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Domenico34 – Donne menzionate nella Bibbia – Capitolo 4. DONNE MENZIONATE NELLA BIBBIA SENZA NOME

Ultimo Aggiornamento: 03/10/2011 00:09
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09/09/2011 00:29


QUARTA PARTE


Capitolo 4




DONNE MENZIONATE NELLA BIBBIA SENZA NOME




Nota introduttiva

Dopo avere passato in rassegna i nomi delle varie donne menzionate nella Bibbia, in questo capitolo ci accingiamo a enumerare quelle che non hanno un nome. Lo scopo è duplice: fornire un elenco completo di tutto quello che la Bibbia riferisce intorno alle donne, e nello stesso tempo riflettere su alcune di loro, specie quelle che hanno una propria storia da raccontarci, dalla quale si possono ricavare notizie intorno al carattere e al loro comportamento.

Nel seguire alcune donne, in base alle notizie che la Bibbia riferisce di loro, bisogna essere prudenti, specie quando il testo biblico tace su alcuni aspetti particolari della loro vita. Anche per ciò che riguarda la fase interpretativa per spiegarla, la prudenza non sarà mai troppa. Questo, naturalmente, per evitare di correre il rischio di far dire alla Bibbia quello che essa non vuole affermare.

Infine, per quanto riguarda l’aspetto interpretativo, è molto importante tenere presente alcuni punti cardini, quali: evitare di forzare il testo biblico, curare la coerenza con altri passi scritturali in modo che tutto appaia omogeneo ed armonioso e, attenerci ad un'esegesi equilibrata e sostenibile. Tenuto conto che in questo capitolo si farà esclusivamente riferimento alle donne senza nome, per la loro trattazione seguiremo l’ordine dei libri della Bibbia.

LA MOGLIE DI CAINO

Il primo soggetto femminile che la Bibbia presenta senza il suo relativo nome, è la moglie di Caino. Di lei si parla solamente in un passaggio della Scrittura: Poi Caino conobbe sua moglie… (Genesi 4:17. La moglie di Caino, è stata sempre un assillo, attraverso i secoli, per i lettori della Bibbia, dal momento che si precisa che i primi figli nati da Adamo ed Eva, sono stati Caino ed Abele. Visto che dopo di loro, non si fa menzione di altri figli e figlie prima della moglie di Caino, giustamente si è chiesto: dov’era la moglie di Caino? Anche se la Bibbia tace a questo proposito, tuttavia, non è difficile intuire come sono potute andare le cose e cercare nello stesso tempo di capire la questione, dando nel frattempo una spiegazione accettabile, almeno sul piano della logica umana.

Il fatto stesso che si affermi che Caino conobbe sua moglie, è una prova che questa donna, non solo esisteva in quel tempo, ma che era nata da diversi anni. Era una sua sorella, cioè figlia di Eva, oppure una sua nipote? Siccome non si è potuto rispondere con precisione né per l’una né per l’altra ipotesi, la logica più coerente ci porta ad ammettere che, se non era una sua sorella, doveva essere una sua nipote. Non ci sono altre alternative alla questione.

Anche se, l’ipotesi della sorella potrebbe essere avvalorata da (Genesi 5:4) in cui si afferma che dopo la nascita di Set, Adamo visse ottocento anni e generò figli e figlie, non sapremmo precisare, per amore di correttezza, se questa notizia, si riferisce dopo o durante questi anni. Dal momento che si sa che tutto il tempo che Adamo visse fu di novecentotrent’anni, non è fuori della logica pensare che dopo gli ottocento anni, Adamo abbia potuto generare figli e figlie, come anche non si può escludere che i figli e le figlie, di cui parla (Genesi 5:4), siano stati generati durante gli ottocento anni di vita. Tenuto conto che quando nacque Set, Adamo aveva centotrent’anni (Genesi 5:3), non si può però precisare l’età che aveva quando nacque Caino [Quando si parla dell’età di Adamo, il computo va fatto senza dubbio dopo che egli, con sua moglie, furono cacciati dal giardino d’Eden. Quanti anni vissero i nostri progenitori nel giardino d’Eden prima di peccare ed essere cacciati fuori, non ci viene detto; neanche sappiamo l’età che avevano, quando nacque Caino, il primo figlio].

Tutti gli anni che Adamo ed Eva vissero e quello che accadde nella loro vita, dopo la nascita di Caino, fino a quella di Set, (riguardante la nascita di altri figli), non si conosce, per il semplice fatto che dal testo biblico, non si ricava nessuna precisa indicazione.

Pertanto, non si può neanche stabilire, quanti anni aveva Caino quando si allontanò dalla presenza del Signore e si stabilì nel paese di Nod (Genesi 4:16) e quanti ne aveva quando si sposò. Tenendo presente tutto quanto si è detto fin qui, per forza di coerenza, la nascita della moglie di Caino, (che sia stata sorella o nipote) [Per R. Pache, Caino «ebbe per moglie una figlia o nipote di Adamo. In epoche molto lontane un matrimonio del genere non era considerato sconveniente (cfr. Gen. 11:27,29; 20:12. (cfr. Nuovo Dizionario Biblico, pag. 136. Anche Allen P. Ross, pensa che la moglie di Caino era «(senza dubbio una figlia di Adamo cfr. 5:4» (cfr. Investigate le Scritture, Antico Testamento, pag. 36] non sarà avvenuta quando Adamo aveva ottocento anni, ma molto tempo prima, (probabilmente prima della nascita di Set).

D’altra parte, non si può invocare la normativa di Levitico 18:9-10, perché in quel tempo non esisteva, per negare che la moglie di Caino non poteva essere né una sua sorella, né una sua nipote. Infine, se è vero quello che afferma il libro dei Giubilei (libro apocrifo dell’Antico Testamento) che «nel terzo settennio del secondo giubileo (Eva) generò Caino, nel quarto generò Abele e nel quinto generò la figlia Awan... E Caino prese per sé, in moglie, sua sorella Awan e costei, alla fine del quarto giubileo, gli generò Enoh...», si ha la conferma che la moglie di Caino era sua sorella [Paolo Sacchi, Apocrifi dell’Antico Testamento, Volume primo, Giubilei, IV, pagg. 233,235].

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LE FIGLIE DI ADAMO

Il riferimento alle figlie di Adamo si trova solamente in Genesi 5:4: Il tempo che Adamo visse, dopo aver generato Set, fu di ottocento anni ed egli generò figli e figlie.

Questo testo precisa solamente che, Adamo non ebbe solamente maschi, ebbe anche femmine. Quante figlie ebbe Adamo, non ci viene dato da sapere, come anche non viene fornito nessun nome di loro. Perché? Non lo sappiamo! Per conoscere qualche nome, dovremmo rivolgerci agli scritti apocrifi, come abbiamo riportato.

LE FIGLIE DI SET

Set visse centocinque anni e generò Enos.
Set, dopo aver generato Enos, visse ottocentosette anni, e generò figli e figlie.
Tutto il tempo che Set visse fu di novecentododici anni; poi morì
(Genesi 5:6-8).

LE FIGLIE DI ENOS

Enos, dopo aver generato Chenan, visse ottocentoquindici anni e generò figli e figlie (Genesi 5:10).

LE FIGLIE DI CHENON

Chenan, dopo aver generato Maalaleel, visse ottocentoquarant’anni e generò figli e figlie (Genesi 5:12).

LE FIGLIE DI MAALALEEL

E Maalaleel, dopo aver generato Iared, visse ottocentotrent’anni e generò figli e figlie (Genesi 5:16).

LE FIGLIE DI IARED

Iared, dopo aver generato Enoc, visse ottocento anni e generò figli e figlie (Genesi 5:19).

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LE FIGLIE DI ENOC

Enoc, dopo aver generato Metusela, camminò con Dio trecento anni e generò figli e figlie (Genesi 5:22).

LE FIGLIE DI METUSELA

E Metusela, dopo aver generato Lamec, visse settecentottantadue anni e generò figli e figlie (Genesi 5:26).

LE FIGLIE DI LAMEC

Lamec, dopo aver generato Noè, visse cinquecentonovantacinque anni e generò figli e figlie (Genesi 5:30).

Da Set fino a Lamec, per tutti loro, è ripetuta la frase: Generò figli e figlie, questo per indicarci che questi uomini non ebbero solamente figli ma anche figlie. Perché di tutte queste figlie non sono riferite i loro nomi, non sappiamo spiegarlo. Lo Spirito di Dio che ispirò l’autore del libro della Genesi, non ritenne utile farci conoscere i loro nomi.

LE FIGLIE DEGLI UOMINI

Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e furono loro nate delle figlie,
avvenne che i figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero fra tutte.
Il SIGNORE disse: «Lo Spirito mio non contenderà per sempre con l’uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni dureranno quindi centoventi anni».
In quel tempo c’erano sulla terra i giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi
(Genesi 6:1-4).

Questo tratto di Scrittura è stato oggetto di svariati dibattiti, che spesso non hanno dato risposte soddisfacenti. Tutto il dibattito si è sviluppato principalmente per sapere chi erano i figli di Dio [Allen P. Ross, Investigate le Scritture, Antico Testamento, pag. 36]. Inoltre, «sono stati oggetto di numerosissimi studi» [H. Haag, GLAT (Grande lessico dell’Antico Testamento), Vol. I, col. 1,680].

«La domanda, posta dagli inizi della chiesa fino ai giorni nostri, se i figli di Dio debbano essere intesi come esseri angelici o come uomini, cioè come dei membri della migliore umanità setita, può essere considerata come definitivamente risolta. I benê hâ’? lôhîm, figli di Dio — qui del resto chiaramente opposti alle figlie degli uomini — sono esseri del mondo celeste» [G. Von Rad, Genesi, pag. 143].

«Sono state proposte tre interpretazioni: 1. I grandi, i nobili. Le figliuole degli uomini sono donne di rango inferiore (così la vers. Samaritana, la trad. gr. di Simmaco, i Targum di Onkelos e di Gionathin). 2. Angeli che avevano abbandonato la loro condizione primiera ed avevano preso moglie fra gli uomini (libro di Enoc, Filone, Flavio Giuseppe, Giustino Martire, Clemente Alessandrino, Tertulliano). 3. Uomini pii, soprattutto discendenti di Seth, adoratori di Dio. Sedotti dalla bellezza di donne che non appartenevano alla loro stirpe, le sposarono e perdettero la loro spiritualità (interpretazione di Giuliano l’Africano, Crisostomo, Cirillo d’Alessandria, Agostino, Girolamo)» [R. Pache, in Nuovo Dizionario Biblico, pag. 316].

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11/09/2011 00:07

Riportiamo qui di seguito le parole di Giuseppe Flavio.

