato, limitatamente il giorno della Pentecoste, oppure continuò con la medesima manifestazione? Quale fu il criterio degli apostoli per stabilire se un credente avesse ricevuto lo Spirito Santo?

In tutti i casi che il N.T. registra, cioè che lo Spirito Santo è stato sparso, (Atti 2:33), ricevuto (Atti 8:17), caduto (Atti 10:44) e sceso (Atti 11:15; 19:6), si tratta sempre di ricevere lo Spirito Santo. In nessuno di questi passi citati si parla, nè implicitamente, né esplicitamente, che quei credenti avessero ricevuto il «dono del parlare in lingue», sol perché parlarono le lingue (quasi per tutti è detto specificatamente, tranne per (Atti 8:17 e 9:17), ma chiaramente è detto per tutti, compreso (Atti 8:17 e 9:17), che ricevettero lo Spirito Santo.

Il volere ignorare volutamente questa precisa specificazione che il N.T. fa, significa in ultima analisi, non solo far dire alla Bibbia quello che essa non vuol dire, ma significa anche e soprattutto, trincerarsi su posizioni altamente preconcette con il vanto di volersi mantenere fedeli all'insegnamento del N.T.

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Domenico34
00lunedì 26 settembre 2011 14:26
Per quanto riguarda i doni dello Spirito Santo, così come l'apostolo Paolo li specifica in 1 Corinzi 12:8﷓10, vengono dati per il bene comune. Dato che il parlare in lingue, come dono dello Spirito, è incluso nell'elenco dei doni, anche questo dono deve essere inteso e valutato come gli altri doni, avendo la stessa finalità.

La frase: Parlan tutti in altre lingue?, che spesso viene citata come dimostrazione per confutare chi crede al parlare in lingue, viene usata in una maniera impropria e fuori contesto. Se chi ripete questa frase, tenessero conto che Paolo disse quelle parole nel contesto dei doni dello Spirito, e il parlare in altre lingue, è sempre presentato in questa prospettiva, si accorgerebbero che una cosa è parlare in lingue come prova che lo Spirito Santo è venuto, e un'altra è parlare in lingue come dono che lo Spirito Santo ha dato per il bene comune.

È chiaro, dunque, che trattandosi di “doni dello Spirito”, non tutti i credenti ricevono lo stesso dono. Abbiamo osservato che lo Spirito Santo distribuisce i suoi doni a ciascuno come egli vuole (1 Corinzi 12:11). Quale criterio usi lo Spirito Santo nel distribuire i suoi doni, non ci viene dato di sapere.

1) IL PARLARE IN LINGUE, NELL'ESERCIZIO DEL DONO RICEVUTO

(1 Corinzi 14:1-39)


Per descrivere adeguatamente l'esercizio di un dono ricevuto, con particolare riferimento a quello del parlare in lingue, l'apostolo Paolo dedica l'intero capitolo 14 della 1 Corinzi. In questo capitolo si fa l'analisi del dono del parlare in lingue, con tutte le necessarie considerazioni, per locarlo nel giusto posto, secondo che Dio l'ha posto e secondo la volontà dello Spirito che lo dona. In questo capitolo quattordici si fa specificatamente riferimento alla cosiddetta gerarchia dei carismi in vista dell'utilità comune. Il dono della profezia viene indicato superiore a quello del parlare in lingue, a meno ché, quest'ultimo non venga interpretato alla pari con quello della profezia.

Chi parla in lingue parla a Dio

Perché chi parla in lingue non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l'intende, ma in ispirito proferisce misteri (v. 2).

Fin dalle prime parole l'apostolo Paolo esorta a ricercare i doni dello Spirito, anche se subito dà la preferenza al dono della profezia rispetto a quello delle lingue, per i motivi che le lingue sono incomprensibili, mentre il profetare tutti lo capiscono e tutti ne possono ricevere un beneficio. Per quanto riguarda invece il dono del parlare in lingue, è detto chiaramente che chi parla,

non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno l'intende, ma in ispirito proferisce misteri.

Il fatto che qui Paolo dica chiaramente che nessuno intende il parlare di chi parla in lingue, ha portato diversi a fare riferimento ad Atti 2 nel quale si afferma, che tutti capivano quello che si diceva in lingue.

Facendo questa specie di parallelismo, si parla che il «dono delle lingue», di Atti 2 è diverso da quello di 1 Corinzi 14:2. Ma è proprio vero che ci sono diversi «doni delle lingue?» Da quello che Paolo dice, risulta chiaro che il dono delle lingue è uno solo (1 Corinzi 12:10). Allora, come spiegare questa differenza che si nota tra (Atti 2 e 1 Corinzi 14:2)?

Anzitutto, vorremmo suggerire di non usare il termine «dono delle lingue» per Atti 2, dato che in tutto il capitolo non c'è una sola parola o frase che possa autorizzare l'uso di questo termine. Secondo quello che comprendiamo, le lingue di Atti 2 non stanno ad indicare il dono delle lingue, ma la prova che lo Spirito Santo venne sulla Chiesa. Se è vero che da tutti è indicato la Pentecoste, come data della nascita della Chiesa, è altrettanto vero che la Pentecoste stabilisce il giorno della venuta dello Spirito Santo. È più che logico che lo Spirito Santo che è appena arrivato sulla Chiesa, facesse parlare le lingue degli uomini conosciute in quel tempo e per le persone che si trovarono presenti per quella circostanza.

Se lo Spirito Santo avesse dato il dono delle lingue nel giorno della Pentecoste, come alcuni affermano, e nessuno avesse capito, stando alle parole di 1 Corinzi 14:2, non solo lo Spirito Santo non sarebbe stato riconosciuto, ma oro che parlavano in lingue, sarebbero stati considerati doppiamente pazzi. Se con la comprensione delle lingue, si diceva che oro che parlavano in quella maniera erano pieni di vino dolce, consideriamo che cosa avrebbero detto se quelle lingue non fossero state comprese.

La natura del dono delle lingue, pertanto rimane quello di 1 Corinzi 14:2 e non quello di Atti 2. Valutato in questo modo 1 Corinzi 14:2, non c'è nessuna contraddizione e non c'è nessun motivo di parlare del dono delle lingue per quanto riguarda Atti 2:6,11 (ammesso che lo Spirito Santo avesse dato in quel giorno anche il dono delle lingue.

Ritornando all'affermazione paolina che nessuno intende il parlare in lingue, dato che chi li parla, non parla agli uomini ma a Dio, si capisce subito qual è lo scopo del parlare in lingue: parlare a Dio. Una cosa è parlare agli uomini e un'altra è parlare a Dio. Chi parla agli uomini, deve usare un linguaggio che gli esseri umani capiscono, specie ui al quale la parola è rivolta. Ma per parlare a Dio, non c'è nessuna preoccupazione di scegliere un linguaggio che egli comprende, perché Dio capisce tutti i modi d'esprimersi. Non è l'uomo che sceglie di parlare un certo tipo di linguaggio a Dio, ma è lo Spirito, che servendosi della bocca umana, si indirizza a Dio.

