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Domenico34 - ROMANI - ESAME DEL CAPITOLO 8 DELL'EPISTOLA DI PAOLO AI ROMANI

Ultimo Aggiornamento: 07/11/2010 02:06
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13/10/2010 02:30

Certo che proseguirò!
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13/10/2010 23:14

Riprendiamo l’esame del capitolo 8 dell’epistola di Paolo ai Romani.

vv. 9-11

Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui.
Ma se Cristo è in voi, nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito dà vita a causa della giustificazione.
Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo Gesù dai morti vivificherà anche i vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.


Dopo avere esposto con obiettività le caratteristiche dei due diversi tipi di persone, Paolo si rivolge ora direttamente ai suoi lettori: voi però non siete nella carne ma nello Spirito. Con queste parole, l’apostolo fa notare la differenza che effettivamente c’è, tra quelli che sono nella carne e quelli che sono nello Spirito. Ne consegue, perciò che, quando si è nella carne, non si è nello Spirito, e se si è nello Spirito, non si è nella carne. Queste due entità, carne e Spirito, non solo non si confondono tra loro, ma determinano anche a chi si appartiene e a chi si segue. Se Paolo afferma che i cristiani di Rona non erano nella carne, ma nello Spirito, questo significa che egli riconosceva che quei credenti non seguivano il pensiero e il desiderio della carne, che conduce inesorabilmente verso il peccato e la morte, ma andava dietro lo Spirito di Dio, che guida verso la santità e la vita.

La constatazione che l’apostolo fa per i cristiani di Roma, vale anche per i credenti dei nostri tempi, cioè per ognuno di noi. Non è possibile, contemporaneamente, dividersi a metà: una parte per la carne e l’altra parte per lo Spirito. Come un servo non può servire a due padroni, allo stesso modo, non si potrà essere nella carne e nello Spirito nello stesso tempo. Questo, naturalmente, implica una precisa scelta che l’uomo fa, in virtù della quale potrà trovarsi nello Spirito, vale a dire controllato e guidato dallo Spirito di Dio, o giudato e controllato dalla carne.

Lo Spirito Santo nella vita del credente, svolge precise attività, in quanto gli genera una nuova vita e lo aiuta a superare i diversi ostacoli che incontra, liberandolo dai pericoli che lo minacciano. La vittoria e il superamento delle varie difficoltà che incontra nel suo cammino, il cristiano non li attinge dalla sua umanità, ma esclusivamente dallo Spirito di Dio che si trova in lui. Ecco, perché Paolo può affermare: se dunque uno è in Cristo, egli è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate: ecco, sono diventate nuove (2Corinzi 5:17).

L’affermazione dell’apostolo: se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui, è perfettamente coerente con l’insegnamento che Paolo espone in questa sua epistola ai Romani. Infatti, siccome è solamente lo Spirito Santo, che dona la vita spirituale, ne consegue che, nessuno può appartenere a Cristo se non per mezzo dello Spirito.

Ha perfettamente ragione John A. Witmer, quando afferma:

«Il fatto che l’apostolo usi indifferentemente la locuzione «lo Spirito di Dio» e «lo Spirito di Cristo» implica la deità di Gesù Cristo e, inoltre, le parole di questo passo rivelano con chiarezza che la presenza interna dello Spirito Santo è il segno che identifica il credente in Gesù Cristo 1Giovanni 3:24, che recita, Chi osserva i suoi comandamenti rimane in Dio e Dio in lui. Da questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato e 1Giovanni 4:13 Da questo conosciamo che rimaniamo in lui ed egli in noi: dal fatto che ci ha dato del suo Spirito» [John A. Witmer, Investigate le Scritture, Nuovo Testamento, pag. 505].

Ma se Cristo è in voi, nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito dà vita a causa della giustificazione.

I vv, 9-10 stabiliscono che nella vita del credente abitano lo Spirito di Dio e Cristo, o meglio Cristo per mezzo dello Spirito Santo. Ma che significa la continuazione della frase nonostante il corpo sia morto a causa del peccato, lo Spirito crea a causa della giustificazione? La morte di cui si parla e la vita a causa della giustificazione, si possono parafrasare nel seguente modo:

«Se Cristo dimora in voi, allora, mentre il vostro corpo è ancora soggetto a quella morte temporale, che è la conseguenza del peccato, lo Spirito che ha preso la sua dimora in voi, lo Spirito vivificante e rianimatore, vi comunica quella vita eterna che è la conseguenza della giustificazione. Romani 5: 18 Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che genera la vita si è estesa a tutti gli uomini» [Fredeick F. Bruce, L’epistola di Paolo ai Romani, pag 201].

Infine, con il v. 11, l’apostolo mette in evidenza la potenza divina, nel risorgere dai morti Cristo Gesù; di conseguenza, sarà lo stesso Spirito che ha compiuto il miracolo della risurrezione del corpo di Gesù Cristo, che vivificherà i corpi mortali dei credenti, cioè alla risurrezione finale. Questa spiegazione è avvalorata soprattutto dalla congiunzione “anche” che Paolo adopera.
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16/10/2010 23:16

vv. 12-17

12 Così dunque, fratelli, non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne;
13 perché se vivete secondo la carne voi morrete; ma se mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, voi vivrete;
14 infatti tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio.
15 E voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!»
16 Lo Spirito stesso attesta insieme con il nostro spirito che siamo figli di Dio.
17 Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.