«Molti angeli di Dio si unirono a donne e generarono figli orgogliosi, disprezzanti ogni virtù, pieni di fiducia nella propria potenza; le stesse cose che i Greci attribuiscono ai giganti sono tramandate a proposito di costoro». Nella nota 24 si specifica: «L’antichità di questa leggenda nella tradizione giudaica è, con ogni probabilità, attestata anche dal passo della Gen. 6:1-6; ebbe comunque un notevole sviluppo nel Libro dei Giubilei, c. 5; e nel libro di Enoc, cc. 6-11. Causa del diluvio fu quindi la corruzione morale; l’unione di esseri umani con esseri superiori non dà origini a semidei, ma a esseri depravati» [G. Flavio, Ant. Libro I, 73, Volume primo, pagg. 59-60, nota 24].

Per quanto riguarda il libro apocrifo di Enoc, sappiamo che nel Nuovo Testamento ci sono diverse citazioni. Se alcuni scrittori del Nuovo Testamento lo citarono, vuol dire che per loro questo libro aveva valore. Giuda lo considerava ispirato (14-15).

Non fa stupore pertanto che si trovi citato con una certa frequenza negli scritti cristiani, almeno quelli più vicini alle origini. A parte le citazioni relativamente abbondanti di Enoc presso i padri, è interessante che per alcuni Enoc era un libro ispirato. Lo era per l’autore dell’Epistola di Barnaba; per Atenagora; per Clemente Alessandrino; per Ireneo, per Tertulliano. Addirittura quest’ultimo lo considerava Scrittura. Ecco cosa riferisce il libro di Enoc, a proposito di (Genesi 6:1-4).

«E gli angeli, figli del cielo, le videro, se ne innamorarono, e dissero fra loro: «Venite, scegliamoci delle donne fra i figli degli uomini e generiamoci dei figli» [Paolo Sacchi, Apocrifi dell’Antico Testamento, Volume primo, Parte II LIBRO DEI VIGILANTI, VI, pag. 472].

«Ed esse rimasero incinte e generarono giganti la cui statura, per ognuno, era di tremila cubiti». «E fa’ vivere la terra che gli angeli hanno corrotto».
«E il Signore disse a Gabriele: «Va contro i bastardi e i reprobi e contro i figli di meretrice e i figli degli angeli vigilanti!» «E distruggi tutte le anime del piacere e i figli degli angeli vigilanti perché hanno fatto violenza agli uomini!» Ibidem, VII, pag.473; X, pag. 477-480].

«Enoc, scrittore di giustizia, va’, annunzia agli angeli vigilanti del cielo che hanno abbandonato il cielo eccelso ed hanno agito come i figli degli uomini ed hanno tolto, per loro, le donne ed hanno commesso grande corruzione sulla terra» [Ibidem, Parte III, XII, pagg. 482-483].

Se abbiamo riportato questi passaggi, principalmente quelli della letteratura apocrifa, l’abbiamo fatto allo scopo di far conoscere al lettore come stanno le cose e perché, una delle tre proposte interpretative suesposte, fa esplicito riferimento a questa letteratura. Esaminiamo criticamente le tre proposte in questione.

1. I grandi, i nobili. Le figliuole degli uomini sono donne di rango inferiore (così la vers. Samaritana, la trad. gr. di Simmaco, i Targum di Onkelos e di Gionathin).

Lo stesso autore che riporta quest'interpretazione, riferisce che non è più in voga. Però, dovendo analizzare i termini di quest'interpretazione, non sapremmo spiegarci come I grandi, i nobili, possano essere qualificati come figli di Dio. Se questo fosse vero, equivarrebbe ad escludere ogni persona che non appartiene a questa categoria privilegiata. Per confutare quest'interpretazione, non ci vuole grand'erudizione; ci vuole semplicemente una discreta conoscenza della Parola di Dio. Non c’è un solo versetto nella Bibbia che sostienga che i figli di Dio, sono i grandi, i nobili. La frase figlie degli uomini, non allude a nessuna categoria speciale di donne. Ha semplicemente il senso che, tutti quelli di sesso femminile: ricchi o poveri, a qualsiasi ceto sociale appartengano, sono donne, nel senso che hanno la stessa natura femminile.

2. Angeli che avevano abbandonato la loro condizione primiera ed avevano preso moglie fra gli uomini.

La frase: Figli di Dio, (Ebr. bnj ‘ljm, «figli di Dio» negli scritti dell’Antico Testamento si trova sette volte e precisamente nei seguenti passaggi: Avvenne che i figli di Dio... (Genesi 6:2); ...quando i figli di Dio si unirono... (Genesi 6:4); Un giorno i figli di Dio vennero a presentarsi davanti al Signore... (Giobbe 1:6; 2:1); quando le stelle del mattino cantavano tutte assieme e tutti i figli di Dio alzavano grida di gioia? (Giobbe 38:7); Date al Signore o figli di Dio, date al Signore gloria e forza! (Salmo 29:1); Poiché chi, è paragonabile al Signore? Chi è simile al Signore tra i figli di Dio? (Salmo 89:6). Una sola volta al singolare br ‘lhin «figlio di Dio» (Daniele 3:25).

«È degno di nota il fatto che br non sia mai unito a jhwh. Queste espressioni sono da mettere in rapporto con le concezioni antico-orientali dell’assemblea degli esseri divini o celesti. I bnj h’lbjm di Gen.6:1-4 sono stati oggetto di numerosissimi studi. Che in questo passo si è parlato in ordine di divinità, lo dimostrano senz’altro i paralleli ugaritici» [H. Haag, GLAT (Grande lessico dell’Antico Testamento), Vol. I, col. 1,680].

Inoltre, bisogna aggiungere che la frase mio figlio, riportata diverse volte nell’A.T. si riferisce:

a) ad Israele: Tu dirai al faraone: Così dice il SIGNORE: Israele è mio figlio, il mio primogenito,
e io ti dico: «Lascia andare mio figlio, perché mi serva»; se tu rifiuti di lasciarlo andare, ecco, io ucciderò tuo figlio, il tuo primogenito»
(Esodo 4:22,23).

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12/09/2011 01:38

Quando Israele era fanciullo, io lo amai e chiamai mio figlio fuori d’Egitto (Osea 11:1), che il Nuovo Testamento lo applicò a Gesù (cfr. Matteo 2:15).

b) Al Messia: Io annunzierò il decreto: Il SIGNORE mi ha detto: «Tu sei mio figlio, oggi io t’ho generato (Salmo 2:7) (cfr. Atti 13:33; Ebrei 1:5; 5:5).
Anche la frase i miei figli, si riferisce sempre ad Israele (Deuteronomio 14:1; 32:5,6,19; Isaia 43:6; Geremia 31:20).

Al tempo di Genesi 6:1-4, Israele ancora non esisteva. Non è un puro caso che nel libro di Giobbe, Israele non è mai nominato. Inoltre, la frase i figli di Dio, non può essere applicata agli uomini, visto che questi esseri compaiono davanti alla corte divina. Gli studiosi sostengono che il libro più antico della Bibbia, non è il Genesi, ma il libro di Giobbe. In questo libro la nostra frase è riportata tre volte. Per i primi due casi si afferma che questi figli di Dio si presentarono davanti al Signore e Satana era in mezzo a loro. Mentre nel terzo riferimento i figli di Dio si uniscono al coro delle stelle del mattino e alzano grida di gioia

3. Uomini pii, soprattutto discendenti di Seth, adoratori di Dio. Sedotti dalla bellezza di donne che non appartenevano alla loro stirpe, le sposarono e perdettero la loro spiritualità.

«Molti hanno pensato che i figli di Dio fossero la discendenza di Set e che le figlie degli uomini fossero discendenti di Caino, ma questo non è giustificato dalla terminologia del contesto» [Allen P. Ross, Investigate le Scritture, Antico Testamento, pag. 37].

«L’interpretazione che riferiva la frase ai discendenti di Set — recentemente abbandonata, ma ripresa da Scharbert — è assai debole, poiché non tiene conto a sufficienza dell’opposizione tra bnj h’lhjm, «figli di Dio», e bnwt h’dm, «figlie dell’uomo». La concezione di un pantheon sotto il dominio di una divinità suprema appare chiara anche nell’espressione bnj ‘lim di Ps. 29:1» [H. Haag, GLAT (Grande lessico dell’Antico Testamento), Vol. I, col. 1,681].

A quale conclusione si può arrivare da quanto è stato esposto?

1. I figli di Dio di Genesi 6:1-4, non possono essere individuati dalla discendenza di Set, (l’unica che si potrebbe opporre a quella di Caino), per la precisazione che fa il testo biblico, cioè che dalla nascita di Enos, figlio di Set, ...si cominciò ad invocare il nome del Signore (Genesi 4:26). Invocare il nome del Signore, non ha lo stesso significato come se il testo biblico affermasse: da qual giorno in poi, si cominciò a proclamarsi di essere i figli di Dio. Tutto al più, si potrebbe riconoscere una giusta attitudine di persone nei confronti di Dio, nel rivolgersi a Lui, come atteggiamento pio e devoto, rispetto agli altri che non lo manifestavano.

2. Tenuto conto che ancora non esisteva un popolo che poteva qualificarsi come figli di Dio, nel senso come più tardi, Dio chiamerà Israele, Suoi figli, (Esodo 4:22,23; Osea 11:1) i figli di Dio di Genesi 6:1-4, dovevano appartenere a un’altra categoria, cioè alla celeste.

3. I figli di Dio di Giobbe 1:6 e 2:1, neanche per loro è possibile identificarli come esseri umani, perché il loro comportamento nel presentarsi davanti a Dio, esclude questa possibilità. Di conseguenza, non resta un’altra alternativa: dovevano essere senza dubbio, esseri celesti.

4. Dal momento che un numero di questi esseri celesti, abbandonarono la loro posizione originaria, che li rendeva diversi dagli esseri umani, con ogni probabilità la loro natura, avrà anche subito un cambiamento, da essere attratti dalla bellezza delle figlie degli uomini.

Gli esseri celesti, come più chiaramente si definiscono gli angeli, restando in quella natura, non possono sposarsi, stando all’autorevole parola di Gesù. Infatti, quando gli uomini risuscitano dai morti, né prendono né danno moglie, ma sono come angeli nel cielo (Marco 12:25).

Ma se questi esseri celesti perdono la loro natura, il discorso è un altro ed altre sono anche le loro prospettive. Infine, il concetto di figli di Dio, che presenta il Nuovo Testamento, non ha niente a che vedere con quello di Genesi 6:1-4. Quando il N.T. parla di figli di Dio, ha sempre davanti a sé persone di ambo i sessi che vivono la loro umanità in un contesto sociale ed umano, e che nello stesso tempo, hanno fatto un’esperienza nella loro vita, avendo accettato Gesù Cristo come il loro personale Salvatore e creduto nel Suo nome (Giovanni 1:12).

FIGLIE DI NOÈ

Di loro si parla in (Genesi 6:18; 7:7,13; 8:16,18). Questo significa che Noè non ebbe solamente Sem, Cam e Iafet, ma ebbe anche figlie. Quante? Non lo sappiamo!

LA MOGLIE DI NOÈ

Della moglie di Noè si parla in (Genesi 6:18; 7:7,13; 8:16,18), cioè negli stessi testi in cui si parla delle figlie di Noè.