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Domenico34
00martedì 27 settembre 2011 00:23
Non si può accettare l'idea che esista un linguaggio per offrire l'adorazione a Dio e un linguaggio per rivolgere la parola all'uomo. Nella lunga discussione che Paolo fa per quanto riguarda il parlare in lingue, non c'è un minimo accenno a questa eventualità anche se egli stesso fa riferimento alle lingue degli uomini e degli angeli (1 Corinzi 13). Risulta allora chiaro qual'è il primo scopo di parlare in lingue: comunicare a Dio. Da questo punto di vista, è più che giustificabile il desiderio di Paolo: Or io ben vorrei che tutti parlaste in altre lingue (v. 5).

Chi parla in lingue edifica se stesso

Chi parla in lingue edifica se stesso (v. 4). Dal momento che parlando in lingue si parla a Dio, e parlando con Dio si stabilisce una relazione di comunione con lui, l'affermazione che chi parla in lingue edifica se stesso, deve essere tenuta in debito conto. È vero che tutto il ragionamento che Paolo fa, tende a mettere in risalto, non tanto l'edificazione personale, quanto quella della lettività. Nonostante ciò, non si può negare la validità dell'edificazione singola e personale.

Ogni credente che mira ad una relazione di comunione con Dio, non può ignorare di procurare la propria edificazione in questo rapporto personale e cosciente. La parola che Paolo adopera in questo testo di (1 Corinzi 14:4) è oikodomei che significa: «Fabbricare una casa, fabbricare, edificare, costruire» [O. Michel, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. VIII, 384-408 per la storia e lo sviluppo del concetto]. L'elemento che edifica colui che parla in lingue, è forse stato trascurato o sottovalutato da oro che si oppongono all'esercizio di questo dono dello Spirito. Uno che ha abbondanza di benedizione per sé che ha fatto dei progressi nelle vie di Dio, che è cresciuto nella grazia e nella conoscenza, può, con maggior facilità, partecipare agli altri l'abbondanza di questa ricchezza spirituale.

Il parlare in lingue rappresenta un esercizio spirituale per far crescere la propria esperienza spirituale, che si manifesta essenzialmente nel rapporto di comunione con Dio. Dio, per mezzo del dono delle lingue, ha provveduto un mezzo efficacie per la nostra edificazione. Quando l'insegnamento di Paolo, viene considerato e capito nella maniera come lui l'ha esposto, non c'è nessun motivo, non solo di screditare il dono delle lingue, e tanto meno di combatterlo, come uno sviamento dalla parola di Dio, ma vi si trova uno strumento valido per costruire il proprio rapporto con Dio. Sotto questo profilo va inquadrata e intesa la raccomandazione di Paolo: E non impedite il parlare in altre lingue (v. 39).

Alla luce di quanto abbiamo considerato, non è affatto vero che ai giorni nostri, non c'è nessun'utilità nel parlare in lingue. In tutto il capitolo quattordici della 1 Corinzi, non c'è una sola frase o una parola che afferma che parlare in lingue, fu solamente per l'era apostolica e che all'infuori di questo tempo, non c'è da pensare che lo Spirito Santo dia lo stesso dono ai nostri giorni.

Se l'esercizio del dono delle lingue risultava di edificazione a chi ne parlava e in vista di quest'elemento Paolo poteva esprimere il suo desiderio di voler vedere tutti parlare in lingue, perché gettare tanta infamia e tanto discredito su un dono dello Spirito, qualificandolo come manifestazione del diavolo? Se il diavolo può far parlare in lingue, dicono alcuni, ci domandiamo perché mai non potrebbe farlo lo Spirito Santo, che è di gran lungo superiore al diavolo? Perché accettare una manifestazione del diavolo, indicandola in prima persona come chi produce questa confusione di parlare in lingue, dicono alcuni, senza badare di rigettare chi veramente sta all'origine del dono stesso?

Si afferma che Satana è la scimmia di Dio, non perché inventi le cose, ma perché cerca di fare quello che Dio fa. Se è vero che il parlare in lingue, ai giorni nostri, per diversi è considerato una chiara manifestazione di Satana, già quest'affermazione in se stessa è una prova inconfutabile, non solo che esiste lo Spirito Santo, ma che questo Spirito Santo distribuisce i suoi doni, anche quello del parlare in lingue, com'egli vuole, anche ai nostri giorni.

La necessità di usare un linguaggio che gli altri capiscono

Nei vv. 6-12, l'apostolo Paolo si intrattiene ad analizzare, il bisogno di comprendere un linguaggio, se si vuole partecipare attivamente nell'ambito di una Comunità. Non importa se attraverso un linguaggio si può recare una rivelazione, una conoscenza, una profezia o qualche insegnamento; se non c'è comprensione, non si può ricevere quello che si vorrebbe dare.

Il fatto stesso che tra gli uomini esistono tante specie di parlare, fornisce all'apostolo l'occasione per affermare, che nessun parlare è senza significato (v. 10); e se una tromba dà un suono sconosciuto, chi si preparerà alla battaglia? (v. 8). Questi esempi tratti dalla vita comunitaria porta Paolo a far notare quanto sia importante, per il bene della Chiesa, che il dono delle lingue è espletato in maniera che tutti possono ricavarne beneficio. Ciò sarà possibile se al parlare in lingue, seguirà l'interpretazione.

Appare chiaro nel suo contesto, che tutto il ragionamento che Paolo fa si riferisce alla Comunità dei credenti, e non al singolo fedele che esercita il dono delle lingue. Più in là, egli suggerisce le necessarie istruzioni per quanto riguarda l'esercizio del dono delle lingue nelle pubbliche riunioni di culto.

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Domenico34
00mercoledì 28 settembre 2011 00:15
Lo Spirito e l'intelligenza

Poiché se prego in altra lingua, ben prega lo spirito mio, ma la mia intelligenza rimane infruttuosa. Che dunque? Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l'intelligenza (vv. 14﷓16).

Pregare e salmeggiare, sono due attività che si possono compiere con l'esercizio del parlare in lingue. Per quanto riguarda la vita privata, non c'è niente che possa impedire un simile esercizio e che una simile pratica non sia valida.

L'esplicito riferimento che Paolo né fa, è prova che esiste una simile possibilità. Sarebbe ridio se si concedesse una simile possibilità solamente su un piano ipotetico e si negasse su quello pratico. Se Paolo poteva dire ai Corinzi: Io ringrazio Dio che parlo in lingue più di tutti voi (v. 18), è una prova che quando Paolo era solo con Dio, dava via libera allo Spirito nella sua vita, talché non solo poteva parlare in lingue a Dio, ma addirittura pregava e salmeggiava con lo stesso entusiasmo e fervore.

Un simile esercizio è compreso e valutato solamente da oro che lo esercitano. Davanti al sacerdote Eli, Anna, che muoveva le sue labbra, era considerata una donna ubriaca, non sapendo però che lei stava spandendo l'anima sua davanti all'Eterno (1 Samuele 1:12﷓15). Le cose dello Spirito sono comprese da oro che sono spirituali (1 Corinzi 2:14). Ma poiché Paolo sta parlando in riferimento a oro che non capiscono il «ringraziamento» che si eleva a Dio attraverso il parlare in lingue, specifica:

Io pregherò con lo spirito, ma pregherò anche con l'intelligenza; salmeggerò con lo spirito, ma salmeggerò anche con l'intelligenza.