Con l’esame dei vv. 12-17, si chiede la prima sezione del capitolo 8 dell’epistola di Paolo ai Romani.

In questo tratto dell’epistola, Paolo mette in risalto una preziosa verità, che non riguarda la sola fratellanza di Roma, include anche tutti i credenti di ogni epoca, cioè noi (compreso l’apostolo) non siamo debitori alla carne per vivere secondo la carne. Che cosa vuol dire Paolo, con queste sue parole? Vuole esattamente significare che dalla carne, non abbiamo ricevuto proprio niente di bene, da essergli debitori; l’unico debito che il credente ha (anche se l’apostolo non lo specifica, ma è sottinteso) è verso lo Spirito di Dio. Infatti, è mediante lo Spirito, che il credente può far morire le opere del corpo.

Tenendo presente ciò, il cristiano è esortato a non vivere secondo la carne, perché se si vive in quel modo, si andrà incontro ad una morte sicura (spiritualmente parlando). Se l’apostolo esorta in questo modo, (e la sua esortazione è ferma e decisa e non si presta ad equivoci) vuol significare che i credenti sono esposti ad un serio pericolo. Quindi, il fedele deve fare molta attenzione a non cedere alla pressione della carne, per ciò che concerne le varie concupiscenze. Il vivere, infatti, (che non è la semplice vita fisica ma quella spirituale) è esclusivamente garantita se mediante lo Spirito, si faranno morire le opere del corpo.

Con il v. 14 l’apostolo, con poche parole, parla dei figli di Dio, un tema molto importante, che viene chiarito da tanti passi biblici. A questo punto si può domandare: chi sono questi figli di Dio? Lo stesso Paolo risponde: quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio. Questa risposta è sommaria e chiarisce solamente un aspetto della verità, visto che non risponde a tutta la tematica che comporta un simile argomento.

Uno dei testi basilari, su quest'argomento, come punto di partenza, è senza dubbio Giovanni 1:12-13. Questo testo recita: ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome;
i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio
.

Senza riflettere seriamente, con troppa facilità si afferma che tutti gli uomini sono figli di Dio. Quest’affermazione, senza dubbio, è fondata sul fatto che, visto che tutti gli uomini sono stati creati da Dio, ne consegue che tutti sono figli di Dio, dicono alcuni. Essere creature di Dio è una cosa, ed essere Suoi figli, è ben altro; la differenza che esiste tra le due cose, è talmente abissale che non è possibile ignorarla. Tutti siamo creature di Dio, ma non tutti siamo Suoi figli. Il testo di Giovanni stabilisce che non si nasce figli di Dio, ma si diventa, ricevendo Gesù e credendo nel Suo nome. L’evangelista Giovanni parla di un “diritto”, per diventare figli di Dio, e, questo, naturalmente, non si ha per nascita naturale, ma solamente per la fede in Cristo Gesù. Inoltre, si precisa anche che, i figli di Dio, non nascono da sangue, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio, cioè dall’alto.

Ritornando al nostro testo dell’epistola ai Romani, pur parlando specificatamente di figli di Dio, bisogna anche precisare che l’autore, principalmente, si limita a mettere in risalto i privilegi che questi figli hanno. Infatti, essere guidati dallo Spirito di Dio, (che implica necessariamente la sottomissione dell’uomo, senza la quale lo Spirito non potrà portarlo avanti). Si sa, infatti, che lo Spirito Santo, non è mandato al mondo, perché il mondo non lo può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi (Giovanni 14:17). Quindi, essere guidati dallo Spirito di Dio, è un privilegio riservato solamente ai credenti che, mediante la fede in Cristo Gesù, sono diventati figli di Dio, nati da alto. Quest'elemento deve essere messo in risalto, nella giusta dimensione, per interpretare giustamente le parole di Paolo.

Il fatto poi che l’apostolo continui con l’affermare: voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito di adozione, mediante il quale gridiamo: «Abbà! Padre!», dà più forza al privilegio che hanno quelli che hanno creduto in Cristo Gesù e lo hanno ricevuto nella loro vita, come il loro personale Salvatore. Lo spirito di servitù, domina in tutte le persone che non hanno la fede in Cristo e li trascina verso la paura. I credenti, invece, non solo non hanno ricevuto questo spirito, ma gli è stato concesso lo Spirito di adozione, mediante il quale li porta a gridare Abba Padre.

Ma che cosa è esattamente lo Spirito di adozione? È un privilegio che il credente ha, che non gli deriva dalla sua nascita, in quanto apparteneva ad un’altra famiglia, la famiglia umana. Con l’adozione, invece, viene incorporato a tutti gli effetti, nella famiglia di Dio, acquista il pieno diritto di essere considerato un vero figlio di Dio e partecipa alla condivisione di tutti i beni del Padre celeste. Un privilegio di questo genere, non è da paragonare con nessuna famiglia di questa terra. Questo naturalmente, in virtù della nuova nascita, e, in conseguenza di ciò, rivolgendosi a Dio lo può chiamare Abba Padre.

