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Domenico34 – donne nenzionate nella Bibbia – Capitolo 1. DONNE NOMINATE NELL’A.T.

Ultimo Aggiornamento: 04/08/2011 00:21
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19/07/2011 00:13

GIUDIT

Una delle mogli di Esaù e figlia di Beeri, l’Ittita (Genesi 26:34).

LEA

Il nome di Lea, è menzionato nella Bibbia 35 volte, 34 dei quali nel libro della Genesi e una sola volta nel libro di Rut, precisamente in 4:11. Si comincia con l’affermare che Lea era la figlia maggiore di Labano (Genesi 29:16) ed aveva gli occhi delicati (29:17). Il giorno quando si celebrò il matrimonio di Giacobbe con Rachele, la sera, al termine del primo giorno della festa nuziale, invece di andare Rachele a letto con Giacobbe, vi andò Lea (29:24).

Siccome questo tratto della storia, l’abbiamo trattato nel nostro libro Giacobbe... L’uomo trasformato da Dio, per evitare di ripeterlo in questa sede, consigliamo il lettore di leggere quel nostro lavoro [D. Barbera, Giacobbe... L’uomo strasformato da Dio, capitolo 6, pagg. 67-77].

Qui di seguito vogliamo aggiungere qualcosa che non è stato trattato nel nostro libro in questione. Resta assodato il fatto che, se Giacobbe andò a letto con Lea, la prima notte del suo matrimonio, non fu certamente per volontà di quest’ultima. Si sa, infatti, con certezza che fu il padre, cioè Labano, quello che organizzò e stabilì tutto. Sembra strano che di Lea non si dica una sola parola in questa faccenda! Cioè, che questa figlia maggiore di Labano, non si sia opposta alla volontà del padre.

Questo suo completo silenzio, o la mancanza di una naturale reazione, potrebbe farci pensare ad una sua corresponsabilità. Questo, però, non è possibile affermarlo, non solo perché nel testo biblico non c’è la minima traccia, ma anche perché il resto della narrazione, non permette di arrivare ad una simile conclusione.

Si deve pertanto accettare il silenzio della narrazione biblica, e non elaborare ipotesi di corresponsabilità da parte di Lea. Dal momento che Giacobbe accettò di passare una settimana con Lea, anche se nella sua intenzione non c’era la minima idea di unirsi con lei, a tutti gli effetti, però, Lea diventò una sua legittima moglie. Il fatto che più tardi, Lea, chiamerà Giacobbe, suo marito (29:32), giustifica in pieno la nostra affermazione.

Seguendo il racconto biblico si afferma che Lea era odiata. La (N.D.) invece riferisce che Lea non era amata (29:31). Da chi non era amata? Da suo marito, naturalmente! Il fatto che il primo figlio che Lea partorì, gli mise il nome di Ruben, letteralmente significa vedere un figlio, e subito espresse la convinzione: Ora mio marito mi amerà (v. 33), prova che in effetti, era proprio Giacobbe che non amava Lea. Avrà cambiato atteggiamento Giacobbe nei confronti di Lea, dopo la nascita di Ruben? La nascita di Simeone, di Levi e di Giuda (vv. 33-35), che Lea partorì a Giacobbe, ci porta a credere di sì.

Dopo di aver partorito quattro figli, Lea cessa di concepire. Vedendo che non riusciva più a concepire e partorire altri figli, (questa donna che dà la sensazione di essere insaziabile), non si dà per vinta. Escogita un piano per avere altri figli; e, questo lo fa, dando a suo marito la sua serva Zilpa per moglie (30:9).

Dal racconto biblico, non sappiamo niente se Zilpa avrà reagito o avrà tentato di opporsi alla volontà della sua padrona, di andare a letto con Giacobbe. Siccome il testo biblico non riferisce niente a tal proposito, dobbiamo accettare che Zilpa, come serva, non poteva rifiutarsi di obbedire ad un ordine di Lea.

Il movente che spinse Lea a quella strategia

Se l’autore sacro non specificasse come andarono le cose in quel tempo, non ne sapremmo parlare. Lea non escogitò la strategia di dare a suo marito la sua serva Zilpa, come moglie, solo perché lei non riusciva più a concepire. Una simile idea gli venne suggerita, da quello che sua sorella Rachele aveva fatto, nel dare a Giacobbe la sua serva Bila, per avere figli da lei.

Questo suo comportamento, forse inconsapevole, ricalcava il modo di agire di Sarai, moglie di Abrahamo, sua nonna. Infatti, sappiamo che a suo tempo, Sarai, visto che non poteva avere figli, perché era sterile, diede la sua serva Agar a suo marito come moglie, perché da lei potesse avere un figlio.

Anche se le due famiglie, quella di Sarai e quella di Lea, erano diverse, in virtù del matrimonio con Giacobbe, il comportamento della nonna si tramandava. C’è anche un altro motivo, che è il più significativo: Lea venne spinta da un senso d'invidia per quello che aveva fatto sua sorella Rachele. Se Rachele non avesse dato a Giacobbe la sua serva Bila, come moglie, si sarebbe comportato lo stesso Lea? Probabilmente no!

Questo però non giustifica l’invidia che Lea manifestò in quella circostanza, nei confronti di sua sorella Rachele. L’invidia, sotto qualsiasi aspetto la consideriamo, è sempre quella che è; non ha mai prodotto del bene a nessuno e mai ne produrrà. I seguenti testi sono molto significativi

Non adirarti a causa dei malvagi; non aver invidia di quelli che agiscono perversamente (Salmi 37:1);

Non portare invidia all’uomo violento e non scegliere nessuna delle sue vie (Proverbi 3:31);

Un cuore calmo è la vita del corpo, ma l’invidia è la carie delle ossa (Proverbi 14:30).

Il tuo cuore non porti invidia ai peccatori, ma perseveri sempre nel timore del SIGNORE (Proverbi 23:17);

Non portare invidia ai malvagi, non desiderare di star con loro (Proverbi 24:1),

Non t’irritare a motivo di chi fa il male, e non portare invidia agli empi (Proverbi 24:19);

Il loro amore come il loro odio e la loro invidia sono da lungo tempo periti, ed essi non hanno più né avranno mai alcuna parte in tutto quello che si fa sotto il sole (Ecclesiaste 9:6).

Pilato sapeva che glielo avevano consegnato per invidia (Matteo 27:18).

Pilato sapeva che i capi dei sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia (Marco 15:10).

Il sommo sacerdote e tutti quelli che erano con lui, cioè la setta dei sadducei, si alzarono, pieni di invidia (Atti 5:17),

I patriarchi, portando invidia a Giuseppe, lo vendettero, perché fosse condotto in Egitto; ma Dio era con lui (Atti 7:9),

Ma i Giudei, vedendo la folla, furono pieni di invidia e, bestemmiando, contraddicevano le cose dette da Paolo (Atti 13:45).

I Giudei, mossi da invidia, presero con loro alcuni uomini malvagi tra la gente di piazza; e, raccolta quella plebaglia, misero in subbuglio la città; e, assalita la casa di Giasone, cercavano di trascinare Paolo e Sila davanti al popolo (Atti 17:5).

Gli uomini ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità… (Romani 1:29);

L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia (1 Corinzi 13:4),

L’uomo… è un orgoglioso e non sa nulla; ma si fissa su questioni e dispute di parole, dalle quali nascono invidia, contese, maldicenza, cattivi sospetti (1 Timoteo 6:4),

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20/07/2011 00:08

Anche noi un tempo eravamo insensati, ribelli, traviati, schiavi di ogni sorta di passioni e di piaceri, vivendo nella cattiveria e nell’invidia, odiosi e odiandoci a vicenda (Tito 3:3).

Infatti, dove c’è invidia e contesa, c’è disordine e ogni cattiva azione (Giacomo 3:16)

Entra in scena Zilpa

Visto che Zilpa venne data a Giacobbe come moglie, questo però non significa che diventò moglie legittima. La sua posizione non cambiò fino il giorno della sua morte. Era serva quando Lea diventò la moglie di Giacobbe e tale rimase per tutto il tempo della sua vita, anche dopo che partorì due figli.

Se Lea diede la sua serva a suo marito, lo fece allo scopo di avere altri figli, e non per procurare altre sensazioni a suo marito. Di conseguenza, i rapporti sessuali tra Giacobbe e Zilpa, si protrassero, finché quest’ultima uscì incinta. Al figlio che Zilpa partorì, Lea gli mise il nome di Gad, lett. felicità, perciò disse: Che fortuna!

Visto che lo scopo era di avere figli, Zilpa non venne sottratta a Giacobbe, così che egli poté avere un altro figlio da lei, al quale Lea gli diede il nome di Ascer, ebr. ’ ascher, lett. felice (30:10-13). Quanto tempo è passato prima che Lea ritornasse ad aspettare un altro figlio, non possiamo stabilirlo.

Gli altri figli che nascono da Lea

Ruben uscì al tempo della mietitura del grano e trovò nei campi delle mandragole, che portò a Lea sua madre. Allora Rachele disse a Lea: «Ti prego, dammi delle mandragole di tuo figlio!»
Ma Lea rispose: «Ti pare poco avermi tolto il marito, che mi vuoi togliere anche le mandragole di mio figlio?» E Rachele disse: «Ebbene, si corichi pure con te questa notte, in compenso delle mandragole di tuo figlio».
Come Giacobbe, sul far della sera, se ne tornava nei campi, Lea uscì ad incontrarlo, e gli disse: «Vieni da me, perché ti ho preso per me con le mandragole di mio figlio». Ed egli si coricò con lei quella notte.
Dio esaudì Lea, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio.
E lei disse: «Dio mi ha ricompensata, perché ho dato la mia serva a mio marito». E lo chiamò Issacar
(vv. 14-18), che significava premio.

Le mandragore che Ruben, figlio di Lea, (in quel tempo avrà avuto sulle 5-6 anni) trovò nei campi al tempo della mietitura del grano, erano conosciute fin dall’antichità come afrodisiache. È opportuno dare un preciso resoconto su questo frutto, per meglio capire il testo biblico. Prima di addentrarci sulla descrizione delle mandragore, diamo qui di seguito la definizione linguistica, così come la rileviamo dal GDLI (Grande Dizionario della Lingua Italia) di S. Battaglia.

«Pianta velenosa della famiglia Solanacee, con grandi foglie ondulate che cadono in estate; fiori bianchi o viola; frutti a bacca; radice molto grossa e ramificata, con aspetto antropomorfo; è diffusa nei boschi delle zone mediterranee e in passato, per la forma particolare della radice, veniva considerata una pianta mostruosa, dotata di virtù magiche e afrodisiache. — Anche la radice o il frutto di tale pianta» [S. Battaglia, GDLI, (Grande Dizionario della lingua italiana), Vol. IX, pag. 632].

A sua volta, il termine afrodisiaco, significa:

«che eccita il contatto sessuale. Farmacologicamente: sostanza che eccita lo stimolo sessuale.

«La loro curiosa radice, per quella forma che ricorda largamente quell’umana, contiene una gran parte come incantesimo nella superstizione di tutti i tempi e di tutti i popoli. Anche i loro frutti, dall’odore molto acre e simile a minuscole mele, noti come afrosidiaco» [S. Battaglia, (Grande Dizionario della lingua italiana), GDLI, Vol. I, pagg. 229-230].

Per questa loro caratteristica di accrescere il desiderio, sono ricercati da Rachele è tanto, amata da Giacobbe, ma è ancora priva di figli.

Il fatto che questo frutto l’abbia trovato Ruben, il ragazzino dai 5 o 6 anni, non significa che conoscesse le virtù di quello che si credeva avesse. Ma quando le mandragore arrivarono nelle mani di Lea e lo venne a sapere Rachele, che li cercava disperatamente, lei che ne aveva sentito parlare, fece del tutto per averle, pensando che avrebbe potuto risolvere il problema della sua sterilità, che la tormentava giorno e notte.

Anche Lea conosceva le mandragore per lo stimolo sessuale che produceva. Se non avesse raggiunto un accordo con la sorella, non facilmente le avrebbe date a Rachele. Non tanto perché gliele aveva dato suo figlio Ruben, quanto per l’effetto che aveva sulla vita sessuale. Anche lei che era sempre affamata di rapporti sessuali per partorire altri figli, quando Rachele gli offrì di passare una notte con Giacobbe, senza pensarci due volte, diede le mandragore a Rachele.

La sera quando Giacobbe rientrò dai campi, non avendo altro pensiero nella sua testa, Lea gli va incontro e gli dice: «Devi entrare da me, perché io ti ho accaparrato con le mandragore di mio figlio». Così quella notte, egli si coricò con lei.

A questo punto il testo precisa che se Dio non avesse esaudito Lea, non sarebbe avvenuto il concepimento e neanche ci sarebbe stato il parto che avrebbe segnato la nascita. In vista dunque di questo compimento divino, Lea chiama il figlio che gli era nato Issacar, = premio, specificando: «Dio mi ha dato la mia ricompensa, perché io ho dato la mia serva a mio marito».

Riconoscere pertanto l’intervento divino nella nostra vita, è sempre di gran beneficio per la nostra esperienza cristiana. Una volta che Dio aveva esaudito Lea, nel renderla feconda, essa non ebbe nessuna difficoltà a concepire di nuovo e a partorire il sesto figlio a Giacobbe. A questa nascita, Lea le dà il significato di aver ricevuto da Dio una buona dote, perciò gli mette il nome di Zabulon, = mia abitazione, sperando che questa volta suo marito avrebbe abitato con lei.

Il testo conclude che dopo di ciò, Lea partorirà una figlia e la chiamerà Dina = giudizio. Se facciamo un riepilogo di quanto abbiamo detto su Lea per i sei figli maschi e una femmina che ha partorito a Giacobbe, possiamo mettere in risalto aspetti specifici che sicuramente potranno servire d’insegnamento per tutti. Le riflessioni che già abbiamo fatto sulla vita di Lea, per ciò che riguarda la storia dei suoi figli, richiedono ulteriori chiarimenti e specificazioni.

1) Nonostante che non fosse nella sua intenzione prendere Giacobbe come suo marito; poiché suo padre la costrinse ad andare a letto con lui. Però, dopo che passò una settimana con lui, diventò la sua legittima moglie. Tenuto conto della sua sincerità ed onestà per quello che Labano ideò nei suoi confronti, (probabilmente contro la sua volontà), Lea venne premiata per l’abbondanza di figli che partorì a Giacobbe, quantunque vi fosse una spietata azione di rivalità di Rachele nei suoi confronti. Che tra Rachele e Lea non ci sia stata una perfetta armonia, si può notare con sufficiente chiarezza dagli atteggiamenti che queste due donne assunsero, per ciò che riguardava il ‘vero diritto’ ad avere Giacobbe tutto per sé. Rachele poteva far valere la sua ragione, basandosi sul fatto che Giacobbe aveva scelto lei e non sua sorella Lea, quale legittima sua sposa. Se in seguito fu costretto ad avere anche Lea per moglie, Giacobbe era sicuro che questa non rientrava nei suoi piani originali, ma che diventò in seguito una necessità, per gli eventi inaspettati che accaddero.

