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Domenico34 - LA FEDE - XVII. La fede di Jefte

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    Domenico34
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    Età: 90
    Sesso: Maschile
    00 09/01/2011 14:48
    Capitolo 17



    LA fede DI JEFTE



    La fede di Jefte, viene messa in risalto da Ebrei 11:32-34; il relativo racconto della sua azione eroica è des-critta nel libro dei Giudici nel capitolo undici e nel capitolo dodici si fa menzione di lui per la battaglia che ci fu tra i Galaaditi e gli Efraimiti.

    1. CHI ERA JEFTE

    Or Jefte, il Galaadita, era un uomo forte e valoroso, figlio di una prostituta, ed era stato generato da Galaad (Giudici 11:1).

    Jefte, in Ebraico yiptah, probabilmente abbreviazione di yiptah-El, “Dio apre (il seno)”; in Sabeo si trova come nome proprio. La sua provenienza da una prostituta, gli causò tanti guai nell’ambito della stessa famiglia, a tal punto, che venne addirittura scacciato dalla casa di suo padre, dagli stessi i suoi fratelli.

    Siccome Jefte era un uomo forte e valoroso, nel giro di poco tempo, venne a trovarsi a capo di un gruppo di uomini di nessun valore, nel paese di Tob, dove si era rifugiato (Giudici 11:2-3). Le prime considerazioni che si possono fare su Jefte dai primi tre versi del capitolo undici, sono le seguenti.

    a) La sua nascita da una prostituta

    Per quanto riguarda la nascita di Jefte da una prostituta, non c’è certamente da addebitare a lui la responsabilità morale, ma unicamente alla madre. Siccome lui ne era il figlio, venne così coinvolto nell’immoralità della mamma e la vergogna della condotta della madre, pesò inesorabilmente sulla sua vita.
    Da quello che possiamo capire dal testo, ci sembra che la madre di Jefte (il suo nome è sconosciuto), si sia prostituita prima di avere avuto rapporti sessuali con Galaad, dal quale nacque Jefte.

    Indipendentemente dalla vera responsabilità morale, si potrebbe obbiettare come mai Dio si serva di un uomo che porta con sé la vergogna di un cattivo pudore, a causa della mamma naturalmente, per liberare Israele dagli Ammoniti.
    Questa è una delle tante cose che noi uomini non riusciamo a capire e a valutare nella sua vera dimensione; ma è certo però, che in questo, si può vedere la manifestazione della benignità e della misericordia di Dio, in favore dell’uomo peccatore.

    b) Le caratteristiche di Jefte

    Il fatto che di Jefte si affermi che era un “uomo forte e valoroso”, è già una prova che quest’essere umano manifestava le sue capacità nell’ambito della sua famiglia e fuori di lei. Questo però non vuol affermare che Jefte era un uomo di litigi, da fomentare contrasti, e intromettersi nelle faccende altrui, in virtù della sua forza fisica, per mettere in mostra le sue reali capacità.
    Che la sua forza e il suo valore, si siano manifestati in diverse occasioni, appare probabile, anche perché una simile caratteristica non si rivela per intuito, ma si manifesta secondo particolari situazioni. Non sembra che queste buone qualità che Jefte aveva, siano state debitamente valutate ed apprezzate, principalmente nell’ambito della sua stessa famiglia, nella quale visse per tanti anni.

    Probabilmente venivano considerate com’elementi di volere emergere sopra gli altri componenti della famiglia, e non com’elementi che avrebbero potuto contribuire per il bene di tutti. Non c’è cosa peggiore, sia nell’ambito di una famiglia, sia in quello di una Comunità come anche di una Società, quando le caratteristiche di una persona, che potrebbero contribuire al bene comune, non sono considerate e giustamente apprezzate.

    c) L’esplulsione di Jefte dalla famiglia

    Jefte, visse per tanti anni, (non sappiamo esattamente quanti) assieme ai suoi fratelli, figli dello stesso padre, sotto lo stesso tetto. Quando però questi
    divennero adulti, scacciarono Jefte e gli dissero: Tu non avrai eredità in casa di nostro padre, perché figlio di un’altra donna (Giudici 11:2).

    Indubbiamente, l’età della maturità dei fratelli di Jefte, li portò a considerare la provenienza del loro fratello, e costatato il fatto che proveniva da una donna prostituta, non se la sentirono di continuare a vivere con lui, nella stessa casa e considerarlo uno di loro.
    L’ingiustizia che subì Jefte, dai suoi fratelli, non aveva niente a che vedere con la sua personale condotta; riguardava solamente il comportamento della sua mamma. Ma a dover essere obbiettivi, i fratelli di Jefte, avrebbero dovuto includere nello scandalo, anche il loro legittimo padre, perché da lui, quella prostituta, ebbe Jefte, il loro fratello.