L’espressione Abba Padre, si trova tre volte nel Nuovo Testamento ed esprime un’intimità particolare. Gesù per il primo, la usò una volta nel giardino del Getsemane, quando fece quell’ardente preghiera: "Abba, Padre, ogni cosa ti è possibile; allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi" (Marco 14:36). Le altre due volte si trovano, una nel nostro passo ai Romani e l’altra in Galati 4:6), sempre riferita ai credenti.
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19/10/2010 04:11

2. La gloria futura (8: 18-30)

Con la nuova sezione, esamineremo i vv. 18-30 del capitolo 8 dell’epistola di Paolo ai Romani, per cercare di capire la gloria futura che l’apostolo prospetta per i credenti, in questo tratto della sua epistola.

18 Infatti io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo.
19 Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio;
20 perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta,
21 nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio.
22 Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio;
23 non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo.
24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora?
25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza.
26 Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili;
27 e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio.
28 Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
29 Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli;
30 e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati.


Fin dalle prime parole del v. 18, si vede chiaramente come l’apostolo abbia cambiato il suo discorso, e lo ha incentrato sul futuro della gloria dei figli di Dio. Nel v. 17 Paolo aveva affermato che i figli di Dio, in virtù dell’adozione ricevuta, non solo sono diventati figli legittimi di Dio, ma hanno anche acquistato il diritto di essere eredi di Dio e coeredi di Cristo. Questo diritto non prevede solamente le ricchezze delle benedizioni divine riservate per la vita terrena, ma ha a che fare anche e soprattutto con l’eredità celeste, conservata nei cieli. Questo è quel che Pietro afferma nella sua prima epistola: per un'eredità incorruttibile, senza macchia e inalterabile. Essa è conservata in cielo per voi (1Pietro 1:4).

Non è un puro caso che Paolo, prima di fare riferimento alla gloria futura, mensioni le “sofferenze del tempo presente”, che non sono, secondo la sua piena convinzione, da paragonarle alla gloria futura. Già nel v. 17, l’apostolo non aveva parlato solamente del fatto che i figli di Dio sono eredi di Dio e coeredi di Cristo, ma aveva anche accennato alle sofferenze se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.

«La sofferenza è il necessario preludio della gloria. Perciò quando Paolo dice (2 Corinzi 4:16 che perciò non ci scoraggiamo; ma, anche se il nostro uomo esteriore si va disfacendo, il nostro uomo interiore si rinnova di giorno in giorno, egli vuol dire che le stesse afflizioni e privazioni con le quali viene distrutto l’«uomo esterno» sono mezzi che lo Spirito di Dio usa per rinnovare l’«uomo interno» in continuazione e sempre più in profondità, fino a che l’«uomo esterno» scompare e l’«uomo interno» è completamente formato all’immagine di Cristo. Cfr. 2 Corinzi 4:10, portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo» [Frederick F. Bruce, L’epistola di Paolo ai Romani, pagg. 205-206].

«Le parole visto che [ora] soffriamo con [lui] per essere anche glorificati [un giorno] insieme a [lui], dichiarano un dato di fatto che conferma quanto è stato appena detto. Possiamo evidenziare ancor meglio il significato con una parafrasi di questo genere; «poiché il fatto che ora noi soffriamo con lui ben lungi dal mettere in discussione la realtà del nostro essere co’eredi è la caparra più sicura del nostro essere glorificati in futuro». La sofferenza con Cristo, a cui il testo si riferisce, non è il nostro essere morti con lui dinanzi a Dio, né la nostra morte (sacramentale o simbolica) nel battesimo. Se Paolo avesse avuto in mente un riferimento all’una o all’altra «sofferenza» sarebbe stata naturale la presenza di un verbo al passato. Piuttosto, il riferimento è a quell’elemento di sofferenza che è inseparabile dalla fedeltà a Cristo in un mondo che non lo riconosce ancora come Signore. Possiamo interpretare il «con lui» con più di un significato: per esempio, «in conformità con lo schema della sua vita terrena», (senza implicare che le nostre sofferenze abbiano valore redentivo come sono sono state le sue); «per amor suo», «in unione con lui», e forse anche il pensiero che il Cristo glorificato partecipa nelle sofferenze dei suoi fratelli. La preposizione «per» non indica lo scopo soggettivo di colui che sopporta la sofferenza, ma il rapporto oggettivo, secondo la volontà di Dio, fra il soffrire ora con Cristo e l’essere glorificati con lui da ora in avanti» [C.E.B. Cranfield, La lettera di Paolo ai Romani (capitoli 1-8) pagg. 237-238].

Le sofferenze del tempo presente, cui parla Paolo al v. 18 e dei quali non sono da paragonare alla gloria, sono senza dubbio l’insieme di lotte, afflizioni, prove di ogni genere che, il credente incontra nel corso della sua vita terrena, dal giorno in cui ha dato la sua vita a Cristo Gesù, fino al compimento del suo pellegrinaggio. Lungi dal considerarli devianti ed opprimenti, devono essere valutati in vista del regno di Dio. In questo senso le hanno valutate Paolo e Barnaba, allorquando trovandosi in mezzo alla fratellanza di Listra, Iconio e Antiochia, li confermarono e li esortarono a perseverare nella fede e dicendo che attraverso molte afflizioni dobbiamo entrare nel regno di Dio (Atti 14:21-22).

E ancora: perché vi è stata concessa la grazia, rispetto a Cristo, non soltanto di credere in Lui, ma anche di soffrire per lui (Filippesi 1:29).

Gesù poteva incoraggiare i suoi con le parole:

Beati i perseguitati per motivo di giustizia, perché di loro è il regno dei cieli.
Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno e, mentendo, diranno contro di voi ogni sorta di male per causa mia.
Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi
(Matteo 5:10-12).

Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo (Giovanni 16:33).

Lo scrittore della lettera agli Ebrei afferma che Mosè preferì di essere maltrattato con il popolo di Dio, che godere per breve tempo i piaceri del peccato;
stimando gli oltraggi di Cristo ricchezza maggiore dei tesori d’Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa
(Ebrei 11:25-26).

Perché Paolo afferma che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo? Per il semplice motivo che tutto quello che si soffre per il Signore e per la fede nel suo Nome, sono per un tempo limitato (anche se si protraggano per molti anni) rispetto alla gloria che durerà eternamente. Quindi, davanti ad una simile prospettiva, c’è veramente di rendere continuamente grazie per ogni cosa a Dio e Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo (Efesini 5:20). Amen!
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20/10/2010 16:16

Grazie Domenico

Una parola riguardo proprio l'ultima frase

Perché Paolo afferma che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria che dev’essere manifestata a nostro riguardo? Per il semplice motivo che tutto quello che si soffre per il Signore e per la fede nel suo Nome, sono per un tempo limitato (anche se si protraggano per molti anni) rispetto alla gloria che durerà eternamente. Quindi, davanti ad una simile prospettiva, c’è veramente di rendere continuamente grazie per ogni cosa a Dio e Padre nel nome del Signore nostro Gesù Cristo (Efesini 5:20). Amen!

il ringraziamento può venire meno proprio in funzione dei nostri limiti che non ci fanno capacitare la "grandezza" "durata" "immensità" della 'Gloria futura'
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27/10/2010 14:49

L’attesa della creazione vv. 19-23.

Abbiamo visto che nel v. 18, l’apostolo parla della gloria che sarà manifestata verso i credenti, gloria che non sarà paragonabile con le sofferenze del tempo presente. Che la gloria, di cui parla il v. 18, non sia quella che si ottiene sulla terra, ma si riferisce a quella futura, cioè quando Gesù ritornerà, appare abbastanza chiaro. Nel v. 19 Paolo parla della creazione che aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio.

19 Poiché la creazione aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio;
20 perché la creazione è stata sottoposta alla vanità, non di sua propria volontà, ma a motivo di colui che ve l’ha sottoposta,
21 nella speranza che anche la creazione stessa sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio.
22 Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio;
23 non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo.


In questi versi si parla di uno “stato” in cui si trova la creazione = l’intera umanità, costituito dalla “vanità” e dalla “schiavitù della corruzione” e di una speranza che riguarderà la sua liberazione. Che questo “stato” di “vanità” e di “schiavitù della corruzione”, nel quale si trova la creazione-umanità, sia stato causato da Adamo, (anche se nel nostro testo, l’apostolo non menziona il suo nome) appare abbastanza chiaro per il semplice fatto che egli, è il capostipite della razza umana, visto che la sua origine risale a lui e con lui è stata anche coinvolta nel suo peccato.

Se la Bibbia dichiara che tutti gli uomini sono peccatori, lo fa essenzialmente per il fatto che tutti gli esseri umani sono considerati figli di Adamo. In conseguenza di ciò, l’uomo in genere, si trova in uno stato di “schiavitù e di corruzione”, così talmente assoggettato, che non ha nessuna possibilità di liberarsi, con le proprie capacità. L’unica liberazione verrà da Gesù Cristo, il solo che la potrà produrre, secondo la Sua Parola:

Gesù rispose loro: «In verità, in verità vi dico che chi commette il peccato è schiavo del peccato.
Or lo schiavo non dimora per sempre nella casa: il figlio vi dimora per sempre.
Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi
(Giovanni 8:34-36).

La liberazione, cui si riferisce il testo di Giovanni, riguarda essenzialmente l’opera di salvezza che Gesù Cristo compie nella vita di chi lo accetta e crede nel Suo Nome. Mentre, la liberazione cui parla Paolo, riguarda l’evento escatologico, cioè quando Gesù ritornerà. Sarà in quell’occasione che si verificherà quello l’apostolo afferma, cioè: che la creazione che aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio, sarà liberata per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio.

Perora i figli di Dio non sono riconosciuti come tali dall’umanità, ma quando saranno manifestati, (e questo avverrà principalmente nel tempo del regno di Cristo in sulla terra, in cui i credenti regneranno con Lui) l’umanità li riconoscerà per quelli che effettivamente sono, e, sarà allora che la creazione sarà liberata dalla “schiavitù della corruzione” per entrare nella gloriosa libertà dei figli di Dio.

È vero che quello che Paolo afferma, a modo di una profezia che riguarderà il futuro della creazione, non si trovi in nessun altro posto del N.T. in particolare, da permettere di fare confronti, per capire che cosa effettivamente intendeva dire Paolo; questo però non significa che l’affermazione dell’apostolo non sia vera, come una qualsiasi profezia ispirata dallo Spirito Santo. Paolo definisce “gloriosa” la manifestazione dei figli di Dio, perché sarà impregnata dalla gloria divina che si riverserà su di loro, e, la creazione stessa, non solo la potrà chiaramente vedere, ma ne godrà anche i benefici.

