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Domenico34 – Il perdono dei peccati – Sommario, Introduzione, Capitoli 1-5

Ultimo Aggiornamento: 24/05/2012 00:17
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26/04/2012 00:18



IL PERDONO DEI PECCATI




Quello che la Bibbia insegna intorno al perdono dei peccati




INTRODUZIONE

Capitolo 1

PERDONARE COME INVOCAZIONE RIVOLTA A QUALCUNO E PRINCIPALMENTE A DIO
Nota introduttiva
La storia di Giuseppe e i suoi fratelli
La storia del vitello d’oro
Mosè sale la seconda volta sul monte con le due tavole di pietra in mano
Mosè intercede di nuovo per il popolo
Si presenta un caso particolare davanti a Mosè
Il censimento che ordinò Davide
La pregiera che Salomone innalzò a Dio
Il libro dei Salmi
La preghiera d’intercessione di Daniele
Detti di due profeti
I tre testi del N.T.

Capitolo 2

ESORTATI A PERDONARE
Nota introduttiva
Padre nostro
Un’esortazione a perdonare gli uomini
Una norma che riguarda il perdono tra fratelli
Quel che non si dovrà mai dimenticare

Capitolo 3

LE CONDIZIONI PER RICEVERE IL PERDONO
Nota introduttiva
La beatitudine per chi viene perdonato dalla sua trasgressione
La bestemmia contro lo Spirito Santo
Le condizioni per ricevere il perdono dei peccati

Capitolo 4
IL PERDONO DEI PECCATI, SECONDO IL CERIMONIALE DELLA LEGGE DI MOSÈ
Nota introduttiva
Sacrifici per il peccato d’ignoranza
Sacrifici per vari peccati
Il peccato di Davide

Capitolo 5
LA CERTEZZA DEL PERDONO
Nota introduttiva
Il valore del testo biblico
Cancellare
Purificare
Lavare
Dimenticare
I peccati perdonati non si troveranno più
La valutazione che facevano gli antichi profeti
L’enunciato di Luca 24:47


INTRODUZIONE




Sul tema del perdono, la Bibbia ha tanto da insegnarci, e, se noi siamo disposti a ricevere e accettare i suoi insegnamenti, sapremo maggiormente apprezzare quello che Dio ha in servo per noi esseri umani, e nello stesso tempo si comprenderanno, le ricchezze del Suo grande amore, delle Sue benignità e delle Sue compassioni. Infatti, il grande amore di Dio, le ricchezze delle Sue innumerevoli benignità, le Sue sconfinate compassioni verso l’uomo, si manifestano e si concretano a mezzo del perdono che Egli concede.

[C[Il SIGNORE passò davanti a lui, e gridò: chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia.
« Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà,
che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione! »
re degli eserciti, il creatore dell’Universo e dell’uomo, si è rivelato e fatto cononoscere come (Esodo 34:6-7).

Anche se questa Sua identità, la mostrò ad Israele quale Suo popolo, per mezzo di Mosè, tuttavia è valida per ogni categoria di persona, senza nessun'esclusione di sorta. Solo quando l’uomo assume un giusto atteggiamento nei confronti del suo peccato, cioè non lo giustifica ma lo riconosce, confessandolo con la sua ammissione incondizionata, potrà sperimentare nella sua esistenza, la veracità di tutto quello che Dio promette nella Sua Parola. Infatti, è scritto chiaramente che:

Chi copre le sue colpe non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia (Proverbi 28:13); e anche Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi.
Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità
(1Giovanni 1:8-9).

Inoltre, se Dio ha fatto scrivere ciò nella Sua Parola, che è la Bibbia, l’ha permesso unicamente perché l’uomo sappia che Egli non vuole la morte dell’empio, non trova piacere nella sua morte-perdizione, ma che egli si converte e viva.

"Com’è vero che io vivo, dice DIO, il Signore, io non mi compiaccio della morte dell’empio, ma che l’empio si converta dalla sua via e viva; convertitevi, convertitevi dalle vostre vie malvagie! Perché morireste, o casa d’Israele?" (Ezechiele 33:11).

Davanti ad una simile prospettiva divina nei confronti del peccatore, lungi dal rispecchiare la Sua ira e la Sua severità nel condannare, viene rivelato chiaramente il Suo grande amore e le sue compassioni. Quando si tengono presenti questi elementi fondamentali e si apprezzano nella giusta portata, l’uomo in genere, senza fare nessuna discriminazione, non potrà fare a meno di riconoscere e accettare l’invito che gli viene rivolto, da parte di chi l’ha sperimentato nella sua vita di:

Celebrate il SIGNORE, perché egli è buono, perché la sua bontà dura in eterno (Salmo 136:1).

Con queste poche parole, facciamo voti che ognuno che avrà modo di leggere questo modesto scritto, saprà apprezzare ed accogliere l’insegnamento della Parola di Dio, a proposito del perdono, come un vero tesoro, d'inestimabile valore per la propria vita.
La versione che abbiamo adoperato in questo nostro lavoro, è la Nuova Riveduta, e, quando riterremo opportuno rifarci ad altre versioni, saranno chiaramente specificate.

Domenico Barbera
Niagara Falls, marzo 2012

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Capitolo 1




perdonare COME INVOCAZIONE RIVOLTA A

QUALCUNO E PRINCIPALMENTE A DIO



Nota introduttiva

Il tema del “perdono” nei vari libri della Bibbia, A.T. e N. T., è trattaro in più di 150 passi, nelle varie forme verbali.
In questo primo capitolo, ci occuperemo di raccogliere solamente quei testi in cui appare la parola perdona, senza trascurare di considerare il contesto, per meglio valutare la portata e il valore del perdono.

La storia di Giuseppe e i suoi fratelli

La prima forma verbale “perdona” che si legge in molti testi biblici, esprime il pensiero di una chiara invocazione rivolta a qualcuno, particolarmente a Dio, e fa riferimento ad un passato non felice, cioè allude ad azioni e comportamenti compiuti, a danno di qualcuno.

"Dite così a Giuseppe: perdona ]C]ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del male". Ti prego, perdona dunque ora il misfatto dei servi del Dio di tuo padre!» Giuseppe, quando gli parlarono così, pianse (Genesi 50:17).

Nonostante che Giuseppe aveva manifestato tutta la sua bontà nei confronti dei suoi fratelli, soprattutto perché Dio gli aveva fatto dimenticare i suoi affanni e la casa di suo padre Giuseppe chiamò il primogenito Manasse perché disse: "DIO mi ha fatto dimenticare ogni mio affanno e tutta la casa di mio padre" (Genesi 41:51), durante la vita di suo padre Giacobbe, dopo che questi morì, i suoi fratelli, vedonsi allo scoperto, cioè senza quella protezione del loro padre, credevano che Giuseppe, loro fratello, si sarebbe vendicato sopra di loro, per tutto il male che gli avevano procurato. Perciò gli mandarono un’ambasciata, con una precisa richiesta di perdonarli.

Usando le parole: perdona ora ai tuoi fratelli..., che cosa intendevano dirgli? Che Giuseppe non li aveva ancora perdonati. Ma era vero ciò? Sicuramente no! Il fatto stesso che Giuseppe pianse quando ricevette quell’ambasciata, dimostra che quello che i suoi fratelli sospettavano non era vero. Loro chiedevano: perdona ora..., mentre Giuseppe quel perdono, l’aveva concesso molto tempo addietro, ma i suoi fratelli non ci credevano. La colpa però, non risiedeva in Giuseppe, ma nei suoi fratelli che, non seppero cogliere quel “momento”, o forse ancora non l’avevano accettato, quando Giuseppe li perdonò di tutto il male che aveva ricevuto.

Eppure Giuseppe aveva parlato chiaramente ai suoi fratelli, quando gli precisò:

Giuseppe disse ai suoi fratelli: « Vi prego, avvicinatevi a me! » Quelli s’avvicinarono ed egli disse: « Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto.
Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita.
Infatti, sono due anni che la carestia è nel paese e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà raccolto né mietitura.
Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti scampati.
Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio. Egli mi ha stabilito come padre del faraone, signore di tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto
(Genesi 45:4-8).

