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Domenico34 - La Fede - XI. La fede di Mosè

Ultimo Aggiornamento: 30/12/2010 13:41
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26/12/2010 12:58

Se Mosè fece quella scelta, - e lo scrittore agli Ebrei ci tiene a precisarlo - fu perché Mosè agì “per fede”. Senza la fede non solo non si può essere grati a Dio (v. 6), ma neanche si possono fare certe scelte, che impegnano seriamente la vita, non solo come singolo credente per ciò che riguarda la relazione con Dio, ma anche l’aspetto sociale, inteso come partecipazione assieme agli altri.

Le riflessioni che abbiamo fatto sulla rinuncia e sulla scelta di Mosè, crediamo che siano valide anche ai nostri giorni e per ogni credente di qualsiasi generazione che si proclama, in privato o in pubblico, un figlio di Dio. Non c’è cosa più bella e più significativa, ai fini di una vera professione di fede, di essere coerenti con noi stessi, vale a dire con la nostra coscienza e con la consapevolezza di quello che siamo, e soprattutto di tenere alta la Parola della vita (Filippesi 2:15).

C) LA VALUTAZIONE DI MOSÈ

La terza cosa che lo scrittore agli Ebrei tiene a mettere in risalto, è il fatto che Mosè, in conseguenza della sua decisione e della sua scelta, fece anche la sua valutazione:

Stimò il vituperio di Cristo ricchezza maggiore dei tesori di Egitto, perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa.

Tutte le decisioni e le scelte, non quelle che altri fanno o che impongono, ma quelle che ognuno fa, implicano delle valutazioni, che giustifichino e mettano in risalto, gli atti stessi che si compiono. Le varie valutazioni, anche se derivate da decisioni e scelte, non tutte ovviamente possono essere considerate giuste, nel senso che sono esatte, specie quando vengono messe a confronto con le realtà della vita.

Ma le valutazioni fatte e confrontate con le realtà spirituali, specie quando vengono messe riguardo a Cristo, il valore di quelle determinazioni è innegabile.

Mosè aveva, da una parte “i tesori di Egitto”, dall’altra, “i maltrattamenti col popolo di Dio” = il vituperio di Cristo. Valutando il “vituperio di Cristo” come una ricchezza, e non come un obbrobrio, una sofferenza, concluse che quell’ignominia era maggiore, non come quantità ma come qualità, ai tesori di Egitto.

Tutta l’operazione era vista e fatta a proposito di Cristo. La frase: “Il vituperio di Cristo”, è stata variamente spiegata dai vari commentatori. C’è chi afferma che “Mosè sopportò lo scherno per amor di Cristo”; c’è chi afferma che Mosè “subì da parte degli Egiziani lo stesso oltraggio che Cristo dovette subire al massimo grado da parte dei Giudei”; c’è chi sostiene che “ciò che l’autore intende è che Cristo, il reincarnato Figlio di Dio, partecipò attivamente agli eventi dell’Esodo, e che Mosè, quando prese la sua gran decisione, ipso facto accettò le sofferenze di Cristo e si identificò con Lui in loro”, e c’è infine chi ricorda che “Mosè subì gli oltraggi, prevedendo la venuta di Cristo”.

Le diverse spiegazioni sono tutte possibili ed hanno in sé un aspetto della verità. Rimane comunque da vedere se lo stesso Mosè, ai suoi giorni, quando parlò e scrisse di Cristo, si rendeva conto di quello che diceva e se tutto era chiaro nella sua mente, nella stessa maniera come lo era per gli scrittori del N.T. La cosa che maggiormente deve essere tenuta in considerazione, è l’interpretazione che dà l’autore agli Ebrei.

Per lui non c’è un’altra spiegazione: il maltrattamento e gli oltraggi che Mosè subì dagli Egiziani a causa della sua libera scelta, non erano altro che “il vituperio di Cristo”, e come tale può liberamente esortare i destinatari della lettera ad

Uscire dunque fuori del campo e andiamo a lui portando il suo vituperio (Ebrei 13:13).

Tutta la valutazione che Mosè fece, aveva una chiara specificazione: perché aveva lo sguardo rivolto alla ricompensa.