LE FIGLIE DI SEM

Di queste figlie si parla solamente in (Genesi 11:11).

FIGLIE DI ARPAESAD

Anche di queste figlie di Arpaesad, si parla solamente in (Genesi 11:12) e non si aggiunge altro.

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13/09/2011 00:46

LA MOGLIE DI LOT

Di lei si parla in (Genesi 19:15,16,26 e in Luca 17:28-32). Anche se di lei non si conosce il nome, tuttavia si può spendere qualche parola, per un preciso atteggiamento che lei assunse in occasione della distruzione di Sodoma e Gomorra. Quando i messaggeri divini comunicarono a Lot che Dio avrebbe distrutto la popolazione di Sodoma e Gomorra, lo invitarono a lasciare la città di Sodoma, dove egli abitava, con sua moglie e le sue figlie.

Quando l’alba cominciò ad apparire, gli angeli sollecitarono Lot, dicendo: «Alzati, prendi tua moglie e le tue figlie che si trovano qui, perché tu non perisca nel castigo di questa città».
Ma egli indugiava; e quegli uomini presero per la mano lui, sua moglie e le sue due figlie, perché il SIGNORE lo voleva risparmiare; lo portarono via, e lo misero fuori della città.
Dopo averli fatti uscire, uno di quegli uomini disse: «Metti la tua vita al sicuro: non guardare indietro e non ti fermare in alcun luogo della pianura; cerca scampo sul monte, altrimenti perirai!»
(Genesi 19:15-17).

L’ordine di non guardare indietro era per Lot, sua moglie e le sue due figlie. Però, non tutti e quattro obbedirono; la moglie di Lot non tenendo conto dell’ordine degli angeli, si volse a guardare indietro e diventò una statua di sale (v. 26).

Si è chiesto: perché la moglie di Lot si comportò in quel modo? Indipendentemente quali siano stati i motivi che spinsero quella donna a guardare indietro, lasciando da parte ogni altra considerazione, si può affermare, senza tema di essere smentiti che, il suo gesto, metteva in evidenza, in modo particolare, la sua incredulità all’ordine divino. Se veramente questa donna avesse creduto a quello che avevano detto gli angeli di Dio, certamente non si sarebbe comportata in quel modo; di conseguenza non sarebbe stata punita severamente come venne trattata, nel diventare una statua di sale. L’ammonimento di Gesù, non solo ci ricorda un avvenimento del passato, ma ci avverte anche a non seguire lo stesso esempio della moglie di Lot, se non si vuole subire la severità del giudizio divino.

LE FIGLIE DI LOT

Di loro si parla in (Genesi 19:12,14-16,30-38). Anche se non conosciamo il nome delle due figlie di Lot, di loro possiamo parlarne per quello che compirono, dopo che si misero in salvo con il loro padre, dalla distruzione di Sodoma e Gomorra. Il ragionamento che fecero tra loro, dal punto di vista umano, non era tanto strampalato. Visto che l’umanità, in cui vissero per tanti anni, era stata distrutta, e loro come donne, non avrebbero avuto nessuna possibilità di trovare uomini per unirsi con loro. Tenendo presente che di uomini, c’èra solamente il loro padre, escogitarono un piano come avrebbero potuto coricarsi con lui, allo scopo di avere figli.

Infatti, tutto quello che loro fecero, nel dare da bene del vino al loro padre, (ubriacandolo) aveva un solo scopo: Conservare la razza del loro padre (v. 32). Prima la grande e poi la piccola, riuscirono ad avere un rapporto sessuale con il loro padre, e da questo rapporto rimasero incinte, talché sia l’una che l’altra, partorirono figli. La maggiore partorì un figlio, al quale pose nome Moab, che diventò il padre dei Moabiti e la minore partorì un figlio, al quale gli mise il nome di Ben-Ammi. Questi è il padre degli ammoniti (v. 38).

Dal punto di vista morale, si può giustificare quello che fecero le due figlie di Lot? Certamente no! Bisogna tenere presente che queste due ragazze, vissero per molto tempo, in un ambiente in cui la corruzione sessuale era all’estremo. Non era solamente quello illecito, fuori del matrimonio, c’era anche quello contro natura, cioè omosessualità, che era diventata prassi normale per gli abitanti di Sodoma e Gomorra.

Indubbiamente da un simile ambiente, le figlie di Lot, avranno subito una certa influenza, facendo loro perdere la sensibilità e la purezza. Non sarebbe stato facile per le due figlie di Lot, dichiarato uomo giusto dall’apostolo (2 Pietro 2:7), indurre il proprio genitore ad avere rapporti sessuali con loro. Nello stato normale, anche le figlie avrebbero spiegato il motivo della loro richiesta al padre, Lot non avrebbe mai acconsentito. Ma nello stato di ubriachezza, Lot non si rese conto di niente e le figlie poterono arrivare al loro scopo.

LA MOGLIE DI POTIFAR

La storia di questa donna, moglie di un rispettabile funzionario Egiziano, si trova descritta in Genesi capitolo 39. In questo passaggio si racconta che Giuseppe, figlio di Giacobbe, molto giovane e bello di aspetto, per l’invidia dei suoi fratelli, venne condotto in Egitto e venduto come schiavo.

Un ufficiale del faraone, di nome Potifar, lo comprò e, nel giro di poco tempo, Giuseppe ebbe in mano l’intera amministrazione della casa di Potifar, per la massima fiducia che si acquistò dal suo padrone. La giovinezza e la bellezza di Giuseppe, senza dubbio avranno avuto un ruolo importante nella vita della moglie di Potifar. La Bibbia afferma che questa donna mise gli occhi addosso a Giuseppe, (v. 7) talché non ebbe nessuna vergogna a chiedere a questo giovane di andare a letto con lei.

Davanti ad una simile richiesta, se Giuseppe non avesse avuto il timore di Dio, non avrebbe certamente indugiato ad acconsentire a quella piacevole e allettante richiesta, visto che quella donna, chiedeva ogni giorno a Giuseppe, di unirsi con lei (v. 10). Egli però, non solo non cedette alle insistenti chieste della moglie di Potifar con fermezza e determinazione, ma specificò anche il motivo.

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14/09/2011 00:07

«Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella casa e mi ha affidato tutto quello che ha.
In questa casa, egli stesso non è più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie. Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?»
(vv. 8-9).

Davanti ad un simile parlare, quella donna avrebbe dovuto desistere dal suo insano desiderio. Siccome in lei c’era un forte desiderio di andare a letto con Giuseppe, non solo non si diede per vinta nel suo intento, ma un giorno, approfittando che in casa non c’era nessun altro che Giuseppe, lo afferrò per la sua veste e gli disse: «Unisciti a me!» (v. 12).

Visto che nel suo desiderio sfrenato non venne appagata, perché Giuseppe, nel fuggire, gli lasciò nelle sue mani la sua veste, lei furbamente invertì le cose, — almeno per convincere suo marito dicendo, che Giuseppe cercò di violentarla, e, se egli non ci riuscì, fu perché lei si mise a gridare (vv. 11-14). È chiaro che davanti ad una simile relazione che quella donna fece a suo marito, e, principalmente con la veste di Giuseppe in mano, non fu difficile convincere il marito, il quale, credendo alle parole della moglie, fece subito imprigionare Giuseppe. Quando una donna (ma anche l’uomo) si accende nella sua libidine, sarà molto difficile controllare gli impulsi sessuali.

AUL FIGLIO DI UNA CANANEA

Di questa donna cananea si parla in (Genesi 46:10 ed Esodo 6:15) come la madre di uno dei figli di Simeone. Non si conosce la storia di quest'unione.

LA FIGLIA DI FARAONE

Di questa donna si parla in Esodo 2:5-10; Atti 7:21 ed Ebrei 11:24). Nonostante che appartenesse alla famiglia reale, lo scrittore del testo biblico, non ci ha tramandato il suo nome. Ci pensa però Giuseppe Flavio per farcelo conoscere: il suo nome era Termuti. La storia di questa donna, seguendo il racconto biblico, è interessante, per il ruolo che svolse nel salvare la vita di Mosè.

La figlia del faraone scese al Fiume per fare il bagno, e le sue ancelle passeggiavano lungo la riva del Fiume. Vide il canestro nel canneto e mandò la sua cameriera a prenderlo.
Lo aprì e vide il bambino: ed ecco, il piccino piangeva; ne ebbe compassione e disse: «Questo è uno dei figli degli Ebrei».
Allora la sorella del bambino disse alla figlia del faraone: «Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che allatti questo bambino?»
La figlia del faraone le rispose: «Va’». E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino.
La figlia del faraone le disse: «Porta con te questo bambino, allattalo e io ti darò un salario». Quella donna prese il bambino e lo allattò.
Quando il bambino fu cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come un figlio e lei lo chiamò Mosè; «perché», disse: «io l’ho tirato fuori delle acque»
(Esodo 2:5-10).

In un certo senso, la figlia di faraone fu provvidenziale per Mosé; fu lo strumento che Dio usò, non solo per salvargli la vita, ma anche per fornirgli un'elevata cultura, visto che lo trattava come se fosse suo figlio. Il fatto stesso che nello stesso giorno, in cui il piccolo Mosé venne adagiato in un canestro e messo nel canneto sulla riva del Fiume Nilo, la figlia di faraone scese al Fiume per farsi il bagno con le sue ancelle (Esodo 2:5), questo è una prova come Dio vigilava sulla vita di quel bambino.

La compassione che lei manifestò nel vedere quel bambino che piangeva, oltre a spingerla a manifestargli il suo affetto, rivela anche il suo carattere che, pur non essendo la vera mamma, agì come avrebbe agito una vera mamma. E quando la sorellina di quel bambino chiese alla figlia di faraone se voleva che lei andasse a chiamare una balia tra le donne ebree, lei subito diede il suo benestare. Nel giro di poco tempo, quel bambino si trovò nelle braccia della vera madre, la quale lo allevò per conto della principessa, ricevendo nel frattempo anche un salario. Più tardi, quando Mosè diventò grande, questa principessa subì un gran dolore, allorquando egli rifiutò di essere chiamato figlio della figlia del faraone (Ebrei 11:24).

LE FIGLIE DI REUEL O DI IETRO

Delle sette figlie che Reuel o Ietro, una di loro conosciamo il nome: Sefora, che più tardi venne data in moglie a Mosè (Esodo 2:16-22; 4:20; 18:2-3). Il merito che bisogna riconoscere a queste figlie di Reuel, consiste nel fatto che raccontarono al loro padre, come un Egiziano, di nome Mosè, li aiutò in un momento difficile, quando vennero sopraffatte dai pastori.

LE FIGLIE DI PUTIEL

Il testo che parla delle figlie di Putiel è (Esodo 6:25). Una di queste figlie divenne la moglie di Eleazar, figlio di Aaronne.