2) Dall’altra parte, cioè per quanto riguarda Lea, bisogna tenere presente che Giacobbe aveva accettato la nuova situazione che si era determinata davanti a sé di prendere anche Lea per sua legittima sposa. Questo però non vuol dire che lo fece di sua libera scelta, ma venne obbligato da Labano. Tuttavia, una volta che Lea entrò in pieno diritto nella vita e nella famiglia di Giacobbe, i sei maschi che ebbe, rappresentavano una chiara testimonianza, che nessuno avrebbe potuto smentire. Tutto quello che era avvenuto, non era stato solamente perché Lea aveva trovato grazia presso Dio, rendendola continuamente feconda, ma anche perché Giacobbe era stato un vero alleato in questo processo di avvenimenti.

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3) Dagli atteggiamenti rispettosi e sottomessi che Lea manifestava nella sua vita nei confronti di Giacobbe, anche se questo fu tramite i figli che ebbe, non si capiva quello che lei sinceramente sperava. Nel nome che gli metteva, tuttavia, la speranza che un giorno le cose si sarebbero appianate, non l’abbandonò mai e neanche cessò di alimentare i suoi sentimenti. Il fatto infine che Lea raccontava a Dio tutte le sue vicissitudini e il malumore che c’era con sua sorella Rachele, prova che si trovava un gradino più alto, nella scala della fiducia in Dio, da consentirle di ricevere forza dall’alto, per proseguire nel cammino della vita [D. Barbera, Giacobbe… L’uomo trasformato da Dio, pagg. 92-95].

MAACA (1)

Oppressione. Concubina di Betuel e madre di Ruma (Genesi 22:24).

MAACA (5)

Oppressione. Moglie di Davide e madre di Absalom (2 Samuele 3:3; 1 Cronache 3:3). La citazione del cronista è stata riportata in questo capitolo, perché si tratta dello stesso nome.

MAALAT (1)

Malattia. Figlia di Ismaele e moglie di Esaù (Genesi 28:9; 36:3,13).

MALA (1)

Malattia. Figlia di Selofead (Numeri 26:33; 27:1; 36:11; Giosuè 17:3)

MARIA (1)

Ebr. Ostinazionem rivolta. Sorella di Aaronne, di Mosè e figlia di Iochebed. Il suo nome ricorre in (Esodo 15:20,21; Numeri 12:1,4-5,10,15-16; 20:1; 26:59; Deuteronomio 24:9; Michea 6:4). La citazione di Michea è riportata in questo capitolo, perché si tratta della stessa persona. Dai testi citati, si può conoscere il carattere e il comportamento di questa donna.

Dopo che il popolo d’Israele passò il Mare Rosso e messosi in salvo dai carri e dai cavalli di faraone, si legge che Mosè compose un canto trionfale. Questo canto, si precisa, venne cantato dai figli d’Israele (15:19). Subito, entrò in azione Maria.

Maria, la profetessa, sorella d’Aaronne, prese in mano il timpano e tutte le donne uscirono dietro a lei, con timpani e danze.
E Maria rispondeva: «Cantate al SIGNORE, perché è sommamente glorioso: ha precipitato in mare cavallo e cavaliere»
(Esodo 15:20-21).

Questo suo comportamento, viene strettamente connesso al fatto che Maria viene presentata come profetessa. Di questa sua qualifica, però, la Bibbia non riferisce nient’altro. Tenuto conto che le Scritture ignorano totalmente che Maria avesse esercitato il ministero profetico in mezzo al popolo, come deve essere interpretato il testo di (Esodo 15:20), che presenta questa donna come una profetessa?

Non certamente come si intende comunemente il ministero profetico, cioè nel senso di chi proclama la parola del Signore. Questo significato, non è possibile applicarlo a Maria, per il semplice fatto che non si hanno elementi a suo favore. L’unica spiegazione che si può dare, riguarda la sua esortazione a proseguire a cantare al Signore. Le sue parole, infatti, mettono in risalto quello che Dio aveva fatto nel precipitare in mare cavallo e cavaliere.

Tenuto conto che quello che Maria fece, nel prendere in mano il timpano e nel danzare, assieme a tutte le altre donne che uscirono dietro a lei, fu un atto spontaneo, in questo suo comportamento, si deve scorgere una particolare ispirazione divina. Dopo alcuni anni che non si parlava di Maria, il testo biblico ce la presenta come una donna che, assieme a suo fratello Aaronne, parlò contro suo fratello Mosè, a motivo della moglie cusita che aveva preso. Le parole furono:

«Il SIGNORE ha parlato soltanto per mezzo di Mosè? Non ha parlato anche per mezzo nostro?» (Numeri 12:2).

Quel modo di parlare che fecero Maria ed Aaronne, contro Mosè, non piacque al Signore; il quale, senza indugiare, chiese:

…se vi è tra di voi qualche profeta, io, il SIGNORE, mi faccio conoscere a lui in visione, parlo con lui in sogno.
Non così con il mio servo Mosè, che è fedele in tutta la mia casa.
Con lui io parlo a tu per tu, con chiarezza, e non per via di enigmi; egli vede la sembianza del SIGNORE. Perché dunque non avete temuto di parlare contro il mio servo, contro Mosè?»
(vv. 6-8).

A causa di quel parlare contro Mosè, Maria venne colpita dalla lebbra, e, se Mosè non avesse pregato il Signore per la sua guarigione, Maria sarebbe rimasta come un bimbo nato morto, la cui carne è già mezza consumata quando esce dal seno materno! (vv. 9-11). Il riferimento della morte di Maria, avvenuta a Cades, pone fine alla sua storia (Numeri 20:1). Di lei si parlerà che era figlia di Iochebeb e sorella di Aaronne e di Mosè (Numeri 26:59). I figli d’Israele vennero esortati a ricordarsi di quello che il Signore, fece a Maria, durante il viaggio, dopo che uscirono dall’Egitto (Deuteronomio 24:9). Infine, il profeta Michea, parla di Maria come persona che, assieme a Mosè ed Aaronne, venne mandata davanti ad Israele, quando il Signore condusse gli Israeliti fuori dall’Egitto (Michea 6:4).

MATRED

Suocera di Adad, re di Edom (Genesi 36:39; 1 Cronache 1:50). La citazione del cronista è riportata in questo capitolo, perché si tratta dello stesso nome.

MEETABEEL

Dio benedice. Moglie di Adad, re di Edom e figlia di Mezaab (Genesi 36:39: 1 Cronache 1:50). La citazione del cronista viene inclusa in questo capitolo, perché si tratta della stessa persona.

MERAB

Accrescimento. Figlia maggiore di Saul. Di questa donna si parla in (1 Samuele 14:49; 18:17,19;21: 8). Saul promise di darla in moglie a Davide, se egli si sarebbe comportato come un guerriero valente, nelle battaglie del Signore.

Or Saul diceva tra sé: «Così non sarà la mia mano a colpirlo, ma la mano dei Filistei» (1 Samuele 18: 17).

Nonostante che Davide si fosse comportato come aveva detto Saul, Merab, nel giorno del matrimonio, invece di essere data in moglie a Davide, venne data in sposa a Adriel il Meolatita (v. 19)

MICAL

Figlia del re Saul e moglie di Davide. Di lei si parla in (1 Samuele 14:49; 18:20,28; 19:11-13,17; 25:43; 2 Samuele 3:13-14; 6:16,20-21,23; 1 Cronache 15:29). La citazione del cronista è stata inserita in questo capitolo, perché si tratta della stessa persona. Nei vari passaggi riportati, non solo viene tracciata la storia di questa donna, ma anche il suo carattere viene messo in evidenza, soprattutto a proposito di Davide, suo marito. Si afferma che Mical, figlia di Saul, amava Davide; questo venne riferito a Saul, il quale disse:

«Gliela darò, perché sia per lui una trappola ed egli cada sotto la mano dei Filistei». Saul dunque disse a Davide: «Oggi, per la seconda volta, tu puoi diventare mio genero».
Poi Saul ordinò ai suoi servitori: «Parlate in confidenza a Davide e ditegli: Ecco, tu sei gradito al re e tutti i suoi servitori ti amano; diventa dunque genero del re».
I servitori di Saul sussurrarono queste parole all’orecchio di Davide. Ma Davide replicò: «Sembra a voi cosa semplice diventare genero del re? Io sono povero e di umile condizione».
I servi riferirono a Saul: «Davide ha risposto così e così».
Saul disse: «Dite così a Davide: Il re non domanda dote; ma domanda cento prepuzi dei Filistei, per vendicarsi dei suoi nemici». Saul aveva in animo di far cadere Davide nelle mani dei Filistei.
I servitori dunque riferirono quelle parole a Davide; ed egli fu d’accordo di diventare genero del re in questa maniera. E prima del termine fissato,
Davide si alzò, partì con la sua gente, uccise duecento uomini dei Filistei, portò i loro prepuzi e ne consegnò il numero preciso al re, per diventare suo genero.
E Saul gli diede in moglie Mical, sua figlia. Saul vide e riconobbe che il SIGNORE era con Davide; e Mical, figlia di Saul, l’amava
(18:20-28).

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22/07/2011 00:13

Venendo a sapere che suo padre aveva programmato di attentare alla vita di Davide, Mical sua moglie, non solo avvisò suo marito del pericolo, ma addirittura, di notte tempo, lo calò da una finestra ed egli se ne andò, fuggì e si mise in salvo (19:12). Al mattino, quando Saul mandò le sue guardie per prelevare Davide dalla sua casa per farlo morire, e, visto che non riuscì in quest'assurdo intento, per lo stratagemma che la figlia adoperò, Saul disse a Mical:

«Perché mi hai ingannato così e hai dato al mio nemico la possibilità di fuggire?» Mical rispose a Saul: «È lui che mi ha detto: Lasciami andare, altrimenti ti ammazzo!» (19:17).

La bugia che Mical adoperò con suo padre, non fu per cattiveria, ma unicamente per salvare la vita a suo marito. Da quel giorno in poi, per diversi anni, Mical non vide più suo marito in casa sua. Come se ciò non bastasse, Saul la diede in moglie a Palti, figlio di Lais, che era di Gallim (25:43).

Dopo la morte di Saul, Davide, (che in quel tempo dimorava in territorio filisteo), chiese al Signore se doveva rimanere ancora presso i Filistei o salire in qualche città di Giuda. Il Signore gli indicò Ebron, come luogo della sua nuova residenza. Fu in quel luogo che Davide venne proclamato re di Giuda.

Un giorno Abner, venne accusato da Is-Boset, figlio di Saul, di essere andato a letto con la concubina di suo padre. Furioso oltre modo, Abner come risposta, si impegnò a consegnare tutto Israele a Davide, affinché egli potesse regnare su tutto Israele. Quando Abner arrivò da Davide e gli propose il piano che egli aveva ideato, la risposta che ricevette fu:

«Sta bene; io stipulerò alleanza con te. Ma una sola cosa ti chiedo, che tu non ti presenti davanti a me senza condurmi Mical, figlia di Saul, quando mi comparirai davanti» (2 Samuele 3:13).

Nel giro di poco tempo Davide riebbe la sua amata moglie Mical; in seguito, diventò re su tutto Israele. L’ultimo riferimento di Mical, si ha in occasione della grande processione che Davide organizzò, quando trasportò l’arca di Dio, dalla casa di Obed- Edom a Gerusalemme. Siccome Davide, durante tutta quella processione, danzò a tutta forza davanti al Signore, Mical che guardava dalla finestra, lo sprezzò in cuor suo. Quando Davide arrivò a casa, dopo di aver fatto sistemare l’arca di Dio, Mical lo accolse con le seguenti parole:

«Bell’onore si è fatto oggi il re d’Israele a scoprirsi davanti agli occhi delle serve dei suoi servi, come si scoprirebbe un uomo da nulla!»
Davide rispose a Mical: «L’ho fatto davanti al SIGNORE che mi ha scelto invece di tuo padre e di tutta la sua casa per stabilirmi principe d’Israele, del popolo del SIGNORE; sì, davanti al SIGNORE ho fatto festa.
Anzi mi abbasserò anche più di così e mi renderò umile ai miei occhi; ma da quelle serve di cui parli, proprio da loro, sarò onorato!»
E Mical, figlia di Saul, non ebbe figli fino il giorno della sua morte
(6: 20-23).

La storia di Mical si conclude nell’affermare che, morì senza avere figli.

Riflessioni su Mical

Mical, una donna che amava Davide

1. Per una donna innamorarsi di un uomo, rientra nella logica delle sue attese, specie quando quest'amore è sincero e mira al matrimonio. Che cos’è, infatti, il matrimonio? L’unione legale di due esseri (un maschio e una femmina) che, promettono di vivere insieme, sotto lo stesso tetto. È anche l’unione fisica di due esseri, (un uomo e una donna) che realizzano il loro amore nel donarsi l’uno all’altro, nel rapporto sessuale. Concepire il matrimonio in maniera diversa, non risponde all’ideale per cui Dio lo ha stabilito.

Mical, una donna che protesse Davide

2. Se Davide non venne preso dagli uomini di Saul e messo a morte, il merito bisogna attribuirlo a Mical, sia per averlo avvisato del pericolo che lo minacciava, e sia dell’iniziativa che ebbe di calarlo dalla finestra, per permettergli di mettersi in salvo.Non è solamente il marito che deve proteggere la moglie; lo deve fare anche la sposa nei confronti del marito. I due, dal punto di vista della vita pratica, devono proteggersi a vicenda. Non però, mentendo, ma parlando sempre in verità.

Mical, una donna che non comprende le cose di Dio

3. Se Mical sprezzò Davide in cuor suo, per il comportamento che suo marito assunse in pubblico, danzando alla presenza del popolo e davanti al Signore, essa lo fece essenzialmente perché non capì quel che suo marito provava dentro di sé. Non solo per questo, ma anche e soprattutto perché non comprendeva le cose del Signore. La causa dei tanti disprezzi che avvengono in mezzo al popolo di Dio, non è solamente perché manca una consistente intuizione interiore, ma anche perché non si comprendono le cose di Dio, nella sua giusta dimensione.

Danzare in pubblico

4. Danzare in pubblico, alla presenza degli altri che non fanno le stesse cose, per chi non ha il senso delle cose di Dio, può essere definita come una vera e propria pagliacciata. L’estraniarsi dall’esuberanza di una manifestazione gioiosa, non è solamente questione di mancata partecipazione; è essenzialmente convinzione di non condividere quello che altri stanno provando dentro di loro. Sprezzare certe manifestazioni prodotte dallo Spirito di Dio, non significa solamente non avere discernimento, significa anche incorrere a certe spiacevoli conseguenze che, immancabilmente, si ripercuoteranno nella nostra vita.

MILCA (1)

Figlia di Aran e moglie di Naor. Il suo nome ricorre in (Genesi 11:29; 22:20,23; 24:15,24,47).

MILCA (2)

Figlia di Selofead (Numeri 26:33; 27:1; 36:11; Giosuè 17:3).

NAAMA (1)

Dolce, giocosa. Figlia di Lamec e sorella di Tubal-Cain (Genesi 4:22).