Come se non bastassero le rassicuranti parole che Giuseppe aveva rivolto ai suoi fratelli, nel giorno della riconciliazione, quando quest’ultimi andarono a gettarsi ai suoi piedi e pronunciarono le parole: I suoi fratelli vennero anch’essi, si inchinarono ai suoi piedi e dissero: « Ecco, siamo tuoi servi » (Genesi 50:18), dimostrarono ancora una volta che, del loro perdono, non solo non avevano compreso ancora niente, ma neanche avevano chiare idee e certezza nei loro cuori. Credo che la risposta che Giuseppe diede in quel giorno, avrà aperto le loro menti per convincerli una buona volta che, le cose, in effetti, non stavano come pensavano i suoi fratelli.

Giuseppe disse loro: « Non temete. Sono io forse al posto di Dio?
Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso
(Genesi 50:19-20).

Con quest’ultima citazione, si chiude al meglio, il ciclo di Giuseppe con i suoi fratelli. Che ognuno di noi faccia tesoro delle parole e del comportamento di Giuseppe, per la nostra vita, nei confronti di chi ci circonda!

La storia del vitello d’oro

La seconda citazione che la Bibbia adopera con il termine “perdona”, ha a che fare con Mosè, Israele e Dio.

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[Modificato da Domenico34 27/04/2012 00:11]
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28/04/2012 00:08

nondimeno, perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto!» (Esodo 32:32).

Il contesto di questo testo ci parla del grande sviamento del popolo d’Israele, allonquando costrinse Aaronne a costruire un vitello d’oro, davanti al quale offrirono sacrifici e si rallegrarono.

Mosè si trovava sul monte, perché Dio lo aveva chiamato là per dargli le due tavole di pietra sopra i quali aveva scritto i Dieci Comandamenti. Siccome Mosè rimase lontano dal popolo per quaranta giorni, il popolo non sapendo spiegarsi questa sua lunga assenza, rivolgendosi a suo fratello Aaronne, gli disse:

Il popolo vide che Mosè tardava a scendere dal monte; allora si radunò intorno ad Aaronne e gli disse: « Facci un dio che vada davanti a noi; poiché quel Mosè, l’uomo che ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto, non sappiamo che fine abbia fatto » (Esodo 32:1).

Al che Aaronne, acconsentendo alla richiesta del popolo di fargli un dio, ordinò che tutto l’oro che avevano addotto fosse portato a lui, e da quell’oro, venne costruito un vitello, davanti al quale tutto il popolo offrì olucausti e sacrifici e fece una gran festa. Mosè sul monte, era intendo a parlare con Dio, e di tutto poteva immagginare che il popolo si fosse allontanato a Dio. Fu, quindi, una vera sorpresa per lui, quando Dio gli disse che il popolo si era corrotto

Il SIGNORE disse a Mosè: « Va’, scendi; perché il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto, si è corrotto;
si sono presto sviati dalla strada che io avevo loro ordinato di seguire; si son fatti un vitello di metallo fuso, l’hanno adorato, gli hanno offerto sacrifici e hanno detto: "O Israele, questo è il tuo dio che ti ha fatto uscire dal paese d’Egitto" ».
Il SIGNORE disse ancora a Mosè: « Ho considerato bene questo popolo; ecco, è un popolo dal collo duro.
Dunque, lascia che la mia ira s’infiammi contro di loro e che io li consumi, ma di te io farò una grande nazione »
(Esodo 32:7-10).

Davanti alla minaccia severa di Dio, che voleva consumare quel popolo che si era corrotto davanti a lui, Mosè, sentendosi promettere dal Signore che se lui, lavesse lasciato fare quello che si proponeva di compiere, l’avrebbe fatto diventare una grande nazione, se Mosè, dico, fosse stato diverso, cioè avesse pensanto solamente alla sua grandezza, davanti a quella precisa promessa, avrebbe dato via libera a Dio, per consumare tutto quel popolo. Però, Mosè, non si comportò in quel modo! Ebbe il coraggio e l’ardire di risponde a Dio, con le parole:

Allora Mosè supplicò il SIGNORE, il suo Dio, e disse: « Perché, o SIGNORE, la tua ira s’infiammerebbe contro il tuo popolo che hai fatto uscire dal paese d’Egitto con grande potenza e con mano forte?
Perché gli Egiziani direbbero: "Egli li ha fatti uscire per far loro del male, per ucciderli tra le montagne e per sterminarli dalla faccia della terra!" Calma l’ardore della tua ira e péntiti del male di cui minacci il tuo popolo.
Ricordati di Abraamo, d’Isacco e d’Israele, tuoi servi, ai quali giurasti per te stesso, dicendo loro: "Io moltiplicherò la vostra discendenza come le stelle del cielo; darò alla vostra discendenza tutto questo paese di cui vi ho parlato ed essa lo possederà per sempre" »
(Esodo 32:11-13).

Quale fu il risultato di questo suo intervento? Ecco quello che Dio rispose: E il SIGNORE si pentì del male che aveva detto di fare al suo popolo (v.14).

Mosè sapeva che il popolo aveva commesso un gran peccato, e, che l’ira divina voleva distruggerl. Nonostante avesse avuto l’assicurazione dal Signore, che Egli, non avrebbe eseguito quel terribile giudizio, c’era però da risolvere la questione del gran peccato del popolo. Cosa fare? Ecco la richiesa che Mosè avanzò a Dio, in favore del popolo.

L’indomani Mosè disse al popolo: « Voi avete commesso un grande peccato; ma ora io salirò dal SIGNORE; forse otterrò che il vostro peccato vi sia perdonato ».
Mosè dunque tornò al SIGNORE e disse: « Ahimé, questo popolo ha commesso un grande peccato e si è fatto un dio d’oro;
nondimeno,
perdona ora il loro peccato! Se no, ti prego, cancellami dal tuo libro che hai scritto! » (Esodo 32:30-32)

Il fatto stesso che Mosè, per ottenere da Dio, il perdono del peccato del popolo, offre la cancellazione del suo nome dal libro di Dio, è la prova dell’amore e dell’interessamento che questo uomo aveva per il suo popolo. Indirettamente, Mosè, metteva in pratica la norma che più tardi l’apostolo Paolo, scriveva per la cristianità, e non solo per i Filippesi:

Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a sé stesso (Filippesi 2:3).

Quale fu la risposta che Dio diede all’invocazione di Mosè? Ecco le parole:

Il SIGNORE rispose a Mosè: « Colui che ha peccato contro di me, quello cancellerò dal mio libro!
Ora va’, conduci il popolo dove ti ho detto. Ecco, il mio angelo andrà davanti a te; ma nel giorno che verrò a punire, io li punirò del loro peccato ».

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29/04/2012 00:05

E il SIGNORE colpì il popolo, perché esso era l’autore del vitello che Aaronne aveva fatto (Esodo 32:33-35).

Nonostante che Dio colpì il popolo per avere fatto il vitello d’oro, però, il fatto stesso che non lo “consumò”, è una prova che la preghiera di Mosè venne esaudita.

Mosè sale la seconda volta sul monte con le due tavole di pietra in mano


Ora ci troviamo davanti a un altro episodio: Dio ordina a Mosè di tagliarsi due tavole di pietra e salire di nuovo sul monte. Mosè, come al solito, ubbidiente a Dio, sale sul monte, e, in questa circostanza, c’è stata una bella manifestazione divina.

Il SIGNORE discese nella nuvola, si fermò con lui e proclamò il nome del SIGNORE.
Il SIGNORE passò davanti a lui, e gridò: « Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà,
che conserva la sua bontà fino alla millesima generazione, che
perdona l’iniquità, la trasgressione e il peccato ma non terrà il colpevole per innocente; che punisce l’iniquità dei padri sopra i figli e sopra i figli dei figli, fino alla terza e alla quarta generazione! »
Mosè subito s’inchinò fino a terra e adorò.
Poi disse: « Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro;
perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua eredità » (Esodo 34:5-9).

Dio proclama in quella circostanza quello che Egli è veramente, cioè misericordioso e pietoso, lento all’ira, ricco in bontà e fedeltà.