DONNE GENEROSE

Di queste donne generose si parla in (Esodo 35:22-29). La loro generosità consisteva nel donare:

Fermagli, orecchini, anelli da sigillare e braccialetti, ogni sorta di gioelli d’oro; ognuno portò qualche offerta d’oro al Signore. Tutte le donne abili filarono con le proprie mani e portarono i loro filati di color violaceo, porporino, scarlatto, e del lino fino.
Tutte le donne il cui cuore spinse ad usare la loro abilità, filarono del pelo di capra
(vv. 22,25-26).

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15/09/2011 00:43

Se le donne di cui parla il nostro testo agirono in quella maniera, fu essenzialmente perché erano di cuore volenteroso. Quando le persone hanno un cuore generoso, la loro generosità nel donare per l’opera del Signore e per il Suo regno, sarà evidente.

DONNE AL SERVIZIO ALL’INGRESSO DELLA TENDA DI CONVEGNO

Quando il lavoro del tabernacolo venne completato, le donne andavano a gruppi a fare il servizio all’ingresso della tenda di convegno (Esodo 38:8). Un mirabile esempio di donne impegnate al servizio del Signore! Se un simile lavoro viene fatto, questa è una prova che quelli che lo compiono, amano veramente col cuore Dio e offrono il loro tempo, alla gloria del Suo nome!

FIGLIA DI UN SACERDOTE

Il testo di Levitico 21:9, è una norma che riguardava le figlie dei sacerdoti: Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, lei disonora suo padre; sarà bruciata con il fuoco.

Senza dubbio questa norma tendeva a salvaguardare l’onore e la dignità dell’Ufficio sacerdotale, visto che quest'incarico, presso gli Ebrei, era di origine divina, cioè non erano gli uomini a candidarsi e scegliere quest'ufficio, ma Dio, attraverso la discendenza della famiglia di Aaronne. Un mirabile esempio di donne impegnate nel servizio del Signore. Se un simile lavoro viene fatto, questa è una prova che quelli che lo compiono, amano veramente col cuore Dio e offrono il loro tempo, alla gloria del Suo nome!

LA MOGLIE CUSITA O ETIOPE DI MOSÈ

Della seconda moglie di Mosè, si parla in (Numeri 12:1). A motivo di questa seconda moglie, Maria sua sorella ed Aaronne suo fratello, parlarono contro di lui. Secondo il testo biblico, si ignorano i motivi del secondo matrimonio di Mosè. Davanti a questo parlare contro Mosè, da parte di Maria e di Aaronne, si legge che l’ira del Signore si accese contro di loro, e dopo che la nuvola si ritirò di sopra alla tenda, Maria era diventata lebbrosa, bianca come neve (vv. 9-10).

A questo punto si potrebbe chiedere: non furono tutti e due, Maria ed Aaronne a parlare contro a Mosè? Perché Aaronne non venne colpito dalla lebbra, ma fu solo Maria ad esserne colpita? Credo che la risposta stia nel fatto che: siccome Aaronne era sacerdote, e in virtù del suo Ufficio era autorizzato da Dio a riconoscere la piaga di lebbra, sia per dichiarare impura la persona, come anche per riconoscerne la guarigione, egli venne risparmiato per compiere la sua mansione.

Infatti, anche se Aaronne non venne colpito da lebbra come sua sorella Maria, però fu lui che riconobbe e confessò il peccato per aver parlato contro suo fratello, e fu anche lui che chiese a Mosè di non fargli portare la pena di un peccato che avevano stoltamente commesso (v.11). Il fatto poi che, dietro la preghiera che Mosè fece a Dio, in favore di sua sorella, questa venne guarita dalla lebbra, sta a dimostrare che il Signore tenne conto della posizione che Aaronne assunse in quella circostanza (vv. 13-14).

LE DONNE DI MADIAN

La storia dell’infedeltà d’Israele con le donne Moabite, è narrata nel capitolo 25 dei Numeri. A causa della fornicazione che il popolo d’Israele commise con le figlie di Moab e con donne Madianite, ci fu un flagello tra i figli d’Israele. Di quel flagello morirono ventiquattomila persone (v. 9).

Nel capitolo 31 dello stesso libro dei Numeri, si legge che il Signore, parlando a Mosè, gli disse: Vendica il male che i Madianiti hanno fatto ai figli d’Israele (v. 1). In seguito ci fu una radunata di popolo, mille uomini per ogni tribù = dodicimila esseri umani, per andare contro Madian. Nella guerra che gli Israeliti condussero contro i Madianiti, le donne vennero fatte prigioniere invece di ucciderle (v. 9). Quando gli uomini della spedizione ritornarono da Mosè, nel vedere come i combattenti si erano comportati con i Madianiti, Mosè si adirò, e disse loro:

«Avete lasciato la vita a tutte le donne?
Ecco, sono esse che, per suggerimento di Balaam, trascinarono i figli d’Israele all’infedeltà verso il SIGNORE, nel fatto di Peor, per questo il flagello scoppiò nella comunità del SIGNORE.
Ora dunque uccidete ogni maschio tra i bambini, e uccidete ogni donna che ha avuto rapporti sessuali con un uomo;
ma tutte le fanciulle che non hanno avuto rapporti sessuali con uomini, lasciatele in vita per voi
(vv. 15-18).

La lezione che dobbiamo imparare da quest'episodio, è quella di non indulgere davanti ad ogni forma di peccato, ma assumere un atteggiamento fermo e deciso, per una condotta santa. Si può, a questo punto, ricordare l’esoratazione dell’apostolo Paolo:

Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio (2 Corinzi 7:1).

LA MADRE DI SISERA

Di questa donna si parla in (Giudici 5:28-31). Nel canto di Debora, la madre di Sisera viene descritta come una donna preoccupata per la vita di suo figlio, visto che il suo carro tarda a rincasare. Umanamente parlando, rientra nella logica per ogni mamma, vivere in preoccupazione per la sorte dei propri figli, specie quando non c’è chiarezza di certi avvenimenti e la speranza di una felice soluzione o del successo di un’impresa.

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LE MOGLI DI GEDEONE

Delle molte mogli che ebbe Gedeone, si parla in Giudici 8:30-31. Quanti erano le mogli, non ci viene dato di sapere. Si precisa solamente che da queste donne, Gedeone ebbe settanta figli. Anche la sua concubina gli partorì un figlio che si chiamava Abimilec.

LA DONNA DI TEBES

Non ci viene detto come si chiamava la donna di Tebes che, gettando giù un pezzo di macina sulla testa di Abimilec, gli spezzo il cranio e morì]/C] (Giudici 9:50-54; 2 Samuele 11:21).

Che questa donna, in quello che compì, sia stata molto saggia dimostrando anche un enorme coraggio, ciò appare chiaramente dal testo biblico. Tenuto conto della precisazione che fa il racconto biblico: Così Dio fece ricadere sopra Abimelec il male che egli aveva fatto contro suo padre uccidendo i suoi settanta fratelli (v. 56), possiamo aggiungere, senza tema di essere smentiti che Dio, usando il coraggio e la saggezza di quella donna, punì l’arroganza e la crudeltà di Abimelec.

LA MADRE DI IEFTE

In (Giudici 11:1-3), si parla della madre di Iefte, precisando anche che era una prostituta. Questo significa che Iefte, non nacque dalla moglie legittima che Galaad, suo padre aveva, ma dal rapporto illecito che ebbe con una prostituta. Inoltre, a causa di ciò, Iefte venne scacciato dalla casa di suo padre dai suoi fratelli e privato dell’eredità paterna. In seguito Iefte, dovette affrontare una difficile situazione, che la vita di fuggiasco gli riserbò, venendosi a trovare insieme con un gruppo di avventurieri che facevano delle incursioni. Tutte queste disavventure che Iefte incontrò e che dovette subire durante gli anni, in un certo qual senso gliele procurò sua madre, a causa della condotta dissoluta che conduceva.

LA FIGLIA DI IEFTE

Della figlia unica che Iefte aveva, si parla in (Giudici 11:34-39), in un contesto tutto particolare. Il padre di questa fanciulla, cioè Iefte, (senza fare menzione di sua madre), era stato invitato dagli anziani di Galaad a ritornare tra di loro, per combattere contro i figli di Ammon, visto che quest’ultimi avevano dichiarato guerra contro Israele. Dopo l’accordo raggiunto dalle due parti, cioè Iefte da un lato e gli anziani di Galaad dall’altro, Iefte, prima di scendere in guerra contro i figli di Ammon, rivolgendosi al Signore, fece un voto e disse:

«Se tu mi dai nelle mani i figli di Ammon,
chiunque uscirà dalla porta di casa mia per venirmi incontro, quando tornerò vincitore sugli Ammoniti, sarà del SIGNORE e io l’offrirò in olocausto»
(vv. 30-31).

Se egli avesse riflettuto seriamente e fosse stato più prudente prima di aprire la sua bocca e fare un voto al Signore, certamente non si sarebbe espresso con quelle parole. Egli non pensò che chiunque fosse uscito dalla porta della sua casa per venirgli incontro, dopo la vittoria sugli Ammoniti, sarebbe stata la sua unica figlia.
Fatto il voto in quei termini, Iefte affronta i figli di Ammon, Dio glieli dà nelle sue mani, riportando così una gloriosa vittoria su di loro. Fiero e contento della vittoria, Iefte ritorna a casa. A questo punto accade l’imprevedibile: l’unica figlia che Iefte aveva, avendo avuta notizia della vittoria sugli Ammoniti, per la gioia che prova e per congratularsi con suo padre, gli va incontro con timpani e danze.

Alla vista di sua figlia, Iefte esclama: «Ah, figlia mia! Tu mi riempi d’angoscia! Tu sei fra quelli che mi fanno soffrire! Io ho fatto una promessa al SIGNORE e non posso revocarla» (v. 35).

Sentendo quelle parole, la figlia comprendere che suo padre dovrà offrirla in olocausto al Signore. Perciò chiede una proroga di due mesi, affinché assieme alle sue amiche, vada su e giù per i monti per piangere la sua verginità (v. 37). Da questa storia, la lezione che dobbiamo imparare riguarda l’accortezza e la prudenza, prima di aprire la bocca, soprattutto quando si fa un voto. Questo perché la Bibbia afferma:

Quando hai fatto un voto a Dio, non indugiare ad adempierlo; perché egli non si compiace degli stolti; adempi il voto che hai fatto.
Meglio è per te non far voti, che farne e poi non adempierli
(Ecclesiaste 5:4-5).

LE FIGLIE D'IBSAN

Delle figlie d'Ibsan, di Betlemme, che fu giudice d’Israele per sette anni, dopo Iefte, si fa riferimento in (Giudici 12:8-9). Si precisa anche che ebbe trenta figlie e trenta figli. I figli si sposarono con trenta fanciulle fatte venire da fuori e le figlie con gente di fuori.

LA MOGLIE DI MANOA

La storia della moglie di Manoà, è descritta in (Giudici 13:2-6,9-10; 14:25). Di lei si precisa che era sterile e non aveva figli. L’angelo del Signore, in una sua apparizione, le promise che avrebbe concepito e partorito un figlio. Durante il tempo della sua gravidanza, doveva astenersi dal bere vino o bevanda alcolica, perché il figlio sarebbe stato un nazireo, consacrato a Dio dal seno di sua madre e fino al giorno della sua morte (v. 7).