NAOMI

La mia leggiadra. Moglie d’Elimelec, madre di Malon, Chilion e suocera di Orpa e Rut (Rut 1:2-3). Questa donna fece una triste esperienza nella sua vita.
Si spostò da Betlemme di Giuda, con suo marito e i suoi due figli, per stabilirsi nelle campagne di Moab, in cerca di migliore sistemazione. Però, nella nuova residenza, invece di trovare la fortuna o il benessere, come lei sperava, trovò dolori e tristezze. Infatti, fu nelle campagne di Moab, località in cui si era stabilita la famiglia, che avvenne la morte di suo marito.

Dopo che i due figli, Malon e Chilion, si sposarono con due Moabite, nel giro di poco tempo, morirono anche loro; così che Naomi, rimanendo vedova e senza figli, si vide sfumare tutta la buona prospettiva che aveva sognato. Quando poi, decise di ritornare in patria, le donne della città di Betlemme dicevano:

«È proprio Naomi?»
E lei rispondeva: «Non mi chiamate Naomi; chiamatemi Mara, poiché L’Onnipotente mi ha riempito d’amarezza.
Io partii nell’abbondanza, e il SIGNORE mi riconduce spoglia di tutto. Perché chiamarmi Naomi, quando il SIGNORE ha testimoniato contro di me, e l’Onnipotente mi ha resa infelice?»
(vv. 19-21).

A Betlemme, aiutò molto sua nuora Rut, dandogli dei buoni consigli; e, quando in seguito Rut si sposò con il ricco proprietario Boaz, fece da nutrice, al figlio che gli nacque (4:16).

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23/07/2011 00:09

Riflessioni su Naomi

Sulla famiglia e sulla vita di Naomi, si possono imparare delle buone lezioni che, immancabilmente potranno aiutarci ed illuminarci nel corso del nostro pellegrinaggio cristiano. È vero che la decisione di spostare la famiglia, da Betlemme di Giuda, nelle campagne di Moab, la prese Elimelec; ma è impensabile che Naomi, sua moglie, si sia estraniata in tutta questa faccenda, come se il caso non la riguardasse da vicino.

1. Rivolgersi al Signore per chiedere consiglio

Il primo rilievo che si può fare è il seguente: avrà la coppia, Naomi ed Elimelec, chiesto lumi al Signore, per sapere se quel piano di spostarsi era secondo la Sua volontà? Siccome il testo sacro non ci fornisce nessun'indicazione in merito, non si può rispondere con un sì, o con un no! Qual era la situazione che vigeva a Betlemme in quel tempo? Il sacro testo afferma che c’era carestia, cioè mancanza di cibo. Si sa che quando manca il cibo, (elemento essenziale per la sopravvivenza) ognuno cerca di procurarselo nel migliore dei modi. Quindi, in base alla logica, se la famiglia di Elimelec si spostò, non fu solamente per non subire i rigori della carestia, ma anche in cerca di trovare fortuna, una migliore sistemazione per la loro esistenza. Sotto il profilo umano, non c’è niente che si possa rimproverare ad Elimelec, per aver agito in quel modo. Essendo capofamiglia, rientrava nella sua responsabilità di procurare una migliore condizione di vita ai suoi. Se invece, i due, marito e moglie, non domandarono consiglio al Signore, prima di trasferirsi nella terra di Moab, e agirono a modo loro, certamente commisero un errore non trascurabile.

2. Credere che Dio, come Padre, si prende cura dei suoi

Se si crede che Dio è nostro Padre, si deve anche credere che Egli prenderà cura di tutti i bisogni dei Suoi figli. Abbandonarsi alle Sue cure e lasciarsi guidare da Lui, in pratica significa non andare incontro a certe amare esperienze che, comunemente ci lascierebbero con l’amaro in bocca, quando addirittura non aprono ferite di difficili emarginazioni.

L’insegnamento di Gesù, per quanto riguarda i vari bisogni della vita, è molto chiaro:

«Perciò vi dico: non siate in ansia per la vostra vita, di che cosa mangerete o di che cosa berrete; né per il vostro corpo, di che vi vestirete. Non è la vita più del nutrimento, e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, e il Padre vostro celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro?
E chi di voi può con la sua preoccupazione aggiungere un’ora sola alla durata della sua vita?
E perché siete così ansiosi per il vestire? Osservate come crescono i gigli della campagna: essi non faticano e non filano;
eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, fu vestito come uno di loro.
Ora se Dio veste in questa maniera l’erba dei campi che oggi è, e domani è gettata nel forno, non farà molto di più per voi, o gente di poca fede?
Non siate dunque in ansia, dicendo: Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?
Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose.
Cercate prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in più.
Non siate dunque in ansia per il domani, perché il domani si preoccuperà di sé stesso. Basta a ciascun giorno il suo affanno
(Matteo 6:25-34).

Le parole di Gesù, non sono ancora tramontate; sono valide anche per noi che viviamo nel ventunesimo secolo. Se si crederà realmente che, Dio è nostro Padre, non si avrà nessuna difficoltà a credere che Egli prenderà cura di noi, per quanto riguarda il nostro mangiare e il nostro vestire. Questo, naturalmente non significa che dobbiamo tenere le mani in mano, e diventare inoperosi, rinunciando ai nostri impegni e alle nostre responsabilità di famiglia. Significa essenzialmente credere che Dio, nostro Padre, si prenderà cura dei nostri bisogni.

3. Un’iniziativa fuori della volontà di Dio

Anche se, categoricamente non si può affermare che, quello che fece la famiglia d’Elimelec, di spostarsi nelle campagne di Moab, non era secondo la volontà del Signore, non si può, però negare, la tragedia che li colpì. La morte del padre e dei due figli, fu la conseguenza del loro spostamento? Se la famiglia fosse rimasta a Betlemme, la morte avrebbe ugualmente colpito, portando via le stesse persone che morirono nella terra di Moab? Non è facile rispondere a questi due interrogativi! La cosa che bisogna mettere in evidenza con fermezza, (senza apparire dei veri fanatici), è: un’iniziativa, di qualsiasi genere che si vuole intraprendere fuori della volontà del Signore, è sicuro che non riceverà la Sua approvazione; e se Egli non approva, neanche è tenuto a benedire, cioè a fare andare le cose a buon fine.

4. I giovani in terra pagana

Portare i giovani in terra pagana, significa esporli a seri pericoli, non tanto per quanto riguarda la loro vita terrena, quanto per ciò che concerne la loro fede. Malon e Chilion, in terra pagana, si sposarono con due moabite. Per un Israelita che teneva all’osservanza della legge di Dio, un simile matrimonio non era permesso; era severamente vietato.

Non t’imparenterai con loro, non darai le tue figlie ai loro figli e non prenderai le loro figlie per i tuoi figli,
perché distoglierebbero da me i tuoi figli che servirebbero dèi stranieri e l’ira del SIGNORE si accenderebbe contro di voi. Egli ben presto vi distruggerebbe
(Deuteronomio 7:3-4).

Se poi si tiene presente quello che lasciò scritto l’apostolo Paolo, si hanno tutte le ragioni per stare attenti a quello che si fa.

Non vi mettete con gli infedeli sotto un giogo che non è per voi; infatti, che rapporto c’è tra la giustizia e l’iniquità? O quale comunione tra la luce e le tenebre?
E quale accordo fra Cristo e Beliar? O quale relazione c’è tra il fedele e l’infedele?
E che armonia c’è fra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo, infatti, il tempio del Dio vivente, come disse Dio: «Abiterò e camminerò in mezzo a loro, sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo».
«Perciò, uscite di mezzo a loro e separatevene, dice il Signore, e non toccate nulla d’impuro; e io vi accoglierò».
E «sarò per voi come un padre e voi sarete come figli e figlie, dice il Signore onnipotente»
(2 Corinzi 6:14-18).

Un giovane cristiano che si sposasse con una ragazza di diversa fede, potrebbe incorrere il pericolo di essere distolto dalla sua fede e intraprendere il cammino dello sviamento. Se non avverrà la morte fisica, come avvenne a Malon e a Chilion, avverrà sicuramente quella spirituale, che porterà il giovane ad essere separato dal suo Dio, e Salvatore, Gesù Cristo. Che ognuno di noi possa fare delle buone scelte, e, soprattutto, sappia lasciarsi guidare dal Signore, in quello che si vorrà compiere nella sua vita!

NOA

Figlia di Selofead (Numeri 26:33; 27:1; 36:11; Giosuè 17:3).

OOLIBAMA

Fu una delle mogli che prese Esaù, era figlia di Ana. Di lei si parla in (Genesi 36:2,14,18,25) e si ricorda che ebbe tre figli: Ieus, Ialam e Cora. Oltre a ciò, non si può aggiungere altro.

ORPA

lo, cioè ostinazione, caparbietàdonna moabita. Moglie di Chilion, nuora di Naomi e cognata di Rut (Rut 4:10). Alla morte del marito, ritornò a casa di sua madre (Rut 1:8,14).

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24/07/2011 00:27

PENINNA

Il significato di questo nome è: Corallo Di lei si parla solamente in (1 Samuele 1:2,6). Era moglie di Elcana. Da quel poco che sappiamo di Peninna, si può notare che aveva un carattere sprezzante, mancante della più elementare educazione. Era una persona che si vantava della propria condizione, cioè del fatto che come donna sposata, aveva avuto dei figli. Questo, naturalmente, per i tempi e nell’ambiente in cui visse, era considerato un favore che aveva ottenuto dal Signore, cosa che non potevano dire le sterili, cioè quelle donne che non potevano avere figli.

Era una donna che non aveva nessuna compassione, specialmente quando, col suo sprezzante linguaggio, procurava mortificazione e amareggiamento ad Anna. Quando Anna piangeva, a causa del linguaggio sprezzante che Peninna usava nei suoi confronti, essa non manifestava nessun sentimento di compassione, e, l’amore, nel senso tipicamente cristiano, era ben lontano dalla sua vita. Il significato del suo nome corallo = di colore rosso vermiglio, corrispondeva al suo ardente carattere sprezzante ed offensivo. Lei però, non si rendeva conto che, con le sue parole, invece di essere di sollievo, aumentava il dolore nella vita di Anna. A nessuna donna auguriamo un simile carattere!

PUA

Una delle levatrici che disobbedirono al Faraone. In conseguenza di ciò, Dio le fece del bene (Esodo 1:15,20).

RACHELE

Terminata la corsa di Lea per avere figli, (sospendiamo momentaneamente la sua storia per riprenderla più tardi), occupiamoci ora, un pochino di Rachele.

Il nome di questa donna è menzionato nella Bibbia 46 volte, 42 dei quali nel solo libro della Genesi; una volta in Rut 4:11; una volta in 1Samuele 10:2; una volta in Geremia 31:15 e una volta in Matteo 2:18. Il significato di pecora del nome Rachele, non sembra che corrisponda al suo carattere. La pecora possiede delle caratteristiche particolari, che altri animali non hanno. La pecora quando viene percossa, per esempio, non apre la bocca e non si difende quando è minacciata. Questo sta ad indicare che essa non conosce che cosa sia la cosiddetta reazione. Non per niente Gesù è stato paragonato ad una pecora che non apre la bocca.

Or il passo della Scrittura che egli leggeva era questo: «Egli è stato condotto al macello come una pecora; e come un agnello che è muto davanti a colui che lo tosa, così egli non ha aperto la bocca (Atti 8:32; cfr. Isaia 53:7).

Rachele era un tipo che manifestava invidia

Rachele, vedendo che non partoriva figli a Giacobbe, invidiò sua sorella, e disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio» (30:1).

Avere figli per una donna che si sposa, rientra nella logica della sua attesa e nella coerenza per diventare mamma. Però, se Rachele non riusciva ad avere figli, non era colpa di suo marito. Con l’espressione: Dammi dei figli, altrimenti muoio, Rachele addossava a Giacobbe la responsabilità. Questo però non era vero! Se Giacobbe avesse privato Rachele dei rapporti sessuali, o l’avesse messa da parte per dedicarli solamente a Lea, la lamentela di Rachele sarebbe stata legittima e giustificata.

La risposta di Giacobbe, prova che questo non era avvenuto. Giacobbe s’irritò contro Rachele, e disse: «Sono forse io al posto di Dio che ti ha negato di essere feconda?» (30:2).

Siccome Rachele invidiava sua sorella Lea, che già aveva partorito quattro figli a Giacobbe, e lei neanche uno, pensò di consegnare la sua serva Bila a suo marito, perché da lei potesse avere dei figli. Questa reazione che Rachele manifestò, in pratica significava: lanciare una sfida a sua sorella per avere la rivincita su di lei.

Questo risultato Rachele l’ottenne, allorquando la sua serva concepì e partorì un figlio, al quale pose nome Dan, che significava giudicare, rendere giustizia. La dichiarazione che rese, a seguito di questa nascita: Dio mi ha reso giustizia, rappresenta la prova della sua soddisfazione. Quando poi Bila partorì il secondo figlio, al quale fu dato il nome di Neftali, che significa mia lotta, Rachele manifestò il vero segreto per tutto quello che aveva covato dentro di sé, nel dare la sua serva a suo marito.

«Ho sostenuto contro mia sorella lotte straordinarie e ho vinto». Perciò lo chiamò Neftali (30:8).

Simili sentimenti che Rachele manifestò, sono incompatibili e inaccettabili, dal punto di vista cristiano. Infine, se Rachele avesse accettato che, era Dio a negarle di essere feconda, non se la sarebbe presa con suo marito e neanche gli avrebbe consegnato la sua serva Bila, stimolata dall’invidia per sua sorella Lea.

Il cambiamento di atteggiamento di Rachele

In tutta la storia di Rachele, che fin qui abbiamo narrata, non si è notato un cambiamento. Dalla nascita del secondo figlio dalla sua serva, Rachele avrà compreso che se vorrà partorire figli a Giacobbe, dovrà cambiare atteggiamento. Finalmente arriva il segnale del suo cambiamento! Chiuso il ciclo di Lea, per ciò che riguardava la storia dei figli,

Dio si ricordò anche di Rachele; Dio l’esaudì e la rese feconda.
Ella concepì e partorì un figlio, e disse: «Dio ha tolto la mia vergogna».
E lo chiamò Giuseppe, dicendo: «Il SIGNORE mi aggiunga un altro figlio»
(vv. 22-24).

Rachele pensava che con le mandragore che aveva ottenuto da sua sorella Lea, si sarebbe compiuto il miracolo nella sua vita, ma così non fu. Visto che ogni suo tentativo non riusciva al suo scopo, e, per non continuare a vivere in quello stato di esasperazione, finalmente decise di mettere la faccenda nelle mani di Dio e farne oggetto di preghiera. Ora che Rachele imboccò la strada giusta e cambiò atteggiamento, Dio la esaudì e la rese feconda, talché poté concepire e partorire un altro figlio.

È sempre così per tutte le cose. Quando si capisce e si decide di mettere la propria fiducia in Dio e di lasciare a Lui il controllo delle varie situazioni, Egli non mancherà d’intervenire a favore di chi ha assunto un simile atteggiamento. Dio ha sempre risposto a chi si abbandona nelle Sue mani e crede nell’intervento miracoloso. Se Rachele si trovava nello stato di sterilità, questa sua condizione non le permetteva di avere figli. È l’Onnipotente, (cioè Colui che può fare tutto), che guarì la sua sterilità, da permetterle di concepire e partorire.