    Non viene però mosso nessun rimprovero nei confronti di Galaad, e tutta la vergogna di una condotta immorale del passato, viene fatta ricadere unicamente sulla vita di Jefte. Era un’evidente ingiustizia, quella dei fratelli di Jefte! Non tenendo in considerazione in nessun modo, la condotta del loro fratello, finirono col “scacciarlo” dalla loro casa.
    La parola scacciare, denota in se stesso un’azione violenta, e non lascia spazio ad un minimo di tolleranza e di compassione.

    Un simile atteggiamento, è intollerabile dal punto di vista cristiano, perché non esiste nessuna morale cristiana che possa giustificare un simile atto, a tutti i livelli.
    Si dice comunemente che quando si arriva all’età della maturità, si capisce di più, e di più si dovrebbe sopportare e tollerare certe cose.

    Quello che maggiormente si dovrebbe mettere in risalto, con l’età della maturità, è il senso di giustizia che dovrebbe prevalere, su certe particolari situazioni. In pratica, però, spesso si verifica l’opposto. Questo naturalmente, va a scapito della spiritualità e dei sani principi del vangelo.
    d) La nuova situazione di Jefte dopo essere stato scacciato. Da quello che si legge nel testo sacro, circa gli uomini di nessun valore, si deduce che egli divenne il capobanda di quelle persone. Non ci sembra, però, definirlo come “un capo-brigante”, e un simile giudizio appare troppo severo per farlo apparire un uomo che sa educare sua figlia nel timore di Dio.
    Condividiamo l’osservazione che fa R. Pache: «Sarebbe però errato presentarlo come un predone fuorilegge, perché non era privo di senso morale e non compiva spedizioni ingiustificate». [R. Pache, Nuovo Dizionario Biblico, 472]

    Per quanto riguarda gli uomini di nessun valore che si raccolsero intorno a Jefte, c’è una certa somiglianza con i circa quattrocento uomini che si radunarono presso di Davide, nella caverna di Adullam (1 Samuele 22:1-2).
    Con la nuova situazione che si determinò nella vita di Jefte, e soprattutto in veste di capo, le sue doti di forte e valoroso, saranno state messe al servizio di quelle persone, e probabilmente ingrandirono il suo prestigio, e nello stesso tempo prepararono gli eventi successivi.

    2. JEFTE CHIAMATO PER LIBERARE I FIGLI D’ISRAELE DAGLI AMMONITI

    Qualche tempo dopo i figli di Ammon mossero guerra ad Israele.
    Quando i figli di Ammon iniziarono a far guerra contro Israele, gli anziani di Galaad andarono a cercare Jefte nel paese di Tob;
    e dissero a Jefte: Vieni e sii nostro capitano, per combattere contro i figli di Ammon
    (Giudici 11:4-6).


    Senza che Jefte cercò una posizione di prestigio, e forse neanche lo pensava addirittura gli venne offerta la posizione di capitano del popolo d’Israele, a condizione che accettasse di combattere contro i figli di Ammon.
    È probabile che nel numero di quelle persone che andarono a cercare Jefte, che la Bibbia chiama gli anziani di Galaad, ci fossero anche i suoi fratelli. Dalla risposta che Jefte diede, abbiamo la certezza che, almeno qualcuno di loro, faceva parte di quella delegazione.

    Ma Jefte rispose agli anziani di Galaad: Non mi avete voi odiato e scacciato dalla casa di mio padre? Perché venite da me ora che siete nell’avversità? (Giudici11:7).

    Il riferimento dell’odio e dello scacciamento, era sicuramente rivolto ai fratelli di Jefte; non avrebbe avuto nessun senso, se fosse stato rivolto a persone che non avevano avuto niente a che fare con la sua espulsione dalla casa di suo padre.
    Inoltre, dalle parole di Jefte, sappiamo che i suoi fratelli lo odiavano, mentre si trovava con loro. Un simile atteggiamento, oltre a denotare ostilità, non può essere giustificato in nessun modo, da tutti quelli che vogliono obbedire alle norme di Dio, rivelate nella Sua Parola.

    Ora, però, davanti ad una precisa minaccia del nemico, dato che i figli di Ammon avevano iniziato a far guerra contro Israele, e visto che tra gli Israeliti non ci sono uomini “valorosi” che possano affrontare quella situazione; in un certo senso gli anziani di Galaad, sono costretti a ricorrere a Jefte, perché vedono in lui, l’uomo adatto in quel particolare bisogno.
    Dio volge le cose in maniera tale, che quello che ha programmato, possa avere il suo adempimento. Sono significative le parole che gli anziani di Galaad pronunciarono davanti a Jefte:

    È proprio per questo che siamo tornati ora da te, affinché tu venga con noi a combattere contro i figli di Ammon, e sii nostro capo su tutti gli abitanti di Galaad (Giudici 11:8).