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17/09/2011 00:08

Quando la moglie raccontò al marito l’apparizione che aveva avuto e il messaggio che le era stato rivolto, circa il suo concepimento e la nascita di un figlio e le condizioni cui avrebbe dovuto attenersi durante tutto il tempo della sua gravidanza, il marito fece una richiesta al Signore, perché l’uomo di Dio, ritornasse nuovamente da loro. Dio esaudì la preghiera di Manoà, l’Angelo del Signore apparve di nuovo alla moglie mentre era seduta nel campo, quest’ultima chiamò subito il marito, il quale poté ascoltare le stesse parole della prima apparizione.

Per avere più informazioni di questo essere che era apparso, Manoà si spinse a chiedere il suo nome. Il motivo della sua richiesta era: … affinché, quando si saranno adempiute le tue parole, noi ti rendiamo onore?» (v. 17). Al che il messaggero divino rispose: «Perché mi chiedi il mio nome? Esso è meraviglioso» (v. 18). La storia si conclude: Poi la donna partorì un figlio, cui pose nome Sansone (v. 24).

LA MADRE DI MICA

Della madre di Mica si parla in (Giudici 17:1-4). In questo passaggio si afferma che Mica rubò a sua madre millecento sicli d’argento. Sua madre, alla presenza del figlio, pronunciò una maledizione, e questi, forse spaventato da quella maledizione, non solo confessò di essere stato lui a compiere quell’atto, ma restituì anche quanto aveva preso.

LA CONCUBINA DI UN LEVITA

In (Giudici 19:1-10,20-30) c’è la raccapricciante storia della concubina di un levita. Si precisa che il levita, di cui parla il racconto biblico, abitava nella zona montuosa di Efrain, e si era preso per concubina una donna di Betlemme di Giuda. A causa della sua infedeltà, la concubina lasciò il levita e ritornò in casa di suo padre a Betlemme. Il levita, che forse amava quella donna, andò nella casa del suocero con l’intenzione di parlare al cuore della figlia e ricondurla a sé.

Arrivato in casa del padre della concubina, fu accolto festosamente, tanto che per tre giorni, rimase in quella casa mangiando e bevendo e pernottando là. Vi rimase ancora per altri due giorni, mangiando e bevendo, dietro l’insistenza del suocero. Al sorgere di un altro giorno, quando il levita aveva fatto i preparativi per ritornare a casa sua, avendo con sé la concubina e un suo servo, il padre della ragazza, ritornò a sollecitare nuovamente il genero a rimanere in casa sua, adducendo la ragione che il giorno stava per declinare e che la sera, ormai vicina, non era adatta per intraprendere un viaggio. Però a questo punto, il levita fu fermo nella sua decisione: invece di rimanere nella casa del suocero e passarvi la notte, prese la concubina e partì. Quando arrivarono di fronte a Iebus, che è Gerusalemme, era quasi notte.

Il suggerimento che il servo del levita diede al suo padrone di passare la notte nella città del Gebusei, non venne ascoltato, per il semplice fatto che gli abitanti di quella città non erano i figli d’Israele. Così, proseguendo nel loro cammino arrivano a Ghibea, che appartiene a Beniamino. Tenuto conto che a Ghibea arrivarono di notte, nessuno degli abitanti di quella città, li accolse in casa loro. Ora il levita, la concubina e il servo, sono rassegnati a passare la notte nella piazza della città. Quando ogni speranza di ospitalità ormai era tramontata, un vecchio agricoltore che ritornava dai campi, della regione montuosa di Efraim che abitava come forestiero a Ghibea, li accolse in casa sua.

Mentre gli ospiti stavano rallegrandosi in casa del vecchio agricoltore, arrivarono alla sua casa gente perversa. E picchiando alla porta di quella casa, chiedevano che il visitatore venisse fuori della casa, perché loro volevano abusare di lui. Il vecchio li supplicò a non commettere una simile infamia, offrendo in cambio la propria figlia vergine e la concubina del levita. Visto che quella marmaglia di gente perversa non volle ascoltare, la concubina del levita venne data a quella gente, i quali la violentarono per tutta la notte, tanto che quella donna al mattino, fu trovata morta alla soglia della porta del vecchio agricoltore.

Il marito della concubina, caricata sul suo asino, arrivò a casa sua, e, di lì, tagliata la donna in dodici pezzi, che mandò per tutto il

territorio d’Israele. Tutti quelli che videro ciò dissero: «Una cosa simile non è mai accaduta né si è mai vista, da quando i figli d’Israele salirono dal paese d’Egitto, fino al giorno d’oggi! Prendete a cuore questo fatto, consultatevi e parlate» (v. 30).

Questa raccapricciante storia ci fa vedere cosa è capace l’uomo di compiere, quando in lui c’è della perversità.

LE QUATTROCENTO VERGINI DI IABES

La storia di queste quattrocento vergini di Iabes, è narrata nel capitolo 21 dei Giudici. Il corpo tagliato a pezzi della concubina del levita e spedito in tutto il territorio d’Israele, di cui abbiamo parlato sopra, suscitò sdegno e indignazione tra i figli d’Israele. Ben presto vennero radunati quattrocentomila fanti, dei figli d’Israele, per andare a combattere contro i Beniaminiti, che avevano un esercito di ventiseimila uomini.

In tre giorni di battaglia, tra i due schieramenti, ci fu un numero rilevante di morti: tra i figli d’Israele ne caddero 430.000 e tra i Beniaminiti 25.100; solo 600 Beniaminiti riuscirono a fuggire e mettersi in salvo. Siccome i figli d’Israele fecero un giuramento davanti al Signore di non dare le loro figlie per mogli ai Beniaminiti, si cercò tra tutti i convocati, di sapere chi non aveva risposto per andare alla battaglia. Si credette che quelli di Iabes di Galaad, non erano saliti per combattere. Per punirli, venne ordinato di distruggere tutti gli abitanti di Iabes, uomini e donne, e risparmiare solamente quelle femmine vergini che non avevano avuto rapporti sessuali con uomini. Il numero di queste vergini, ammontò a quattrocento, le quali, vennero date in moglie ai superstiti Beniaminiti. Siccome però non tutti gli uomini scampati dal massacro ebbero la propria donna, fu consigliato agli altri di rapire le danzatrici delle figlie di Silo; così tutti i superstiti, ebbero la propria donna per moglie.

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18/09/2011 00:18

LE FIGLIE DI ELCANA

Quanti erano le figlie di Elcana, che aveva avuto con Peninna, sua moglie, non ci viene dato di sapere, secondo quello che riferisce (1 Samuele 1:4). L’altra moglie che Elcana aveva di nome Anna, dopo che il Signore guarì la sua sterilità, non solo diede alla luce un figlio, chiamato Samuele. Ma dopo di lui, Anna partorì tre figli e due figlie (1 Samuele 2:21).

LA MOGLIE DI FINEAS

Della moglie di Fineas, si parla in (1 Samuele 4:19-22). Di questa donna si riferisce che era incinta, quando i Filistei catturarono l’arca di Dio, dalle mani degli Israeliti. In quella circostanza, si precisa anche i due figli di Eli, Ofni e Fineas morirono. Quando si sparse in Silo la notizia che i Filistei avevano preso l’arca di Dio, e che il suocero era morto come pure il marito, della moglie di Fineas, lei che era vicino al parto, sopraggiunta dai dolori del parto,

si curvo e partorì.
Mentre stava per morire, le donne che l’assistevano le dissero: «Non temere, poiché hai partorito un figlio». Ma lei non rispose e non ci fece caso.
Al suo bambino mise il nome di Icabod, dicendo: «La gloria si è allontanata da Israele!», perché l’arca di Dio era stata presa, ed erano morti suocero e marito.
E disse: «La gloria si è allontanata da Israele, perché l’arca di Dio è stata presa»
(1 Samuele 4:20-22).

È terribile quando di un’anima, di una comunità, di un popolo, si dice: Icabod! «La gloria si è allontanata da Israele!».

LE RAGAZZE CHE VANNO AD ATTINGERE L’ACQUA

Di quest'episodio si parla in (1 Samuele 9:11-14). Quanti erano queste ragazze, non ci viene detto. Si sa però che ebbero un ruolo importante, nel fornire notizie a Saul, che cercava il veggente, cioè il profeta Samuele.

Mentre percorrevano la salita che conduce alla città, trovarono delle ragazze che uscivano ad attingere acqua e chiesero loro: «È qui il veggente?»
Quelle risposero: «Sì, c’è; è là dove sei diretto; ma va’ presto, poiché è venuto oggi in città, dato che oggi il popolo fa un sacrificio sull’alto luogo.
Quando sarete entrati in città, lo troverete di certo, prima che egli salga all’alto luogo a mangiare. Il popolo non mangerà prima che egli sia giunto, perché è lui che deve benedire il sacrificio; dopo di che, i convitati mangeranno. Salite dunque, perché proprio ora lo troverete»
(1 Samuele 9:11-13).

Il fatto che queste ragazze comunicarono quelle precise informazioni a Saul, è prova che loro erano bene informate di Samuele e di quello che egli compiva, quando andava a Rama, per incontrarsi con il popolo. Nessuno potrà parlare di cose che non sa! Ognuno parlerà di cose che conosce e sarà pronto a comunicarlo agli altri!

DONNE CHE CANTANO E DANZANO

L’episodio di queste donne che cantano e danzano, è riferito in (1 Samuele 18:6,7). Il canto e la danza che compirono le donne del nostro testo, era il segno della gioia che provavano, quando pervenne loro la notizia che Davide aveva sconfitto il Filisteo, cioè il gigante Golia. Fu un canto e una danza spontanea, e non certamente il risultato di un particolare insegnamento ricevuto.

Le parole che queste cantanti e danzatrici pronunciavano erano: «Saul ha ucciso i suoi mille, e Davide i suoi diecimila» (v. 7). Per loro non c’era il senso di voler degradare Saul e innalzare Davide, come Saul interpretò; esprimevano solamente una valutazione, che poi rispecchiava la verità. Ai nostri giorni si parla di scuole che insegnano la danza, (non quella profana e mondana, ovviamente) ma quella cristiana. Questo tipo di danza, non sarà mai l’espressione spontanea di un cuore pieno di gioia e di gratitudine, per quello che il Signore compie; ma semplicemente un'esibizione artistica, tendente ad arricchire una manifestazione religiosa.

LE CINQUE FANCIUELLE CHE SEGUIRONO ABIGAIL

La notizia delle cinque fanciulle che seguirono Abigail, si trova in (1 Samuele 25:42). Dopo la notizia della morte di Nabal, marito di Abigail, Davide mandò alcuni dei suoi uomini per portare un’ambasciata ad Abigail, e annunciarle che la voleva sposare. A tale notizia, il testo precisa che Abigail non andò sola con gli uomini di Davide; fu accompagnata da cinque fanciulle, che sicuramente saranno state al servizio di questa nobile e ricca signora.