A seguito di questo miracolo, Rachele non ha più nessun dubbio, ma può anche dire con forza e fermezza: Dio ha rimosso il mio disonore. Ma quale era il suo disonore? Non aveva fatto niente di disonorevole con una condotta malsana e perversa. Si era mantenuta casta a suo marito e non aveva avuto nessun'idea di cambiare uomo. Secondo la credenza di quei tempi, quando una donna sposata non aveva figli, veniva considerata sotto la maledizione di Dio, persona indegna del favore divino.

La vergogna e il vituperio che subiva per questo trattamento dalla società, era oltremodo grande. Con la nascita di Giuseppe, dato che le cose erano cambiate, ora Rachele può alzare la sua testa e rendere grazie a Dio, per il miracolo che Egli ha compiuto in lei. Se si considera giustamente il risultato dell’esaudimento divino, ciò rappresenta la speranza per il futuro. Infatti, il suo nome significa egli (cioè Dio) aggiungerà. Rachele quando mise questo nome al suo primogenito, palesò la speranza che Dio, le avrebbe concesso un altro bambino. Anche se per averlo, dovette aspettare un po’, nondimeno Beniamino, fu il figlio che si aggiunse a Giuseppe. È sempre stato così e sempre sarà, che le cose che Dio compie nella vita umana, portano onore e gloria al Suo Santo Nome. Amen!

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25/07/2011 01:15

Rachele e Lea nell’ambito della famiglia

Ora che le due sorelle si sono acquietate per ciò che riguardava la loro rivalità per avere figli, possono adoperarsi per la famiglia. Infatti, dal capitolo 31 della Genesi, il sacro testo le nomina insieme, con la precisa formula verbale: Rachele e Lea (31:4,14).

Anche se i figli di Giacobbe sono venuti da quattro donne, diverse l’una dall’altra, nondimeno, per il figlio d’Isacco, c’è una sola famiglia: Rachele, Lea e gli undici figli. Non includiamo nella famiglia di Giacobbe Zilpa e Bila, perché quest’ultime, non sono state mai considerate membri della famiglia. Sono rimaste sempre serve, così com’erano quando furono date alle due figlie di Labano. Ecco la prova che Zilpa e Bila, non erano considerate membri della famiglia di Giacobbe. Quando sorse il problema della lamentela dei figli di Labano, che pensavano che Giacobbe si fosse arricchito di bestiame a spese del loro padre (31:1), il testo precisa:

Allora Giacobbe mandò a chiamare Rachele e Lea perché venissero ai campi, presso il suo gregge,
e disse loro: «Io vedo che il volto di vostro padre non è più, verso di me, quello di prima; ma il Dio di mio padre è stato con me.
Voi sapete che io ho servito vostro padre con tutte le mie forze,
mentre vostro padre mi ha ingannato e ha mutato il mio salario dieci volte; ma Dio non gli ha permesso di farmi del male.
Quand’egli diceva: I macchiati saranno il tuo salario, tutto il gregge figliava agnelli macchiati. Quando diceva: Gli striati saranno il tuo salario, tutto il gregge figliava agnelli striati.
Così Dio ha tolto il bestiame a vostro padre e lo ha dato a me.
Una volta, quando le pecore entravano in calore, io alzai gli occhi e vidi in sogno che i maschi, che montavano le femmine, erano striati, macchiati o chiazzati.
L’angelo di Dio mi disse nel sogno: Giacobbe! Io risposi: Eccomi!
L’angelo disse: Alza ora gli occhi e guarda; tutti i maschi che montano le femmine sono striati, macchiati o chiazzati, perché ho visto tutto quello che Labano ti fa.
Io sono il Dio di Betel, dove tu versasti dell’olio su una pietra commemorativa e mi facesti un voto. Ora àlzati, parti da questo paese e torna al tuo paese natìo».
Rachele e Lea gli risposero: «Abbiamo forse ancora qualche parte o eredità in casa di nostro padre?
Non ci ha forse trattate da straniere, quando ci ha vendute e ha per di più divorato il nostro denaro?
Tutte le ricchezze che Dio ha tolte a nostro padre, sono nostre e dei nostri figli. Fa’ dunque tutto quello che Dio ti ha detto»
(31:4-16).

Il fatto che Giacobbe invita Rachele e Lea, ad andare nei campi presso il suo gregge, e non chiami a raccolta anche le due serve, dimostra eloquentemente che, Zilpa e Bila non erano considerate membri della sua famiglia. Anche la risposta che danno Rachele e Lea: Fa’ dunque tutto quello che Dio ti ha detto, depone per quest'interpretazione. Passato il tempo della rivalità tra le due sorelle, tutte e due, manifestano interesse e pensano al benessere dell’unica famiglia. Il consenso che danno al marito per la partenza di Paddan-Aram, è un’altra prova che l’atteggiamento tra le due sorelle, è veramente cambiato.

Rachele ruba gli idoli del padre

Arrivato il giorno della partenza e della separazione, tra Giacobbe da una parte, e Labano dall’altra, Rachele ruba gli idoli di suo padre. Si direbbe: perché compì quell’azione? Qual era lo scopo?

«Per quanto riguarda i terâƒîm sappiamo che erano dei piccoli oggetti di culto, dovevano avere forma umana o almeno volto umano (1Samuele 19:13). Si è pensato recentemente anche a maschere cultuali. In ogni caso ci si indirizzava ad essi specialmente per ottenere responsi (Ezechiele 21:26)» [Gerhard Von Rad, Genesi, pag. 413].

«Rachele rubò gli idoli di Labano (letteralmente, «teraphim», piccole figure di dei). Questo atto dimostra l’influenza del paganesimo nella famiglia di Labano. Rachele fu molto simile a Giacobbe: la prima aveva rubato gli idoli, il secondo aveva commesso una sorta di furto fuggendo in quel modo. Forse Rachele pensava di meritare quegli idoli, dal momento che Labano aveva «cambiato le carte in tavola». Con lei, con la scusa delle usanze, e l’aveva privata del suo diritto di sposarsi per prima. Qualunque fossero le ragioni, il suo ostinato egoismo portò quasi al disastro. Avere degli idoli poteva comportare il diritto alla eredità (questo era il significato secondo le tavole di Nuzi del quindicesimo secolo a.C.); sicuramente, voleva dire che Labano era rimasto senza quello che egli riteneva fosse una sua protezione» [Allen P. Ross, Investigate le Scritture, Antico Testamento, pag. 82].

Il racconto biblico precisa che Giacobbe ignorava che sua moglie Rachele, avesse rubato gli idoli a suo padre (31:32). Se sua moglie glielo avesse detto, prima di prenderli, non crediamo che Giacobbe glielo avrebbe permesso. Ecco, perché, quando Labano andò a frugare le tende di Giacobbe, di Rachele, di Lea e delle due serve, si arrabbiò molto con suo suocero (30:36).

D’altra parte, Rachele, prevedendo che suo padre si sarebbe accorto del furto, invece di nasconderli nella sua tenda, preferì metterli nella sella del suo cammello e sedervi sopra. Così che, ad ulteriore controllo da parte di Labano, gli idoli non vennero trovati e Labano venne trovato menzognero in quello che affermava. Però Rachele, in questo suo procedere, dimostrò di non essere stata sincera con suo marito e con suo padre. Infine, non palesò un atteggiamento cristiano, come si direbbe ai nostri giorni, dal punto di vista dell’insegnamento dell’A.T. e N.T. (Esodo 20:15; Matteo 19:18; Romani 13:9; Efesini 4:28).

Il secondo figlio che Rachele partorì a Giacobbe

Tenendo presente il nome che Rachele mise al primo figlio che partorì, cioè Giseppe = aggiunga, alla distanza di diversi anni, diede alla luce un secondo figlio. Siccome il secondo parto, fu molto doloroso, ecco cosa dice il sacro testo:

Mentre l’anima sua se ne andava, perché stava morendo, chiamò il bimbo Ben-Oni; (che significa figlio del dolore) ma il padre lo chiamò Beniamino (che significa figlio della destra).
Rachele dunque morì e fu sepolta sulla via di Efrata, cioè di Betlemme
(35:18-19).

In conseguenza di ciò, Rachele non ebbe la fortuna di conoscere il suocero, cioè Isacco. Se Giacobbe non avesse cambiato il nome del secondo figlio di Rachele, (che completava il numero delle dodici tribù d’Israele), nella sua famiglia sarebbe rimasto per sempre il segno indelebile del dolore.

Questo, naturalmente, avrebbe avuto a che fare con tutta la discendenza di Giacobbe, e non limitatamente ai soli dodici figli del patriarca. Dio che conosceva che la storia dei figli di Giacobbe, non doveva concludersi nel perenne dolore, ispirò il suo servo ad intervenire subito, in modo che, prima che Rachele morisse, l’ultimo membro della famiglia di Giacobbe, portasse il nome di Beniamino, figlio della destra, a sostegno del futuro glorioso della discendenza di Giacobbe. Per suggellare questa testimonianza, Rut 4:11, afferma che Rachele, assieme con sua sorella Lea, fu considerata come una donna che fondò la casa d’Israele. Infine, i due passaggi che chiudono definitivamente la storia di Rachele, ricordano uno dei più tragici eventi della storia.

Così parla il SIGNORE: «Si è udita una voce a Rama, un lamento, un pianto amaro; Rachele piange i suoi figli; lei rifiuta di essere consolata dei suoi figli, perché non sono più» (Geremia 31:15).

«Un grido si è udito in Rama, Un pianto e un lamento grande: Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più» (Matteo 2:18).

La storia d’Israele, non si concluderà con il pianto sconsolato dei suoi figli uccisi, ma con la gloriosa affermazione che tutto Israele sarà salvato.

Tutto Israele sarà salvato, così com'è scritto: «Il liberatore verrà da Sion.
Egli allontanerà da Giacobbe l’empietà; e questo sarà il mio patto con loro, quando toglierò via i loro peccati»
(Romani 11:26-27).

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26/07/2011 00:12

Si riprende la narrazione della storia di Lea

Riprendiamo la storia di Lea, che interrompemmo. Dopo che le acque della rivalità si acquietarono, Lea viene spesso nominata assieme a sua sorella Rachele, in una forma verbale: Rachele e Lea, che esprime il cambiamento di atteggiamento l’una verso l’altra.

Anche se Rachele viene nominata prima di Lea, questo però, non dimostra che tra le due sorelle, non sia stato tutto rappacificato. Semmai, può avere il significato di farci ricordare che, Rachele fu la donna che inizialmente Giacobbe aveva preferito come sua moglie, ma che dopo, anche Lea, diventò la legittima moglie del patriarca. Rachele, come abbiamo detto, non ebbe il privilegio di conoscere di presenza il padre di suo marito, cioè Isacco, visto che morì per strada, prima che la famiglia arrivasse a destinazione. Ma Lea, però, arrivò a destinazione assieme a tutti i componenti della famiglia, e vide con i suoi occhi Isacco.

Anche di lei è detto che fu una delle due donne che fondarono la casa d’Israele (Rut 4:11). Infine, l’ultimo riferimento che fa la Genesi intorno a Lea, (che vuole essere anche la conclusione della sua storia) riguarda la sua sepoltura. Giacobbe disse:

Qui furono sepolti Abrahamo e sua moglie Sara; furono sepolti Isacco e Rebecca sua moglie, e qui io seppellii Lea (49:31).

Sarà morta Lea, prima che la famiglia di Giacobbe, composta di sessantasei persone (46:26), scendesse in Egitto? Non lo possiamo affermare! Mentre Lea viveva ancora, si parlava della sua stanchezza, che trapelava dal significato del suo nome. Per il fatto che lei non era amata da suo marito; per l’invidia che aveva nei confronti di sua sorella Rachele e per la rivalità che manifestò con lei, per diversi anni, per avere figli. Dopo la sua morte, la migliore lode e il maggiore riconoscimento che Lea ricevette, fu quella di essere considerata una fondatrice della casa d’Israele. Che di ognuno di noi, si possa dire lo stesso! Amen.

RAAB

Largo. Prostituta, la cui casa era sulle mura di Gerico. Il motivo per cui la prostituta Raab, non perì con gli increduli, fu dunque perché accolse in casa sua le spie mandate da Giosuè. Per meglio valutare la fede di questa donna - stando all’affermazione della lettera agli Ebrei -, dobbiamo esaminare il racconto che fa il libro di Giosuè. Il testo precisa:

Or Giosuè, figlio di Nun, mandò due uomini da Sittim per spiare di nascosto, dicendo: Andate, ispezionate il paese di Gerico. Così essi andarono ed entrarono in casa di una donna prostituta, chiamata Raab, e là alloggiarono (Giosuè 2:1).

Inoltre, sappiamo che la casa di Raab era situata sulle mura della città ed ella stessa abitava sulle mura (Giosuè 2:15). Non sappiamo se sulle mura della città di Gerico c’era solamente la casa di Raab, - visto che lei era una prostituta – o se ve ne fossero altre.

Da un primo esame superficiale, sembra impossibile credere come abbiano fatto le due spie del popolo d’Israele, - che poi erano di età giovanile - (Giosuè 6:23), a dirigersi verso una casa di una donna prostituta. Sicuramente Giosuè, che li aveva mandati a Gerico, non avrà dato loro consigli perché si dirigessero in casa di una prostituta. Se poi si tiene presente la rigida proibizione che vigeva in mezzo ai figli d’Israele:

Non vi sarà alcuna donna dedita alla prostituzione sacra tra le figlie d’Israele, né vi sarà alcun uomo dedito alla prostituzione sacra tra i figli d’Israele (Deuteronomio 23:17);

Non contaminare la tua figlia, facendola divenire una prostituta, affinché il paese non si dia alla prostituzione e il paese non si riempia di scelleratezze (Levitico 19:29),

appare improbabile che i due giovani mandati da Giosuè per spiare Gerico, siano andati in casa di Raab, la prostituta, per prostituirsi. Sorge, allora spontanea la domanda: Quale fu il vero motivo che indusse i due uomini Israeliti di andare a finire in casa di una prostituta, ed alloggiare là?

Pensando a quella casa situata «sulle mura della città», e dato che le mura erano abbastanza alte da fungere come un vero osservatorio, e quindi permettere alle spie di vedere Gerico nel suo complesso, e non pensando che in quella casa abitava una prostituta, sicuramente i due giovani Israeliti vi si recarono, per meglio portare a termine la loro missione. Quando però, si resero conto che si trattava di una casa di una prostituta, allora si comportarono da figli d’Israele e fecero subito sapere a Raab per quale scopo erano venuti nella sua casa.

A questo punto la cosa diventa più chiara, principalmente se si tiene conto che nel frattempo la notizia che due uomini erano andati nella casa di Raab, non solo era arrivata al re di Gerico, ma che quegli uomini, erano venuti, per esplorare tutto il paese (Giosuè 2:3). Raab, intuisce subito che la vita di quei due uomini è in serio pericolo, quindi con prontezza e tempestività - anche se dice una menzogna agli inviati del re - ha premura di nasconderli:

(Essa invece li aveva fatti salire sulla terrazza e li aveva nascosti fra gli steli di lino, che vi aveva ammucchiato) (Giosuè 2:6).

Quando i messaggeri del re, lasciarono la casa di Raab e si misero ad inseguire le due spie, nela speranza di poterle raggiungere e catturarle, secondo il consiglio che la stessa Raab aveva loro dato, le parole che ella pronunciò ai due uomini Israeliti, già ci permettono di intravedere la fede di questa donna.

