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Domenico34 – Alcuni imperativi della Bibbia – Capitolo 10. Quel che riferisce il N.T. intorno ai comandamenti di Dio

Ultimo Aggiornamento: 11/03/2011 02:33
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09/03/2011 02:34


Capitolo 10




QUEL CHE RIFERISCE IL N.T. INTORNO AI COMANDAMENTI DI DIO




«Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento.
Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto.
Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli.
Poiché io vi dico che se la vostra giustizia non supera quella degli scribi e dei farisei, non entrerete affatto nel regno dei cieli
(Matteo 5:17-20).

Questo è il primo testo del N.T. che parla chiaramente dei comandamenti (si intende quelli di Dio). Non è un puro caso che fu Gesù per primo a nominarli. Anche se Egli non fece nessuna specificazione, per indicare a quali di loro si riferiva. Però, il fatto stesso che menziona “i minimi”, senza elencarli, sta significando che per Lui, (trattandosi di comandamenti di Dio), sono tutti importanti, sia per osservarli e sia per insegnarli.

Per dissipare ogni eventuale sospetto circa la validità della legge e i profeti, Gesù precisò che Egli non era venuto per “abolirli” ma per portarli a “compimento”. L’unico che poteva compiere le tante cose che la legge e i profeti dicevano, principalmente riguardante l’opera del Messia, sarebbe stato proprio Gesù, perciò Egli non esitò a dichiararlo.

Il fatto poi che Gesù abbia fatto riferimento alla possibile violazione di uno dei minimi comandamenti, senza indicare i trasgressori, ma limitandosi ad un generico chi dunque..., mette in risalto la serietà del Suo ammonimento e nello stesso tempo la responsabilità dell’uomo. Inoltre, parlando dei violatori dei minimi comandamenti, Gesù toccava il nocciolo della questione, e fa notare che quando un trasgressore insegna, difficilmente potrà incoraggiare gli altri ad osservare quello che egli stesso non pratica.

Nel ragionamento del Maestro, si può comprendere l’importanza che Egli attribuisce all’osservanza di quello che Dio ha comandato, anche se si tratta di uno dei “minimi comandamenti”. Gesù con le Sue osservazioni, non asseriva, come spesso facciamo noi: questo è minimo; non è proprio importante; non casca il cielo se lo ignoriamo e non lo mettiamo in pratica. Egli invece metteva in risalto che un simile comportamento, aveva conseguenze per ciò che riguardava il regno dei cieli, volendo significare che si trattava dell’eternità. Anche se non parlava di una “esclusione” del regno dei cieli, ma solamente di essere chiamato minimo, era sempre una perdita che subiva il trasgressore.

Per chi, invece, mette in pratica “uno dei minimi comandamenti” e li insegna ad osservarli, sarà chiamato grande nel regno dei cieli, cioè riceverà un'adeguata ricompensa. Chi farà una simile proclamazione? Sicuramente Dio, l’unico che conosce i segreti dei cuori di tutti gli esseri umani! Sarà, infatti, nel giorno della resa dei conti, quando tutti compariranno davanti a Dio per rendere conto di quello che avranno fatto durante la loro vita terrena, e ognuno riceverà in base al proprio operato!

I minimi comandamenti

A questo punto, rientra nella logica domandare: quali sono questi minimi comandamenti di cui ha parlato Gesù? Possiamo conoscerli? Dal momento che Egli non ci ha stata fornita nessuna specificazione, non sarà facile individuarli. Riflettiamo sulle parole di Gesù per cercare di comprenderle.