Mosè, tenendo conto che Dio avrebbe mandato un suo angelo in mezzo ad Israele, per non distrugerlo, visto che era un popolo di collo duro, nella sua invocazione che rivolge al Signore, chiede a Dio, che Lui, e non un Suo angelo, venga in mezzo al popolo. Nello stesso tempo, però, non dimentica di chiedere al Signore che perdona la loro iniquità, il loro peccato.
Quale intercessore che Mosè era, non solo si medesima con il popolo, ma neanche prova nessuna vergogna a usare i termini la nostra iniquità, il nostro peccato. Queste sue parole ci fanno chiaramente comprendere il suo vero carattere che, rispecchiava nel suo comportamento, sia davanti al popolo, e massimamente davanti a Dio.

Poiché quando Mosè si rivolgeva al Signore, lo trovava sempre disponibile, anche questa volta, nella risposta che Dio gli diede, prometteva:

« Ecco, io faccio un patto: farò davanti a tutto il tuo popolo meraviglie, quali non sono mai state fatte su tutta la terra né in alcuna nazione; tutto il popolo in mezzo al quale ti trovi vedrà l’opera del SIGNORE, perché tremendo è quello che io sto per fare per mezzo di te (Esodo 34:10).

Tutto ciò ha un particolare significato, cioè: l’invocazione d’intercessione che Mosè elevò all’Eterno, venne esaudita, di conseguenza, ora Mosè, può pensare e guardare a quello che Signore farà in mezzo al popolo. È meraviglioso vivere in questa meravigliosa prospettiva, basandoci sulle promesse divine!

Mosè intercede di nuovo per il popolo

"Il SIGNORE è lento all’ira e grande in bontà; egli perdona l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione".
perdona, ti prego, l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui» (Numeri 14:18-19.

Il contesto di questo passo biblico, parla del comportamento negativo che Israele assunse davanti al rapporto delle dodici spie che furono mandati da Mosè, nella terra di Canaan, per verificare la bontà quella terra, che Dio, fin da Abramo, aveva promesso di darla in eredità ad Israele. Sì, sa che, dal rapporto che fecero i dieci esploratori, nonostante che due dei docici, Giosuè e Caleb, esortarono il popolo a non aver timore dagli abitanti di Canaa, ma riporre in Dio la loro fiducia, che tutto l’affare si sarebbe risolto in loro favore, il popopo si ribellò e voleva ritornare in Egitto.

Davanti a una simile ribellione e a un così dispezzo per la terra che Dio prometteva di dare al suo popolo, l’ira del Signore non mancò a manifestarsi.

e il SIGNORE disse a Mosè: « Fino a quando mi disprezzerà questo popolo? Fino a quando non avranno fede in me dopo tutti i miracoli che ho fatti in mezzo a loro?

Io lo colpirò con la peste e lo distruggerò, ma farò di te una nazione più grande e più potente di esso »
(Numeri 14:11-12).
Dio, ritorna a ripetere quello che aveva detto in precedenza, cioè che Egli avrebbe distrutto quel popolo e avrebbe fatto di Mosè, una nazione più grande e più potente di Israele. Davanti alla severità di quel messaggio, Mosè non rimase con le mani in mano, ma si precipitò subito ad innalzare una accorata preghiera d’intercessione per Israele, cone le parole:

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30/04/2012 00:17

E Mosè disse al SIGNORE: « Ma lo verranno a sapere gli abitanti dell’Egitto, da cui tu hai fatto uscire questo popolo per la tua potenza,
e la cosa sarà risaputa dagli abitanti di questo paese. Essi hanno udito che tu, o SIGNORE, sei in mezzo a questo popolo e gli appari faccia a faccia, che la tua nuvola si ferma sopra di loro e che cammini davanti a loro di giorno in una colonna di nuvola, e di notte in una colonna di fuoco.
Ora, se fai perire questo popolo come un sol uomo, le nazioni che hanno udito la tua fama, diranno:
"Il SIGNORE non è stato capace di far entrare questo popolo nel paese che aveva giurato di dargli, perciò li ha scannati nel deserto".
Ora si mostri, ti prego, la potenza del SIGNORE nella sua grandezza, come tu hai promesso dicendo:
"Il SIGNORE è lento all’ira e grande in bontà; egli
perdona l’iniquità e il peccato, ma non lascia impunito il colpevole e punisce l’iniquità dei padri sui figli, fino alla terza e alla quarta generazione".
perdona, ti prego, l’iniquità di questo popolo, secondo la grandezza della tua bontà, come hai perdonato a questo popolo dall’Egitto fin qui » (Numeri 14:13-19).

Tenuto conto che quando Mosè innalzava le sue preghiere al Signore in favore d’Israele, Dio si mostrava sempre benevolo verso il suo servitore, anche questa volta, la sua preghiera viene esaudita. Ecco cosa si legge nel testo biblico:

Il SIGNORE disse: « Io perdono, come tu hai chiesto.
Però, come è vero che io vivo, tutta la terra sarà piena della gloria del SIGNORE.
Tutti gli uomini che hanno visto la mia gloria e i miracoli che ho fatto in Egitto e nel deserto, quelli che mi hanno tentato già dieci volte e non hanno ubbidito alla mia voce,
certo non vedranno il paese che promisi con giuramento ai loro padri. Nessuno di quelli che mi hanno disprezzato lo vedrà;
ma il mio servo Caleb è stato animato da un altro spirito e mi ha seguito appieno; perciò io lo farò entrare nel paese nel quale è andato; e la sua discendenza lo possederà
(Numeri 14:20-24).

Davanti alla specificazione che Dio fece, nell'esaudire la preghiera di Mosè, c’è veramente da riflettere seriamente sull’atteggiamento d’incredulità che l’uomo assume, nei confronti delle promesse divine. L’incredulità, come si sa, è uno dei più agguerriti e peggiori nemici per chi si lascia trascinare, per questo motivo bisogna stare molto attento a che non si trova nei nostri cuori, per non subire l’esclusione dal cielo, che è di gran lunga superiore dalla terra di Canaan.

Si presenta un caso particolare davanti a Mosè


In Deuteronomio 21:1-9 c’è la descrizione di un caso particolare, si tratta dell’eventualità di trovare sul campo, una persona morta, senza conoscere chi l’abbia uccisa. In questo caso, come si dovrà procedere in giudizio? Tenuto conto che l’omicidio è stato commesso nel paese che il Signore darà ad Israele, suo popolo, e, visto che non c’è nessun testimone che possa indicare il colpevole, perché nessun l’ha visto, Israele quale popolo che dovrà prendere possesso di quel paese, non potrà essere ritenuto colpevole di quel delitto.

Davanti ad una simile eventualità, Dio fornisce le varie istruzioni per il caso specifico, e, quando tutto è stato eseguito, compresa la dichiarazione che gli anziani faranno, che è:

Allora tutti gli anziani di quella città che sono i più vicini all’ucciso si laveranno le mani sulla giovenca cui sarà stato troncato il collo nel corso d’acqua;
e, prendendo la parola, diranno: « Le nostre mani non hanno sparso questo sangue e i nostri occhi non lo hanno visto spargere
(Deuteronomio 21:6-7),

subito dopo si legge:

SIGNORE, perdona al tuo popolo, Israele, che tu hai riscattato, e non rendere responsabile il tuo popolo, Israele, dello spargimento del sangue innocente». Così quel sangue sparso sarà loro perdonato (Deuteronomio 21:8).

Il censimento ordinato da Davide

Da quello che si legge in 2 Samuele 24, si capisce subito che, in quel tempo, Davide era chiuso in se stesso, privo di quella divina luce che gli permetteva di comprendere il piano che stava dei suoi sentimenti e nel suo cuore. Ma, soprattutto, non seppe ascoltare il buon consiglio che gli venne dato da Ioab, il quale fece del tutto per far desistere il re Davide da quell’iniziativa, quando gli sottopose una domanda:

Ioab rispose al re: « Il SIGNORE, il Dio tuo, renda il popolo cento volte più numeroso di quello che è, e faccia sì che gli occhi del re, mio signore, possano vederlo! Ma perché il re mio signore prende piacere nel far questo? » (2 Samuele 24:3);

Mentre, leggendo la domanda formulata dal Cronista, Ioab aggiunse qualcosa di grave, che avrebbe dovuto indurre Davide a riflettere seriamente; ma egli non lo notò.