Io so che l’Eterno vi ha dato il paese, che il terrore di voi è caduto su di noi, e che tutti gli abitanti del paese vengono meno dalla paura davanti a voi.
Poiché noi abbiamo udito come l’Eterno asciugò le acque del Mar Rosso davanti a voi quando usciste dall’Egitto, e ciò che faceste ai due re degli Amorei, di là dal Giordano, Sihon e Og, che votaste allo sterminio.
All’udire queste cose, il nostro cuore è venuto meno e non è più rimasto coraggio in alcuno a motivo di voi, perché l’Eterno, il vostro DIO, è DIO lassù nei cieli e quaggiù sulla terra.
Or dunque, vi prego, giuratemi per l’Eterno che, come io vi ho usato clemenza, anche voi userete clemenza con la casa di mio padre; datemi quindi un segno sicuro che lascerete in vita mio padre, mia madre, i miei fratelli, le mie sorelle e tutto ciò che appartiene loro, e che risparmierete le nostre vite dalla morte
(Giosuè 2:9-13).

La risposta e la promessa le venne subito data, a queste precise condizioni:
1) ...Non divulgate qull’ affare (Giosuè 2:14;
2) ...attaccare la cordicella di scarlatto
3) alla finestra dalla quale sono scesi
4) Radunare presso di lei
5) tutta la sua parentela (Giosuè 2:18).

Il fatto che quella donna, in quello stesso giorno, legò la cordicella scarlatta alla finestra (Giosuè 2:21), è già una prova, non solo che ella accettò le condizioni stabilite, ma della sua fede, derivata dal fatto che credeva a quello che l’Eterno aveva operato nel passato per il popolo d’Israele, e che lo stesso avrebbe portato a compimento la presa di Gerico da parte dei figli d’Israele.

Credendo quindi a quello che le due spie le avevano detto, non solo li accolse in casa sua, li nascose sulla terrazza della sua casa, li alloggiò in quella notte, ma anche si distaccò dagli altri, - che l’Epistola agli Ebrei chiama increduli -. Ormai la promessa era stata fatta, a precise condizioni; Raab aveva provveduto a calare dalla sua finestra con una corda le due spie; aveva confessato la sua fede su quello che l’Eterno aveva fatto ad Israele; aveva appeso la cordicella scarlatta alla finestra, non rimaneva che aspettare il nuovo evento.

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27/07/2011 00:27

La verità sulla fede di Raab deve essere proclamata con tutta chiarezza, non solamente perché alla sua finestra fu appesa una cordicella scarlatta, - qualcuno dirà: simbolo del sangue di Gesù Cristo - ma essenzialmente perché in lei non c’è più l’incredulità, rispetto a tutti gli altri abitanti di Gerico. Quando le mura della città di Gerico crollarono, - anche se si accetta che fu un movimento tellurico che causò quel crollo, (stando a quello che dicono gli archeologi) non si può però escludere l’intervento di Dio - la casa di Raab, che era stata costruita sulle mura, non crollò; non solo perché Dio protesse quella casa, ma anche perché in quella casa ci abitava una donna che aveva creduto, che aveva fede.

Più tardi questa prostituta venne inclusa nell’elenco genealogico di Gesù Cristo, secondo quello che ha scritto Matteo, divenendo così un chiaro riferimento alla misericordia e alla compassione di Dio in favore dei più abbietti peccatori. L’apostolo Paolo più tardi scriverà:

Or la legge intervenne affinché la trasgressione abbondasse; ma dove il peccato è abbondato, la grazia è sovrabbondata (Romani 5:20).

Quello che dice l’apostolo Giacomo a proposito di Raab

A questo punto, si impone la necessità, di mettere in risalto quello che dice l’apostolo Giacomo nella sua epistola, riguardo a Raab, la meretrice, per meglio comprendere, non solo la fede che questa donna manifestò nell’Iddio d’Israele, ma anche e soprattutto la grazia che ricevette da parte del Signore. Che la prostituta Raab, non debba essere considerata solamente pensando al solo fatto che non perì assieme agli abitanti di Gerico, ma soprattutto in riferimento a quello che insegna il N.T. per quanto riguarda la sua salvezza, intesa come perdono dei peccati e riconciliazione con Dio, questo lo ricaviamo da quello che dice l’apostolo Giacomo:

Raab, la prostituta, non fu essa giustificata per le opere quando accolse i messi e li rimandò per un’altra strada? (Giacomo 2:25).

Il fatto che l’apostolo affermi che Raab fu giustificata, è una chiara prova che Giacomo considerava questa pagana, non solo una prostituta, quindi una peccatrice, ma una persona raggiunta dalla grazia di Dio.Il termine Giustificare, infatti, che troviamo spesso nel N.T. ha sempre il significato di un’azione squisitamente divina in favore del peccatore, e di per se stessa, è più che sufficiente per stabilire la grazia che Raab ricevette da parte di Dio.

Che poi Giacomo precisi che la giustificazione Raab l’ottenne per le opere, e non per fede solamente, come dice Paolo (cfr. Romani 3:28; 5:1), non vuol dire assolutamente che la fede di Raab venga messa in discussione, anzi al contrario la sua fede viene messa in evidenza da quello che ella fece nell’accogliere i messi. Interpretando giustamente quello che Giacomo dice, non c’è da pensare che questo apostolo stia contraddicendo l’insegnamento di Paolo per ciò che riguarda la dottrina della giustificazione.


Esame del testo biblico

Delle 15 volte che il termine greco ergon = opere, si trova nella nostra epistola, ben dodici volte ricorre nella sezione principale di 2:14-26 ed è proprio in questa sezione che Giacomo afferma:

Perciò vedete che l’uomo è giustificato per le opere e non per fede soltanto (Giacomo 2:24).

A parte che in tutti i quindici casi in cui leggiamo il termine opere, Giacomo non parla mai di opere della legge, come avviene specificatamente in Paolo (cfr. Romani 3:28), tutta la sua argomentazione non viene condotta a minimizzare la fede e a innalzare le opere, dando a queste il senso meritorio, come fa la chiesa Cattolica Romana. Né si può dire che Giacomo presenti due distinte entità, fede, opere, come se l’una e l’altra fossero in antitesi. Al contrario, l’apostolo Giacomo vuole dimostrare come deve essere intesa la fede e in quale maniera si manifesta quando è presente in una persona, ed è soprattutto fede viva.

Una fede intesa solamente in senso intellettuale = un assenso mentale, a parte che si riduce come qualcosa di astratto, non è essenzialmente fede vera e viva, se non la si può dimostrare con azioni reali, tangibili e visibili. Ha perfettamente ragione F. Mussner, quando dice: «Il verbo sunerghein, se ben considerato, consente di comprendere meglio il concetto di ‘fede’ che ha Giacomo. Esso dimostra che in 2:18-26 Giacomo non intende far valere le opere contro la fede, ma sottolineare la loro unità inscindibile in una sintesi vivente e convincente. Giacomo non dice nemmeno (e ciò va notato) che le opere collaborano con la fede, ma, viceversa, che la fede collabora con le opere; valore primario è dunque per lui la fede. È inconcepibile per Giacomo un’alternativa: fede oppure opere. È per lui possibile solo un insieme di fede e opere, anzi

«la fede (di Abramo) fu completata dalle opere» (v. 22), dove l’accento è posto su eteleiēthē; cioè senza le opere la fede è un abbozzo, qualcosa di acerbo, di incompiuto. Solo con le opere la fede acquista la sua integrità, la sua completezza, notando che completezza’ è qualcosa di diverso e di più che ‘complemento’» [Cfr. Franz Mussner, La Lettera di Giacomo, pagg. 204,205].

Intesa in questo senso l’affermazione dell’apostolo Giacomo, non ha niente in tutta la sua argomentazione che possa farci vedere un certo conflitto tra lui e Paolo, come alcuni hanno cercato di far vedere a partire da Lutero o per dirla con più specificità: Giacomo insegna la giustificazione per le opere, mentre Paolo per la sola fede. Il fatto poi che Giacomo dica:

Ma qualcuno dirà: Tu hai la fede, e io ho le opere; mostrami la tua fede senza le tue opere e io ti mostrerò la mia fede con le mie opere (Giacomo 2:18),

dimostra chiaramente che la fede viene messa in evidenza con le opere, vale a dire non è un semplice assenso mentale, e che le opere stesse servono per manifestare la reale presenza della fede, e non come base per la giustificazione. Giustamente Giacomo conclude la sua argomentazione col dire:

Infatti, come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta (Giacomo 2:26).

Il maggiore scoglio da superare in tutta la discussione che Giacomo fa è quello relativo alla giustificazione di Abramo, se questo passaggio viene confrontato con Romani 4. È chiaro infatti che sia Paolo, in (Romani 4:3) e (Giacomo. 2:23), citano (Genesi 15:6): Or Abrahamo credette a Dio, e ciò gli fu imputato a giustizia. Questa citazione è indiscutibilmente riferita alla sola fede di Abrahamo. Ma tenendo presente (Genesi 22:9-12) in cui si racconta del sacrificio di Isacco, come atto supremo dell’obbedienza di Abrahamo alla Parola del Signore, elemento che Paolo non menziona, mentre Giacomo giustamente mette in risalto, ne risulta la conclusione logica che Giacomo fa, quando dice:

Abrahamo, nostro padre non fu forse giustificato per mezzo delle opere, quando offrì il proprio figlio Isacco sull’altare?
Tu vedi che la fede operava insieme alle opere di lui, e che per mezzo delle opere la fede fu resa perfetta
(o compiuta, Luzzi) (Giacomo 2:21-22).

A questo punto:

«dobbiamo approvare il Dibelius quando sottolinea che la ‘fede’ di Abramo in Giacomo 2:23 non viene affermata tenendo conto soltanto di Gen. 15:6, ma di tutta la vita del patriarca» [Cfr. Franz Mussner, La Lettera di Giacomo, pag. 207, nota 17].

Lo stesso Mussner conclude col dire che:

«Giacomo non afferma affatto che la fede non abbia alcun valore giustificante, ma solo che la giustificazione non proviene «dalla fede soltanto», bensì anche dalle opere; meglio ancora: da una fede, che si dimostra tale nelle opere».

Ritornando a Raab e facendo un confronto tra quello che il libro di Giosuè dice da una parte e quello che dice Giacomo dall’altra, lo scrittore agli Ebrei si trova in piena armonia quando afferma: Per fede Raab, la prostituta, non perì con gli increduli, perché aveva accolto in pace le spie.

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28/07/2011 00:12

REBECCA

Nota introduttiva

Il nome Rebecca significa corda, laccio. È nominata nella Bibbia 32 volte, 30 dei quali nell’A.T. (tutti nel libro della Genesi) e due volte nel N.T., precisamente in Romani 9:10; 9:12

La storia di questa donna è abbastanza articolata. La descrizione che il testo sacro fornisce, permette di conoscere i suoi pregi e i suoi difetti. Nel solo capitolo 24 della Genesi, il nome di Rebecca è menzionato 14 volte. Dalla descrizione che si fa in questo capitolo, si possono conoscere alcune delle sue caratteristiche.

Si può ammirare il fascino della sua bellezza, la sua gentilezza, la prontezza nel rendersi utile agli altri, la determinazione a prendere serie decisioni personali, riguarnti il futuro. Per conoscere le altre caratteristiche che Rebecca ha avuto, (compresi i suoi difetti), saranno i capitolo 25-27 a farceli conoscere. Infine, per ultimo, ci penserà l’apostolo Paolo, a dare l’ultima pennellata, perché il dipinto sia completo.

Le quattro caratteristiche principali della giovane Rebecca

Le quattro buone caratteristiche che Rebecca manifesta nel capitolo 24 della Genesi, sono:

A. Il fascino della sua bellezza
B. La sua gentilezza
C. La prontezza a rendersi utile
D. La sua ferma decisione

A. Il fascino della bellezza di Rebecca

Quando Abrahamo decise di mandare il suo servo Eliezer, in Mesopotamia, in cerca della moglie per suo figlio Isacco, gli diede precise direttive. Chiariti tutti i dubbi che il servo sollevò per una simile missione, Eliezer si mise in cammino, non sappiamo in quanto tempo raggiunse la destinazione. In quella terra, Eliezer non c’era stato mai. Non conosceva nessuno, e, neanche sapeva dove abitava il parentado di Abrahamo. Sapeva soltanto che la moglie per Isacco, doveva sceglierla in quell’ambiente.

Come fare per conoscere la moglie per il figlio del suo padrone? Certamente, l’idea di rivolgersi a Dio per chiedergli giuda, fu ispirata dal Signore. Ecco la preghiera che Eliezer innalzò a Dio.

«O SIGNORE, Dio del mio signore Abrahamo, ti prego, fammi fare quest’oggi un felice incontro; usa bontà verso Abrahamo mio signore!
Ecco, io sto qui presso questa sorgente; e le figlie degli abitanti della città usciranno ad attingere acqua.
Fa’ che la fanciulla alla quale dirò: Abbassa, ti prego, la tua brocca perché io beva, e che mi risponderà: Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli, sia quella che tu hai destinata al tuo servo Isacco. Da questo comprenderò che tu hai usato bontà verso il mio signore»
(Genesi 24:12-14).

Siccome il servo di Abrahamo era arrivato nel luogo giusto e nel tempo giusto, la sua preghiera, fu subito esaudita.

La fanciulla che arrivò al pozzo, prima che Eliezer avesse terminato di pregare, era: Figlia di Betuel figlio di Milca, moglie di Naor fratello d’Abrahamo.
La fanciulla era molto bella d’aspetto, vergine; nessun uomo l’aveva conosciuta. Lei scese alla sorgente, riempì la brocca e risalì
(vv. 15-16).

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Questo naturalmente, Eliezer lo seppe, a seguito delle informazioni che Rebecca gli diede più tardi. Che il fascino della bellezza di Rebecca, lo avesse colpito, è senza dubbio un elemento importante. Poi c’è anche da sottolineare che la bellezza di Rebecca era naturale, nel senso che non erano gli ornamenti esterni che la rendevano tale.

B. La gentilezza di Rebecca

La gentilezza di Rebecca non si poteva notare dal fascino della sua bellezza. Per poterla rilevare, il servo di Abrahamo ha dovuto aspettare che Rebecca cominciasse a parlare. Infatti, è stato il suo parlare che l’ha rivelata!

Rebecca non conosceva quello che Eliezer aveva chiesto al Signore. Per lei, come donna e di fanciulla ancora vergine, entrare in conversazione con un uomo, non vigeva nella prassi di quei tempi. Sentirsi poi fare la richiesta di bere l’acqua dalla sua brocca, da un uomo che non aveva mai incontrato, poteva giustamente insospettirla. Ma, siccome la gentilezza di Rebecca era insita nella sua natura, non ebbe nessuna difficoltà a manifestarla.

La risposta che diede: Bevi, mio signore»; e s’affrettò a calare la brocca sulla mano e gli diede da bere (v. 18), è abbastanza eloquente. Le persone non possono manifestare qualcosa che non hanno; di solito rivelano quello che possiedono! Sì, è vero che a volte l’essere umano indossa la veste dell’ipocrita, per apparire quello che, in effetti, non è. Questo però non ha niente a che vedere, quando si tratta di mettere in evidenza una caratteristica che fa parte della sua natura.