Parlando, infine, del “travaglio”, Paolo precisa che non è solamente la creazione che si trova in quella condizione, ma lo sono anche i figli di Dio, che vivono nel presente, cioè ora, che, pur avendo le primizie dello Spirito, gemono dentro di loro, aspettando l’adozione, la redenzione del loro corpo. In questo discorso, infine, l’apostolo si include nel numero dei figli di Dio, usando il pronome personale “noi”, che aspetta la redenzione dei loro corpi.
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28/10/2010 04:25

vv. 24-27

24 Poiché siamo stati salvati in speranza. Or la speranza di ciò che si vede, non è speranza; difatti, quello che uno vede, perché lo spererebbe ancora?
25 Ma se speriamo ciò che non vediamo, l’aspettiamo con pazienza.
26 Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili;
27 e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio.


Il v. 24 mette in evidenza la salvezza del credente in “speranza” ed è con riferimento a quello che non si vede. Pur avendo

«le primizie dello Spirito, dobbiamo ancora gemere è comprensibile quando si ricorda che anche noi siamo stati salvati in speranza, vale a dire, per quanto l’azione salvifica di Dio ha già avuto luogo, il suo effetto definitivo, il poter gustare la nostra salvezza, rimane ancora nel futuro» [C.E.B. Cranfiel, La lettera di Paolo ai Romani (Capitoli 1-8), pag. 245).

Giustamente Paolo afferma che, quello che si vede, non è speranza. Perché l’apostolo fa questa precisazione? Perché in effetti, la speranza, non è basata su ciò che si vede, bensì su ciò che non si percepisce. Se la speranza fosse basata su ciò che si vede, giustamente l’apostolo dice: perché si spererebbe ancora? È chiaro dunque che, la speranza, ha a che fare, non solo su ciò che non si vede, ma ha soprattutto le sue radici nel futuro. Questo pensiero si armonizza con un altro testo dello stesso Paolo, in cui chiarisce meglio la questione: mentre abbiamo lo sguardo intento non alle cose che si vedono, ma a quelle che non si vedono; poiché le cose che si vedono sono per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne (2Corinzi 4:18).

Se le cose che si vedono sono solo “per un tempo”, (e la nostra stessa esistenza terrena dura per un certo numero di anni) com'è possibile pensare alla nostra salvezza limitata nel tempo, quando essa è destinata per l’eternità, cioè senza limitazione di tempo?

L’attesa del credente, non rappresenta un’incognita, nel senso che non si conosce il futuro. Sì sa, infatti, che la speranza cristiana, oltre ad essere paragonata a un’ancora sicura, questa speranza che noi abbiamo è come un’ancora sicura e ferma della nostra vita, e che penetra fin nell’interno del velo (Ebrei 6:19), è principalmente fondata sulle promesse divine, e Gesù precisa:

«Il vostro cuore non sia turbato; abbiate fede in Dio, e abbiate fede anche in me!
Nella casa del Padre mio ci sono molte dimore; se no, vi avrei detto forse che io vado a prepararvi un luogo?
Quando sarò andato e vi avrò preparato un luogo, tornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io, siate anche voi;
e del luogo dove io vado, sapete anche la via»
(Giovanni 14:1-4).

Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà (Giovanni 12: 26).

La speranza del credente, oltre ad essere fondata sulla Parola del Signore, non è cieca, ma certa; perciò il fedele l’aspetta con pazienza. La pazienza, in questo caso, è molto importante, perché durante tutto il tempo del nostro pellegrinaggio, si incontrano tante prove e difficoltà, che ci permetterà di non venir meno e di non perderci d’animo.

Nei vv. 26-27, Paolo passa ad illustrare l’azione che compie lo Spirito Santo nella vita del credente, durante la sua permanenza sulla terra. Sappiamo che lo Spirito di Dio, svolge diverse attività, in favore dei figli di Dio, l’apostolo ne menziona alcune.

1) L’aiuto alla nostra debolezza.

v. 26a, Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza..., non si riferisce solamente alla preghiera, ma include anche tutto il problema della debolezza umana. La debolezza, fa parte del bagaglio della natura umana e il credente non è escluso. C’è però una notevole differenza tra chi è un seguace di Gesù e chi non lo è. Il discepolo di Gesù, quando viene assalito dalla debolezza umana, lo Spirito Santo lo soccorre quando gli mancano le forze. Lo stesso Paolo, in un’altro passo delle sue epistole afferma: perciò io mi diletto nelle debolezze, nelle ingiurie, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle avversità per amore di Cristo, perché quando io sono debole, allora sono forte (2 Corinzi 12:10). Anche se la sua affermazione si riferisce a lui stesso, per quello che egli passava nella sua vita ministeriale, nondimeno, le sue parole servono per darci una buon'indicazione e per ricordarci quel che fa lo Spirito Santo nella vita di ogni cristiano.

2) Aiuto nel nostro modo di pregare.

v. 26b, perché non sappiamo pregare come si conviene...

Il modo di pregare come si conviene, non è qualcosa che l’uomo può escogitare, formulando belle parole, espressioni reverenti e correttezza grammaticale. Questo tipo di pregare, è quello che generalmente fanno gli ipocriti, cioè le persone che non sono sincere e che nella loro vita, non c’è armonia tra l’esterno e l’interno, che appaiano santi e devoti davanti agli uomini, ma non sono tali davanti a Dio. La preghiera che ispira lo Spirito Santo, è quella che sale al cospetto del Signore e sulla quale Dio esprime il suo compiacimento e dona al richiedente quello che domanda.