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01/05/2012 00:03

Ioab rispose al re: « Il SIGNORE, il Dio tuo, renda il popolo cento volte più numeroso di quello che è, e faccia sì che gli occhi del re, mio signore, possano vederlo! Ma perché il re mio signore prende piacere nel far questo? » (2 Samuele 24:3);

Mentre, leggendo la domanda formulata dal Cronista, Ioab aggiunse qualcosa di grave, che avrebbe dovuto indurre Davide a riflettere seriamente; ma egli non lo notò.

Ioab rispose: « Il SIGNORE renda il suo popolo cento volte più numeroso di quello che è! Ma, o re, mio signore, non sono forse tutti servi del mio signore? Perché il mio signore domanda questo? Perché rendere così Israele colpevole? » (1 Cronache 21:3)

Tenuto conto che l’ordine del re prevalse su quello di Ioab, e che lo stesso, malgrado non condividesse l’iniziativa di Davide, fu costretto ad eseguire l’ordine, così che, al termine di nove mesi e venti giorni, (v. 8) venne consegnato al re la cifra del censimento. Fin qui, sembra che tutto vada bene e che Davide, probabilmente, sia stato fiero di sapere che poteva avere un esercito di 1,300.000 uomini, tutti abili a maneggiare la spada.

Che cosa è successo nella vita di Davide, dopo di aver ordinato il censimento, non possiamo dirlo esattamente; ci limitiamo solamente a riferire quello che leggiamo nel testo biblico.

Dopo che Davide ebbe fatto il censimento del popolo, provò un rimorso al cuore, e disse al SIGNORE: «Ho gravemente peccato in quel che ho fatto; ma ora, o SIGNORE, perdona l’iniquità del tuo servo, perché ho agito con grande stoltezza» (2 Samuele 24:10).

E Davide disse a Dio: « Io ho gravemente peccato in ciò che ho fatto; ma ora ti prego, perdona l’iniquità del tuo servo, perché io ho agito con grande stoltezza » (1 Cronache 21:8).

Il rimorso che Davide provò in cuore suo, senza dubbio, ci dice tanto; almeno ci fa comprendere che sotto quel peso schiacciante, non solo si rese conto che aveva agito da folle, nell’ordinare il censimento d’Israele, ma riconobbe anche di aver commesso un grave peccato. Questi elementi che affiorano dal testo, meritano di essere tenuti in considerazione, in vista del perdono che si chiede a Dio.

Nessun peccatore, infatti, è portato a chiedere perdono a Dio, se prima non riconosce il suo peccato. Una volta che si prende coscienza del proprio peccato, si ha anche la forza di confessarlo liberamente, senza nessuna vergogna. La confessione in se stessa, è sempre motivata e spinta da un reale pentimento. Il pentimento, a sua volta, ha sempre portato il peccatore a Dio, e, quando questi domanda al Signore di perdonare il suo peccato e la sua iniquità, trova sempre Dio, pronto per accoglierlo nelle Sue braccia paterne. Tutto questo trova la più ampia spiegazione nel fatto che, Dio non vuole la morte dell’empio, ma che egli si converta e viva (Ezechiele 33:11); ed anche perché Egli, Dio, non vuole che nessuno perisca, ma che tutti vengono a ravvedimento (2 Pietro 3:9).

Continuando la lettura del racconto, sì sa, però, che dopo, precisamente il mattino seguente, Dio parlò al profeta Gad e gli ordinò di recarsi da Davide e portargli un messaggio. Davide doveva fare una scelta tra: sette anni di carestia nel paese; tre mesi di fugare davanti ai suoi nemici, o tre giorni di peste nel paese.

La risposta, unita alla motivazione fu:

Davide disse a Gad: « Io sono in grande angoscia! Ebbene, che io cada nelle mani del SIGNORE, perché le sue compassioni sono immense; ma che io non cada nelle mani degli uomini! » (v. 13).

Così avvenne che, a seguito di quella scelta, la Bibbia afferma che, durante i tre giorni che il SIGNORE mandò la peste in Israele; morirono settantamila Israeliti (v. 15). Un prezzo altissimo di vite umane! Infine, visto che Dio è grandemente benigno e misericordioso, ordinò a Davide di costruire un altare sull’aia di Ornan, e su di esso si offrirono olocausti e sacrifici con rendimento di grazie. Inoltre, Davide invocò il Signore, il quale gli rispose con il fuoco e ordinò all’angelo che era stato mandato per distruggere Gerusalemme, di rimettere la sua spada nel fodero. L’ultima parola gliel'ha sempre Dio. A Lui la gloria!

La pregiera che Salomone innalzò a Dio


Leggendo con po’ di attenzione la preghiera (oserei definirla grande) che Salomone innalzò al Signore, nel giorno della dedicazione del tempio che aveva costruito, si rimane sbalorditi, ha dir poco (per non usare un altro temine) com'egli, nella sua intercessione, non solo presentò al Signore diverse cose riguardanti il suo popolo, cioè Israele, ma si spinse anche a menzionare gli stranieri, cioè quelli che non facevano parte del popolo Ebraico. Un simile interessamento, è, a dir poco, sbalorditivo, in quanto nessuno degli Ebrei, prima e dopo di Salomone, non ha mai avuto l’idea di manifestare pubblicamente un simile pensiero, una simile idea.

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02/05/2012 00:18

Salomone, per questa sua insolita iniziativa, non solo rimarrà nella storia come l’uomo della straordinaria sapienza, ma anche e soprattutto l’uomo delle grandi vedute, la persona che ha avuto il coraggio di uscire dal proprio recinto religioso-nazionale, e pensare a quelli che non furono considerati il popolo del Signore. Sotto quest'aspetto, c’è tanto da imparare da quest’uomo eccezionale, che solamente un altro, che si definì più grande di Salomone, fece: il suo nome è Gesù.

Secondo noi, non è un puro caso come inizia a pregare Salomone:

« O SIGNORE, Dio d’Israele! Non c’è nessun dio che sia simile a te, né lassù in cielo, né quaggiù in terra! Tu mantieni il patto e la misericordia verso i tuoi servi che camminano in tua presenza con tutto il cuore (1 Re 8:23).

Queste sue poche parole, mettono subito in risalto quello che egli credeva fermamente, cioè, l’Iddio al quale stava rivolgendo la sua preghiera, non era uno dei tanti dèi, ma l’unico, nel senso che nessuno, né in cielo, né sulla terra, era simile a Lui. Solo Egli mantieni il patto e la misericordia..., come se davanti a Salomone si aprisse una nuova considerazione, chiede:

Ma è proprio vero che Dio abiterà sulla terra? Ecco, i cieli e i cieli dei cieli non ti possono contenere; quanto meno questa casa che io ho costruita! (8. 27)

La preghiera che Salomone innalzò al suo Dio, non fu generica, ma molto specifica. Ecco come si articolava la sua specificazione. Comincia con il fare menzione al luogo, cioè al tempio che egli ha costruito:

Ascolta la supplica del tuo servo e del tuo popolo Israele quando pregheranno rivolti a questo luogo; ascoltali dal luogo della tua dimora nei cieli; ascolta e perdona! (8:30).

Poi passa ad uno che pecca contro il suo prossimo (v. 31), ad Israele che viene sconfitto davanti al suo nemico (v. 33) e chiede:

tu esaudiscilo dal cielo, perdona al tuo popolo Israele il suo peccato, e riconducilo nel paese che désti ai suoi padri (8:34).

Continuando nella specificazione, fa riferimento alla siccità, cioè mancanza di pioggia a causa del peccato del popolo (v.35),

tu esaudiscili dal cielo, perdona il loro peccato ai tuoi servi e al tuo popolo Israele, ai quali mostrerai la buona strada per cui debbono camminare; e manda la pioggia sulla terra che hai data come eredità al tuo popolo (8:36).