C. La prontezza a rendersi utile di Rebecca

Rebecca, non possedeva solamente gentilezza, aveva anche prontezza d’animo, nel mettersi a disposizione per gli altri. Questa caratteristica la manifestò quando si offerse di dare da bere ai cammelli di Eliezer. Certo, lei non sapeva che nella preghiera che Eliezer fece al Signore, c’era anche quella di dare da bere ai suoi cammelli.

Il Signore che aveva preparato tutto, si servì di una caratteristica che Rebecca possedeva. Quel dare da bere ai cammelli, serviva affinché il servo di Abrahamo, avesse la completa certezza, che il Signore aveva usato benignità verso il suo padrone. Attingere acqua per dissetare dieci cammelli, non fu certamente una lieve fatica per Rebecca!

Per lei però, che aveva prontezza e determinazione, quel tipo di fatica la compì allegramente. Compiendo il lavoro in quel giorno, Rebecca si rese conto, di essersi resa disponibile, in favore di un uomo che non aveva mai incontrato. A questo punto, Eliezer non ha più nessun dubbio: i segni richiesti al Signore, si erano tutti avverati in quel giorno.

Sa con certezza che, questa graziosa, gentile e premurosa fanciulla, dovrà diventare la moglie del figlio del suo padrone, Isacco. Ma chi è questa splendida ragazza? Dove abita e a quale famiglia appartiene? Lo saprà subito, non appena le farà delle specifiche domande.

«Di chi sei figlia? Dimmelo, ti prego. V’è posto in casa di tuo padre per alloggiarci?» (v. 23).

Visto che Rebecca non ebbe nessun sospetto di quell’uomo, non gli domandò chi era e perché si era comportato con lei in quel modo, gli rispose:
«Sono figlia di Betuel, figlio di Milca, che lei partorì a Naor».
E aggiunse: «C’è da noi paglia e foraggio in abbondanza e anche posto da alloggiare»
(vv. 24-25).

Ricevuta una simile risposta,
Eliezer s’inchinò, adorò il SIGNORE, e disse:
«Benedetto sia il SIGNORE, il Dio d’Abrahamo mio signore, che non ha cessato di essere buono e fedele verso il mio signore! Quanto a me, il SIGNORE mi ha messo sulla via della casa dei fratelli del mio signore».
E la fanciulla corse a raccontare queste cose a casa di sua madre
(vv. 26-28).

Eliezer ricevuto in casa di Rebecca

Visto che Rebecca andò a rapportare a casa di sua madre, tutto quello che le era capitato in quel giorno, l’accoglienza che venne riservata ad Eliezer, fu molto cordiale ed affettuosa. Egli, però, prima che si mettesse a tavola per mangiare, disse: «Non mangerò finché non abbia fatto la mia ambasciata» (v. 33).

Ricevuto il permesso, proseguì:
«Io sono servo d’Abrahamo.
Il SIGNORE ha benedetto abbondantemente il mio signore, che è diventato ricco; gli ha dato pecore e buoi, argento e oro, servi e serve, cammelli e asini.
Or Sara, moglie del mio signore, ha partorito nella sua vecchiaia un figlio al mio padrone, il quale gli ha dato tutto quello che possiede.
Il mio signore mi ha fatto giurare, dicendo: Non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, nel paese dei quali abito;
ma andrai alla casa di mio padre, alla mia famiglia, a prendervi una moglie per mio figlio.
E io dissi al mio padrone: Forse quella donna non vorrà seguirmi.
Egli rispose: Il SIGNORE, davanti al quale ho camminato, manderà con te il suo angelo e darà successo al tuo viaggio; così tu potrai prendere per mio figlio una moglie dalla mia famiglia e dalla casa di mio padre.
Sarai sciolto dal giuramento che ti faccio fare, solo quando sarai andato alla mia famiglia; e, se non vorranno dartela, allora sarai sciolto dal giuramento che mi fai.
Oggi sono arrivato alla sorgente e ho detto: SIGNORE, Dio del mio signore Abrahamo, se gradisci dar successo al viaggio che ho intrapreso,
ecco, io mi fermo presso questa sorgente; fa’ che la fanciulla che uscirà ad attingere acqua, alla quale dirò: «Ti prego, dammi da bere un po’ d’acqua della tua brocca»,
e che mi dirà: «Bevi pure, e ne attingerò anche per i tuoi cammelli», sia la moglie che il SIGNORE ha destinata al figlio del mio signore.
E, prima che avessi finito di parlare in cuor mio, ecco uscire Rebecca con la sua brocca sulla spalla, scendere alla sorgente e attingere l’acqua. Allora io le ho detto:
Ti prego, fammi bere! Ed ella si è affrettata a calare la brocca dalla spalla e mi ha risposto: Bevi! e darò da bere anche ai tuoi cammelli. Così ho bevuto io, e lei ha abbeverato anche i cammelli.
Poi l’ho interrogata e le ho detto: Di chi sei figlia? Lei ha risposto: Son figlia di Betuel, il figlio che Milca partorì a Naor. Allora io le ho messo l’anello al naso e i braccialetti ai polsi.
Mi sono inchinato, ho adorato il SIGNORE e ho benedetto il SIGNORE, il Dio d’Abrahamo mio signore, che mi ha guidato sulla giusta via a prendere per suo figlio la figlia del fratello del mio signore.
Ora, se volete usare bontà e fedeltà verso il mio signore, ditemelo; e se no, ditemelo lo stesso, e io mi volgerò a destra o a sinistra»
(vv. 34-49).

Davanti a questa dettagliata descrizione, tutti nella casa di Rebecca, accettarono l’ambasciata di Eliezer, convinti che era la volontà di Dio.

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29/07/2011 00:14

Allora Labano e Betuel risposero: «La cosa procede dal SIGNORE; noi non possiamo dirti né male né bene.
Ecco, Rebecca ti sta davanti: prendila, va’, e sia moglie del figlio del tuo signore, come il SIGNORE ha detto»
(vv. 50-51).

Avuto la definitiva conferma, Eliezer compì un gesto davanti a tutti, come segno di gratitudine al Signore.

Quando il servo d’Abrahamo udì le loro parole, si prostrò a terra davanti al SIGNORE.
Poi il servo tirò fuori oggetti d’argento, oggetti d’oro, vesti e li diede a Rebecca; donò anche delle cose preziose al fratello e alla madre di lei
(vv. 52-53).

D. La ferma decisione di Rebecca

La giornata del servo di Abrahamo, in casa dei genitori di Rebecca, si concluse con un pranzo a suo onore.

Il giorno seguente, Eliezer voleva ripartire per ritornare a casa del suo signore.
E il fratello e la madre di Rebecca dissero: «Rimanga la fanciulla ancora alcuni giorni con noi, almeno una decina; poi se ne andrà».
Ma egli rispose loro: «Non mi trattenete, giacché il SIGNORE ha dato successo al mio viaggio; lasciatemi partire, perché io me ne torni dal mio signore».
Allora dissero: «Chiamiamo la fanciulla e sentiamo lei stessa».
Chiamarono Rebecca e le dissero: «Vuoi andare con quest’uomo?» E lei rispose: «Sì, andrò»
(vv. 55-58).

A questo punto, entra in azione Rebecca, con una determinata e pronta decisione. D’altra parte, è solo lei che può decidere se partire col servo di Abrahamo, o rimanere ancora per alcuni giorni, in casa dei suoi genitori. Le sue parole: Sì, andrò, rispecchiavano con quale decisione Rebecca faceva la sua scelta. La decisione che prese in quel giorno, riguardava il futuro della sua vita. Di fronte a questo, Rebecca non poteva dipendere dalla volontà di suo padre, di sua madre o di suo fratello. Era una faccenda personale; di conseguenza, stava a lei, dire l’ultima parola. La determinazione ferma e decisa che Rebecca prese in quella circostanza, è un nobile esempio da imitare, in tutti i settori della vita, specie per le cose di Dio.

Il matrimonio di Rebecca e la nascita di Giacobbe e di Esaù

Fatta la decisione di andare subito col servo di Abrahamo, Rebecca si licenziò dalla sua famiglia, si levò con le sue serve, montò sopra un cammello e seguì Eliezer (vv. 59-61). L’incontro tra Rebecca e Isacco, avvenne sul far della sera in campagna (v. 63). Dopo che Eliezer raccontò quello che egli aveva fatto,
Isacco condusse Rebecca nella tenda di Sara sua madre, la prese, ed ella divenne sua moglie, ed egli l’amò. Così Isacco fu consolato dopo la morte di sua madre (v. 67).

Isacco aveva quarant’anni quando prese per moglie Rebecca, figlia di Betuel, l’Arameo di Paddan-Aram, e sorella di Labano, l’Arameo (Genesi 25:20).

Per quanto riguarda Rebecca, non sappiamo niente, visto che lo scrittore sacro non ha ritenuto opportuno riferirci la sua età, quando si unì in matrimonio con Isacco. Si sa che Rebecca, rimase sterile per circa venti anni, prima di concepire e partorire due maschietti, di nome Giacobbe ed Esaù. Il calcolo di questo dato, si ricava dall’età che aveva Isacco, quando Rebecca li partorì (Genesi 25:26).

Il comportamento di Rebecca come mamma

Da mamma, il comportamento di Rebecca, non fu ideale, nel senso che non trattò i suoi due figli nella stessa maniera. Che questi due figli di Rebecca manifestino due tendenze diverse, è provato dal racconto biblico. Di Esaù si afferma che divenne un esperto cacciatore, un uomo di campagna, mentre Giacobbe fu un uomo tranquillo che se ne stava nelle tende (25:27). In conseguenza di ciò, Isacco amava Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto. Rebecca invece amava Giacobbe (25:28).

La decisione d'Isacco di impartire la sua benedizione ad Esaù prima della sua morte, rivelò il vero comportamento di Rebecca, nei confronti dei suoi due figli. Visto che lei amava Giacobbe, non perse tempo a riferirgli, quello che aveva sentito dire da suo marito, a Esaù. Tenuto conto che il suggerimento della mamma, non piacque in un primo momento a Giacobbe, questi però, finì per ubbidirla, dietro la sua insistenza. Tutto quello che la Bibbia riferisce intorno al procedere di Giacobbe, in vista di ricevere la benedizione di suo padre, fu abilmente concepito e diretto da Rebecca.

È chiaro che, nel procedere di Rebecca, non vi è parità di trattamento. I due figli non vennero trattati nello stesso modo: Giacobbe venne favorito, mentre Esaù venne ignorato e tradito.

Non si sostenga che se Rebecca agisse in quel modo, fu essenzialmente in conformità a quello che Dio gli aveva rivelato mentre si trovava incinta, come vorrebbe far credere Susan Niditch:

«Due nazioni sono nel tuo grembo e due popoli separati usciranno dal tuo seno. Uno dei due popoli sarà più forte dell’altro, e il maggiore servirà il minore» (Genesi 25:23). È molto discutibile l’affermazione che fa questa scrittrice, nel commentare la storia di Rebecca e Giacobbe: Rebecca diventa la custode della notizia che il maggiore, Esaù, servirà Giacobbe, il minore, e si adopera attivamente per adempiere la profezia divina (25:21-23) La Bibbia delle donne, volume primo: da Genesi a Neemia a cura di Carol A. Newsom e Sharon H. Ringe, pag. 41].

Anzitutto bisognerebbe provare se nel tempo della profezia divina, Rebecca, comprendesse pienamente il messaggio divino, riguardante suo figlio Giacobbe, che ancora doveva nascere. Inoltre, si tenga presente che al tempo quando Giacobbe si era camuffato per Esaù, per ricevere la benedizione del padre, erano passati più di quaranta anni (Genesi 26:34). Come se quest'elemento non avesse nessun'importanza, bisognerebbe, inoltre elogiare l’imposizione della volontà di Rebecca su suo figlio Giacobbe, che in un certo qual senso lo inducesse a pronunciare tutte le menzogne davanti a suo padre Isacco, giustificarlo, come se menzogna fosse un sinonimo di verità, con l’approvazione divina, naturalmente. Chi oserebbe a tanta sfrontatezza? Chi avrebbe il coraggio di affermare che Dio non odia la menzogna?

Sei cose odia il SIGNORE, anzi sette gli sono in abominio:
gli occhi alteri, la lingua bugiarda, le mani che spargono sangue innocente,
il cuore che medita disegni iniqui, i piedi che corrono frettolosi al male,
il falso testimone che proferisce menzogne, e chi semina discordie tra fratelli
(Proverbi 6:16-19).

Sì, è vero che nei piani divini, era Giacobbe che Dio amava, mentre Esaù era odiato

«Io vi ho amati», dice il SIGNORE; «e voi dite: In che modo ci hai amati? Esaù non era forse fratello di Giacobbe?» dice il SIGNORE; «eppure io ho amato Giacobbe
e ho odiato Esaù; ho fatto dei suoi monti una desolazione e ho dato la sua eredità agli sciacalli del deserto»
(Malachia 1:2-3).

Questo però non significa che Dio per portare a compimento i piani della Sua volontà, approvò la strategia di Rebecca e giustificò le menzogne di Giacobbe.

Uno dei principi biblici, valido per tutti i tempi, si trova nelle parole che Giuseppe pronunciò ai suoi fratelli: Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso (Genesi 50:20) e nelle parole dell’apostolo Paolo. Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno (Romani 8:28).

Dio non chiama mai il male bene; Egli lo cambia in modo tale da risultare in favore dei suoi figli. Infatti, Dio che conosce in profondità il significato del male, rivolge un severo e perentorio monito: Guai a quelli che chiamano bene il male, e male il bene, che cambiano le tenebre in luce e la luce in tenebre, che cambiano l’amaro in dolce e il dolce in amaro! (Isaia 5:20). A causa della benedizione che Giacobbe ricevette da suo padre Isacco, Esaù odiava Giacobbe e si proponeva di ucciderlo, dopo la morte del padre (27:41).

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30/07/2011 00:12

Sentita la decisione di Esaù di volersi vendicarsi di suo fratello, Rebbecca concepisce un piano di salvataggio per il suo prediletto Giacobbe.

…«Esaù, tuo fratello, vuole vendicarsi e ucciderti.
Ora, figlio mio, ubbidisci alla mia voce; lèvati e fuggi a Caran da mio fratello Labano,
rimani laggiù, finché il furore di tuo fratello sia passato,
finché l’ira di tuo fratello si sia stornata da te ed egli abbia dimenticato quello che tu gli hai fatto. Allora io manderò a farti ritornare da laggiù. Perché dovrei essere privata di voi due in uno stesso giorno?»
(27:42-45)

Inoltre, il consiglio che Rebecca diede a suo marito, di fare partire Giacobbe verso la casa di Labano, non fu leale, per il semplice fatto che gli nascose il vero motivo.

Rebecca disse ad Isacco: «Sono disgustata a causa di queste donne ittite. Se Giacobbe prende in moglie, tra le Ittite, tra le abitanti del paese, una come quelle, che mi giova la vita?» (27:46)

Infine, tutto quello che Giacobbe passò, durante i lunghi venti anni di permanenza nella casa di Labano, fu la diretta conseguenza del comportamento errato di Rebecca. A questo punto, sentiamo la necessità di rivolgere un buon consiglio alle mamme.