Si sa con estrema certezza che in tutta la Bibbia, non c’è nessun passaggio che parli di minimi comandamenti, tranne il testo di (Matteo 5:19) e che di tutti i personaggi menzionati nel N.T., nessun altro ne ha parlato, tranne Gesù. Che cosa voleva significare il Maestro con quest'espressione? Voleva forse insegnare che nel numero dei “comandamenti”, (e non bisogna pensare solamente al Decalogo, ma anche a tutte quelle parti della Scrittura che si esprimono in forma imperativa) ci sono anche quelli denominati “minimi”, cioè che non rivestono eccessiva importanza? Sicuramente no! Allora, perché egli ne parlò? Per far comprendere che, trattandosi di comandamenti divini, anche se non tutti possono essere classificati come i due comandamenti che Lui stesso definì “il grande e il primo”:

«"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso" (Matteo 22:37-39), che essi non devono essere sottovalutati.

«Vi è diversità fra i comandamenti: i maggiori (cfr. Matteo 22:36) e i minimi, di minor importanza. Gli scribi hanno un loro criterio che pone il sabato fra i maggiori (Marco 3:1-6); Gesù rovescia la posizione: il maggiore è l’amore (Matteo 22:37ss) perché adempie tutta la legge (Romani 13:10).
I discepoli devono osservare il comandamento dell’amore e non tralasciare gli altri» [Giorgio Tourn, Il Nuovo Testamento annotato, Volume I, pag. 30].

«Nel giudaismo, per il quale noi abbiamo solo testimonianze più tarde, si facevano distinzioni in base a diversi criteri: esigenze maggiori o minori; una prevista maggiore o minore punizione/ricompensa in caso di inosservanza o adempimento; la considerazione in cui i precetti erano tenuti. Nei precetti lievi rientravano ad es. il divieto di ingerire sangue (Deuteronomio 12:23), il lasciar libera la madre degli uccellini dopo aver levato la nidiata (Deuteronomio 22:7), l’annodare i lacci delle scarpe secondo l’uso giudaico. Precetti gravi erano considerati il quarto comandamento del decalogo (cfr. 15:4ss) o la profanazione del nome divino.
Nella valutazione dei precetti lievi/gravi Mt. si distingue dal giudaismo in quanto li ingiunge, ma al maestro che li «accoglie», ossia in certi casi li dichiara non obbligatori, riserva ancora un posto nella Basileia, sia pure il minimo. Anche se naturalmente nella pratica giudaica questi precetti potevano essere violati, nel giudaismo sarebbe stato impossibile disprezzarli nella dottrina: «Uno dice: ‘Accetto tutta la Torà meno questa parola’; costui ha disprezzato la parola di Dio» (Sifre Num. 15,31 § 112). Tipica di Mt. è la richiesta unità di praticare e di insegnare. Il «praticare» in 19b è in più rispetto a 19a. Matteo può allo stesso modo censurare la contraddizione tra insegnamento e vita (23,3)» [Joachim Gnilka, Il vangelo di Matteo, prima parte, pagg. 224-225].

Lo iota e l’apice

Lo “iota” è la più piccola lettera dell’alfabeto greco; corrisponde al segno del carattere «i». Un “apice”, è un piccolo segno grafico. Diversi commentatori fanno riferimento a queste due parole, per spiegare la frase “minimi comandamenti”, credendo, secondo loro, che Gesù si riferiva a loro.

Se questo fosse il senso della frase in questione, non vediamo come possa essere conciliata con il concetto di “comandamento”. I comandamenti divini, non hanno niente a che vedere con i segni ortografici della scrittura. Anche se è vero che certi segni ortografici possono cambiare il senso di una parola, questo però non significa che il senso di un comandamento possa dipendere da un piccolissimo segno ortografico. Se Gesù usò questi due termini, li impiegò principalmente per far notare che le piccole cose della legge e dei profeti, non rimarranno inadempiute; avranno il loro compimento nella stessa maniera come le grandi, indipendentemente a quale categoria appartengono.

Se il discorso si fa ruotare in questa direzione, che è in perfetta coerenza con tutto il contesto, è insostenibile l’idea che lo “iota” e “l’apice”, abbiano il senso dei “minimi comandamenti”. Se Gesù avesse voluto dar loro questo significato, non vi sembra che la Sua saggezza sarebbe discreditata, esprimendosi con simili termini? Siccome Egli non mirava a quello che pensano certi commentatori, la sua espressione non può essere fraintesa, dandogli un diverso significato che non trova coerenza con tutto quello che Egli affermò.