Quando verranno i tempi in cui ci sarà carestia, peste, varie malattie, invasione di lucoste, il nemico che assiederà il tuo popolo, lo scoppio di una calamità o di una qualsiasi epidemia (v. 37),

tu esaudiscila dal cielo, dal luogo della tua dimora, e perdona; agisci e rendi a ciascuno secondo le sue vie, tu, che conosci il cuore di ognuno; perché tu solo conosci il cuore di tutti i figli degli uomini (8:39).

Ora il pensiero va per lo straniero, cioè per chi non fa parte del popolo d’Israele, se questi, precisa Salomone, si rivolge a Te, mio Dio, Tu ascolta dal cielo e concedergli tutto ciò che ti domanda (vv. 41-43); quando Israele uscirà in guerra contro il suo nemico, o peccherà contro di Te, e Tu, in conseguenza di ciò, ti adirerai contro di loro; se saranno deportati in paese straniero e ritorneranno a Te, confessando il loro peccato con vero pentimento,

esaudisci dal cielo, dal luogo della tua dimora, le loro preghiere e le loro suppliche, e rendi loro giustizia.
perdona al tuo popolo, che ha peccato contro di te, tutte le trasgressioni di cui si è reso colpevole verso di te, e muovi a pietà per essi quelli che li hanno deportati, affinché abbiano misericordia di loro (1 Re 8:49-50).

Come abbiamo osservato, nella preghiera di Salomone, non c’è solamente la specificazione bene articolata, c’è anche e soprattutto il fervore e il profondo interessamento che lo anima e lo proietta verso una meta ben precisa, che è il Suo Dio, Onnipotente, benigno e misericordioso. Infine, gli stessi elementi che abbiamo messo in evidenza nel capitolo 8 del primo libro dei Re, li incontriamo anche in (2 Cronache 6:21,25,27,30).

Il libro dei Salmi


Nel libro dei Salmi, la parola perdona che incontriamo nei pochi testi, si riferisce quasi sempre al supplicante. Questo ci permetterà di considerare ed approfondire le circostanze delle varie situazioni, in cui si sarà trovato la persona che chiede di essere perdonata da Dio. In quest'ottica, non mancheremo di trarre insegnamenti, perché l’esperienza del salmista, possa servire anche a noi per farci apprezzare la bontà di Dio.

Nel Salmo 25, Davide che ne è l’autore, rivela la condizione in cui si trovava, a causa delle varie situazioni che attraversava nel cammino della sua vita. Egli chiede a Dio di non essere confuso, di conoscere le Sue vie, di essere guidato e ammaestrato nella Sua verità, visto che egli aveva fatto del suo Dio, la sua salvezza e sperava in Lui tutto il giorno (vv. 1-5).

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03/05/2012 00:04

Trovarsi in uno stato di confusione, non conoscere le vie di Dio per la nostra vita, non essere guidati ed ammaestrati nella verità, non fare di Dio la nostra salvezza e non sperare in Lui tutto il giorno, non aiuta né ispira sicuramente la fede, che ha come fondamento Dio e la Sua Parola.

Davide chiede al Signore: non ricordarsi dei peccati della mia giovinezza, di avere del continuo i miei occhi rivolti a Te, visto che nella mia afflizione mi sento solo. Avvertiva anche che le angosce del suo cuore erano aumentate; perciò voleva essere liberato dalle sue avversità (v. 7,15,16-17) e concludeva:

Per amor del tuo nome, o SIGNORE, perdona la mia iniquità, perché essa è grande.
Vedi la mia afflizione e il mio affanno, perdona tutti i miei peccati
(Salmo 25:11,18).

Sentirsi solo nell’afflizione, vedere le angosce del cuore aumentare, o avere davanti il ricordo dei peccati della propria giovinezza, è certamente molto scoraggiante e opprimente, come se davanti all’individuo, ci fosse un vicolo cieco, senza un raggio di luce, che lascia intravedere la speranza di uscire dal tunnel. La preghiera che invoca il Signore per essere perdonato e tirato fuori dei vari affanni della vita, è sicuramente il sentiero sul quale ogni cristiano dovrà camminare.

Il Salmo 78, scritto da Asaf, descrive la storia del popolo d’Israele e tutte le sue vicissitudini che incontrò nel corso degli anni, le varie ribellioni che manifestò nel deserto, ma anche i tanti miracoli che Dio compì in mezzo di loro. Un verso di questo Salmo, che si trova al centro di tutta la descrizione, tira la somma, non del comportamento del popolo, ma da ciò che Dio compì in loro favore.

Ma egli, che è pietoso, perdona l’iniquità e non distrugge il peccatore. Più volte trattenne la sua ira e non lasciò divampare tutto il suo sdegno (Salmi 78:38).

Sia lode al Signore che Egli, si sia comportato sempre così nei confronti dei Suoi figli, i quali sono da Lui corretti e disciplinati ma mai distrutti, e continuerà a farlo nel futuro per tutte le generazioni. Questa è la garazia e la promessa che fa il nostro Signore che Egli, non ci tratta secondo quello che meritiamo,

Egli non ci tratta come meritano i nostri peccati, e non ci castiga in base alle nostre colpe (Salmi 103:10); visto che Il SIGNORE è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà (Salmo 103:8).

Nel Salmo 79, scritto da Asaf, c’è un verso che recita:

Soccorrici, o Dio della nostra salvezza, per la gloria del tuo nome; liberaci, e perdona i nostri peccati, per amor del tuo nome (Salmi 79:9).

Una simile richiesta, non la fece solamente Asaf, ma attraverso i secoli l’hanno si sono adoperati tantissimi cristiani di tutte le epoche e di ogni generazione.

Infine, nel Salmo 103, scritto da Davide, che invita se stesso a lodare il Signore e a ricordarsi di tutti i suoi benefici, sono state scritte le splendite parole, che sono valide anche per ogni credente di qualsiasi epoca e generazione:

Egli (il Signore) perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità (Salmi 103: 3).

La preghiera d’intercessione di Daniele


Per imparare come intercedere in favore di qualcuno, credo che il migliore esempio lo fornisce Daniele, senza sottovalutare altri personaggi, come Mosè, per esempio con la sua preghiera che innalzò all’Iddio del cielo, in favore del popolo d’Israele. Leggendo il capitolo 9 del libro che porta il suo nome, cioè di Daniele, si possono notare le caratteristiche di un vero intercessore.

La Scrittura afferma che prima che Daniele innalzi la sua preghiera d’intercessione a Dio, per la nazione Ebraica comprese quello che il profeta Geremia aveva profetizzato intorno ad Israele.

nel primo anno del suo regno, io, Daniele, compresi dai libri il numero degli anni in cui, secondo la parola dell’Eterno indirizzata al profeta Geremia, dovevano essere portate a compimento le desolazioni di Gerusalemme, è cioè settant’anni (Daniele 9:2) [N.D.].

Daniele, in questa particolare circostanza, non riceve una particolare rivelazione di un qualcosa che si nascondeva nel segreto, come, per esempio, quando gli venivano rivelati i segreti e le interpretazioni di certi sogni, ma comprende dai libri, le desolazioni che riguardavano Gerusalemme, dovevano essere portate a compimento. Siccome Geremia non aveva profetizzato di suo senno, quindi non aveva proclamato la sua parola, bensì quella dell’Eterno, e, tenuto conto della severità e gravità del caso, Daniele Volse perciò la sua faccia verso Dio, il Signore, per disporsi alla preghiera e alle suppliche, con digiuno, con sacco e cenere (v 3).

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04/05/2012 00:11

Il digiuno, con sacco e cenere, anticamente, veniva praticato in casi di calamità, o alla presenza di severe punizioni divine. La persona che si disponeva in quella maniera, dimostrava chiaramente la sua umiliazione e il suo pentimento, nella speranza di trovare grazia presso Dio, al quale si rivolgeva con la sua invocazione.