Ogni mamma deve fare molta attenzione a non praticare parzialità con i propri figli! Il diverso trattamento che manifesta verso di loro, potrebbe essere fonte di seri guai e sofferenze. Visto che le mamme esercitano molta influenza nella loro vita, esse devono essere molto accorte nel dare consigli. La libertà di scelta, non deve essere mai violata, ma rispettata. I figli devono imparare ad agire con la loro testa, nelle loro scelte e nelle loro decisioni. Le mamme possono consigliare, in base alle loro esperienze, ma mai imporre la loro volontà. Se le mamme sapranno comportarsi in questo modo, esse potranno risparmiare tanti guai ai loro figli, ed essere da tutti benvolute e rispettate.

REUMA

Esaltato. Concubina di Naor, fratello di Abramo e madre di Teba, Gaam e Maaca (Genesi 22:24).

RISPA

Pietra bruciata. Figlia d’Aia e concubina di Saul (2 Samuele 3:7; 21:8,11).

RUT

Giovane Moabita, moglie di Malon, nuora di Naomi e cognata di Orpa. La storia di questa donna è narrata nel libro che porta il suo nome. È una storia molto interessante; è anche ricca di preziosi insegnamenti per la vita pratica. Vale, quindi la pena, considerarla.

Si afferma che la famiglia d’Elimelec, dimorò nelle campagne di Moab dieci anni (1:4). Non si può stabilire quando avvenne il matrimonio tra Rut e Malon e neanche quanto tempo stettero insieme, prima che venisse la morte per Malon. Se lo scrittore sacro avesse ritenuto opportuno riferirci questa nota biografica, egli non avrebbe mancato certamente di comunicarcela. La cosa importante per la storia di Rut, non è costituita dal tempo che visse con suo marito Malon, ma quello che accadde dopo.

Naomi, da persona sensibile e comprensiva che era, consigliò a Rut, sua nuora, di ritornare alla casa di sua madre, e risposarsi nuovamente, visto la giovane età che lei aveva (1:8-9). Dalla risposta che Rut le diede, Naomi capì che le cose andavano viste sotto un diverso aspetto, di come lei le vedeva.

«Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch’io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio;
dove morirai tu, morirò anch’io, e là sarò sepolta. Il SIGNORE mi tratti con il massimo rigore, se altra cosa che la morte mi separerà da te!»
(1:16-17).

Si afferma che Naomi, notando la fermezza di Rut a non lasciarla, non gliene parlò più (v. 18).

La decisione e la fermezza di Rut

Nelle parole che Rut pronunciò alla suocera, si può ammirare la decisione e la fermezza di questa giovane. Nonostante che Rut fosse di giovane età, si era veramente affezionata alla suocera, da non pensare di volersi separare da lei, per ritornare in casa di sua madre. Nuore che si affezionano in questo modo con le suocere, ce ne sono poche ai nostri giorni! Le giovani spose (e anche le giovani vedove), dovrebbero riflettere seriamente su i loro comportamenti nei confronti delle loro suocere! Ognuno di noi, dovrebbe imparare da certe azioni che si compiono, ad imitarle e applaudirle, senza nessuna riserva.

Se si considera attentamente la ferma decisione di Rut, essa non riguardava solamente la volontà di non separarsi dalla suocera, ma c’era anche la determinazione ad abbracciare la fede della suocera. Rut, come Moabita, appartenente ad un popolo pagano, aveva una diversa fede. Questa sua fede, la tenne cara per sé, durante tutto il tempo che visse con suo marito. Quando morì Malon, e fece la sua decisione di rimanere con la suocera, Rut fece anche la decisione di convertirsi alla religione ebraica, ed abbracciare la stessa fede della suocera.

Che questa scelta l’abbia fatta lei, nella sua libera decisione, senza subire una certa pressione esterna, bisogna prenderne atto, visto che appare abbastanza chiaro dal testo biblico. La fede nel vero Dio, non si può imporre a nessuno; deve essere un atto spontaneo e libero, della volontà di un individuo. Le cose imposte, oltre a non avere nessun valore, non durano nel tempo.

È la tragica realtà che si nota nella vita di tanti figli che, durante la loro giovinezza, seguono la religione dei genitori. Però, quando diventano maggiorenni, se la fede che professano il padre e la madre, non la sentono in loro, sono pronti ad abbandonarla. In materia di fede, valgono le parole di Gesù:

«Se uno vuol venire dietro a me, rinunzi a se stesso, prenda la sua croce e mi segua.
Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi perderà la sua vita per amor mio e del vangelo, la salverà.
E che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e perde l’anima sua?
Infatti, che darebbe l’uomo in cambio della sua anima?
Perché se uno si sarà vergognato di me e delle mie parole in questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando verrà nella gloria del Padre suo con i santi angeli»
(Marco 8:34-38).

Se uno mi serve, mi segua; e là dove sono io, sarà anche il mio servitore; se uno mi serve, il Padre l’onorerà (Giovanni 12:26).

Rut a Betlemme

Fatta la decisione di non separarsi dalla suocera, Rut, seguendo la madre del marito, arrivò a Betlemme e si stabilì in quel centro abitato. Tenuto conto che quando Rut arrivò a Betlemme, era il tempo della mietitura, essa chiese alla suocera di permetterle di andare a spigolare. Ricevuto il permesso, andò a finire per caso, in un campo di un ricco possidente agrario. Il proprietario Boaz, seppe che la fanciulla che spigolava dietro i mietitori, era una giovane Moabita che era ritornata con Naomi dalle campagne di Moab. A rivelargli ciò, fu il suo servo incaricato di sorvegliare i mietitori (2:6).

L’informazione che il servo diede al suo padrone, l’avrà ottenuta: o direttamente dalla fanciulla, oppure da qualcuno che aveva saputo del ritorno di Naomi a Betlemme. Le parole che Boaz rivolse a Rut e la risposta che da lei ricevette, sono abbastanza eloquenti da farci capire che Boaz aveva approvato che Rut si trovasse a spigolare nei suoi campi.

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31/07/2011 00:30

«Ascolta, figlia mia; non andare a spigolare in un altro campo; e non allontanarti da qui, ma rimani con le mie serve;
guarda qual è il campo che si miete, e va’ dietro a loro. Ho ordinato ai miei servi che non ti tocchino; e quando avrai sete, andrai a bere dai vasi l’acqua che i servi avranno attinta».
Allora Rut si gettò giù, prostrandosi con la faccia a terra, e gli disse: «Come mai ho trovato grazia agli occhi tuoi, così che tu presti attenzione a me che sono una straniera?»
Boaz le rispose: «Mi è stato riferito tutto quello che hai fatto per tua suocera dopo la morte di tuo marito, e come hai abbandonato tuo padre, tua madre e il tuo paese natio, per venire ad un popolo che prima non conoscevi.

Il SIGNORE ti dia il contraccambio di quel che hai fatto, e la tua ricompensa sia piena da parte del SIGNORE, del Dio d’Israele, sotto le cui ali sei venuta a rifugiarti!»
Lei gli disse: «Possa io trovare grazia agli occhi tuoi, o mio signore! Poiché tu mi hai consolata, e hai parlato al cuore della tua serva, sebbene io non sia neppure come una delle tue serve»
(2:8-13).

Naomi vuole rendere felice Rut

Siccome Rut non conosceva nessuno, quando la sera ritornò a casa, la suocera le chiese: Dove hai spigolato oggi? Dove hai lavorato? Rut, nel risponderle, non solo raccontò l’accoglienza cordiale che aveva ricevuta, ma rivelò anche il nome del proprietario in cui si era recata a spigolare in quel giorno. A sentire il nome di Boaz, Naomi, esclamò:

«Sia egli benedetto dal SIGNORE, perché non ha rinunciato a mostrare ai vivi la bontà che ebbe verso i morti!» E aggiunse: «Quest’uomo è nostro parente stretto; è di quelli che hanno su di noi il diritto di riscatto» (2:20).

Ora, Naomi, rendendosi conto che sua nuora si era recata nel campo di Boaz, il suo stretto parente, comprende che Rut potrà essere sistemata ed essere resa felice. Perciò, non indugiò a dirle:

«Figlia mia, io devo assicurarti una sistemazione perché tu sia felice.
Boaz, con le cui serve sei stata, non è forse nostro parente? Ecco, stasera deve ventilare l’orzo nell’aia.
Làvati dunque, profumati, indossa il tuo mantello e scendi all’aia; ma non farti riconoscere da lui prima che egli abbia finito di mangiare e di bere.
E quando se ne andrà a dormire, osserva il luogo dov’egli dorme; poi va’, alzagli la coperta dalla parte dei piedi, e coricati lì; e lui ti dirà quello che tu debba fare».
Rut le rispose: «Farò tutto quello che dici»
(3:1-5).

Quando Boaz, di notte tempo si rese conto che nell’aia, dove lui stava dormendo, c’era una donna, coricata ai suoi piedi, subito domandò:

«Chi sei?» le chiese. E lei rispose: «Sono Rut, tua serva; stendi il lembo del tuo mantello sulla tua serva, perché tu hai il diritto di riscatto».
Ed egli a lei: «Sii benedetta dal SIGNORE, figlia mia! La tua bontà d’adesso supera quella di prima, poiché non sei andata dietro a dei giovani, poveri o ricchi.
Non temere, dunque, figlia mia; io farò per te tutto quello che dici, perché tutti qui sanno che sei una donna virtuosa
(vv 9-11).

A sentire quello che la nuora le raccontò, Naomi assicurò Rut che, Boaz, quello stesso giorno, avrebbe portato a termine quell’affare (v. 18). Infatti, nel giro di poco tempo, Rut, la Moabita, divenne la moglie del ricco Boaz, dal cui matrimonio ebbe un figlio, che si chiamò Obed. Egli fu padre d’Isai, padre di Davide (4:17).

Riflessioni su Rut

1. Il rispetto che si porta ad una persona che veramente si ama, non può essere costituito di sole parole; dovrà essere dimostrato con azioni tangibili e visibili, per avere valore. Se le parole non vengono accompagnate dai fatti, quanto belle possano essere, esse rimangono sempre parole. Le varie frasi che spesso si ripetono: ti voglio bene; ti amo, sono tutto per te, spesso nei fatti, si rivelano ipocrite e non veritiere. Sono solamente una facciata, un abbellimento esterno.

2. Le decisioni che si prendono, hanno significato e valore, quando c’è la fermezza che le convalida. Se poi sono prese in seguito ad un suggerimento o sotto forma di una pressione, non possono essere qualificate come il frutto della spontaneità e della libera volontà. Una qualsiasi decisione che si prende, deve anche comportare, (a secondo dei casi), la disponibilità a pagarne il prezzo; massimamente quando si ha a che fare con le cose di Dio, con le realtà spirituali.

3. Una conversione dettata da convenienze umane, a parte che non è vera, essa non ha neanche valore. Se non c’è un vero cambiamento di direzione, è solamente un palliativo; buono solamente per ingannare. Quando si abbraccia con tutto il cuore, la fede nel Signor Gesù Cristo, non si prova nessuna vergogna a proclamarla. Se davanti a persone di diversa fede, non si ha il coraggio di confessare a chi si appartiene e chi sì serve, ciò significa che non c’è la certezza a chi si crede.

4. Accettare e seguire determinati buoni consigli, questi ci potranno risparmiare dal fare certe esperienze negative che, di solito, lascierebbero l’amaro in bocca, per non parlare addirittura di delusioni. Nessuna persona sarà disposta a seguire un buon consiglio, se prima non si è convinti della sua bontà. Solo allora, con la certezza nella mente e nel cuore, si raggiungeranno sicuri traguardi.

5. Rendere felice una persona che veramente si stima e si ha rispetto, significa mettersi a disposizione di quel individuo, fare del tutto per raggiungere quella meta, senza risparmiare energie e mezzi. Dalla felicità che altri potranno raggiungere, da chi si interessa a procurarla, verrà anche un appagamento, per la gioia che immancabilmente si proverà. Non c’è cosa più significativa, quando si compie un’azione per procurare il bene agli altri.

SARAI

La storia di questa donna, è raccontata nel libro della Genesi. Il suo nome è attestato 17 volte. I testi dove si fa menzione di lei sono: 11:29-30,31; 12:5,11,17; 16:1-2,2-3,5-6,8:17:15. Si comincia col ricordarci che era una donna sposata ad Abramo; era sterile, non aveva figli e abitava in Mesopotamia, ad Ur dei Caldei.

Sarai era sterile; non aveva figli.

Tera prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, cioè figlio di suo figlio, e Sarai sua nuora, moglie d’Abramo suo figlio, e uscì con loro da Ur dei Caldei per andare nel paese di Canaan. Essi giunsero fino a Caran, e là soggiornarono (Genesi 11:30-31).

Lo spostamento di Abramo e SARAI da Ur dei Caldei, non avvenne solamente perché Tera, padre di Abramo, prese figlio e nuora e li fece uscire per andare nel paese di Canaan, ma principalmente perché il Signore aveva dato un preciso comando ad Abramo:

«Va’ via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla casa di tuo padre, e va’ nel paese che io ti mostrerò;
io farò di te una grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di benedizione
(Genesi 12:1-2).

Il testo sacro precisa che a seguito di questa rivelazione divina,
Abramo prese SARAI sua moglie e Lot, figlio di suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan (Genesi 12:5).

Siccome tra marito e moglie c’era una differenza di dieci anni, quando Abramo lasciò Caran, aveva settantacinque anni, SARAI ne aveva sessantacinque. Visto che in Mesopotania la coppia aveva accumulato un patrimonio non indifferente di oro, argento e bestiame (Genesi 13:2), quando lasciarono la loro terra, portarono tutto con loro.

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La prima considerazione che facciamo su SARAI, riguarda la posizione sociale ed economica in cui viveva a Caran: l’atteggiamento che manifestò nei confronti di suo marito, allorquando questi le comunicò la rivelazione divina di lasciare la loro terra. Una donna moderna, al posto di SARAI, non avrebbe accettato facilmente un trasferimento, per dirigersi verso località ignote, senza una chiara prospettiva per il futuro. Avrebbe detto a suo marito: abbiamo raggiunto una buona posizione sociale ed economica; abbiamo la nostra indipendenza, le conoscenze e le amicizie che abbiamo, sono tali da garantirci una certa tranquillità che riguarda il nostro futuro.

Non sarebbe una pazzia lasciare il nostro benessere per avventurarci verso luoghi sconosciuti, senza avere una minima certezza di quello che ci riserverà il nostro futuro? Il fatto stesso che SARAI non fa a suo marito un simile ragionamento, non si oppone alla chiamata divina, accetta il trasferimento senza obbiettare e senza opporre resistenza, di per se stesso essa rivela un’atteggiamento rispettoso e sottomesso.

Quest'atteggiamento è molto importante, tra marito e moglie, specialmente quando si ha a che fare con un impegno ministeriale nel campo del Signore. Un simile procedere faciliterà enormemente i piani divini per la vita di una coppia cristiana, e, i vari ostacoli che si potranno incontrare nel cammino della vita, saranno superati senza eccessive difficoltà.