Il prof. Cranfield, la frase greca che la N.R. ha tradotto non sappiamo pregare come si conviene, la rende “non sappiamo per che cosa è giusto pregare” e consiglia che «potrebbe essere resa altrettanto correttamente con «che cosa pregare», per quanto riguarda l’aspetto grammaticale; ma forse è più probabile che il significato paolino sia: «per che cosa è giusto pregare». Comunque, qualunque sia il significato dell’espressione greca che l’apostolo adopera, è certo che lo Spirito Santo, ci aiuta nel nostro modo di pregare.

3) L’intercessione dello Spirito di Dio.

v. 26c ma lo Spirito intercede per noi con sospiri ineffabili.

Se lo Spirito Santo svolge l’attività di intercedere davanti a Dio a favore dei santi, è essenzialmente perché Egli, identificandosi con i vari bisogni del credente, li aiuta nel presentare le varie richieste a Dio. A sua volta Dio, che è senza dubbio l’esaminatore dei cuori, conosce il desiderio del Suo Spirto, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio (v. 27).
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03/11/2010 16:27

vv. 28-30

Con i vv. 28-30 si chiude il secondo paragrafo intorno alla “gloria futura”.

Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.
Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli;
e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati.


Il noi sappiamo, è senza dubbio un’espressione di certezza, che i figli di Dio manifestano, davanti agli eventi della vita quotidiana, che non sempre sono favorevoli al cristiano, seguace di Gesù. Come si arriva a questa consapevolezza, è una domanda che potremmo porre, per cercare di capire il pensiero di Paolo, visto che con il pronome personale plurale “noi”, l’apostolo si include. La conoscenza su cui è basata la certezza del nostro testo, non si manifesta nella vita del credente, all’inizio della sua esperienza cristiana. Sì sa, infatti, che quando una persona abbraccia la fede cristiana, cioè accetta per fede Gesù Cristo nella sua vita, non c’è tanta conoscenza di Dio e della Sua Parola. Ragione per cui, non è facile che nella mente del nuovo convertito, ci sia quella certezza di “sapere” che tutte le cose cooperano al bene. Questa certezza, però, percorrerà strada nella sua vita, man mano che la sua fede nel Signore si svilupperà, da arrivare alla comprensione che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio.

Camminare con il Signore, è un'esperienza meravigliosa che aiuta la persona ha conoscere la fedeltà di Dio in ciò che Egli dice nella Sua Parola, e rendersi conto come Lui si prende cura della nostra esistenza, dei nostri bisogni e dell’auto che ci dà nelle difficoltà che si incontra nel nostro cammino di ogni giorno. Quando si arriva a quella comprensione che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, l’esperienza cristiana non solo si arricchisce di nuove prospettive, ma anche le prove e le avversità che si incontrano, contribuiscono ad inquadrarle in una visione diversa, visto che si tiene presente che il nostro Signore, si prende cura dei suoi.

In che modo tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio? Sicuramente nel senso che è Dio stesso che li fa cooperare al bene per chi lo ama. Questo significa che, per chi non lo ama, non si verificherà quello che afferma l’apostolo. Per approfondire l’argomento, ai fini di comprendere meglio questa meravigliosa verità, ci serviamo della storia di un personaggio dell’A.T., di nome Giuseppe, figlio di Giacobbe.

Di questo splendito personaggio, non solo il libro della Genesi ci fornisce la sua biografia, ma ci fa conoscere anche le doti che possedeva, e, soprattutto la fedeltà che manifestava verso il suo Dio. Nonostante che Giuseppe avesse queste buone caratteristiche, durante gli anni della sua vita, prima che diventare il vice re del paese d’Egitto, attraversò tante peripezie che, solo la bontà e la fedeltà del suo Dio, l’ha potuto mantenerlo fermo nel sentiero della santità.

Fin dalla sua giovinezza, ha dovuto costatate l’odio e l’invia dei suoi fratelli, a motivo dell’amore particolare che suo padre Giacobbe, gli riservò, specialmente con la “vesta lunga fino ai piedi” che gli diede.

Fu spogliato dai suoi fratelli dalla veste lunga che indossava, gettato dentro un pozzo, venduto per venti siscli d’argento ad una carovana d'Ismaeliti; portato in Egitto e venduto come uno schiavo a Potifar. La moglie di questo funzionario egiziano lo accusò di molestia sessuale, perché Giuseppe non volle mai acconsentire ai suoi morbosi desideri carnali, che lo sollecitava giornalmente ad andare a letto con lei. A causa di ciò, fu messo in prigione e vi rimase per due anni, senza aver commesso niente che meritava questo trattamento. Per divina volontà di Dio, diventò il Governatore Generale di tutto il paese d’Egitto, e quando gestì i sette anni di carestia, in cui le persone di vari paesi, andava in Egitto per comprare il grano, si fece riconoscere dai suoi fratelli, che avevano riferito al loro padre che Giuseppe era stato sbranato da una bestia feroce.

Dopo tanti anni di permanenza nel paese d’Egitto, con tutta la famiglia di suo padre, arrivò il giorno della morte di Giocobbe, e, dopo che Giacobbe venne seppellito nel paese di Canaan, i fratelli di Giuseppe, riconoscendo tutto il male che gli avevano fatto, mandarono un’ambasciata a Giuseppe, per dirgli:

Perciò mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre, prima di morire, ordinò:
"Dite così a Giuseppe: Perdona ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del male". Ti prego, perdona dunque ora il misfatto dei servi del Dio di tuo padre!» Giuseppe, quando gli parlarono così, pianse.
I suoi fratelli vennero anch’essi, si inchinarono ai suoi piedi e dissero: «Ecco, siamo tuoi servi»
(Genesi 50:16-18).