Feci la mia preghiera e la mia confessione al SIGNORE, al mio Dio, e dissi: « O Signore, Dio grande e tremendo, che mantieni il patto e serbi la misericordia verso quelli che ti amano e osservano i tuoi comandamenti!
Noi abbiamo peccato, ci siamo comportati iniquamente, abbiamo operato malvagiamente, ci siamo ribellati e ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue prescrizioni.
Non abbiamo dato ascolto ai profeti, tuoi servi, che hanno parlato in nome tuo ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese.
A te, o Signore, la giustizia; a noi la confusione della faccia in questo giorno, agli uomini di Giuda, agli abitanti di Gerusalemme e a tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove li hai dispersi per le infedeltà che hanno commesse contro di te.
O Signore, a noi la confusione della faccia, ai nostri re, ai nostri prìncipi e ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te.
Al Signore, che è il nostro Dio, appartengono la misericordia e il perdono; poiché noi ci siamo ribellati a lui
e non abbiamo ascoltato la voce del SIGNORE, del nostro Dio, per camminare secondo le sue leggi che egli ci aveva date mediante i profeti suoi servi.
Sì, tutto Israele ha trasgredito la tua legge, si è sviato per non ubbidire alla tua voce. Così su di noi sono riversate le maledizioni e le imprecazioni che sono scritte nella legge di Mosè, servo di Dio, perché noi abbiamo peccato contro di lui
(9:4-11).

In questa nobile preghiera, notiamo come Daniele sì medesima con tutto Israele, come se lui fosse il vero colpevole, usando parole: noi abbiamo peccato, abbiamo operato malvagiamente, non abbiamo dato ascolto ai profeti, ci siamo ribellati a lui, non abbiamo ascoltato la voce del SIGNORE.

Obbiettivamente, Daniele non si trovava nelle condizioni come lui stesso si definiva davanti a Dio. La sua vita era integra, la sua condotta leale e retta, nelle attività di governo che svolgeva; la sua devozione verso il suo Dio era esemplare, non aveva nessuna vergogna di professare pubblicamente la sua fede; la sua santità la dimostrava, fin dalla sua giovinezza.

Come mai che, in questa sua preghiera che innalzò a Dio, si considerava come se fosse stato un terribile peccatore? Erano, in effetti, le caratteristiche di un vero intercessore, che lo animavano e che si manifestavano in lui, per il bene del suo popolo. Infatti, dopo aver fatto una completa confessione, in nome di tutto il popolo d’Israele, chiuse la sua preghiera d’intercessione, col chiedere:

Signore, ascolta! Signore, perdona! Signore, guarda e agisci senza indugio per amore di te stesso, o mio Dio, perché il tuo nome è invocato sulla tua città e sul tuo popolo» (Daniele 9:19).

Nobile esempio! Che ognuno di noi sappia fare tesoro di quello che compì Daniele, in favore del suo popolo! Sì dica apertamente, Amen!

Detti di due profeti


Il primo è quello di Osea, che recita:

Preparatevi delle parole e tornate al SIGNORE! Ditegli: «perdona tutta l’iniquità e accetta questo bene; noi ti offriremo, invece di tori, l’offerta di lode delle nostre labbra (Osea 14:2);

mentre il secondo, è quello di Amos:

Quando esse ebbero finito di divorare l’erba della terra, io dissi: «Signore, DIO, perdona! Come potrà sopravvivere Giacobbe, piccolo com’è?» (Amos 7:2)

Con queste due citazionei, si conclude la serie dei passi dell’A.T. che riportano il termine perdona.

I tre testi del N.T.

Il Nuovo Testamento, a differenza dell’A.T. che ha tante citazioni, ha solamente tre passi che riportano la parola perdona, essi sono: Matteo 18:35; Luca 7:49; 23:34). Nonostante ciò, questi pochi testi, c'insegnano verità di carattere pratico, di una certa importanza, non solo per la vita presente, ma anche per la ripercussione che avranno per l’altra vita, cioè per l’eternità. Vale quindi la pena, approfondire la nostra riflessione.

Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello» (Matteo 18:35).

Qual è il contesto nel quale la nostra parola è adoperata? Gesù per illustrare la verità intorno al vero perdono, e mostrare quanto sia importante metterla in pratica, portò la parabola del creditore spietato. In questa parabola si parla di due creditori, uno che aveva un enorme debito, quantificato in diecimila talenti, mentre l’altro era irrisorio rispetto al primo, nella quantità di cento denari. Il primo, facendo il calcolo con il nostro dollaro, ammontava ad alcuni miliardi di dollari, mentre per il secondo, si trattava di alcune migliaia di dollari. Inoltre, per il primo creditore, visto l’ammontare enorme del debito, con tutta la vendita di quanto possedeva, compresa moglie e figli, non sarebbe mai potuto arriva al pareggio, quindi, non avrebbe mai avuto la possibilità, durante la sua vita, di saldare il debito, mentre per il secondo, ci sarebbe stata la possibilità di pagare, visto che il suo debito era pochissimo, rispetto al primo.

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05/05/2012 00:07

Nonostante questa sicura prospettiva, sia per l’uno che per l’altro, la parabola spiega che, quando il primo creditore si presentò davanti al suo padrone per rendere conto, dopo aver sentito il verdetto del suo padrone che aveva stabilito di mettere in vendita tutto quello che il creditore possedeva, compreso lui, sua moglie e i suoi figli, perché il debito fosse pagato, l’uomo indebitato si gettò ai piedi del suo padrone, dicendogli: Perciò il servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: "Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto" (Matteo 18:26). La risposta fu: il signore di quel servo, mosso a compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito (v. 27).

La parabola continua a riferirci che, quando il primo creditore uscì dalla presenza del suo padrone, con il suo debito condonato, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari; e, afferratolo, lo strangolava, dicendo: "Paga quello che devi!" (v. 28). Anche quest’ultimo, fece lo stesso del primo, usando le stesse parole: perciò il conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me, e ti pagherò" (v. 29). Quale fu la risposta? Ma l’altro non volle; anzi andò e lo fece imprigionare, finché avesse pagato il debito (v. 30).

A questo punto, dietro l’informazione che ricevette, insorge il padrone compassionevole:

Allora il suo signore lo chiamò a sé e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti;
non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?"
E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva
(vv. 32-34).

Gesù conclude la parabola, con una terrificante affermazione, che non conoscerà appello:

Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello » (v. 35).

Qual è l’insegnamento che Gesù ha voluto dare con questa parabola? L’abbiamo già detto e lo ripetiamo di nuovo: il perdono. Gesù precisa che bisogna perdonare di cuore; questo significa che se non si fa di cuore, non è vero perdono, è solamente un perdono apparente, per salvare la facciata, come si direbbe, fatto di sole parole e non di fatti.

Il primo creditore della parabola, rappresenta il peccatore; il debito ci parla del peccato. Il peccatore davanti al Dio giusto, ha un debito così grande, che non avrà mai la possibilità materiale di poterlo saldare, anche se ci metterà tutta la sua buona volontà e tutto il tempo della sua vita terrena. È solamente in virtù della bontà del Signore e della Sua compassione, che potrà essere condonato, cioè estinto, non in parte, ma completamente, da apparire la sua felina penale pulita, senza nessuna macchia.

A sua volta, il peccatore perdonato da Dio, deve dimostrare gratitudine e riconoscenza per quello che ha ricevuto dal Signore, confrontandosi con il suo fratello, (il secondo creditore) nei confronti del quale, potrà reclamare un suo diritto di essere severo, davanti a certe mancanze o torti ricevuti. Potrà essere benigno e compassionevole nei confronti del suo conservo, se saprà tenere presente quello che era davanti a Dio, prima di essere perdonato. Se terrà presente che il suo peccato, davanti a Dio, era di gran lunga superiore, quantativamente parlando, a tutte le offese, i torti, i danni, le diffamazioni di ogni genere, subiti e ricevuti, non potranno mai arrivare ad un'equazione = O, o “parità”, saranno sempre una piccolissima quantità, quasi impercettibile, da non tenere minimamente in considerazione. Questo significa perdonare il proprio fratello con il cuore.

Se questo non sarà fatto, attraverso le tante occasioni che la vita terrena offrirà, ci sarà un'inevitabile ripercussione, che non riguarderà il presente, ma investirà in pieno il futuro, cioè l’eternità. Che significa, infatti, che, il Padre celeste non perdonerà? La porta del cielo rimarrà chiusa per sempre, e, per quel tale, invece, si aprirà un’altra porta, cioè quella dell’inferno per accoglierlo, anche se durante la sua vita terrena, ha sempre dimostrato di essere religioso, un assiduo frequentatore di culti e un lettore instancabile della sua Bibbia. Come si vede, non è da scherzare, o prendere alla leggera; la verità è ferma e severa nello stesso tempo. Il peccatore-fratello, non si illuda nel suo comportamento, dovrà sempre pensare, che i conti debba farli, non con l’uomo, ma con Dio.