Con queste parole, «Paolo non si erge a difesa di uno sterile intellettualismo» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 230]. Anche se il pregare e il salmeggiare in lingue possono essere considerati un pio esercizio spirituale, nondimeno, per quanto riguarda il culto pubblico, dove partecipano tante persone, e soprattutto ci possono essere presenti delle persone nuove, senza nessun'esperienza spirituale, a sentire quel tipo di parlare potrebbero essere indotti a qualificare chi parla in lingue come se fosse un pazzo (v. 23). In vista di questa partiare situazione, il consiglio che Paolo dà è quello di dire

cinque parole intelligibili, per istruire anche gli altri, che dirne diecimila in altra lingua (v. 19).

È in previsione dell'autocontrollo che Paolo raccomanda di non essere
fanciulli per senno. Siate pur bambini quanto a malizia, ma quanto a senno, siate uomini compiuti (v. 20).

Questo perché, l'intelligenza deve essere usata, anche nell'esercizio del dono spirituale. Usare l'intelligenza nell'esercizio del dono spirituale, non significa però che il dono dello Spirito deve essere amministrato secondo il criterio e le valutazioni umane, ma significa essenzialmente armonizzare l'esercizio del dono spirituale per il bene e l'edificazione comune.

Sfruttare il significato della frase «uomini maturi» per avvalorare la tese che il parlare in lingue, ai giorni nostri, sarebbe appartenuto ad un tempo di fanciullezza, dove la conoscenza non era tanto sviluppata rispetto a quella di oggi, e continuare a credere all'utilità del parlare in lingue, significa andare indietro anziché avanti, si sentì dire da qualcuno [Prendere l’esortazione di Paolo per ciò che riguarda 1 Corinzi 14:20 e interpretarla che: «Nell’entusiasmo dei Corinzi per la glossolalia, sonora e vistosa, Paolo vede una puerilità da fanciulli inesperti; mentre se essi fossero maturi quanto a sentimenti, preferirebbero alla glossolalia quei carismi che apportano maggiore utilità» (G. Ricciotti, Gli Atti degli Apostoli e le lettere di S. Paolo, pag. 390, significa classificare il «dono del parlare in lingue», come qualcosa che appartenga a l’uomo e non come un dono dello Spirito Santo. Se I Corinzi parlavana in lingue, non era perché erano «fanciulli e immaturi», ma perché lo Spirito Santo aveva dato loro quel dono. Era il loro modo indiscriminato, nell’esercizio del dono ricevuto, che li rendeva fanciulli e immaturi e non perché il dono del parlare in lingue debba essere inteso come segno e prova di immaturità spirituale].

Dare una simile interpretazione alla frase paolina significa leggerla con mente preconcetta e fuori del suo normale contesto.

La citazione della Scrittura che Paolo fa

Egli è scritto nella legge: io parlerò a questo popolo per mezzo di gente d'altra lingua, e per mezzo di labbra straniere; e neppure così mi asteranno, dice il Signore (v. 21).

Questa citazione si trova in (Isaia 28:11), dove viene messa in risalto la disubbidienza del popolo alla voce del Signore a mezzo del profeta. In conseguenza di questa marcata disubbidienza, il Signore stesso annunzia che parlerà a quel popolo disubbidiente in lingua straniera. Risulta chiaro l'applicazione che Paolo fa, quando afferma che le lingue servono di segno non per i credenti, ma per non i credenti (v. 22). Commenta Norman Hillyer:

«Poiché il popolo di Dio si rifiuterà di astare con obbedienza e fede la sua chiara parola, asterà termini incomprensibili, cioè per punizione saranno esiliati tra gente d'altra lingua, gli Assiri e persevereranno nella loro incredulità» [H. Hillyer, Commentario Biblico, III, pag. 373].

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Domenico34
00giovedì 29 settembre 2011 00:04
La necessità di regolare il parlare in lingue nelle riunioni pubbliche

Che dunque fratelli? Quando vi radunate, avendo ciascun di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in lingue, o un'interpretazione, facciasi ogni cosa per l'edificazione (v. 26).

Questo è un sano principio per ciò che concerne le riunioni pubbliche della chiesa: tutto deve essere fatto per l'edificazione. Il dono del parlare in lingue, può essere esercitato come dono spirituale nelle riunioni pubbliche della chiesa, a condizione che ci sia l'interpretazione, un altro dono spirituale, attraverso il quale la comunità dei credenti, o quanti partecipano alle riunioni, possono capire quello che viene detto in lingue ed essere edificati.

L'esercizio del dono del parlare in lingue, può essere fatto nelle riunioni pubbliche della chiesa, da due o al massimo tre, uno dietro l'altro, e uno interpreta (v. 27). La stessa norma viene data per l'esercizio del dono della profezia. Ribadendo che il dono della profezia sia superiore a quello delle lingue, Paolo conclude il suo insegnamento sul soggetto, con la raccomandazione:

Chi ritiene d'essere profeta o dotato di doni dello Spirito, deve riconoscere che quanto scrivo è comando del Signore; se qualcuno non lo riconosce, neppure lui è riconosciuto. Dunque, fratelli miei, aspirate alla profezia e, quanto al parlare con il dono delle lingue, non impeditolo. Ogni cosa sia fatta con decoro e con ordine (CE (vv. 37-40).

Anche se viene raccomandato bramare, il dono della profezia, cioè desiderare ardentemente, non deve essere sottovalutato quello del parlare in lingue, perché anch'esso è dono dello Spirito Santo e come tale non può essere soppiantato né impedito nel suo esercizio. Tutto deve farsi, per quanto riguarda il culto pubblico, con decoro e con ordine. Anche se certe manifestazioni di fanatismo non vanno incoraggiate ma represse; l'ordine di Paolo non deve essere inteso come qualcosa di militaresco, e tanto meno un rigorosismo formalistico prestabilito, privo di un qualsiasi mordente vitale.

Là dove lo Spirito Santo con i suoi doni viene accantonato, o non gli viene dato spazio di agire com'egli vorrebbe, o viene sostituito con la saggezza e l'accortezza umana, si avrà sì, certamente, una forma impeccabile in tutte le fasi del culto, con un ordine prestabilito e bene organizzato, ma spoglio e povero di manifestazioni spirituali atte ad infiammare la fede del tiepido, e a rinnovare lo zelo e la dedizione per il servizio del gran Re, e Signor nostro Gesù Cristo.

2) IL BATTESIMO NELLO SPIRITO SANTO

Parlare del battesimo nello Spirito Santo, usando la frase: «Il cosiddetto battesimo con lo Spirito Santo», intenzionalmente riferito ai pentecostali, ciò ha un tono ed un significato sarcastico, come se i pentecostali avessero inventato questa dottrina.

Non si può negare quello che dice la Scrittura a proposito del battesimo nello Spirito Santo, perché ne parla in diversi luoghi, usando un linguaggio chiaro e lineare, che non è possibile rimanere indifferenti. Basta rifarci ai testi del N.T. per sapere come viene esposta la dottrina del battesimo nello Spirito Santo.

A dire il vero, non sono tanti i testi che parlano specificatamente del battesimo nello Spirito Santo, però sono abbastanza chiari da farci comprendere come viene presentato.

Giovanni Battista, fu il primo che ne parlò, quando le persone andavano a lui per farsi battezzare. Egli diceva:

Ben vi battezzo io con acqua, in vista del ravvedimento, ma colui che viene dietro a me è più forte di me, ed io non son degno di portargli i calzari; egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e con fuoco (Matteo 3:11; Marco 1:8; Luca 3:16; Giovanni 1:33).