    Quella clausola su tutti gli abitanti di Galaad, includeva naturalmente anche i fratelli di Jefte. Questo ci porta a pensare, non solo che nel momento del bisogno, Jefte viene riconosciuto per quello che è, ma viene anche evidenziato un diverso atteggiamento, causato principalmente da un radicale cambiamento. Là dove prima c’era stata l’ostilità e l’odio, ora si nota l’accoglienza e la sottomissione.

    Questo è veramente bello, e merita che sia messo in risalto, per apparire nella sua luminosità davanti a tutti. Lo stesso Jefte, non sapeva fino a quel giorno, lo comprese però in appresso, che era Dio che lo chiamava a quella particolare missione, in modo che per mezzo suo, potesse liberare il popolo d’Israele dall’aggressione degli Ammoniti. Nel giro di poco tempo, tra gli Anziani di Galaad da una parte, e Jefte dall’altra, venne raggiunto un accordo.
    Così Jefte, da persona ripudiata ed odiata che era, diventò il capitano di un popolo, e poté dedicare tutto se stesso, per assicurare una completa vittoria sugli Ammoniti.

    Si continuerà il prossimo giorno...
    [Modificato da Domenico34 09/01/2011 14:49]
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    Domenico34
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    00 10/01/2011 12:50
    3. L’AZIONE EROICA CHE JEFTE PORTA A COMPIMENTO

    Non appena Jefte entra nel pieno dei suoi poteri, non perde tempo a mettersi in contatto col re dei figli di Ammon, e attraverso i suoi messaggeri, gli fa pervenire il seguente messaggio:

    Che c’è fra me e te, perché tu venga contro di me a far guerra nel mio paese? (Giudici 11:12).

    Quando poi, dalla risposta che ricevette, Jefte venne a sapere che il re di Ammon accusava Israele di essersi impadronito del territorio Ammonita, ai tempi di Mosè, faccenda che risaliva a tantissimi anni addietro, ma che in realtà non era affatto vero, egli fece del tutto per convincere il re di Ammon che le cose non stavano com’egli affermava.
    Quando si rese conto che non c’era nessuna possibilità di cambiare l’ostilità e l’intransigenza di quel re, nell’ultimo messaggio che mandò, si appellò alla giustizia divina, con le seguenti parole:

    L’Eterno, il giudice, faccia ogni giustizia tra i figli d’Israele e i figli di Ammon (Giudici 11:27).

    Se il re dei figli di Ammon avesse ascoltato quel severo ammonimento, non ci sarebbe stato nessun bisogno che Jefte marciasse contro gli Ammoniti. Ma poiché quel re non volle ascoltare le sue parole, lo scontro si rese inevitabile.

    Allora lo Spirito dell’Eterno venne su Jefte, ed egli attraversò Galaad e Manasse, passò a Mitspah di Galaad, e da Mitspah di Galaad mosse contro i figli di Ammon (Giudici 11:29).

    A questo punto è importante dire qualche parola sull’atteggiamento di Jefte nei confronti del re Ammonita, prima che lo affronterà a mano armata. A nostro avviso, l’azione diplomatica che Jefte condusse, con una certa insistenza, per indurre il re di Ammon a desistere dalla sua iniziativa guerresca, merita di essere messa in risalto, per la manifesta volontà pacifica che era in quest’uomo.
    Questo non vuol dire affatto che Jefte aveva paura per misurarsi, militarmente parlando, con la forza dell’esercito del re Ammonita, e tanto meno che egli non era intenzionato a rispettare la condizione che gli anziani di Galaad gli posero, per costituirlo loro capitano.

    Jefte, sicuramente, prendendo in esame tutta la faccenda che si presentava davanti a sé, avrà detto in se stesso: se posso convincere il re dei figli di Ammon a desistere dalla sua volontà di fare guerra a Israele, e risolvere pacificamente la contenziosa questione che gli Ammoniti hanno sollevato, si potrà risparmiare lo spargimento di sangue, che la guerra immancabilmente porterà.
    Quest’iniziativa dimostra che, Jefte, nonostante era un uomo forte e valoroso, aveva buone intenzioni pacifiche. Il fatto poi che ce la mise tutta, in questa lunga trattativa, dimostra ancora una volta, che la sua effettiva volontà era quella di risolvere in maniera diplomatica, tutta la contenziosa questione che il re dei figli di Ammon aveva sollevato.