Il secondo testo, quello di Luca, recita:

Quelli che erano a tavola con lui, cominciarono a dire in loro stessi: «Chi è costui che perdona anche i peccati?» (Luca 7:49)

Dall’esame di tutto il brano, che comincia dal v. 36 fino al 50, il contesto, come si vede chiaramente, è ben diverso, rispetto al precedente passo esaminato. Qui ci troviamo in casa di un fariseo, il quale invitò Gesù a casa sua per pranzare. Mentre che tutti erano a tavola, entrò una donna, definita da Luca, peccatrice, cioè prostituta. Lei, non essendo stata invitata, si direbbe, come mai entrasse in quella casa? Era usanza di quei tempi, presso gli Ebrei, tenere la porta aperta in casi di conviti, così che una persona, senza essere stata invitata, poteva entrare.

Il testo precisa che, la donna del nostro testo, seppe che Gesù si trovava in casa del fariseo. Chi glielo disse, non possiamo stabilirlo; d’altra parte non avrebbe nessun'importanza, se lo sapessimo. Una volta entrata, il testo precisa che,

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06/05/2012 00:04

stando ai piedi di lui, di dietro, piangendo, cominciò a rigargli di lacrime i piedi; e li asciugava con i suoi capelli; e gli baciava e ribaciava i piedi e li ungeva con l’olio (7:38).

Certamente, quell’olio profumato, il pianto, le lacrime che rigano i piedi di Gesù, i capelli che asciugavano i suoi piedi e li baciavano ripetutamente, avevano un significato per quella donna, e anche per Gesù, naturalmente. Ma per il fariseo che assisteva tutto attonito a quell'insolita scena, ne aveva un altro. Infatti, senza aprir bocca, diceva dentro di sé,

...« Costui, se fosse profeta, saprebbe che donna è questa che lo tocca; perché è una peccatrice » (v. 39).

Tenuto conto che il tipo di parlare del fariseo dentro di sé, aveva il senso di giudicare quella donna, per Gesù, invece, che lesse e valutò il pensiero di quell’uomo, non poteva rimanere silenzioso, come se tutto fosse stato normale. A questo punto Luca precisa che Gesù rispose al modo di pensare del fariseo, dicendo:

E Gesù, rispondendo gli disse: « Simone, ho qualcosa da dirti ». Ed egli: « Maestro, di’ pure ».
« Un creditore aveva due debitori; l’uno gli doveva cinquecento denari e l’altro cinquanta.
E poiché non avevano di che pagare condonò il debito a tutti e due. Chi di loro dunque lo amerà di più? »
Simone rispose: « Ritengo sia colui al quale ha condonato di più ». Gesù gli disse: « Hai giudicato rettamente ».
E, voltatosi verso la donna, disse a Simone: « Vedi questa donna? Io sono entrato in casa tua, e tu non mi hai dato dell’acqua per i piedi; ma lei mi ha rigato i piedi di lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli.
Tu non mi hai dato un bacio; ma lei, da quando sono entrato, non ha smesso di baciarmi i piedi.
Tu non mi hai versato l’olio sul capo; ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi.
Perciò, io ti dico: i suoi molti peccati le sono perdonati, perché ha molto amato; ma colui a cui poco è perdonato, poco ama ».
Poi disse alla donna: « I tuoi peccati sono perdonati ».
Quelli che erano a tavola con lui, cominciarono a dire in loro stessi: « Chi è costui che perdona anche i peccati? »
(7:40-49).

Senza dubbio il fariseo sarà rimasto a bocca chiusa, da quello che Gesù disse, e, probabilmente meravigliato, visto che egli non si aspettava una simile risposta, al suo modo di parlare dentro di sé.

Gesù, nella parabola che espose, non negò i molti peccati che aveva quella donna, ma dichiarandoli, mise anche in evidenza che tutto quello che lei compì, lo fece motivato dal suo grande amore. Davanti ad una simile costatazione, Gesù non poteva rimandare a casa quella donna, carica dei suoi molti peccati, ma la licenziò, dicendole: « I tuoi peccati sono perdonati ».

È davanti a questa scena che gli astanti dicono, « Chi è costui che perdona anche i peccati? ». Per costoro che non credevano che Gesù potesse pronunciare quelle parole, perché era un uomo, e non Dio, era inconcepibile; mentre se avessero creduto che Gesù era Dio fatto carne, non avrebbero avuto niente da obbiettare alla sua parola. Infine, se Gesù perdona i peccati, è perché Egli, essendo Dio, ha il potere di perdonarli.

Il terzo e ultimo testo, afferma:

Gesù diceva: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Poi divisero le sue vesti, tirandole a sorte (Luca 23:34).

Anche qui la scena e il contesto è ben diverso dai due precedenti passi che sono stati esaminati. Qui è Gesù che chiede al Padre, perdona loro..., siccome però, la specificazione che fa, ha un gran significato, vale la pena approfondirla, per cercare di comprendere la sua profondità.

La frase, «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno», è una delle sette che Gesù pronunciò alla croce. Da quello che leggiamo, specialmente in Luca che la riporta, sembra, con buona probabilità, che quelle parole furono dette al principio della crocifissione, cioè, quando Gesù venne disceso sulla croce per essere inchiodato, prima che la stessa venisse innalzata. Se questo è vero, la frase in questione, fu la prima che Gesù pronunciò.

Gesù sapeva molto bene, che i suoi crocifissori, anche se l’esecuzione materiale la stavano compiendo i romani, però fu eseguita a seguito della decisione che prese il Sinedrio Giudaico. Tenuto conto che i romani, nella persona del governatore Ponzio Pilato, avevano riconosciuto l’innocenza di Gesù e che lo stesso gli venne dato nelle loro mani, per invidia dei Giudei, tutti, romani e Giudei, erano responsabili di quella esecuzione.

Per Gesù, i crocifissori che stavano eseguendo su di Lui la crocifissione, erano persone prive di conoscenza. In che senso bisogna intendere quell’affermazione? Era veramente vero quello che Gesù aveva affermazione? Se quelle parole l’avessero detto uno dei capi religiosi Giudaici, o uno dei romani, magari lo stesso governatore Ponzio Pilato, ci sarebbero state tutte le ragioni per non crederlo, poiché loro erano pienamente consapevoli, almeno da parte dei Giudei, che, una volta che Gesù si era autodefinito “Figlio di Dio”, meritava la morte, senza pietà. Quindi, per i Giudei, in un modo particolare, fare crocifiggere Gesù dai romani, era la maniera più sicura per liberarsi di un seduttore, quale veniva da loro considerato (cfr. Matteo 27:63).

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07/05/2012 00:05

Ma per Gesù, che conosceva pienamente che il male non veniva fatto alla sua persona, ma se lo operavano quelli che lo stavano mettendo a morte, giustamente prega: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Quale era il vero motivo che spinse Gesù a formulare quella preghiera? Indubbiamente, la Sua compassione e il Suo grande amore per quei peccatori e per tutti quelli dell’intera umanità.

Se Gesù, per esempio, in quel giorno, avesse chiesto al Padre, di vendicare la sua innocenza, avrebbe dato la più eloquente prova, di non essere degno di essere imitato, di seguirlo. Ma poiché Egli invocò il perdono per i loro crocifissori, dimostrò con i fatti, e non con le sole parole che, Lui, veramente amava. Più tardi, un suo amato discepolo, di nome Stefano, un momento prima di spirare, sotto le pietre che gli cadevano addosso, pregò il suo Signore, dicendogli « Signore, non imputar loro questo peccato ». E detto questo si addormentò (Atti 7:60).