La testimonianza del Battista, riportata dai quattro evangeli, è concorde nello stabilire che Gesù Cristo in persona è quello che amministra il battesimo nello Spirito Santo. Che il battesimo nello Spirito Santo non sia da subordinarlo a quello con acqua, nel senso che ricevendo il primo si riceve anche l'altro, appare chiaramente dalla testimonianza del Battista, quando fa una netta distinzione del suo battesimo in acqua con quello "nello Spirito Santo" da Gesù Cristo. Se questo battesimo nello Spirito Santo fosse unificato a quello dell'acqua, (a parte che il battesimo di Giovanni non è quello cristiano, vale a dire quello che Cristo istituì dopo la sua risurrezione, Matteo 28:19; Atti 19:3,5), non avrebbe senso indicare due persone per amministrare un unico battesimo.

Trasferendo il ragionamento del battesimo in acqua, inteso come rito cristiano, ed affermare che: «Il battesimo d'acqua non è che un rimando a ciò che sarà il compimento. Ora diventa chiaro che il battesimo d'acqua non soltanto è una promessa della purificazione escatologica dai peccati, ma vuole essere anche un impegno della "effusione dello Spirito» [H. Schürmann, Il Vangelo di Luca, I, pag. 322]. Pensare in questo modo, significa unificare i due momenti, come se in pratica non esistessero, e dare al battesimo in acqua quel carisma che, in effetti, non ha.
Il battesimo nello Spirito Santo, è quel momento che indica la discesa dello Spirito Santo, secondo Atti 2.

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Domenico34
00venerdì 30 settembre 2011 00:05
«Giovanni ha preparato la strada all'avvenimento di Gesù con la sua azione fruttuosa; come annunciatore profetico egli ha proclamato l'avvento di Gesù, il più forte di lui, che venne preparato al suo ufficio messianico, non nel suo battesimo nell'acqua, bensì dalla discesa dello Spirito Santo» [R. Pesch, Marco I, pag. 156].

Le parole che Gesù dirà più ai suoi discepoli, circa questo battesimo nello Spirito Santo, hanno un valore e un significato fondamentale, per legare il battesimo nello Spirito Santo all'evento di Pentecoste.

Poiché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati nello Spirito Santo fra non molti giorni (Atti 1: 5).

Davanti a questa precisa parola di Gesù Cristo, non è possibile dividere l'evento di Pentecoste dal battesimo nello Spirito Santo, perché quest'ultimo rappresenta l'adempimento letterale della promessa di Gesù. Anche se nel capitolo due degli Atti non viene affermato che i 120 vennero battezzati nello Spirito Santo, è chiaro però, in base ad (Atti 1:5), che quelle persone nel giorno di Pentecoste furono battezzate nello Spirito Santo, anche se leggiamo che «tutti furono ripieni dello Spirito Santo». Ripieni dello Spirito Santo e battesimo nello Spirito Santo, hanno lo stesso significato, dato che si riferiscono allo stesso evento: la discesa dello Spirito Santo. Che questo «essere ripieni dello Spirito Santo» si può ripetere nella vita di un credente, è provato da (Atti 4:31):

E dopo che ebbero pregato, il luogo dove erano radunati, tremò, e furono tutti ripieni dello Spirito Santo, e annunziavano la parola di Dio con franchezza.

Una volta che questo concetto di «ripieni dello Spirito Santo» e «battezzati nello Spirito Santo» è ben capito e che lo stesso battesimo nello Spirito Santo non ha niente a che vedere rito in acqua, è fuori contesto ed un'errata interpretazione affermare che le due espressioni, ripieni dello Spirito Santo e battezzati nello Spirito Santo devono essere intesi nel senso che,

«la prima è il mezzo offerto da Dio per vivere con potenza la vita cristiana, e la seconda, al momento della sua conversione, completamente identificato con Cristo nella sua morte, sepoltura e resurrezione e l'unico corpo che è il corpo di Cristo qui sulla terra e di cui Cristo stesso è il capo» [H. Lindsey, Satana è vivo e vegeto sulla terra ultimo pianeta, pag. 244,246].

Un necessario chiarimento

Anzitutto, parlare del battesimo «dello Spirito Santo», come fa spesso H. Lindsey, non è scritturalmente dimostrabile. In tutti i testi del N.T. in cui si fa riferimento a questo battesimo, cioè: (Matteo 3:11; Marco 1:8; Luca 3:16; Giovanni 1:33; Atti 1:5;1 Corinzi 12:13), per nessun di essi, la preposizione en, presente nel testo greco, è corretto tradurla «dello». La preposizione in questione può essere tradotta «con, in», ma mai «dello», per il semplice fatto che è detto chiaramente che è Gesù Cristo che amministrerà il battesimo di cui sopra.

Il termine greco baptizó [A. Oepke, GLNT, (Grande Lessico del Nuovo Testamento), Vol. II, 41] significa: immergere, sommergere. Dal momento che l'azione di battezzare è attribuita specificatamente a Gesù Cristo, è lcolui che immerge il credente nello Spirito Santo. Parlare di «totale identificazione di una persona con un'altra», nel senso come fa Paolo ai (Romani 6:3,4), equivale ad unificare il battesimo in acqua e il battesimo nello Spirito Santo, come se si trattasse di un solo battesimo, senza la minima distinzione.

È con il battesimo in acqua, amministrato da un ministro del vangelo che il credente viene identificato nella morte e nella resurrezione di Gesù Cristo; morte per quanto riguarda il simbolismo l'immersione e il seppellimento, e risurrezione per quanto concerne la vita nuova. Ma per quanto concerne il battesimo nello Spirito Santo, la Scrittura non usa lo stesso linguaggio figurativo, come fa per quello in acqua, si limita soltanto a fornirci la finalità, cioè: Per formare un unico corpo (1 Corinzi 12:13). Se di identificazione si può parlare, è in relazione al corpo di Cristo, ch'è la Chiesa, e non alla morte e risurrezione di Gesù. Se si vuole essere precisi nell'esposizione dell'insegnamento della parola di Dio, è in questo senso che bisogna presentarlo, perché l'apostolo Paolo lo presenta in questo modo.

Nell'unico testo paolino di (1 Corinzi 12:13) in cui si dice che

noi tutti abbiamo ricevuto il battesimo di un unico Spirito per formare un unico corpo,

non viene detto, né chi ha amministrato il battesimo né quando è stato amministrato. Prima di procedere avanti nell'analisi di (1 Corinzi 12:13), vogliamo rilevare che la preposizione en, presente nel testo greco, il nostro Luzzi l'ha tradotta «di», «Il battesimo di un unico Spirito». Anche se nelle nostre citazioni usiamo quasi sempre questa versione, in questo testo di (1 Corinzi 12:13), non ci sentiamo di accettare la traduzione del Luzzi, preferiamo quella del Diodati che la rende «in». In uno stesso Spirito noi tutti siamo stati battezzati, come del resto fanno tantissimi traduttori [E. Bosio, Epistola di S. Paolo ai Corinzi, pag. 103].