Si continuerà il prossimo giorno...
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10/03/2011 02:36

L’esortazione ad osservare i comandamenti

Gesù gli rispose: «Perché m’interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti».
«Quali?» gli chiese. E Gesù rispose: «Questi: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso.
Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso».
E il giovane a lui: «Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?»
Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi»
(Matteo 19:17-21).

L’episodio del giovane ricco, così come lo hanno raccontato i Sinottici, cioè Matteo, Marco e Luca, è abbastanza chiaro da farci comprendere il valore dei comandamenti. Non ha tanta importanza se Matteo menzionasse sei comandamenti, cinque tratti dal decalogo, la seconda tavola dei comandamenti (Esodo 20:12-16) e uno dal (Levitico 19:18) mentre Marco e Luca ne citano cinque, tutti tratti dal decalogo. Non ha neanche particolare rilevanza la forma verbale che Matteo adopera, osservare i comandamenti, mentre Marco, tu sai i comandamenti e Luca tu conosci i comandamenti. Quello che ha importanza, invece è mettere in risalto l’importanza dei comandamenti e la loro osservanza.

Gesù con questo suo intervento ha voluto fornire la prova che Egli, nel suo insegnamento, non ha voluto annullare i “Dieci Comandamenti” e neanche li voleva modificare; li ha lasciati così com'erano stati scritti da Dio e dati a Mosè sul monte Sinai. Questo prova che il decalogo, non è solamente una norma per i soli Giudei, lo è anche per i cristiani: tutti, Giudei e cristiani, sono esortati ad osservarlo.

Perché il giovane ricco chiese a Gesù quali comandamenti avrebbe dovuto osservare? Probabilmente perché pensava che esistessero altre norme che egli non conosceva ancora. Quando però li sentì enumerare, — comandamenti che egli già conosceva —, non ebbe nessun'esitazione ad affermare che quelli li aveva osservati fin dalla sua gioventù (Marco 10:20).
Era veramente vero che quel giovane aveva osservato i comandamenti che Gesù gli aveva indicato? Il fatto che Gesù non abbia fatto nessun'osservazione, o mosso un rimprovero per dirgli di non aver asserito la verità, ci fa pensare che effettivamente sia vero che quei comandamenti indicati da Gesù, il giovane li osservava.

Ma, allora, perché fa una seconda domanda? È consapevole che manca qualcosa, per avere quel che ha chiesto, cioè la “vita eterna”, o non ha in sé la certezza per la meta che vuole raggiungere? A noi sembra che a quel giovane manchi la certezza, nonostante avesse osservato i cinque comandamenti del decalogo.

L’altra domanda che fece: Che mi manca ancora?, mette in evidenza che quel giovane era pronto e disposto all’osservanza di altri comandamenti che lui non conosceva e forse non aveva osservato. Pensava probabilmente anche ai vari comandamenti che gli scribi avevano emanato, modulando la legge di Dio secondo la loro comprensione? Può darsi! È certo, però, che a tutto poteva pensare il giovane, tranne quello che Gesù gli avrebbe ordinato di vendere quello che aveva, donarlo ai poveri e seguirlo.

Nella risposta che Gesù diede, bisogna notare che Egli non ribadisce quello che aveva detto in precedenza, ma aggiunge qualcosa di nuovo: Se vuoi essere perfetto. Nella prima risposta Gesù parla di “entrare nella vita”, mentre nella seconda, se vuoi essere perfetto. Con queste due espressioni, Gesù, intendeva parlare della salvezza? Sicuramente! Il fatto è confermato dalla discussione che nacque tra Gesù e i suoi discepoli, dopo che il giovane se ne andò rattristato. L’affermazione di Gesù e la constatazione dei discepoli, lo mettono in evidenza.

E Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico in verità che difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli.
E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno di Dio».
I suoi discepoli, udito questo, furono sbigottiti e dicevano: «Chi dunque può essere salvato?»
Gesù fissò lo sguardo su di loro e disse: «Agli uomini questo è impossibile; ma a Dio ogni cosa è possibile»
(Matteo 19:23-26).

Appare chiaro che tutto quello che Gesù aveva detto al giovane ricco, riguardava la salvezza.

Una considerazione circa l’osservanza i comandamenti

La domanda che inizialmente fece il giovane ricco a Gesù, era: Che devo fare per avere la vita eterna? (Matteo); mentre Marco e Luca: Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?. Appare chiaro che quest’uomo voleva la “vita eterna”, e per “averla”, o “ereditarla”, era disposto a fare quello che Gesù gli avrebbe detto. Quindi, la “vita eterna”, per questo giovane, non era qualcosa che avrebbe potuto ricevere gratuitamente, come dono di Dio; richiedeva, secondo la sua convinzione, qualcosa che l’uomo avrebbe dovuto fare. Era esatta la sua convinzione? Certamente no!

Era solo lui che la pensava in quel modo? No! C’erano altri che avevano la stessa convinzione, non solo tra le persone comuni, ma anche tra i dottori della legge.
Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, e gli disse: «Maestro, che devo fare per ereditar la vita eterna?» (Luca 10:25).

QUELLO CHE LA BIBBIA AFFERMA A PROPOSITO DELLA VITA ETERNA

1) È un dono di Dio

Sì, sa, infatti, che la “vita eterna” è un dono gratuito di Dio, e non prevede che l’uomo debba fare qualcosa per guadagnarsela.
Il salario del peccato è la morte, ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore (Romani 6:23).

2) Ha a che fare con il futuro

...il quale ora, in questo tempo, non ne riceva cento volte tanto: case, fratelli, sorelle, madri, figli, campi, insieme a persecuzioni e, nel secolo a venire, la vita eternal (Marco 10:30).
...il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell’età futura la vita eterna»
(Luca 18:30).

3) È una promessa divina

questa è la promessa che egli ci ha fatta: la vita eterna (1 Giovanni 2:25).
...vita eterna a quelli che con perseveranza nel fare il bene cercano gloria, onore e immortalità (Romani 2:7).

4) Si trova nel Figlio di Dio

La testimonianza è questa: Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Figlio suo.
Chi ha il Figlio ha la vita; chi non ha il Figlio di Dio, non ha la vita
(1 Giovanni 5:11-12).

5) Non la si può ottenere senza credere in Cristo Gesù e in Chi lo ha mandato

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[Modificato da Domenico34 10/03/2011 16:23]
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...Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.
Chi crede nel Figlio ha vita eterna, chi invece rifiuta di credere al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui» (Giovanni 3:16,36).
In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha vita eterna; e non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita (Giovanni 5:24).
...questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
In verità, in verità vi dico: chi crede in me ha vita eterna (Giovanni 6:40,47).
...mi è stata fatta misericordia, affinché Gesù Cristo dimostrasse in me, per primo, tutta la sua pazienza, e io servissi di esempio a quanti in seguito avrebbero creduto in lui per avere vita eterna (1 Timoteo 1:16).

6) La dà Gesù Cristo

io do loro la vita eterna e non periranno mai e nessuno le rapirà dalla mia mano (Giovanni 10:28).
...giacché gli hai dato autorità su ogni carne, perché egli dia vita eterna a tutti quelli che tu gli hai dati (Giovanni 17:2).

7) Consiste nel conoscere il vero Dio e Gesù Cristo che Egli ha mandato

Questa è la vita eterna: che conoscano te, il solo vero Dio, e colui che tu hai mandato, Gesù Cristo (Giovanni 17:3).

