Si comincia coll’affermare che Debora, moglie di Lappidot, era giudice d’Israele. Con questa carica, ...i figli d’Israele salivano da lei per le controversie giudiziarie (Giudici 4:4-5). Lei non era solamente giudice, era anche profetessa, in vista di questo ministero, poteva anche amministrare la Parola del Signore.
Debora mandò a chiamare Barac, figlio di Abinoam, da Cades di Neftali, e gli disse: «Il SIGNORE, Dio d’Israele, non ti ha forse ordinato: Va’, raduna sul monte Tabor e prendi con te diecimila uomini dei figli di Neftali e dei figli di Zabulon?
Io attirerò verso di te, al torrente Chison, Sisera, capo dell’esercito di Iabin, con i suoi carri e la sua numerosa gente, e lo darò nelle tue mani» (Giudici 4:6-7).
Il messaggio divino era abbastanza chiaro e rassicurante, in quanto c’era la promessa di una sicura vittoria. Siccome il messaggio che Debora comunicò, non rappresentava le sue parole, ma quelle del Signore, Barac avrebbe dovuto crederle, accettarle ed agire in conseguenza, senza frapporre nessuna forma di condizionale. Egli, però, non fece così! Le parole che Barac pronunciò, come risposta al messaggio divino: «Se vieni con me, andrò; ma se non vieni con me, non andrò» (v. 8), sono abbastanza significative da farci capire la sua posizione. Che in quel se, che Barac pronunciò, si nascondesse tutta la sua incertezza, non si deve fare tanta fatica per scoprirla!
«Barac appare sì come un uomo valoroso, ma piuttosto incerto sul da farsi, il quale non ha solo bisogno dell’esplicita parola di Dio che gli dà il primo impulso (4:6), ma anche della presenza della profetessa di Dio che evidentemente incarna per lui l’assistenza del sommo mandante (4:8). Si deve anche leggere con molta attenzione la risposta che Debora gli dà. L’atteggiamento di Barac comporterà che Dio dia la palma della vittoria invece che a lui, uomo, ad una donna: una predizione che dapprima riguardava Debora stessa, ma poi, in considerazione degli ulteriori avvenimenti, riguarderà Iael» [Hans Wilhelm Hertzberg, Giosuè, Giudici, Rut, pag. 275].
Se egli avesse creduto in pieno alle parole di Debora, non solo non avrebbe risposto in quel modo, ma avrebbe agito concordemente al volere di Dio. La risposta di Debora:
«Certamente, verrò con te; però, la via per questo cammino non ti porterà onori; perché il SIGNORE darà Sisera in mano a una donna» (v. 9),
è abbastanza chiara da farci comprendere che, quando non si ubbidisce in pieno al Signore, in quello che Egli ci comunica, non si potrà aspettare una piena benedizione. Se Barac avesse accettato in pieno la Parola del Signore, e fosse andato in battaglia contro l’esercito di Sisera, Dio gli avrebbe dato nelle mani quest’ultimo. La gloria di aver ucciso il capo dell’esercito di Iabin, non sarebbe andata ad una donna di nome Iael, ma sarebbe stata sua.
Ma perché Barac voleva la compagnia di Debora, in quella sua impresa? Solo perché quella donna era giudice d’Israele? Oppure: perché era profetessa? Non era l’incarico che Debora ricopriva, che assicurava la vittoria a Barac; era piuttosto Dio, tramite la Sua parola, che gli garantiva la vittoria. Gli uomini, per quanto dotati possono essere, come anche i più consacrati servitori del Signore, non saranno mai di garanzia per la nostra vittoria, sulle potenze del nemico. Il garante infallibile, per ogni nostra vittoria è e rimarrà sempre il Signore, il quale, non è venuto mai meno e mai lo verrà rispetto alla veracità della Sua Parola. Dobbiamo credere a Lui ed ancorarci fermamente alla Sua Parola!
Tenuto conto che Barac dipendeva da Debora, per le sue mosse, egli ha dovuto aspettare che la profetessa gli dicesse:
«Alzati, poiché questo è il giorno in cui il SIGNORE ha dato Sisera nelle tue mani. Il SIGNORE non va forse davanti a te?» (v. 14).
Il canto che venne intonato da Debora con Barac, a battaglia terminata, mise in evidenza che in Israele mancavano i capi, e che lei, Debora, era come una madre in Israele (5:7).