Il prof. E. Bosio che nel testo usa la versione del Diodati, nel commento però, al posto di «in» usa «con». Leon Morris, fa lo stesso rilievo quando dice: «Di un unico Spirito è in realtà «in» un unico Spirito» [L. Morris, La prima epistola di Paolo ai Corinzi, pag. 204; il N.T. Greco-Italiano di A. Merk, G. Barbaglio; G. Ricciotti, Le epistole di Paolo, pag. 385].

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Domenico34
00sabato 1 ottobre 2011 00:09
Nonostante che 1 Corinzi 12:13 non dica chi ci ha battezzati «in un unico Spirito», sappiamo con estrema certezza che è e rimarrà sempre Gesù Cristo. Ciò non lo affermiamo in base a quello che le epistole del N.T. dicono, ma sull'autorità di quello che dicono gli evangeli (Matteo 3:11; Marco 1:8; Luca 3:16 Giovanni 1:33).

Affermare che il battesimo nello Spirito Santo avviene «all'istante della conversione», senza una citazione, non diciamo delle epistole del N.T. solamente, ma del N.T. in genere, è arbitrario a dir poco. A cominciare da Atti 2; 8; 10 e 19, tutti quelli che sono stati battezzati nello Spirito Santo, secondo questi testi, erano persone convertite prima di ricevere il battesimo nello Spirito Santo. È assurdo affermare (con riferimento alla domanda che Paolo fece: Riceveste lo Spirito quando credeste?

«che se avessero risposto «sì», egli avrebbe saputo che essi erano diventati credenti sin dalla Pentecoste (tutti i nuovi fedeli avevano ricevuto lo Spirito Santo al momento della conversione dopo il momento di transizione segnato dalla Pentecost Atti 2,8,10». Ed ancora: «Tutti i diversi gruppi etnici di credenti erano ora iniziati nel mondo neotestamentario di essere in rapporto con Dio mediante il suo dono dello Spirito e mediante l'unione con Cristo. Da quelli momenti, tutti i credenti sono stati battezzati di Spirito Santo all'istante della loro conversione. Questo è il modello presentato nelle lettere. Esse considerano la transizione completa» [H. Lindsey, Satana è vivo e vegeto sulla terra ultimo pianeta, pag. 245].

Questa strana convinzione cioè che al momento della «conversione» si riceve il battesimo nello Spirito Santo, ha dovuto probabilmente all'unico testo del N.T. di (Atti 2:38). Questo testo è pure usato per affermare che battesimo in acqua, si riceve anche lo Spirito Santo.

Abbiamo dimostrato in questo libro che in tutti i casi in cui si parla di credenti che hanno ricevuto lo Spirito Santo, lo Spirito Santo è ricevuto prima o dopo il battesimo in acqua e mai «contemporaneamente» al battesimo (cfr. Atti 2:4; 8:12,17; 9:17,18; 10:44﷓47; 19:5,6). Neanche si può invocare il testo paolino di (1 Corinzi 12:13), perché in esso non è indicato il «momento» in cui si è battezzati. Ma è proprio vero che (Atti 2:38) stabilisce che nel momento della conversione o del ravvedimento, si riceve lo Spirito Santo, inteso come battesimo? Analizziamo attentamente Atti 2:38, che dice:

Ravvedetevi, e ciascun di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo.

Nel N.T. greco e Italiano di A. Merk e G. Barbaglio, il testo di Atti 2:38 è reso:

Pentitevi e ciascun di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo (CE.

A parte la parola «dopo» che questa versione aggiunge, se il dono dello Spirito Santo si riceve al «momento» della conversione, perché questo testo usa il verbo ricevere al futuro (riceveret e non al presente (ricevet? H. Lindsey che suggerisce di «essere dottrinalmente corretti in ciò che insegniamo», dovrebbe almeno spiegarci il valore e il significato del «tempo» del verbo ricevere, impiegato in (Atti 2:38).

Quando i pentecostali affermano che la conversione o il ravvedimento, da una parte, e il battesimo nello Spirito Santo dall'altra, «sono due momenti distinti e separati, l'uno dall'altro», con che indicano due esperienze, non sono idee strampalate, teologicamente e biblicamente errate, ma è proprio ciò che dice Atti 2:38, se giustamente interpretato e valutato. Tenendo pertanto in debito conto l'importanza ed il valore del tempo del verbo ricevere, le affermazioni di cui sopra, sono più che giustificate.

Ripieni dello Spirito Santo

Quando abbiamo affermato che le frasi «battesimo nello Spirito Santo e ripieni dello Spirito Santo» hanno lo stesso significato, perché si riferiscono allo stesso «evento», cioè alla discesa dello Spirito Santo, l'abbiamo fatto sull'autorità della Parola di Gesù, riferita da Atti 1:5 e adempiuta in Atti 2:4. Anche se la parola di Gesù riportata nel libro degli Atti, non ha certamente il valore di «transizione», come suggerisce H. Lindsey per tutto il libro degli Atti, tesi da lui caldamente sostenuta, forse come rappresentante di questa corrente, ma che a noi non risulta convincente.

Anche se nelle epistole del N.T. non è mai detto siate battezzati nello Spirito Santo, ma siate ripieni dello Spirito (Efesini 5:18), facendo i dovuti confronti con i testi di cui sopra, è più che giustificata la nostra affermazione.

(Quello che seguirà è un nostro articolo pubblicato nell'Ottobre del 1987 su un giornale cristiano IL FARO, e se l'abbiamo ripreso, è perché pensiamo possa ulteriormente chiarire l'argomento che stiamo trattando).

SIATE RIPIENI DELLO SPIRITO (EFESINI 5:18)

Per capire l'affermazione di Paolo, unica nel suo genere, e la sua motivazione, per quanto riguarda il punto di vista individuale, dobbiamo rifarci all'inizio della stessa epistola, così da conoscere i destinatari. Questo ci aiuterà molto a capire le parole di Paolo e valutarne l'importanza, nel contesto del N.T.

Il primo versetto del primo capitolo dice:
Paolo, apostolo di Gesù Cristo, per la volontà di Dio, ai santi che sono in Efeso e fedeli in Cristo Gesù.

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Domenico34
00domenica 2 ottobre 2011 00:23
Già fin dall'inizio, sappiamo che i destinatari dell'epistola sono «i santi», e Paolo non ha nessun'esitazione a chiamarli fedeli in Cristo Gesù.

Come si può vedere chiaramente da queste semplici parole, i destinatari sono dei credenti (nel senso pieno di questo termine così come viene presentato dall'insegnamento del N.T.), i quali sono stati salvati mediante il sangue di Gesù Cristo. Ogni credente in Cristo viene chiamato «santo» (Romani 1:7), fin dal primo giorno della sua vita con Dio, e deve aver cura di rimanere fedele al suo Signore fino alla morte (Apocalisse 2:10).

A questi santi e fedeli in Cristo Gesù, Paolo fa arrivare la sua parola, che poi non è la sua, dal momento che il suo ministero apostolico è per volontà di Dio. La parola di Paolo suona, non come un semplice consiglio o una semplice raccomandazione, ma un ordine.

Qui non si tratta di stabilire chi dovrà essere «ripieno dello Spirito», se, il pastore o l'evangelista, se il predicatore o il missionario. Questa non è una parola rivolta solo a loro (anche se loro sono chiamati in primo piano), ma ad ogni credente. Non abbiamo quindi nessun'esitazione nell'affermare che «Dio vuole che ogni credente sia ripieno dello Spirito».