Strategia per superare una particolare situazione

Abramo e Sarai si trovano nel paese di Canaan. Una carestia che colpì la terra di Canaan, costrinse la coppia a scendere in Egitto per dimorarvi.

Pensando alla bellezza di SARAI, Abramo è assillato da una seria preoccupazione per la sua vita. Lui crede che gli Egiziani, posando i loro sguardi su sua moglie, finiranno per ucciderlo, lasciando in vita Sarai, allo scopo di poterla avere per loro. In vista di ciò, Abramo escogita una strategia per evitare che la sua previsione si avveri.

Di’ dunque che sei mia sorella, perché io sia trattato bene a motivo di te e la vita mi sia conservata per amor tuo» (Genesi 12:13).

La strategia ebbe un buon esito; ad Abramo venne risparmiato la vita, gli venne data la possibilità di avere pecore, buoi, asini, servi, serve, asine e cammelli (12:16), ma Sarai andò a finire in casa del Faraone, il quale, se la prese per moglie (v. 19). A motivo dell’accordo che Abramo e SARAI presero, nell’affermare davanti agli Egiziani che i due erano fratello e sorella, subirono un disonore: Abramo venne privato del diritto di sposo su SARAI, e SARAI andò a finire nelle braccia di un uomo che non era suo marito.

Tutto questo, naturalmente, perché la coppia non seppe valutare la gravità di una menzogna, premeditata e concordata, non tanto davanti agli Egiziani quanto davanti a Dio. Se gli sposi, sapessero riflettere seriamente su certe decisioni errate che a volte prendono, potrebbero risparmiarsi tragiche ripercussioni nella loro vita che, immancabilmente, lascierebbero segni e cicatrici che non si cancelleranno facilmente.

Il piano concepito da Sarai

Trascorsi dieci anni di permanenza in Canaan, SARAI concepisce un piano per risolvere un suo problema, relativo ad avere figli. Quando con suo marito, SARAI partì dalla Mesopotamia, Ur dei Caldei, aveva sessantacinque anni. In quello stesso anno, Dio prometteva ad Abramo di dargli una discendenza che avrebbe posseduto la terra di Canaan (Genesi 12:7). Che questa promessa divina, Abramo l’abbia comunicato a sua moglie, non c’è nessun'incertezza.

Ora, SARAI ha settantacinque anni, e, nonostante siano passati dieci anni da quando Dio fece la promessa, la situazione nella vita di SARAI non è cambiata: era sterile quando abitava in Caran, ed è ancora sterile nel paese di Canaan. Non solo la situazione non è cambiata, ma addirittura SARAI è convinta che l’Eterno le abbia impedito di avere figli (Genesi 16:2, N.D.). Questa sua persuasione, equivaleva ad affermare che per lei, non c’era nessuna possibilità di diventare mamma, visto che era stato il Signore a determinare una simile situazione.

Intanto SARAI vuole avere figli a qualsiasi costo, e, tenuto conto che lei non li potrà avere, concepì un piano per risolvere il suo problema. La sua serva Agar, (che probabilmente avrà preso, durante il tempo del suo soggiorno in Egitto), è cresciuta ed è abbastanza adatta perché attraverso di lei, potrà avere figli. Il piano è molto semplice: si tratta di consegnare Agar nelle mani di suo marito Abramo, come moglie. Concepito il piano, ne parlò subito a suo marito, il quale, acconsentendo alla voce di SARAI, entrò da Agar, che rimase incinta… (Genesi 16:3-4 N.D.).

Finalmente il piano concepito da SARAI, aveva avuto successo, perché già la sua serva Agar, aspettava un figlio. A questo punto, fare qualche domanda e qualche considerazione sulla strategia di SARAI, è quasi d’obbligo. Da quello che si legge nel racconto biblico, non risulta che in SARAI, ci sia stato un minimo di ripensamento o pentimento, per quello che fece nel dare la sua serva Agar, a suo marito come moglie. Se in seguito SARAI si disgustò tanto della sua serva, fino al punto di non volerla più presso di sé, non fu perché provò un certo rimorso per quello che aveva ideato, ma per l’atteggiamento sprezzante che Agar assunse nei suoi confronti, quando si rese conto che aspettava un bambino.

Egli andò da Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di essere incinta, guardò la sua padrona con disprezzo.
SARAI disse ad Abramo: «L’offesa fatta a me ricada su di te! Io ti ho dato la mia serva in seno e, da quando si è accorta d’essere incinta, mi guarda con disprezzo. Il SIGNORE sia giudice fra me e te».
Abramo rispose a SARAI: «Ecco, la tua serva è in tuo potere; falle ciò che vuoi». Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei
(Genesi 16:4-6).

Questo significa, senza tema di essere smentiti che, se Agar non avesse assunto quell’atteggiamento sprezzante nei confronti della sua padrona, a SARAI non sarebbe neanche balenato il pensiero di mandar via la sua serva. Sull’atteggiamento ostile di Agar, ne abbiamo già parlato.

Ritornando a SARAI, chiediamo: come mai non provò nessuna vergogna, nel consegnare la sua serva Agar a suo marito? Sì, è vero che Agar, come serva (e i servi in quel tempo erano veri schiavi, nel senso più completo del termine) non aveva nessun diritto, né di opporsi alla volontà della sua padrona, né usare il proprio corpo a suo piacimento.

Ma SARAI, la padrona, essendo persona libera, avrebbe dovuto manifestare un po’ di sensibilità nei confronti della sua serva, e, almeno, avrebbe dovuto chiederle, se non avesse niente in contrario, ad andare a letto con Abramo, suo marito. È vero che il racconto biblico non fa nessun riferimento a quello che stiamo dicendo, ma dal punto di vista umano, almeno c’è da supporlo. SARAI, in quello che ideò, agì da vera egoista, senza il minimo rispetto per la vita degli altri. L’egoismo, in qualsiasi campo lo collochiamo, agisce sempre ignorando gli altri, e tiene solamente presente l’utilità personale, senza preoccuparsi del danno morale e fisico che arreca agli altri. Sotto quest'aspetto, c’è tanto da riflettere!

C’è anche da dire qualcosa, per quanto riguarda l’aspetto morale della questione. Ha pensato a ciò SARAI? Considerava peccato una simile unione fisica, tra la sua serva e suo marito Abramo?

Siamo convinti che se Sarai avesse considerato la questione morale, non avrebbe mai permesso che la sua serva andasse a finire a letto con suo marito. Anche su Abramo, bisogna dire qualcosa. Come mai egli non reagì negativamente alla proposta di sua moglie, di unirsi fisicamente con Agar? Considerò Abramo, l’aspetto morale della questione?

Quant’altro si potrebbe chiedere, a noi sembra che nessuno dei due, avranno considerato e tenuto conto l’aspetto morale della questione. Che dire, ai nostri giorni, delle unioni illecite, fuori del matrimonio? Perché si praticano spesso e con molta facilità? La risposta è una sola: la questione morale, affermano certuni, è qualcosa che appartiene all’antichità; qualcosa da definire un tabù, non più compatibile con l’era moderna.

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La prima considerazione che facciamo su SARAI, riguarda la posizione sociale ed economica in cui viveva a Caran: l’atteggiamento che manifestò nei confronti di suo marito, allorquando questi le comunicò la rivelazione divina di lasciare la loro terra. Una donna moderna, al posto di SARAI, non avrebbe accettato facilmente un trasferimento, per dirigersi verso località ignote, senza una chiara prospettiva per il futuro. Avrebbe detto a suo marito: abbiamo raggiunto una buona posizione sociale ed economica; abbiamo la nostra indipendenza, le conoscenze e le amicizie che abbiamo, sono tali da garantirci una certa tranquillità che riguarda il nostro futuro.

Non sarebbe una pazzia lasciare il nostro benessere per avventurarci verso luoghi sconosciuti, senza avere una minima certezza di quello che ci riserverà il nostro futuro? Il fatto stesso che SARAI non fa a suo marito un simile ragionamento, non si oppone alla chiamata divina, accetta il trasferimento senza obbiettare e senza opporre resistenza, di per se stesso essa rivela un’atteggiamento rispettoso e sottomesso.

Quest'atteggiamento è molto importante, tra marito e moglie, specialmente quando si ha a che fare con un impegno ministeriale nel campo del Signore. Un simile procedere faciliterà enormemente i piani divini per la vita di una coppia cristiana, e, i vari ostacoli che si potranno incontrare nel cammino della vita, saranno superati senza eccessive difficoltà.

Strategia per superare una particolare situazione

Abramo e Sarai si trovano nel paese di Canaan. Una carestia che colpì la terra di Canaan, costrinse la coppia a scendere in Egitto per dimorarvi.

Pensando alla bellezza di SARAI, Abramo è assillato da una seria preoccupazione per la sua vita. Lui crede che gli Egiziani, posando i loro sguardi su sua moglie, finiranno per ucciderlo, lasciando in vita Sarai, allo scopo di poterla avere per loro. In vista di ciò, Abramo escogita una strategia per evitare che la sua previsione si avveri.

Di’ dunque che sei mia sorella, perché io sia trattato bene a motivo di te e la vita mi sia conservata per amor tuo» (Genesi 12:13).

La strategia ebbe un buon esito; ad Abramo venne risparmiato la vita, gli venne data la possibilità di avere pecore, buoi, asini, servi, serve, asine e cammelli (12:16), ma Sarai andò a finire in casa del Faraone, il quale, se la prese per moglie (v. 19). A motivo dell’accordo che Abramo e SARAI presero, nell’affermare davanti agli Egiziani che i due erano fratello e sorella, subirono un disonore: Abramo venne privato del diritto di sposo su SARAI, e SARAI andò a finire nelle braccia di un uomo che non era suo marito.

Tutto questo, naturalmente, perché la coppia non seppe valutare la gravità di una menzogna, premeditata e concordata, non tanto davanti agli Egiziani quanto davanti a Dio. Se gli sposi, sapessero riflettere seriamente su certe decisioni errate che a volte prendono, potrebbero risparmiarsi tragiche ripercussioni nella loro vita che, immancabilmente, lascierebbero segni e cicatrici che non si cancelleranno facilmente.

Il piano concepito da Sarai

Trascorsi dieci anni di permanenza in Canaan, SARAI concepisce un piano per risolvere un suo problema, relativo ad avere figli. Quando con suo marito, SARAI partì dalla Mesopotamia, Ur dei Caldei, aveva sessantacinque anni. In quello stesso anno, Dio prometteva ad Abramo di dargli una discendenza che avrebbe posseduto la terra di Canaan (Genesi 12:7). Che questa promessa divina, Abramo l’abbia comunicato a sua moglie, non c’è nessun'incertezza.

Ora, SARAI ha settantacinque anni, e, nonostante siano passati dieci anni da quando Dio fece la promessa, la situazione nella vita di SARAI non è cambiata: era sterile quando abitava in Caran, ed è ancora sterile nel paese di Canaan. Non solo la situazione non è cambiata, ma addirittura SARAI è convinta che l’Eterno le abbia impedito di avere figli (Genesi 16:2, N.D.). Questa sua persuasione, equivaleva ad affermare che per lei, non c’era nessuna possibilità di diventare mamma, visto che era stato il Signore a determinare una simile situazione.

Intanto SARAI vuole avere figli a qualsiasi costo, e, tenuto conto che lei non li potrà avere, concepì un piano per risolvere il suo problema. La sua serva Agar, (che probabilmente avrà preso, durante il tempo del suo soggiorno in Egitto), è cresciuta ed è abbastanza adatta perché attraverso di lei, potrà avere figli. Il piano è molto semplice: si tratta di consegnare Agar nelle mani di suo marito Abramo, come moglie. Concepito il piano, ne parlò subito a suo marito, il quale, acconsentendo alla voce di SARAI, entrò da Agar, che rimase incinta… (Genesi 16:3-4 N.D.).

Finalmente il piano concepito da SARAI, aveva avuto successo, perché già la sua serva Agar, aspettava un figlio. A questo punto, fare qualche domanda e qualche considerazione sulla strategia di SARAI, è quasi d’obbligo. Da quello che si legge nel racconto biblico, non risulta che in SARAI, ci sia stato un minimo di ripensamento o pentimento, per quello che fece nel dare la sua serva Agar, a suo marito come moglie. Se in seguito SARAI si disgustò tanto della sua serva, fino al punto di non volerla più presso di sé, non fu perché provò un certo rimorso per quello che aveva ideato, ma per l’atteggiamento sprezzante che Agar assunse nei suoi confronti, quando si rese conto che aspettava un bambino.

Egli andò da Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di essere incinta, guardò la sua padrona con disprezzo.
SARAI disse ad Abramo: «L’offesa fatta a me ricada su di te! Io ti ho dato la mia serva in seno e, da quando si è accorta d’essere incinta, mi guarda con disprezzo. Il SIGNORE sia giudice fra me e te».
Abramo rispose a SARAI: «Ecco, la tua serva è in tuo potere; falle ciò che vuoi». Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei
(Genesi 16:4-6).

Questo significa, senza tema di essere smentiti che, se Agar non avesse assunto quell’atteggiamento sprezzante nei confronti della sua padrona, a SARAI non sarebbe neanche balenato il pensiero di mandar via la sua serva. Sull’atteggiamento ostile di Agar, ne abbiamo già parlato.

Ritornando a SARAI, chiediamo: come mai non provò nessuna vergogna, nel consegnare la sua serva Agar a suo marito? Sì, è vero che Agar, come serva (e i servi in quel tempo erano veri schiavi, nel senso più completo del termine) non aveva nessun diritto, né di opporsi alla volontà della sua padrona, né usare il proprio corpo a suo piacimento.

Ma SARAI, la padrona, essendo persona libera, avrebbe dovuto manifestare un po’ di sensibilità nei confronti della sua serva, e, almeno, avrebbe dovuto chiederle, se non avesse niente in contrario, ad andare a letto con Abramo, suo marito. È vero che il racconto biblico non fa nessun riferimento a quello che stiamo dicendo, ma dal punto di vista umano, almeno c’è da supporlo. SARAI, in quello che ideò, agì da vera egoista, senza il minimo rispetto per la vita degli altri. L’egoismo, in qualsiasi campo lo collochiamo, agisce sempre ignorando gli altri, e tiene solamente presente l’utilità personale, senza preoccuparsi del danno morale e fisico che arreca agli altri. Sotto quest'aspetto, c’è tanto da riflettere!

C’è anche da dire qualcosa, per quanto riguarda l’aspetto morale della questione. Ha pensato a ciò SARAI? Considerava peccato una simile unione fisica, tra la sua serva e suo marito Abramo?

Siamo convinti che se Sarai avesse considerato la questione morale, non avrebbe mai permesso che la sua serva andasse a finire a letto con suo marito. Anche su Abramo, bisogna dire qualcosa. Come mai egli non reagì negativamente alla proposta di sua moglie, di unirsi fisicamente con Agar? Considerò Abramo, l’aspetto morale della questione?

Quant’altro si potrebbe chiedere, a noi sembra che nessuno dei due, avranno considerato e tenuto conto l’aspetto morale della questione. Che dire, ai nostri giorni, delle unioni illecite, fuori del matrimonio? Perché si praticano spesso e con molta facilità? La risposta è una sola: la questione morale, affermano certuni, è qualcosa che appartiene all’antichità; qualcosa da definire un tabù, non più compatibile con l’era moderna.

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