Infine, Barac, con i suoi diecimila uomini che confisse l’esercito di Iabin, non fu considerato l’eroe della circostanza, ma una donna, di nome Iael, che con un piuolo e un martello, uccise il capo dell’esercito Sisera. A lei vennero rivolte le parole più significative: Benedetta sia fra le donne Iael, moglie di Eber, il Cheneo! Fra le donne che stanno sotto le tende, sia benedetta! (v. 24).
DALILA
(Civetta, donna lusingatrice). Il nome di questa donna è menzionato in (Giudici 16:4,6,10-13,18). Era una Filistea e veniva dalla valle di Sorec. Attraverso le tattiche che metterà in atto, nei confronti di Sansone, si può comprendere che tipo di donna era Dalila. Il significato del suo nome, rispecchia esattamente il carattere e il comportamento che lei aveva
Visto che Sansone, s’innamorò di Dalila, i principi dei Filistesi, non persero tempo ad entrare in contatto con lei, per conoscere i segreti della forza di Sansone e prevalere su di lui. Con una buon'offerta di denaro, che i Filistei fecero, riuscirono a catturare l’attenzione di Dalila; e, lei, senza perdere tempo, entrò in azione. Nel suo primo intervento, chiese, a Sansone:
«Dimmi, ti prego, da dove viene la tua gran forza e in che modo ti si potrebbe legare per domarti». Sansone le rispose: «Se mi si legasse con sette corde d’arco fresche, non ancora secche, io diventerei debole e sarei come un uomo qualsiasi» (vv. 6-7).
Siccome Sansone non gli asserì la verità, Dalila ritornò a domandargli:
«Ecco, tu mi hai beffata e mi hai detto delle bugie; ora dimmi, ti prego, con che cosa ti si potrebbe legare».
Egli le rispose: «Se mi si legasse con funi nuove che non fossero ancora state adoperate, io diventerei debole e sarei come un uomo qualsiasi» (v. 11).
Visto che, neanche la seconda volta, Sansone rivelò il segreto della sua forza, Dalila, senza darsi per vinta, continuò:
«Fino ad ora tu mi hai beffata e mi hai detto delle bugie; dimmi con che ti si potrebbe legare». Egli le rispose: «Se tesserai le sette trecce del mio capo con il tuo telaio» (v. 13).
Visto che neanche la terza volta, Sansone si aprì, per dichiararle la verità, Dalila, nella sua insistenza, adoperò l’arma del sentimento affettivo.
«Come fai a dirmi: Ti amo, mentre il tuo cuore non è con me? Già tre volte mi hai beffata, e non mi hai detto da dove viene la tua gran forza».
La donna faceva ogni giorno pressione su di lui con le sue parole e lo tormentava. Egli ne fu rattristato a morte
e le aperse tutto il suo cuore e le disse: «Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo, consacrato a Dio, dal seno di mia madre; se mi tagliassero i capelli, la mia forza se ne andrebbe, diventerei debole e sarei come un uomo qualsiasi» (vv. 15-17).
Questa volta Dalila, essendo certa che, il suo innamorato le aveva dichiarato la verità, trattò Sansone, come una mamma tratta un figlio. Se lo mise sopra le sue ginocchia, e, dondolandolo, riuscì a farlo addormentare. Una volta addormentato, le persone incaricate, non ebbero difficoltà a tagliargli i capelli.
Riflessioni su Dalila
1. Dalila fu una donna che si lasciò facilmente corrompere dal denaro. Se i Filistei non le avessero offerto una buona somma di denaro, forse lei, non avrebbe tradito il suo innamorato. Il denaro, ha sempre fatto presa nella vita delle persone! Spesso, addirittura li acceca e li rende insensibili! Riconoscendo che il denaro è utile per i vari bisogni, spesso però, diventa una trappola per l’uomo e lo induce, con il suo agire, a danneggiare il suo prossimo. Quando avviene ciò, si ha più rispetto per il denaro che per la vita di una persona.
2. Dalila non fu leale con Sansone, la sua insincerità, ci porta a dubitare del suo vero amore, per l’uomo di cui si era innamorato. L’amore vero, non è un semplice sentimento; è molto più di un puro sentimento affettivo. Non si limita ad una carezza, ad un abbraccio, ad un bacio, ma si manifesta nella donazione di sé stesso. Infine, l’amore sincero, non procura mai danni agli altri e non li getta sul lastrico.
Si continuerà il prossimo giorno...