A questo «volere di Dio», dovrebbe corrispondere «l'avere l'intenzione dell'uomo», perché solo allora, il desiderare divino può attuarsi nella vita dell'essere umano. Ovviamente lo Spirito, di cui parla Paolo, è lo Spirito Santo. Infatti, i credenti, secondo quello che dice il Nuovo Testamento, dovranno essere riempiti dello Spirito Santo.

Secondo Romani 12:11, Dio vuole che ogni credente sia fervente nello Spirito. Allora, mettendo insieme Efesini 5:18 e Romani 12:11. abbiamo una gloriosa coordinata di credenti ripieni dello Spirito Santo e ferventi nello spirito. È difficile aver credenti ferventi nello spirito, senza essere ripieni dello Spirito; mentre è più facile avere credenti ripieni dello Spirito che siano anche ferventi nello spirito. Che il riempimento dello Spirito non sia l'opera dell'uomo ma di Dio, è risaputo da tutti. Dio però riempie dello Spirito tutti quelli che lo vogliono.

Il voler essere ripieni dello Spirito implica: interessamento, dedizione e ricerca, senza di cui sarà quasi impossibile che una persona venga ripiena dello Spirito Santo. Una persona che esprimerà il desiderio di voler bere dell'acqua, perché avverte questa necessità, farà il suo possibile per arrivare ad una sorgente, perché solo là potrà dissetare la sua sete.

Or nell'ultimo giorno, che era il gran dì della festa, Gesù, stando in piè, gridò, dicendo: se alcuno ha sete venga a me e beva. Chi crede in me, come ha detto la Scrittura, dal suo seno sgorgheranno fiumi d'acqua viva.

Giovanni, interpretando le parole di Gesù precisa:

Or egli disse questo dello Spirito, il quale riceverebbero chi crederebbe in Lui, perché lo Spirito Santo non era ancora stato mandato (Giovanni 7:37-39).

Secondo le parole di Gesù, riportate da Luca, lo Spirito Santo sarà dato a chi ne farà specifica richiesta (Luca 11:11-13). Secondo Atti 2:39,40, Dio promette lo Spirito Santo a tutti. Le parole di Atti 2:4, e tutti furono ripieni dello Spirito Santo, si riferiscono all'adempimento di Atti 1:5. Battezzati nello Spirito Santo e ripieni dello Spirito Santo, hanno lo stesso significato. Quando i 120 furono ripieni dello Spirito Santo, furono battezzati nello Spirito Santo. Quindi, il riempimento (o battesimo), ha a che fare con un'esperienza, di cui il singolo credente non può fare a meno.

Nel giorno della Pentecoste non furono ripieni dello Spirito Santo solo gli apostoli, di cui (Atti 1:5), ma bensì 120 persone, tra cui le donne che ministravano a Gesù, Maria madre di Gesù e i suoi fratelli (Atti 1:14). È chiaro che se lo Spirito Santo fosse stato promesso ai soli apostoli «tutti gli altri», che, perseveravano di pari consentimento in orazione e in preghiera (Atti 1:14), non avrebbero ricevuto lo Spirito Santo; e le parole di Pietro, dopo la Pentecoste:

A voi è fatta la promessa e ai vostri Figlioli, e a chi verrà per molto tempo appresso; a quanti il Signor Iddio nostro ne chiamerà,

non avrebbero nessun significato. Alla luce di quanto sopra quindi, le parole di (Efesini 5:18) siate ripieni dello Spirito , equivalgono a, «siate battezzati con lo Spirito Santo», e si riferiscono ad ogni credente.

Dal fatto che (Giovanni 7:39) dica che lo Spirito Santo non era ancora stato dato, perché Gesù non era stato ancora glorificato; e Atti 2:33 affermi che lo Spirito Santo fu sparso perché Gesù era stato innalzato alla destra di Dio, qualcuno potrebbe dedurre che non c'e più bisogno di sostenere (Luca 11:11﷓13 e Atti 1:14), perché queste condizioni di «chiedere» e «attendere», sono state adempiute nel giorno della Pentecoste; e che quindi i credenti, non avendo più bisogno di attendere e chiedere, ricevono automaticamente il battesimo nello Spirito Santo.

Se così fossero, non ci sarebbe stato nessun bisogno che Pietro e Giovanni «pregassero», per i nuovi convertiti di Samaria, per ricevere lo Spirito Santo (Atti 8:15) né che Paolo chiedesse ai credenti di Efeso se avevano ricevuto lo Spirito Santo dopo di aver creduto (Atti 19:2). Alla luce di quanto sopra, è chiaro che (Luca 11:11﷓13; Atti 1:14 ed Efesini 5:18), sono testi validi anche per i tempi in cui viviamo e che essi rappresentano il fondamento indispensabile per «essere ripieni dello Spirito». Si potrebbe domandare: perché i credenti devono essere ripieni dello Spirito Santo?

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Domenico34
00lunedì 3 ottobre 2011 00:11
Per appagare il desiderio di Dio

Dio vuole che ogni credente, salvato mediante il sangue di Gesù Cristo, sia ripieno dello Spirito Santo. Non importa se si sia grandi o pici, bianchi o negri, ricchi o poveri, ti o ignoranti, maschi o femmine; non importa se si è semplici, senza nessuna responsabilità nella Chiesa, o pastori, evangelisti o missionari. Se il credente non è ripieno dello Spirito Santo, il Divino desiderio non viene appagato.

Per essere utili nella Comunità

Quando citiamo Atti 6, pensiamo all'istituzione dei «diaconi» nella Chiesa. Anche se questo termine diacono non compare nel testo greco, tutti gli studiosi e commentatori sono d'accordo che Atti 6 debba essere considerato il primo riferimento «all'ufficio del diaconato». In una chiesa che crescesse ogni giorno, era assurdo pensare che gli apostoli soli potessero far fronte a tutte le necessità della Comunità. Perciò i «dodici», suggerirono alla moltitudine di discepoli di trovare tra loro degli uomini che avevano tre requisiti: buona testimonianza, ripieni dello Spirito Santo e sapienza.

L'ufficio del diaconato, secondo questo testo, consisteva nel ministrare alle mense». Non aveva niente a che fare l'amministrare cose spirituali, perché a questo pensavano gli apostoli. Quale bisogno c'era, quindi, che i selezionati avessero il requisito di essere «ripieni dello Spirito Santo»? La buona testimonianza era necessaria, la sapienza altrettanto, ai fini di una buon'amministrazione, ma l'essere "ripieni dello Spirito Santo", a che cosa sarebbe servito?

Oggi, di questa norma se ne fa poco conto, quando si pensa ai nostri attuali «Comitati di Chiesa». Si mettono facilmente persone che hanno una certa posizione sociale, un certo prestigio nella società; magari con una cultura spiccata, adducendo che simili individui saranno un valido aiuto nella vita amministrativa di una Comunità. Ma per gli apostoli era estremamente necessario, nonostante che il lavoro consistesse nel ministrare alle mense, che i prescelti fossero «ripieni dello Spirito Santo».