LA DONNA DI EN-DOR

Dal testo di (1 Samuele 28) si sa che questa donna era un’indovina, cioè una evocatrice di spiriti. Come ha fatto a sottrarsi al severo divieto di Saul, re d'Israele, non ci viene riferito dal racconto biblico. Si sa solamente che lei esercitava il suo mestiere di evocatrice, nonostante che Saul li avesse messe al bando, in tutto il territorio d’Israele. Senza che lei si rendesse conto, (fino a che non conobbe la persona che gli affidò l’incarico di evocare gli spiriti), fu proprio a Saul, che prestò il suo servizio. Dopo di avere chiamato Samuele dai morti, non si parla più nella Bibbia di questa donna.

LE FIGLIE DEI FILISTEI

Delle figlie dei Filistei si parla in (2 Samuele 1:20 e in Ezechiele 16:27,57). I due testi che abbiamo riportato, anche se menzionano le figlie dei Filistei, i loro contesti però sono diversi. Cercheremo perciò, di spendere qualche parola, per chiarire i contesti dei due passaggi. Nel primo passo si parla dell’elegia che Davide compose in onore della morte di Saul e di Gionatan. In quest'elegia, Davide precisa:

Non portate la notizia a Gat, non lo pubblicate per le strade di Ascalon; le figlie dei Filistei ne gioirebbero, le figlie degli incirconcisi ne farebbero festa.

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19/09/2011 00:05

Perché Davide fece riferimento specifico alle figlie dei Filistei? Perché Saul, durante la sua vita, diede tante sconfitte ai Filistei; anche se durante l’ultima battaglia che combatté, morì. La notizia della sua morte, avrebbe fornito alle donne Filistee, motivo di rallegrarsi del loro nemico. Questo però non significa che quando Saul morì, la notizia della sua morte, non si sparse a Gat ed Ascalon, due città dei Filistei. Davide, con le sue parole, intendeva esortare il popolo d’Israele, a non essere messaggeri di notizie luttuose, che avrebbero procurato gioia e festa ai nemici del popolo di Dio.

L’altro testo, invece, si trova in un contesto che parla della corruzione di Gerusalemme sotto forma di prostituzione. Tenuto conto che questo comportamento provocava ad ira il Signore, ecco, cosa pronuncia Dio contro Gerusalemme:

Perciò, ecco, io ho steso la mia mano contro di te, ho diminuito la razione che ti avevo fissata, e ti ho abbandonata in balia delle figlie dei Filistei, che ti odiano e hanno vergogna della tua condotta scellerata (Ezechiele 16:27).

Il (v. 57), si trova in un contesto che parla dell’abominazione di Samaria, avendo anche come sua sorella Sodoma. Logicamente questo parlare è figurativo, e descrive la malvagità della popolazione di Samaria. Ecco perché le figlie dei Filistei la insultavano da tutte le parti.

LA BALIA CHE AVEVA IN COSTODIA IL FIGLIO DI GIONATAN

Di questa donna si parla in (2 Samuele 4:4). Il testo dice:
Gionatan, figlio di Saul, aveva un figlio storpio, il quale aveva cinque anni quando arrivò da Izreel la notizia della morte di Saul e di Gionatan. La balia lo prese e fuggì; in questa sua fuga precipitosa il bambino cadde e rimase zoppo. Il suo nome era Mefiboset.

Le cadute che causano deformazioni, sono quelle che avvengono nell’età della fanciullezza. Anche se il bambino che aveva in custodia la balia, non aveva nessuna colpa, tuttavia egli però rimase zoppo per tutto il tempo della sua vita.

LA DONNA DI TECOA

La descrizione che la Scrittura fa intorno a questa donna di Tecoa, si trova in (2 Samuele 14:1-20). Di lei si precisa che era saggia. Ioab, capo dell’esercito di Davide, accortosi che il cuore del re si placava verso Absalom, escogitò un piano per indurre il monarca a fare ritornare dall’esilio suo figlio Absalom.

Ioab, da persona intelligente che era, mise in bocca alla donna di Tecoa, le parole che avrebbe dovuto pronunciare a Davide. Siccome lei era saggia, con la sua saggezza seppe recitare bene la parte dell’attore. Tenuto conto che il racconto del figlio che era minacciato di morte, lo seppe presentare a Davide in una maniera reale, tanto che il re ci credette realmente. Per avere la garanzia di tutto l’affare proposto, la donna sollecita Davide a nominare il nome del Signore. Una volta che il re lo fece, il nome di Absalom venne messo subito in evidenza, e Davide comprese che in tutta quella faccenda, vi era senza dubbio la mano di Ioab.

LE DIECI CONCUBINE DI DAVIDE

Trascorsi due anni, in cui Absalom non vide la faccia del re Davide, attraverso la mediazione di Ioab, riuscì a farsi riabilitare completamente da suo padre. Ora, Absalom, concepisce un piano, per impossessarsi del regno di suo padre. Visto che il piano andava in porto, Davide fu costretto a fuggire da Gerusalemme, per evitare che suo figlio facesse la carneficina. Nel lasciare la città, lasciò dieci concubine a custodire il palazzo (2 Samuele 15:16).

Nel giorno che Absalom entrò in Gerusalemme, chiese ad Aitofel cosa avrebbe dovuto fare. La risposta fu:

«Entra dalle concubine di tuo padre, lasciate da lui a custodia del palazzo; quando tutto Israele saprà che ti sei reso odioso a tuo padre, il coraggio di quelli che sono per te, sarà fortificato» (v. 21).

Il consiglio venne eseguito, e Absalom violentò le dieci concubine di suo padre alla vista di tutto Israele (v. 22).

Quando Davide rientrò a Gerusalemme, dopo la morte di suo figlio Absalom, il testo biblico si esprime in questi termini:

Quando Davide fu giunto a casa sua a Gerusalemme, prese le dieci concubine che aveva lasciate a custodia del palazzo e le fece rinchiudere. Egli somministrava loro gli alimenti, ma non si accostava a loro; e rimasero così rinchiuse, vivendo come vedove, fino al giorno della loro morte (20:3).

UNA SERVA DI EN-ROGHEL

Di questa serva di En-Roghel si parla in (2 Samuele 17:17). Di lei si riferisce che portò un messaggio a Gionatan e Aimaas, visto che questi non potevano entrare in città in modo palese, per comunicarlo a Davide, in modo che il re conoscesse la situazione che si era determinata a Gerusalemme a motivo di Absalom, per non rimanere sopraffatto (v. 16).

LA DONNA DI BAURIM

Ricevuto il messaggio, Gionatan e Aimaas

partirono di corsa e giunsero a Baurim a casa di un uomo che aveva nel suo cortile una cisterna.
Quelli vi si calarono; e la donna di casa prese una coperta, la distese sulla bocca della cisterna e vi sparse su del grano; così nessuno ne seppe nulla
(17:18-19).

Se la serva di En-Roghel comunicò un messaggio ai due messaggeri di Davide, la donna di Baurim pensò a proteggerli, così che Davide non subisse nessun danno.

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20/09/2011 00:16

UNA DONNA DI ABEL-BET-MAACA

La donna di Abel, menzionata in (2 Samuele 20:16-22), merita una particolare attenzione per un gesto che compì nel sapere affrontare una situazione di emergenza. Un certo Seba, figlio di Bicri, della regione montuosa di Efraim, aveva alzato la sua mano contro il re, contro Davide, inducendo gran parte del popolo a lasciare Davide (vv. 1-2, 21). Davanti ad una simile minaccia, Davide pensava che questo uomo scellerato, avrebbe fatto più male di Absalom, perciò ordinò di inseguirlo, per evitare che potesse nascondersi in città fortificate e sfuggire alla cattura.

Abisai e Ioab, avendo saputo che Seba si era rifuggiato ad Abel-Bet-Maaca, assediarono quella città, innalzarono un terrapieno che dominava le fortificazioni; tutta la gente che era con Ioab scavava le mura per farle crollare (v. 15).

A questo punto entra in azione una donna di buon senso, la quale con il suo gridare, riuscì a chiamare all’attenzione Ioab, per annunciargli che non è saggezza distruggere una delle più pacifiche città e più fedeli in Israele (v. 19). Sentendosi trattato come un vile e crudele uomo, giustamente Ioab risponde che le cose non stanno come pensa lei.

Se la città di Abel è stata assediata — voleva dire Ioab — non è stato per distruggerla, ma solamente per catturare Seba che si è ribellato contro Davide. Per evitare che qualcuno fraintendesse le sue parole, Ioab precisa, scandendo bene i termini: Consegnatemi lui solo e io mi allontanerò dalla città. Davanti a quelle precise parole, la donna che si era fatta avanti per evitare quella tragedia, con altrettanta precisione e fermezza, risponde: La sua testa ti sarà gettata dalle mura (v. 21). Nel giro di poco tempo, la testa di Seba, figlio di Bicri venne gettata a Ioab, il quale non perse tempo a suonare la tromba perché tutti si allontanassero dalla città e ognuno tornasse alla sua tenda (v 22).

LE MOGLI DI SALOMONE E LE SUE CONCUBINE

Quando si parlava di mogli e di concubine, nessuno dei personaggi menzionati dalla Bibbia, ne ebbe tante come il re Salomone: Settecento principesse per mogli e trecento concubine. Il racconto delle mogli e delle concubine di Salomone, si trova in (1 Re 11:1-8).

Nonostante che Salomone fosse un uomo scelto dal Signore per regnare sopra il suo popolo d’Israele, e avessericevuto da Dio una straordinaria sapienza, che nessuno prima di lui ebbe e nessuno dopo di lui avrà, ricchezze e gloria, la sua fine fu una delle più infelici.

Il fatto di essersi innamorato di tante donne appartenenti a popoli dei quali Dio aveva vietato di unirsi in matrimonio, fu il più grande sbaglio che Salomone commise nella sua vita. Forse all’inizio, non avrà pensato al pericolo che avrebbe minacciato la sua integrità spirituale! Però, con il passare degli anni, quando si avvicinò alla sua vecchia, le mogli pagane ebbero il sopravvento sulla sua vita e lo indussero a compromettere la sua fede nell’unico vero Dio.

Acconsentendo addirittura alle richieste delle sue mogli, di costruire edifici per offrire sacrifici alle divinità pagane, Salomone toccò il fondo del suo sviamento; perse la sua sensibilità e venne trascinato addirittura a seguire divinità pagane. Il testo biblico, a questo proposito è molto esplicito:

Salomone seguì Astarte, divinità dei Sidoni, e Milcom, l’abominevole divinità degli Ammoniti.
Così Salomone fece ciò che è male agli occhi del SIGNORE e non seguì pienamente il SIGNORE, come aveva fatto Davide suo padre.
Fu allora che Salomone costruì, sul monte che sta di fronte a Gerusalemme, un alto luogo per Chemos, l’abominevole divinità di Moab, e per Moloc, l’abominevole divinità dei figli di Ammon.
Fece così per tutte le sue donne straniere, le quali offrivano profumi e sacrifici ai loro dèi
(vv. 5-8).