La risposta che Giuseppe diede fu:

Giuseppe disse loro: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio?
Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso
(Genesi 50:19-20).

Ecco, un uomo che ha compreso come Dio fa volgere tutte le cose in bene per chi lo ama!

Con i vv. 29-30, perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli;

e quelli che ha predestinati li ha pure chiamati; e quelli che ha chiamati li ha pure giustificati; e quelli che ha giustificati li ha pure glorificati.

L’apostolo Paolo, tratta un argomento che ha fatto discutere molto, e sul quale non c’è unanimità d’interpretazione in mezzo alla cristianità: “La dottrina della predestinazione”.

Fin dal XVI ° secolo, quando Giovanni Calvino spiegò al mondo cristiano, come doveva essere intesa la dottrina della predestinazione, (e lo fece con forza e con una determinazione eccezionale), a parte che incontrò una forte resistenza in mezzo alla cristianità, addirittura ci sono stati tanti che l’hanno definita una dottrina eretica, tuttavia, tanti l’hanno accettata, e, da allora, fino ai nostri giorni, c’è una forte insistenza da parte di chi la condivide e la sostiene, e ampi dibattiti si svolgono a tutti i livelli, soprattutto su internet, da ambo le parti. Ultimamente in Italia, è stato pubblicato un libro, da Alfa & Omega, dal titolo “Soli Deo gloria” di Joel R. Beeke, che tratta i famosi cinque punti della dottrina calvinista, in maniera dettagliata, che sono:

* Depravazione totale
* Elezione incondizionata
* L’estensione dell’espiazione
* Espiazione definita
* Grazia irresistibile e chiamata efficace.


Bisogna dire subito che non è un argomento che chiunque può affrontare, per il semplice fatto che richiede una profonda conoscenza delle Scritture e una buona conoscenza della lingua greca.

I due termini greci presenti nei due versi in questione, sono: proeguô da progenôskô e proôrise da prorizo. Il primo è riferito alla prescienza di Dio, indica semplicemente l’antivegenza divina. Nell’accezione, conoscere prima [R. Bultmann, GLNT, Vol. 2, colonne 532-535], il secondo prestabilire, predeterminare, predestinazione [K.I. Schmidt, GLNT, Vol. XVIII, colonne 1278-1280].

Con queste notizie che fornisco, non intendo affrontare l’argomento in questione, sia perché ci sono state ampie discussioni in altri forum, e anche perché non sono versato per la polemica; mi limiterò semplicemente a mettere in risalto quello che interessa al comune credente.

I vv. 29-30 del capitolo 8 dell’epistola di Paolo ai Romani affermano che, Dio, in virtù dell’attributo dell’onniscienza che Egli solo possiede, conosceva noi credenti, non solo prima della nostra nascita, ma addirittura prima della fondazione del mondo. Davanti a questa divina conoscenza, non ci resta a ripetere le stesse parole che scrisse Paolo:

ma quando la perfezione sarà venuta, (che sicuramente non sarà sulla terra) quello che è solo in parte, sarà abolito.
Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino.
Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto
(1Corinzi 13:10-12).

Dio ha messo un modello davanti a noi, che è quello di Suo Figlio, Gesù Cristo, allo scopo di essere conformi all’immagine del Figlio suo. Infine, l’apostolo ci informa che quelli che Dio ha conosciuto prima della fondazione del mondo, li ha pure chiamati, (per apprendere la sua grazia e il Suo amore), li ha giustificati, cioè liberati e perdonati dai loro peccati, e glorificati, cioè pronti per vivere nel cielo con Lui.
[Modificato da Domenico34 04/11/2010 16:31]
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07/11/2010 02:06

3) IL TRIONFO DELLA FEDE (8:31-39)

31 Che diremo dunque riguardo a queste cose? Se Dio è per noi chi sarà contro di noi?
32 Colui che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per noi tutti, non ci donerà forse anche tutte le cose con lui?
33 Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio è colui che li giustifica.
34 Chi li condannerà? Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi.
35 Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?
36 Com’è scritto: «Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno; siamo stati considerati come pecore da macello».
37 Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati.
38 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future,
39 né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore.


Quali sono “le cose” cui si riferisce Paolo nel v. 31? Senza dubbio, quelli che ha detto in precedenza nei vv. che abbiamo esaminato.

Nella sezione riguardante il “Trionfo della fede”, l’apostolo lascia intendere di trovarsi davanti a un tribunale con la parte avversa determinata ad impedire il corso del cammino dei figli di Dio. Però, se si tiene presente, come punto fermo, che Dio sta dalla parte dei Suoi figli, si potrà giustamente affermare che non ci sarà nessuna forza nemica che potrà prevalere sui seguaci di Gesù. La sicurezza dei credenti è fondata sulla fedeltà di Dio. Se il Signore è con loro, (ed Egli non è venuto mai meno) i credenti potranno continuare il loro cammino di fede, e cantare con le stesse parole che usò Davide: Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, io non temerei alcun male, perché tu sei con me... (Salmo 23:4).