    4. JEFTE AFFRONTA A MANO ARMATA IL RE DEI FIGLI DI AMMON

    La frase: Allora lo Spirito dell’Eterno venne su Jefte, è particolarmente significativa, almeno per due cose.

    1) Il termine Allora, in se stesso denota un tempo ben preciso quando deve iniziare l’azione. Se nel tentativo diplomatico che Jefte condusse col re Ammonita si fosse raggiunto un pacifico accordo, lo Spirito dell’Eterno, non sarebbe venuto su Jefte, per muoverlo alla guerra.
    Ma visto che il lavoro diplomatico andò a monte, Dio non poteva rimanere indifferente davanti alla testardaggine del re Ammonita; doveva difendere il suo popolo, e lo fece, per mezzo di Jefte, uomo che Egli stesso aveva scelto.

    2) Jefte, nonostante fosse un uomo forte e valoroso, quindi un essere umano pronto e adatto per la guerra, lo Spirito dell’Eterno venne su da lui, per renderlo più forte, più valoroso e per renderlo invincibile, davanti alla minaccia Ammonita. Il detto della Scrittura:

    Non per potenza né per forza, ma per il mio Spirito, dice l’Eterno degli eserciti (Zaccaria 4:6),

    è valido e si applica a tutte le situazioni e ad ogni bisogno per ogni tempo. Questo principio biblico, non deve essere mai dimenticato dal popolo di Dio, soprattutto se si tiene conto di una delle tante promesse del Signore:

    Quando l’avversario verrà come una fiumana, lo Spirito dell’Eterno alzerà contro di lui una bandiera (Isaia 59:19).

    5. L’INFAUSTO VOTO DI JEFTE

    Ormai tutto è pronto per il grande assalto agli eserciti Ammoniti: lo Spirito dell’Eterno era venuto su Jefte, gli uomini di Galaad e di Manasse erano stati mobilitati. Prima però che la macchina bellica si mette in movimento, si legge:

    Jefte fece un volto all’Eterno e disse: Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon,
    ciò che uscirà dalle porte di casa mia per venirmi incontro quando tornerò vittorioso dai figli di Ammon, apparterrà all’Eterno, e io l’offrirò in olocausto
    (Giudici 11:30-31).

    La vittoria che Jefte riportò sugli Ammoniti, è chiaramente attribuita all’Eterno, secondo quello che si legge:

    Così Jefte marciò contro i figli di Ammon per far loro guerra, e l’Eterno glieli diede nelle mani (Giudici 11:32),

    ma non il voto che egli fece, dato che era in pieno contrasto con quanto la Legge proibiva (cfr. Deuteronomio 12:31; 18:10).
    Gli esegeti hanno cercato di spiegare l’imprudenza del voto di Jefte, pensando soprattutto ai versetti 38-40, per affermare che Jefte, date le circostanze, votasse la figlia non più ad essere offerta in olocausto, ma alla verginità perpetua; ma questa è una deduzione del tutto gratuita.

    Infatti, la chiara e concisa affermazione che egli fece di lei secondo il voto che aveva fatto (v. 39) ci dice appunto che in realtà lei fu sacrificata. Anche l’altra probabilità sostenuta da molti esegeti, cioè che Jefte forse l’ha riscattata con denaro (Levitico 27:1-8; Deuteronomio 18:9-12) e poi l’ha votata a perpetuo nubilato, non trova conferma, nelle parole del voto e io l’offrirò in olocausto (v. 31).

    Da quello che leggiamo nella Scrittura, appare evidente, dopo aver terminato il periodo di due mesi, durante il quale pianse la sua verginità sui monti, la figlia di Jefte venne offerta all’Eterno, secondo il voto fatto dal padre.
    Si è detto e scritto molto sul voto imprudente di Jefte, e qualcuno addirittura ha ventilato che quel giuramento veniva fatto per l’incertezza che aveva di riportare la vittoria sugli Ammoniti. Qualche altro ha messo in risalto il fatto che Jefte, dato che era mezzo cananeo, seguisse l’uso cananeo in quelle circostanze.

    Facendo una ponderata considerazione sul voto di Jefte, possiamo affermare che quest’uomo, aprì la sua bocca, con molta fretta e leggerezza, senza pensare e prevedere quello che sarebbe potuto accadere, nella sua stessa casa. Indipendentemente dal voto infausto che fece Jefte, resta sempre fermo il fatto, che quest’uomo, secondo lo scrittore agli Ebrei, fu uno degli eroi della fede.

    PS: Se ci sono delle domande da fare, fatele liberamente, e, da parte nostra saremo felici di rispondere.