La conclusione che possiamo tirare da questo tragico episodio, è la seguente: quando non si tiene conto di quello che Dio dice nella Sua Parola, magari con il pretesto di sapere controllare le varie situazioni, si finisce col pagarla salata. E non solo, accadrà inevitabilmente, quello che più tardi scriverà l’apostolo Paolo:

Non vi ingannate; non ci si può beffare di Dio; perché quello che l’uomo avrà seminato, quello pure mieterà.
Perché chi semina per la sua carne, mieterà corruzione dalla carne; ma chi semina per lo Spirito mieterà dallo Spirito vita eterna
(Galati 6:7-8).

LE DUE PROSTITUTE CHE SI PRESENTARONO DAVANTI A
SALOMONE


Il racconto delle due prostitute che si presentarono davanti al re Salomone, si trova in (1 Re 3:16-28).
Insediatosi sul trono d’Israele, per regnare in luogo di suo padre Davide, Salomone all’inizio del suo regno, doveva verificare se Dio aveva esaudito la sua richiesta, di dargli cioè sapienza e intelligenza per amministrare la giustizia in mezzo al popolo.

Dà dunque al tuo servo un cuore intelligente perché io possa amministrare la giustizia per il tuo popolo e discernere il bene dal male; perché chi mai potrebbe amministrare la giustizia per questo tuo popolo che è così numeroso?» (v. 9).

Le due prostitute che si presentarono davanti al nuovo regnante d’Israele, furono il banco di prova. Infatti, così come ognuno di loro raccontò il caso, non era facile sapere chi delle due donne asseriva la verità e si trovava dalla parte della ragione e chi invece affermava la falsità si trovava dalla parte del torto. Davanti al battibecco delle due madri che dicevano alternativamente: il bambino vivo è mio figlio, il bimbo morto è tuo; e l’altra: no! Il figlio morto non appartiene a me, è quello vivo che io ho generato!

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21/09/2011 00:05

Da buon giudice che Salomone era, nell’ascoltare pazientemente le due litiganti, non sapendo chi delle due mamme dicesse la verità, emanò la sentenza: Recatemi una spada, dividete il bimbo vivo in due parti e datene metà all’una e all’altra.

La sentenza era categorica! Nessuna delle due donne poteva affermare che il re avesse fatto parzialità. Neanche quelli, al di fuori delle due mamme, che ascoltarono la decisione del regnante, potevano disapprovare la deliberazione adottata. È però a questo punto, cioè quando arriva la spada davanti al re e si cerca di prendere il bambino vivo per dividerlo a metà, che colei che era la vera mamma grida con tutta la forza che ha in corpo:

«Mio signore, date a lei il bambino vivo, e non uccidetelo, no!» Colei che se ne stava silenziosa e quieta, anche lei aprì la bocca, per dire: «Non sia mio né tuo; si divida»! (v. 26).

Davanti a quelle parole, Salomone capì chi era la vera mamma, chi si trovava nella parte cioè dalla ragione e chi dalla parte del torto. Il racconto si conclude con la seguente affermazione: Tutto Israele udì parlare del giudizio che il re aveva pronunziato, ed ebbero rispetto per il re perché vedevano che la sapienza di Dio era in lui per amministrare la giustizia (v. 28).

LA MADRE DI CHIRAM

Davanti al genio artistico che possedeva Chiram, nel compiere tutti i lavori che Salomone gli affidò per la casa di Dio, cioè il tempio di Gerusalemme (cfr. 1 Re 7:13-45), della madre di questo famoso artigiano, viene solamente ricordato che era una vedova della tribù di Neftali (1 Re 7:13); mentre, stando a quanto afferma (2 Cronache 2:13-16), la madre di Chiram era della tribù di Dan.
«Questa differenza può essere spiegata ipotizzando che Dan sia la tribù di nascita della donna e Neftali la residenza o viceversa».

LA REGINA DI SEBA

I seguenti testi: (1 Re 10:1-13; 2 Cronache 9:1-12 e Matteo 12:42) parlano della regina di Seba. Seguendo la descrizione dei due passaggi dell’A.T. si possono notare alcune caratteristiche che aveva questa donna. Il motivo perché questa regina affrontò un sì lungo viaggio, fu essenzialmente per aver sentito parlare dalla sapienza di Salomone, anche se in un primo tempo stentava a credere che quanto si diceva di quest’uomo fosse vero.

La Scrittura precisa che questa regnante, andò a Gerusalemme per mettere alla prova Salomone con degli enigmi (10:1). Quando la regina ottenne tutte le risposte a tutte le sue domande, poiché non ci fu niente di oscuro per il re che egli non sapesse spiegare (v. 3), la casa che egli aveva costruito, i cibi della sua mensa, gli alloggi dei suoi servitori, l’organizzazione dei suoi ufficiali e le loro uniformi, i suoi coppieri e gli olocausti che egli offriva nella casa del SIGNORE, senza perdersi in preamboli, esclamò:

«Quello che avevo sentito dire nel mio paese della tua situazione e della tua saggezza era dunque vero.
Ma non ci ho creduto finché non sono venuta io stessa e non ho visto con i miei occhi. Ebbene, non me n’era stata riferita neppure la metà! La tua saggezza e la tua prosperità sorpassano la fama che me n’era giunta!
Beata la tua gente, beati questi tuoi servitori che stanno sempre davanti a te, e ascoltano la tua saggezza!
Sia benedetto il SIGNORE, il tuo Dio, il quale ti ha gradito, mettendoti sul trono d’Israele! Il SIGNORE ti ha fatto re, per amministrare il diritto e la giustizia, perché egli nutre per Israele un amore eterno»
(vv. 6-9).

Poiché la regina era molto ricca, diede in regale a Salomone 120 talenti d’oro e una grandissima quantità di aromi e pietre preziose (v. 10). Siccome il talento aveva un peso di 49,2 kg. x 120, dà un totale di 5.904 kg. Questo fu il peso totale di d’oro che la regina di Seba offrì a Salomone, come regalo.

LA MOGLIE DI ADAD

Della moglie di Adad, che fu un nemico di Salomone ed era un Idumeo, della stirpe reale di Edom (1 Re 11:14) si parla solamente in (1 Re 11:19-20). Di questa donna si sa solamente che era la sorella della regina Tacpenes e che il faraone la diede in moglie a Adad.

LA MOGLIE DI GEROBOAMO

Per quanto riguarda la moglie di Geroboamo, da quello che si legge nel testo biblico di (1 Re 14:1-17), c’è da dire qualcosa intorno a questa donna. Poiché tutte le parole contenute nel passaggio Biblico sono importanti ed hanno una valenza sulla vita pratica, preferiamo citarle per esteso.

In quel tempo, Abiia, figlio di Geroboamo, si ammalò.
Geroboamo disse a sua moglie: «Alzati, ti prego, e travestiti, affinché non si sappia che tu sei moglie di Geroboamo, e va’ a Silo. Là c’è il profeta Aiia, il quale predisse che sarei stato re di questo popolo.
Prendi con te dieci pani, delle focacce, un vaso di miele, e va’ da lui; egli ti dirà quello che avverrà di questo ragazzo».
La moglie di Geroboamo fece così; partì, andò a Silo, e giunse a casa di Aiia. Aiia non poteva vedere, poiché gli si era indebolita la vista per la vecchiaia.
Il SIGNORE aveva detto ad Aiia: «La moglie di Geroboamo sta per venire a consultarti riguardo a suo figlio, che è ammalato. Tu parlale così e così. Quando entrerà, fingerà di essere un’altra».
Quando Aiia udì il rumore dei passi di lei che entrava per la porta, disse: «Entra pure, moglie di Geroboamo; perché fingi d’essere un’altra? Io sono incaricato di dirti delle cose dure.
Va’ e di’ a Geroboamo: Così parla il SIGNORE, Dio d’Israele: Io ti ho innalzato in mezzo al popolo, ti ho fatto principe del mio popolo Israele.
Ho strappato il regno dalle mani della casa di Davide e l’ho dato a te. Ma tu non sei stato come il mio servo Davide il quale osservò i miei comandamenti e mi seguì con tutto il suo cuore, facendo soltanto ciò che è giusto ai miei occhi.
Tu hai fatto peggio di tutti quelli che ti hanno preceduto, e sei andato a farti degli altri dèi e delle immagini fuse per provocarmi a ira e hai gettato me dietro alle tue spalle.
Per questo io faccio piombare la sventura sulla casa di Geroboamo, e sterminerò la casa di Geroboamo fino all’ultimo uomo, tanto chi è schiavo come chi è libero in Israele, e spazzerò la casa di Geroboamo, come si spazza lo sterco finché sia tutto sparito.
Quelli di Geroboamo che moriranno in città, saranno divorati dai cani; e quelli che moriranno nei campi, saranno divorati dagli uccelli del cielo; poiché il SIGNORE ha parlato.
Quanto a te, àlzati, va’ a casa tua; non appena avrai messo piede in città, il bambino morrà.
Tutto Israele lo piangerà e gli darà sepoltura. Egli è infatti, il solo della casa di Geroboamo che sarà messo in una tomba, perché è il solo nella casa di Geroboamo in cui si sia trovato qualcosa di buono, rispetto al SIGNORE, Dio d’Israele.
Il SIGNORE stabilirà sopra Israele un re, che in quel giorno sterminerà la casa di Geroboamo. E che dico? Non è forse quello che già succede?
Il SIGNORE colpirà Israele, che sarà come una canna agitata nell’acqua; sradicherà Israele da questa buona terra che aveva data ai loro padri, e li disperderà oltre il fiume, perché si sono fatti degli idoli di Astarte provocando l’ira del SIGNORE.
Egli abbandonerà Israele a causa dei peccati che Geroboamo ha commesso e fatto commettere ad Israele».
La moglie di Geroboamo si alzò, partì, e giunse a Tirsa; e come metteva il piede sulla soglia di casa, il ragazzo morì.
Lo seppellirono, e tutto Israele lo pianse, secondo la parola che il SIGNORE aveva pronunziata per bocca del profeta Aiia suo servo
(1 Re 14:1-18).

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22/09/2011 00:06

L’insegnamento che si può ricavare da questa storia, si può condensare con queste parole: Vale la pena di essere sempre onesti e non indossare mai la veste dell’ipocrita, per non apparire diversi da quello che effettivamente si è.

LA VEDOVA DI SAREPTA

La storia di questa nobile e stupenda vedova di Sarepta, è descritta in (1 Re 17:8-24 e del suo nome si fa menzione anche in (Luca 4:25-26). L’ammirazione che suscita nel comune lettore della Bibbia, (e in modo particolare in chi vuole approfondire la sua riflessione) la storia di questa vedova di Sarepta, è sicuramente grande, soprattutto quando si ammira: la sua umiltà, la prontezza nel rendersi disponibile per altri e la fiducia che ha alle parole di Elia, uomo di Dio.