La Chiesa non è una società di uomini d'affari, che deve assegnare posto alla cultura, all'intelligenza umana. La Chiesa è il corpo di Cristo, come tale non appartiene all'uomo, ma a Dio; e le cose di Dio devono essere amministrate da esseri umani e donne che, oltre ad avere buona testimonianza e sapienza, siano «ripieni dello Spirito Santo».

Per essere testimoni di Cristo

Voi mi sarete testimoni, quando lo Spirito Santo verrà su voi (Atti 1:8).


È vero che questo testo si riferisce agli apostoli e all'opera che loro avrebbero svolto, in obbedienza al comando di Cristo, ma è anche uno scritto che si può applicare ad ogni singolo credente. Infatti, se un credente non ha niente da testimoniare - e testimoniare significata dire cose che si sono viste o sentite, non solamente per quanto concerne la vita degli altri, ma principalmente per quanto riguarda il modo di vivere propria - vuol affermare che non è credente; e se non è credente, come potrà parlare di una persona, di cui non ha conoscenza diretta? Per poter, quindi, testimoniare di Gesù e dell'Opera Sua, occorre che il credente sia ripieno dello Spirito Santo, perché sarà appunto lo Spirito Santo che renderà efficaci le nostre parole con le quali si parla di Gesù.

Per essere efficaci nella testimonianza dell'opera di Cristo

Stefano, uno dei “sette”, (Atti 6:5) scelto all'inizio per ministrare alle mense, era un uomo ripieno di fede e di Spirito Santo. Era
pieno di fede e di potenza, e faceva gran prodigi e segni fra il popolo (Atti 6:8).

Leggiamo che
non potevano resistere alla sapienza e allo Spirito per il quale egli parlava (v. 10).

E nel capitolo sette, la sua parola è tanto potente e penetrante nello stesso tempo, da paragonarla ad un «Pubblico Ministero», che, davanti alla corte, non ha nessuna paura di elencare i capi d'accusa e chiedere con fermezza la condanna dell'accusato.

Solo lo Spirito Santo, di cui Stefano era ripieno, poteva dargli tutta la franchezza e tutta l'efficacia, che manifestò davanti a quegli uomini, quando testimoniò dell'Opera di Dio e di Gesù Cristo, e quando disse:

Ecco, io vedo i cieli aperti, ed il Figliol dell'uomo in piedi che sta alla destra di Dio (Atti 7:56).

Per essere efficaci nell'opera del ministero

Quando si pensa all'opera del ministero, di solito si pensa all'abilità del ministro. Un ministro per essere abile, dovrà avere un'adeguata preparazione teologica, attestati accademici, comprovanti la sua abilità. Oggi siamo in tempi in cui si dà più importanza agli attestati accademici che al riempimento dello Spirito Santo. Non ci dobbiamo meravigliare che tanti predicatori e missionari, pur avendo attestati accademici, non conoscano nella loro vita cosa sia «essere ripieni dello Spirito Santo».

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Domenico34
00martedì 4 ottobre 2011 00:14
Dalle loro scuole, ove hanno ricevuto i loro attestati, sono stati riempiti di tante nozioni teologiche da non lasciare nessun posto per la guida dello Spirito Santo. La Bibbia non ci ordina di essere riempiti di teologia, anche se questo è un elemento utile per un buon andamento del ministero, ma: «Siate ripieni dello Spirito».

Per approfondire quest'aspetto dell'argomento, vorrei suggerire di meditare a fondo il capitolo 8 degli Atti. Qui abbiamo Filippo, uno dei sette, che predicò Cristo nella città di Samaria. Per suo mezzo tanti ammalati furono guariti e tanti furono salvati. Mi potreste domandare come mai il capitolo 8 degli Atti parla di Filippo e del suo ministero, ma non afferma che egli fosse ripieno dello Spirito Santo. È perché è stato già detto nel capitolo sei.

Filippo non è un apostolo; non è uno dei capi della Chiesa. Non ha, forse, eccessiva cultura; ha una parola semplice, una predicazione facile ed elementare. Forse commette errori grammaticali quando parla e predica Cristo. Eppure è un uomo di una straordinaria efficacia. Il successo del suo ministero ha dovuto al fatto che era «Ripieno dello Spirito Santo». Fratello o sorella, se sei un credente (e non vorrei minimamente dubitar, se sei stato salvato mediante il sangue di Gesù Cristo, sappi che Dio, attraverso Paolo, ti dice: Sii ripieno dello Spirito Santo. Soltanto allora potrai appagare il desiderio del tuo Dio, essere utile nella Comunità cui appartiene, essere un testimone di Cristo, essere efficace nel testimoniare dell'Opera di Gesù ed efficace nell'opera del ministero che Dio ti ha affidato.

Appare chiaro, dal confronto che abbiamo fatto che tra l'essere ripieno dello Spirito Santo e battezzato nello Spirito Santo, non c'è nessuna sostanziale differenza. Il fatto stesso che per la nomina dei sette, furono scelti fra la moltitudine dei discepoli, Stefano, Filippo ed altri, essendo ripieni dello Spirito Santo, è una prova inconfutabile, che non tutti i credenti di quel tempo, erano stati ripieni dello Spirito Santo fin dalla loro conversione, come oggi si vorrebbe far credere che ogni fedele, fin dalla sua conversione, viene battezzato nello Spirito Santo.

3. PRENDERANNO IN MANO I SERPENTI

Il verbo airo] non significa solamente «levare in alto», significa anche: «Portare via, togliere di mezzo, sopprimere, uccidere». «Prendere in mano i serpenti», come quasi tutte le traduzioni rendono i due termini greci ofeis arousin, con qualche eccezione, come fa il Diodati, per esempio, che traduce: Torranno via i serpenti, non ha certamente il significato di tenere in mano i rettili, in un'esibizione, per far vedere la propria fede e renderla palese, attraverso quest'esercizio, se così si può chiamare. Recentemente venne presentata una trasmissione televisiva di un gruppo di credenti della Virginia, i quali si vantavano di mettere in pratica alla lettera la parola di Marco 16:18 prederanno in mano i serpenti.

Si vedevano questi credenti che, durante le loro riunioni, tiravano dai cassetti, dove erano stati sistemati, i serpenti, e, con una serpe in mano, danzavano e lodavano Iddio. Era una cosa sconcertante vedere un simile spettao e sentire che nel giro di poco tempo, ben undici di loro, erano stati messi a morte, dal potente veleno di quei serpenti, inclusa la figlia del pastore.

Dare quest'interpretazione alla parola di Gesù, significa esporsi a sicuri perii, specialmente se si pensa ai serpenti velenosi, anche se il testo non lo specifica, ma non è da escluderlo, e falsare la parola di Gesù, facendola cadere nel ridio e nel superstizioso. Prendere in mano i serpenti velenosi, ed esibirsi in un eccezionale spettao, non solo non viene garantita l'inumità della persona (e quelli che hanno fatto questa specie di esercizio di fede, diversi l'hanno pagato con la loro mort, ma significa soprattutto interpretare erroneamente la parola di Gesù.