Tutto quello che Mosè fece, nel condurre il popolo d’Israele fuori del paese di Egitto, nel guidarlo come capo e conduttore attraverso i lunghi anni nel deserto fino alla sua morte, e quello che diventò agli occhi di Dio, del grande onore e privilegio che l’Eterno gli accordò, trova e ha avuto la sua origine in quel preciso momento quando, da uomo adulto, seppe fare la decisione più audace che rifiutare di essere chiamato figlio della figlia di Faraone e la scelta più significativa che essere maltrattato col popolo di Dio.

Tenendo presente l’insieme delle considerazioni che abbiamo fatto e l’equilibrata interpretazione del testo, crediamo di poter meglio capire le parole:

Perciò noi non ci perdiamo d’animo; ma, anche se il nostro uomo esteriore va in rovina, pure quello interiore si rinnova di giorno in giorno.
Infatti la nostra leggera afflizione, che è solo per un momento, produce per noi uno smisurato, eccellente peso eterno di gloria; mentre abbiamo lo sguardo fisso non alle cose che si vedono,
ma a quelle che non si vedono, poiché le cose che si vedono sono solo per un tempo, ma quelle che non si vedono sono eterne
(2 Corinzi 4:16-18).

3. MOSÈ LASCIA L’EGITTO

Per quanto riguarda la frase: “Per fede lasciò l’Egitto”, i commentatori sono orientati verso due direzioni: gli uni sostengono che l’espressione si riferisce all’Esodo, gli altri pensano che si riferisca, sia alla fuga di Mosè in terra di Madian e sia all’Esodo. Queste due posizioni sono essenzialmente in evidente contraddizione tra l’affermazione della lettera agli Ebrei, che sostiene che Mosè lasciò l’Egitto senza temere l’ira del re e l’Esodo 2:14 che sostiene che Mosè ebbe paura.

Anche se apparentemente potesse esserci una contraddizione tra i due testi citati, un esame approfondito, potrebbe conciliare le due affermazioni e quindi eliminare l’ostacolo. Noi siamo del parere che la frase: Per fede abbandonò l’Egitto, debba riferirsi alla fuga di Mosè nella terra di Madian, in accordo con Esodo 2:15, per almeno due motivi:

1) Per la concatenazione che lo scrittore agli Ebrei fa della vita di Mosè, senza dover fare degli sbalzi in avanti;

2) Perché l’azione di lasciare l’Egitto, a parte che è un atto personale, e implica anche la sua residenza, non s’accorda con l’ordine da parte del Faraone, che obbliga Mosè a lasciare l’Egitto (Esodo 11:28).

Per quanto poi riguarda l’affermazione: senza temere l’ira del re, si pensi al potere che Faraone aveva nel far prendere Mosè anche in terra straniera per giustiziarlo, e subito la fede di Mosè risalta in tutta la sua evidenza.

Anche se i due termini lasciare e fuggire, non sono sinonimi, e quindi essi potrebbero indurci a vedere due tempi nella vita di Mosè: uno per quanto riguarda la sua fuga e l’altro l’Esodo, tuttavia crediamo che i due termini servono per indicarci il pericolo che c’era per la vita di Mosè e l’impossibilità di poter rimanere ancora in Egitto.

Chiarito questo punto, possiamo serenamente esaminare i testi che riguardano questo tempo particolare della vita di Mosè, per meglio capire, non solo come si svolsero le cose, ma soprattutto per conoscere il comportamento di quest’uomo.

Per avere un quadro generale di come andarono le cose, e come si comportò Mosè in quel tempo, è necessario mettere a confronto i tre testi che parlano di lui per ciò che riguarda la sua uscita dall’Egitto.

Ovviamente, i particolari che emergono dal confronto di questi testi, non devono essere usati per affermare che c’è contraddizione nello scritto biblico, ma interpretati come particolari che arricchiscano il racconto e lo completano.

Intese in questo senso, le divergenze dei tre testi summenzionati, possono meglio farci capire la fede di Mosè, stando all’affermazione della lettera agli Ebrei. Ecco qui di seguito i tre testi che riguardano l’uscita di Mosè dal paese d’Egitto, in accordo con l’Epistola agli Ebrei.

Si continuerà il prossimo giorno...
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