Non sappiamo se questa donna di Sarepta, nel passato, abbia sentito parlare di Elia, visto che dal racconto biblico traspare la convinzione di non averlo incontrato prima di quel giorno. Se Elia si è rivolto a lei, non è stato certamente perché la conoscesse prima, ma solamente perché Dio gli aveva annunciato che aveva incaricato una vedova di Sarepta, che si sarebbe preso cura di lui, nel fornirgli da mangiare. Chi sarebbe stata questa vedova, dal momento che Dio non glielo aveva rivelato? Il profeta non lo sa! Ecco perché quando arriva alla porta della città di Sarepta, alla prima donna che incontra, le chiede dell’acqua, non solamente per soddisfare la sua sete, ma soprattutto per conoscere la vedova, di cui Dio parlò.

Siccome le cose li aveva preparate il Signore, quando la vedova si sentì chiedere dell’acqua da un uomo che lei non aveva mai incontrato prima di quel giorno, invece di chiedergli (come sarebbe stato nella logica, ma tu, chi sei?) andò subito per cercare un po’ di acqua e portarla a quell’uomo. A questo punto Elia ha la certezza che la donna che ha davanti a sé, è quella che Dio ha incaricato per lui. Il fatto poi che il profeta, mentre la vedova sta andando in cerca dell’acqua, gli grida di dietro: «Portami, ti prego, anche un pezzo di pane» (v. 11), rafforza ulteriormente la sua convinzione. La risposta che la vedova dà, mette in evidenza che aveva intuito che quell’uomo, con il quale sta parlando, è sicuramente un Ebreo:

«Com’è vero che vive il SIGNORE, il tuo Dio, del pane non ne ho; ho solo un pugno di farina in un vaso, e un po’ d’olio in un vasetto; ed ecco, sto raccogliendo due rami secchi per andare a cuocerla per me e per mio figlio; la mangeremo, e poi moriremo» (v. 12).

Al che il profeta subito risponde:
«Non temere; va’ e fa’ come hai detto; ma fanne prima una piccola focaccia per me, e portamela; poi ne farai per te e per tuo figlio.

Infatti, così dice il SIGNORE, Dio d’Israele: la farina nel vaso non si esaurirà e l’olio nel vasetto non calerà, fino al giorno che il SIGNORE manderà la pioggia sulla terra»
(vv. 13-14).

La prontezza con cui agì e la fiducia che manifestò, alle parole del profeta, si possono notare nelle parole: Quella andò e fece come Elia le aveva detto (v. 15). Il risultato fu: Lei, la sua famiglia ed Elia ebbero di che mangiare per molto tempo.
La farina nel vaso non si esaurì, e l’olio nel vasetto non calò, secondo la parola che il SIGNORE aveva pronunziata per bocca d’Elia
(vv. 15-16).

L’episodio che seguirà, non servirà solamente per farci conoscere un altro miracolo che il Signore compirà, per mezzo di Elia, nella casa della vedova, ma anche e soprattutto per farci comprendere come quella donna considera il suo ospite. Non si conoscono, né le cause della malattia che colpirono il figlio della vedova, né la sua età; si sa solamente che quel fanciullo morì, a seguito di quel malessere. Davanti a quella morte inaspettata, la mamma espresse una convinzione, che poi sarà errata.

Allora la donna disse a Elia: «Che ho da fare con te, o uomo di Dio? Sei forse venuto da me per rinnovare il ricordo delle mie iniquità e far morire mio figlio?» (v. 18).

Non servirà rispondere a quella mamma straziata dal dolore, che non è affatto vero quello che lei pensa; Elia si limita solamente a rivolgerle tre parole: «Dammi tuo figlio» (v. 19). Col fanciullo morto tra le sue braccia, sale nella camera di sopra dove egli alloggia, lo corica sul suo letto, e poi invoca il Signore:

«SIGNORE mio Dio, colpisci di sventura anche questa vedova, della quale io sono ospite, facendole morire il figlio?»
Si distese quindi tre volte sul bambino e invocò il SIGNORE, e disse: «SIGNORE mio Dio, ti prego, torni la vita di questo bambino in lui!»
(vv. 20-21).

Visto che il Signore ha ascoltato la preghiera del suo servitore facendo ritornare lo spirito del fanciullo in lui, Elia può ritornare dalla mamma, e dirle:

«Guarda! Tuo figlio è vivo» (v. 23). Le ultime parole che la vedova rivolge all’indirizzo del profeta, sono: «Ora riconosco che tu sei un uomo di Dio, e che la parola del SIGNORE, che è nella tua bocca, è verità» (v. 24).

LA MADRE DI ELISEO

Il riferimento alla madre di Eliseo, oltre a trovarsi in un solo versetto della Bibbia, cioè in (1 Re 19:20), si trova in un contesto di commiato, per la decisione presa da Eliseo a seguire Elia.

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23/09/2011 01:01

LA MOGLIE DI UNO DEI DISCEPOLI DEI PROFETI

Della moglie di uno dei discepoli dei profeti, si parla in (2 Re 4: 1-7). La storia di questa donna è molto interessante e può insegnarci preziose verità.

Una donna, moglie di uno dei discepoli dei profeti, si rivolse a Eliseo, e disse: «Mio marito, tuo servo, è morto; e tu sai che il tuo servo temeva il SIGNORE. Il suo creditore è venuto per prendersi i miei due figli come schiavi».
Eliseo le disse: «Che devo fare per te? Dimmi, che cosa hai in casa?» La donna rispose: «La tua serva non ha nulla in casa, tranne un vasetto d’olio».
Allora egli disse: «Va’ fuori, chiedi in prestito a tutti i tuoi vicini dei vasi vuoti; e non ne chiedere pochi.
Poi torna, chiudi la porta dietro di te e i tuoi figli, e versa dell’olio in tutti quei vasi; e, a mano a mano che saranno pieni, falli mettere da parte.
La donna se ne andò e si chiuse in casa con i suoi figli; questi le portavano i vasi, e lei vi versava l’olio.
Quando i vasi furono pieni, disse a suo figlio: «Portami ancora un vaso». Egli le rispose: «Non ci sono più vasi». E l’olio si fermò.
Allora lei andò e riferì tutto all’uomo di Dio, che le disse: «Va’ a vender l’olio, e paga il tuo debito; e di quel che resta sostèntati tu e i tuoi figli
.

Le verità che questa storia c'insegna, riguarda l’obbedienza e la fede. Questi sono i due elementi necessari che ci permetteranno di sperimentare la potenza di Dio nella nostra vita.

LA DONNA DI SUNEM

Di questa donna si parla in (2 Re 4: 8-37; 8: 1-6). A differenza della moglie di uno dei discepoli dei profeti, che era povera e indebitata, quella del nostro testo è invece ricca, generosa, premurosa ed ospitale. Infatti, fu la sua generosità che la spinse ad invitare Eliseo a mangiare a casa sua, non solo una sola volta, ma tutte le volte che egli passava da quelle parti, andava a mangiare da lei (v. 1).

Visto che tra i due si era instaurata una buon'amicizia e che da quest'amichevole relazione la donna aveva compreso che Eliseo era un santo uomo di Dio, parlando con suo marito, gli propose di

costruiamogli, di sopra, una piccola camera in muratura e mettiamoci per lui un letto, un tavolino, una sedia e un candeliere, affinché, quando verrà da noi, egli possa ritirarvi (vv. 9-10).

La proposta venne accettata, e tutte le volte che Eliseo passava da Sunem, andava a dormire in quella camera.

Davanti ad una simile accoglienza di calorosa ospitalità, Eliseo pensa che quella donna che si era premurosamente interessata per lui, meritasse una ricompensa. Parlando con il suo servitore Gheazi, venne a sapere che la Sunamita non aveva figli e che suo marito era vecchio (v. 14). Fattala chiamare, le disse:

«L’anno prossimo, in questo stesso periodo, tu abbraccerai un figlio». Lei rispose: «No, mio signore, tu che sei un uomo di Dio, non ingannare la tua serva!»
Questa donna concepì e, l’anno dopo, in quel medesimo periodo partorì un figlio, come Eliseo le aveva detto
(vv. 16-17).

Dopo un po’ di anni, un giorno il bambino trovandosi da suo padre che era con i mietitori, avvertì un forte dolore alla testa. Il padre, non sapendo come aiutare il figlio, ordinò ad un suo servo che lo portasse subito dalla mamma, la quale, tenendolo sulle sue ginocchia fino a mezzogiorno, il fanciullo morì (v. 20).

Senza comunicare la notizia al marito della morte del figlio, dopo di avere adagiato il ragazzo sul letto di Eliseo, la donna del nostro testo, corse per andare a trovare l’uomo di Dio. Arrivata da lui, le disse:

«Avevo forse chiesto di poter avere un figlio? Non ti dissi dunque: non m’ingannare?» (v. 28).

A questo punto Eliseo capì che il fanciullo era morto. Perciò ordinò al suo servo Gheazi di andare e mettere il suo bastone sulla faccia del fanciullo (v. 29). La mamma, però, invece di seguire Gheazi, preferì rimanere con Eliseo e seguire lui. Sentendo dal servo, che non era successo niente al ragazzo, quando gli è stato messo sulla faccia il suo bastone, Eliseo, lungi dall’essere preso dallo scoraggiamento, entra nella camera

salì sul letto e si coricò sul bambino; pose la sua bocca sulla bocca di lui, i suoi occhi sugli occhi di lui, le sue mani sulle mani di lui; si distese sopra di lui, e il corpo del bambino si riscaldò.
Poi Eliseo s’allontanò, andò qua e là per la casa; poi risalì, e si ridistese sopra il bambino; e il bambino starnutì sette volte, e aprì gli occhi.

Allora Eliseo chiamò Gheazi e gli disse: «Chiama questa Sunamita». Egli la chiamò; e, come giunse vicino ad Eliseo, questi le disse: «Prendi tuo figlio».
La donna entrò, gli si gettò ai piedi, e si prostrò in terra; poi prese suo figlio, e uscì
(vv. 34-37).

Con questo felice epilogo, si conclude la prima parte della storia della Sunamita. Trascorso un po’ di tempo, Eliseo avverte la Sunamita, di un'imminente carestia, che si protrarrà per sette anni, invitandola nel frattempo a trasferirsi all’estero con la sua famiglia. Le parole che si leggono:

La donna si alzò, e fece come le aveva detto l’uomo di Dio; se ne andò con la sua famiglia, e soggiornò per sette anni, nel paese dei Filistei (2 Re 8: 2),

dimostrano la sua pronta ubbidienza. Se questa donna non ebbe nessun'esitazione a trasferirsi all’estero e non avanzò nessun'argomentazione in merito, è una chiara prova che lei credeva e aveva fiducia nelle parole dell’uomo di Dio. Più tardi, quando terminarono i sette anni di carestia, non solo ritornò alla sua terra, ma ebbe anche il piacere di raccontare al re la storia della risurrezione di suo figlio ed avere la restituzione di tutto quello che è suo, e tutte le rendite delle terre, dal giorno in cui lasciò il paese, fino ad ora» (v. 6).

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