Si racconta di un certo missionario che attraversando una zona deserta, si fermò presso una grotta per passarvi la notte. Mentre egli dormiva, avvolto in una coperta di lana, un grosso serpente velenoso, si attorcigliò intorno al suo corpo. Quando al mattino il missionario aprì gli occhi, vedendo quel grosso rettile attorcigliato intorno a sé, la paura che si prese fu grande; e non sapendo cosa fare, riuscì pian piano ad uscire da sotto la coperta e a darsi alla fuga. Quando però fu fuori della grotta al sicuro, si sentì rimproverato nella sua coscienza, perché aveva lasciato la sua coperta, necessaria per il suo bisogno, dentro la caverna. Ricordando allora le parole di Gesù, secondo il nostro testo, disse a se stesso: sono venuto meno nella mia fede. Ritornò nella grotta, e prendendo per un lato la sua coperta, scosse il serpente ed uscì, portandola con sé.

Gesù aveva detto ai suoi:
Ecco, io v'ho dato la podestà di calcare serpenti e scorpioni, e tutta la potenza del nemico; e nulla potrà farvi del male (Luca 10:19).

Prendendo la promessa di Gesù come una garanzia di sicurezza, in caso di avere a che fare con i serpenti, si può benissimo inquadrare in questa prospettiva, l'esperienza di Paolo nell'isola di Malta (Atti 28: 3,5). Interpretare l'esperienza di Paolo, come se volesse significare l'espulsione di animali nocivi da certi luoghi, in questo caso delle vipere dell'isola di Malta e di S. Patrizio dall'Irlanda, è una pura fantasia, da non meritare la minima attenzione.

4. E SE PUR BEVESSERO ALCUNCHÉ DI MORTIFERO, NON NE' AVRANNO ALCUN MALE

Per quanto concerne il bere alcuna cosa mortifera, non abbiamo nessun riferimento nel N.T. Negli Apocrifi, si afferma che l'apostolo Giovanni, per sfidare l'incredulità di una certa persona, bevve il veleno, senza sentirne alcun nocimento.

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Domenico34
00mercoledì 5 ottobre 2011 00:06
Nonostante che non abbiamo nessuna notizia nel N.T. intorno a questa promessa, la parola di Gesù rimane sempre vera e fedele e il credente la potrà esperimentare, nel caso ci fosse un partiare bisogno.

Si racconta di un cristiano che, trovandosi alla presenza di funzionari comunisti, gli venne chiesto se credeva a Marco 16.18 e se pur bevessero alcunché di mortifero, non ne avranno alcun male. Alla risposta affermativa, i funzionari aggiunsero: "Ora vedremo; ti daremo a bere del veleno". Prima però che gli avessero dato il veleno, quei funzionari vollero accertarsi che il loro veleno era potente da poter causare la morte; dando una pica dose ad un cane, questi, dopo averlo ingerito, nel giro di pochi attimi cadde a terra fulminato. Quei funzionari avevano la certezza matematica che quel cristiano non sarebbe stato risparmiato dalla morte. Quel credente prima di bere il veleno, fece una preghiera dicendo: Signore, giammai potrò dubitare della veracità della tua Parola; se la mia ora è arrivata, nelle tue mani rimetto la mia vita. Finita quella preghiera, prese il bicchiere, nel quale era il veleno, e lo mandò giù. Tutti aspettavano che quel credente, nel giro di pochi attimi, sarebbe stato fulminato da quel potentissimo veleno. Ma fu invano la loro attesa, perché egli non morì.

Per chi è imprudenti, usando in modo distorto la Parola del Signore, possiamo benissimo applicare il detto della Scrittura:
L'uomo accorto vede venire il male, e si nasconde; ma i semplici tirano innanzi, e ne portano la pena (Proverbi 22:3).

5. IMPORRANNO LE MANI AGL'INFERMI ED ESSI GUARIRANNO

L'imposizione delle mani sopra gli infermi per guarire, prima che Gesù l'avesse definito «un segno» per chi crederà, era una pia credenza tra gli ebrei, ai tempi di Gesù. La guarigione della figlia del capo della sinagoga Iairo, narrata dai Sinottici, è una chiara testimonianza. In Luca 8:41, si tratta di una preghiera a entrare in casa sua, e che il capo della sinagoga rivolge a Gesù; mentre in Matteo 9:18 è detto espressamente

vieni, metti la mano su lei e lei vivrà, così pure in (Marco 5:23) vieni a mettere sopra di lei le mani affinché sia salva e viva.

Anche se l'invito del padre della fanciulla ad imporre le mani non venne portato a termine da Gesù, risulta chiaro dai Sinottici, che Gesù prese per la mano quella fanciulla ormai morta e la fece ritornare in vita. Per R. Pesch «nel miracolo del risanamento, il gesto dell'imposizione delle mani ha la funzione di trasmettere la forza risanante».

Che l'imposizione delle mani sopra gli infermi sia stata praticata da Gesù, appare chiaramente da (Marco 6:5) che dice:

E non poté far quivi alcun'opera potente, salvo che, imposte le mani ad alcuni pochi infermi, li guarì.

Mentre per il sordo muto della Decapoli, veniamo informati che oro che gli menarono quell'uomo, lo pregarono che gli imponesse la mano (Marco 7:32), ma Gesù gli mise soltanto le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. Per il cieco di Betsaida, ci viene detto chiaramente che Gesù,
lo condusse fuori del villaggio; e sputatogli negli occhi e impostegli le mani, gli domandò: Vedi tu qualche cosa? (Marco 8:23,25).

Gesù non guariva quindi gli ammalati solamente con la «sua parola», ma praticava anche l'imposizione delle mani. Ci è testimoniato chiaramente da Luca 4:40 dove dice:

E sul tramontar del sole, tutti quelli che avevano degli infermi di varie malattie, li menavano a lui; ed egli li guariva, imponendo le mani a ciascuno.

L'imposizione delle mani, non era praticata da Gesù solamente per sanare gli infermi, ma anche per benedire i fanciulli (Matteo 19:13; Marco 10:16). Gli apostoli, seguirono fedelmente Gesù nella pratica dell'imposizioni delle mani per diversi motivi. Per i selezionati che dovevano servire alle mense vien detto che gli apostoli imposero loro le mani (Atti 6:6). Si imponevano le mani per ricevere lo Spirito Santo, (Atti 8:17; 19:6); per accomiatare missionari (Atti 13:3); per sanare dalle infermità (Atti 9:12,17; 28:8); per doni speciali (1 Timoteo 4:14).

Al giovane Timoteo, l'apostolo Paolo, fa una raccomandazione a non essere precipitoso nell'imposizione delle mani (1 Timoteo 5:22). Imporre le mani agli infermi, secondo (Marco 16:18), non è solamente una esclusiva degli apostoli, ma di ogni credente. A volte si avanzano riserve e condizionali, quasi a mettere in forse l'attualità della parola di Gesù, rimandando tutto al tempo passato; stentando a credere che la parola di Gesù, si attui anche ai nostri giorni e per le persone del nostro tempo.

L'imposizione delle mani agli infermi, non deve essere intesa come una pratica abituale e formalistica, ma come un esercizio di fede. Se Gesù ha detto: Imporranno le mani agl'infermi ed essi staranno bene (Diodat, questa è la migliore garanzia, per ognuno che la crede, di esperimentare, la veracità e la fedeltà della sua parola.

DS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura. Inoltre, il presente scritto è stato tratto dal mio libro: “Il grande mandato di Gesù Cristo”. Chi è interessato a comprare questo libro, non dovrà fare altro di rivolgersi all’Editrice Hilkia, presso la quale è disponibile il titolo in questione
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