A cominciare dal v. 32, Paolo comincia a spiegare perché il credente non si deve far intimorire dalla presenza della forza nemica, ma deve continuare a mantenere ferma la sua certezza in Dio, il solo che potrà garantire la vittoria finale. L’apostolo precisa che Dio non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi. Certo, c’è una notevole differenza quando Dio chiese ad Abrahamo di offrirgli in sacrificio suo figlio, Isacco, che in un secondo tempo venne risparmiato, e al suo posto venne offerto un montone (Genesi 22. Questo, però, non accadde per Gesù, il Figlio di Dio, quando venne deciso di mandarlo sulla terra. Si potrebbe chiedere perché? La risposta è molto semplice: non c’èra nessuno, in tutto l’Universo, compreso il cielo, che avrebbe potuto prendere il posto di Gesù, e morire per il peccatore. Infatti, la missione di Gesù sulla terra, non consisteva solamente nella proclamazione del “regno di Dio”, — cosa che Egli fece chiaramente fin dal principio del suo pubblico ministero —, ma principalmente nell’offrire se stesso, in offerta e sacrificio a Dio (Efesini 5:2), per procurare la salvezza al peccatore.

Gesù, era l’unico che rispondeva in pieno ai requisiti divini. In Lui, infatti, non c’era nessuna forma di peccato; era l’agnello di Dio senza difetto, il solo che poteva sostenere il giudizio divino che si sarebbe abbattuo su di Lui, per il semplice fatto che Egli si sarebbe dovuto caricare il fardello del peccato dell’intera umanità, e espiarlo sulla croce. Quando si pensa che per attivare questo piano, Dio ha dovuto far diventare peccato Suo Figlio, — e questo avvenne alla croce — affinché noi” (i peccatori salvati per grazia) “diventassimo giustizia di Dio in lui (2Corinzi 5:21).

Ecco perché Dio non ha risparmiato suo Figlio, ma lo ha dato per tutti noi. Il pensiero di Paolo è in piena armonia con quello dell’apostolo Giovanni:

Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3:16).

In conseguenza di ciò, rientra nella logica di Paolo (in perfetta armonia con i desideri divini) che, se Dio non ha risparmiato Suo Figlio, come non ci donerà tutte le cose con Lui? Questa domanda dell’apostolo, trova il pieno consenso in noi, quando pronunciamo un deciso e fermo: Amen!

Nei vv. 33-34, Paolo fa due osservazioni sotto forma di due domande: Chi accuserà gli eletti di Dio? Chi li condannerà? Perché l’apostolo fa queste domande? Egli, probabilmente, mentre scriveva, si sarà ricordato la storia di Giobbe e di quello che fece Satana nei suoi confronti. Più tardi, l’apostolo Giovanni, in Apoclisse 12:10, definirà Satana laccusatore dei nostri fratelli; avrà anche avuto davanti a sé persone che si son levate, con le loro accuse, contro i credenti. Pur tenendo presente questi elementi e senza fare nomi specifici, egli ha davanti a sé, non tanto l’azione accusatrice, sia di Satana che degli uomini, quanto l’azione giustificatrice di Dio, nei confronti degli eletti. Quando poi chiede: Chi condannerà questi eletti di Dio? Nella risposta che dà, mette in risalto la morte di Gesù Cristo, la sua risurrezione e la sua intercessione alla destra di Dio. Perché l’apostolo articola in questo modo la sua risposta? Perché lui conosce il valore e l’importanza che ha assunto la morte e la risurrezione di Cristo, in favore di chi ha creduto nel Suo Nome e che si trova sotto il tiro del diavolo.

1) Con la Sua morte, Gesù ha tolto la condanna che gravava sopra i credenti, a motivo dei loro peccati; avendola scontata Lui stesso sulla croce, quando ha subito nel Suo corpo, il giudizio severo di Dio; di conseguenza, dirà lo stesso Paolo in 8:1, non c’è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.

2) La risurrezione di Gesù dai morti, è il segno evidente che il Suo sacrificio è stato accettato da Dio, l’opera della redenzione è stata portata a compimento ed ha avuto la sua felice conclusione.

3) L’intercessione che Gesù svolge alla destra di Dio, rappresenta la migliore garanzia d’interessamento che Gesù ha per chi crede nel Suo Nome e lo accetta nella sua vita come il suo personale Salvatore. Inoltre, l’intercessione di Gesù, non solo parla del Suo interessamento in favore dei figli di Dio, ma mette anche in evidenza il ruolo di “avvocato” che Egli svolge in favore dei Suoi seguaci. 1Giovanni 2:1, l’afferma chiaramente: Figlioli miei, vi scrivo queste cose perché non pecchiate; e se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto.

Con i vv. 35-39, l’apostolo oltre a formulare altre due domande, chiude il suo discorso concernente il trionfo della fede.

Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Sarà forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? La risposta alle due domande, è un ferno no!

Perché Paolo formulò queste due ultime domande? Alla prima domanda risponde lui stesso, con la citazione di un testo dell’A.T.,

Com’è scritto: «Per amor di te siamo messi a morte tutto il giorno; siamo stati considerati come pecore da macello», (cfr. Salmo 44:22).

Mentre alla seconda domanda, risponde con la certezza che:

Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati. Il trionfo finale della fede, non è basato sulla valorosità del credente, ma affonda le sue radici unicamente sull’amore di Dio.

Infine, i vv. 38-39 Infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né cose presenti, né cose future,
né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potranno separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù, nostro Signore
,

esprimono in manira ferma e decisa la certezza che, non ci sarà nessuna cosa (compreso la morte, che è l’ultimo nemico), che potrà separare il credente dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù.








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