Conclusione sulla storia del giovane ricco

Da quello che è stato esaminato della storia del giovane ricco, si può arrivare alla seguente conclusione:

1. La vita eterna = salvezza, non è un bene che l’uomo può guadagnare facendo qualcosa di “buono”. Tutte le cose buone che possiamo compiere sulla terra, ai fini della salvezza, non hanno alcun valore, cioè non saranno efficienti per farcela acquistare. Questo perché, essenzialmente la salvezza è un dono di Dio, ed Egli la concede, non sulla base del merito personale che l’uomo potrebbe acquistare con le sue buone opere, ma esclusivamente e sempre per grazia, (favore immeritato) mediante la fede in Cristo Gesù (Efesini 2:8).

Questo non è un principio umano soggetto a modifiche, secondo l’evoluzione dei tempi; è qualcosa che Dio stesso ha ben fissato, nel piano della Sua volontà, per tutta l’umanità e per tutti i tempi, senza nessuna possibilità di cambiamento.

2. La salvezza, è una di quelle verità “assolute” che, sfortunatamente la società moderna non accetta, con la convinzione che tutto è relativo, anche nel campo religioso. Se per la salvezza si dovesse accettare il “relativismo”, ognuno concepirebbe la salvezza a modo proprio e cercherebbe di costruirsela secondo le sue convinzioni. In senso pratico, ci sarebbero tanti tipi di salvezza, a seconda come ognuno la concepisce.

La salvezza dell’uomo, Dio non l’ha lasciata alla mercé dell’essere umano, secondo una libera scelta, nel senso di cercarla e ottenerla come se credesse che sia la migliore; Egli ha fissato dei punti precisi, e ha indicato anche la regola per riceverla. Per quanto riguarda la norma, non ce ne sono tante; ce né una sola, quella tracciata dall’apostolo Pietro:

In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati» (Atti 4:12).

3. L’obbedienza ai comandamenti di Dio, non deve essere discriminatoria, nel senso di scegliere quello che ci fa comodo e lasciare quello che non è di nostro gradimento. Deve essere invece piena, cioè accettare tutto quello che Dio ci dice nella Sua Parola. Non ha senso, come qualcuno vorrebbe farci credere, di seguire un legalismo religioso; no, l’ubbidienza ha piuttosto il significato di sottomettersi all’autorità divina, riconoscendo la Sua sovranità.

Dio non ha dato i Suoi comandamenti per rendere schiavo l’uomo e privarlo della sua libertà; li ha dati per essere di aiuto, di guida e d'illuminazione, perché l’essere umano possa comprendere quali siano le cose che piacciono al Signore e come potrà realizzare nella sua vita, tutte quelle ricchezze di benedizioni riservate, sia per la vita presente e soprattutto per quella futura.
L’osservanza dei comandamenti di Dio, non può essere definita “un’azione meritoria” e neanche “legalismo religioso”, senza offendere la dignità di Chi ce li ha dati, cioè Dio. Nell’osservare quello che Dio ha comandato, si dimostra di amarlo; e, per quelli che lo amano, Egli promette di dare loro: «Le cose che occhio non vede, e che orecchio non ode, e che mai è salito nel cuore dell’uomo» (1 Corinzi 2:9).

4. La ricchezza in sé non è peccato; però quando la persona è attaccata al denaro, lo ama e si confida in esso, stando all’autorevole parola di Gesù, sarà difficile entrare nel regno di Dio (Marco 10:24).

Amando il prossimo come noi stessi, come specifica il comandamento e come vuole Dio, sarà difficile, quasi impossibile, per chi ha delle ricchezze, faccia finta di non vedere: chi ha fame, chi è senza vestito, chi si trova nel bisogno, senza che metta a disposizione quello che ha, in favore degli altri. La ricchezza se non è usata secondo l’insegnamento della Parola di Dio, finisce col rappresentare un serio ostacolo ai piani divini, conduce la persona a rigettare il consiglio del Signore e si può facilmente smarrire dalle vie di Dio, visto che può causare cadute. Chi confida nella sua ricchezza andrà in rovina, ma i giusti sbocceranno come germogli (Proverbi 11:28). (La Bibbia in lingua corrente).

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo prontamente
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