PS: Se al termine del capitolo 1 ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo


Capitolo 2




ESORTATI A PERDONARE



Nota introduttiva

In questo capitolo raccoglieremo quei testi che, esplicitamente, esortano a perdonare. In questo modo, avremo modo di considerare i vari contesti, per meglio valutare l’argomento e tradurlo sul piano pratico. Perdonare, infatti, non è un argomento da collocare sul piano intellettuale, immagazzinando concetti e definizioni teologiche, per esporli, nella stessa maniera di una materia scolastica. Anche se i concetti e le definizioni teologiche sono importanti, ai fini di conoscere la verità nella sua giusta dimensione, quando però tutto rimane sul piano mentale, la verità in se stessa, viene sfigurata e svuotata nella sua essenza, e, nello stesso tempo, perde la sua efficacia.

Mentre se i concetti e le definizioni teologiche, vengono incanalate sulla vita pratica, a parte che è tutta un’altra cosa, la stessa verità acquista quella dinamicità che la renderà efficacie nella condotta e nel temperamento della vita umana. D’altra parte, la stessa Scrittura c'invita a mettere in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi (Giacomo 1:22). Lo stesso Giacomo c'esorta ad essere coerente tra il nostro parlare e il nostro agire. Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà (Giacomo 2:12).

Infine, per non aprire un capitolo a parte, inseriremo la preghiera del “Padre nostro”, visto che in essa si chiede di perdonarci. Ciò sarà fatto, all’inizio, cioè, partendo da questa preghiera. Per il testo, useremo quello di Luca, mentre citeremo Matteo, per l’affermazione che Gesù fece al termine del Padre nostro.

Padre nostro

Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite: "Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà sulla terra, come nel cielo.
Dacci di giorno in giorno il nostro pane necessario.

E
perdona i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore; e non esporci alla tentazione, ma liberaci dal maligno[/C[ (Luca 11:2-4) (N.D.).

Questa semplice preghiera che Gesù insegnò ai Suoi discepoli, secondo quello che ci riferisce Luca, nacque dal fatto che dopo che Egli finì di pregare, (rimasero probabilmente toccati dal Suo modo di pregava?), spinse qualcuno dei Suoi a chiedere:

E avvenne che egli si trovava in un certo luogo a pregare e, come ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli" (Luca 11:1).

Non abbiamo nessun riferimento, nel Nuovo Testamento, dell’insegnamento che Giovanni (si intende il Battista) diede ai suoi discepoli intorno a pregare. Questo, però, non significa che la notizia che Luca ci ha trasmesso, non sia vera. Considerando obbiettivamente la cosa, non vediamo ragioni plausibili, per negare la veracità della notizia in questione. D’altra parte, lo stesso Luca, a modo di esempio, nel libro degli Atti, ci parla di un detto di Gesù, che Paolo citò davanti agli anziani di Efeso, che non si trova traccia, in nessuna parte del Nuovo Testamento.

In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: "Vi è più gioia nel dare che nel ricevere" » (Atti 20:35).

Comunque, chiusa la parentesi, accettiamo per vero che Giovanni insegnò ai suoi discepoli a pregare. La nostra riflessione, ora si incentrerà, sulla preghiera che Gesù insegnò, visto che gli evangelisti, Matteo e Luca, ci hanno trasmesso le parole. È una nostra convinzione (e crediamo di non essere soli) a prestare fede che, il “Padre nostro”, non sia una preghiera da recitare, nella maniera come si ripete una poesia, per esempio, ma da servire come modello. Infatti, questa convinzione, si basa e si trova in piena armonia con un detto della Scrittura che afferma di pregare

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[Modificato da Domenico34 07/05/2012 00:06]
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08/05/2012 00:14

in ogni tempo con “ogni sorta di preghiera” e di supplica nello Spirito, vegliando a questo scopo con ogni perseveranza e preghiera per tutti i santi (Efesini 6:18).

Se si accetta che la preghiera del “Padre nostro”, serve come “modello” a tutte le preghiere, si può meglio apprezzare il valore di ogni singola parola che la compone. L’orante che tiene presente questa preghiera, sa, infatti, che quando si rivolge a Dio, non sta pregando un estraneo, o un gran monarca, seduto splendidamente su un trono d’avorio o di oro, ma sta parlando con suo Padre. Questo semplice pensiero, ci porta a realizzare quella dolce comunione, tra noi a Dio, non si tratta dunque, di un essere che se ne sta lontano dall’uomo e pensa solamente ai fatti suoi, ma di uno che si interessa a venirgli in aiuto, in soccorso, nella stessa maniera come fa un padre terreno con i suoi figli. Logicamente, il paragone serve semplicemente per darci un’idea, fermo restante l’enorme differenza che c’è tra il Padre celeste, e il padre terreno. Gesù, ai suoi giorni, per far comprendere quello che compiva il Padre celeste, nei confronti dei Suoi figli, affermava:

E chi è quel padre fra di voi che, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? O se gli chiede un pesce, gli dia invece un serpente?
Oppure se gli chiede un uovo, gli dia uno scorpione?
Se voi, dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono! »
(Luca 11:11-13)

Nonostante che il Padre, al quale si rivolge l’orante, ha la sua dimora in cielo, quindi, un’enorme distanza dalla terra, Egli, in virtù della Sua Onnipresenza, si trova in ogni luogo, proprio vicino ad ognuno che lo invoca, esattamente come afferma la Bibbia.

Il SIGNORE è vicino a tutti quelli che lo invocano, a tutti quelli che lo invocano in verità (Salmo 145:18).

Sorvolando tutte le altre parole, solamente per attenerci al nostro specifico argomento, l’orante chiede: perdona i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore. Chiedere al Padre celeste di perdonare i nostri peccati, significa che il supplicante li riconosce e non ha nessuna vergogna a confessarli.

D’altra parte, la confessione non si fa a un uomo, ma al Padre celeste, il quale promette che quando l’essere umano si avvicina a Lui, Lui si approssima all'uomo, secondo l’affermazione dell’apostolo Giacomo.

Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! (Giacomo 4:8).

Con una tale confidenza, e, sapendo che questo tipo di richiesta è gradito al Padre celeste, l’orante può contare sulla Sua benevolenza che la sua richiesta sarà sicuramente esaudita, il che significa che riceverà il perdono dei suoi peccati. Tenuto conto che il perdono dei peccati non si ottiene per meriti personali, ma unicamente per la benignità e misericordia di Dio, cioè, per la Sua grazia, il benefattore, dovrà sentire come un obbligo, di perdonare ad ogni suo debitore. In questo modo, il ricevimento del perdono dei propri peccati, diventerà un chiaro segno di riconoscenza e gratitudine verso chi l’ha concesso, nel momento in cui si perdonerà agli altri.

Ecco perché Gesù afferma:
Beati i misericordiosi, perché a loro misericordia sarà fatta (Matteo 5:7).
Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro
(Luca 6:36).

La stessa verità ribadiva l’apostolo Paolo, quando affermava:

Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo (Efesini 4:32).

Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati (Colossesi 2:13).

Un’esortazione a perdonare gli uomini


Ritornando al “Padre nostro”, occupiamoci dell’affermazione di Gesù, che Matteo riferisce.

Perché se voi perdonate agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi;
ma se voi non
perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe (Matteo 6:14-15).

In questi due versi, si parla specificatamente degli uomini, questo significa che una cosa è esprimersi in termini di fratelli, e ben altro degli uomini. Per “uomini”, in questo passo, s’intende persone che non aderiscono alla fede del nostro Signor Gesù Cristo, cioè, che non è nel numero dei credenti, dei seguaci di Gesù, o come spesso si dice, non è salvato. Con questa terminologia, non intendiamo assolutamente fare una certa discriminazione, lanciare un certo disprezzo, o peggio ancora, formulare un giudizio verso qualcuno; intendiamo semplicemente riferirci a persone che non seguono il Signore, secondo la verità del vangelo.

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09/05/2012 00:05

Ebbene! Per costoro, c’è un preciso e severo avvertimento per i discepoli di Gesù, che afferma: se voi non[.C[ perdonate agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe, quindi la conseguenza sarebbe grave e si ripercuoterebbe per la vita futura, cioè per l’eternità. Infatti, non avere il perdono delle proprie colpe, cioè dei peccati, da parte del Padre celeste, significa che per chi si trova in quella condizione, non ci sarà nessuna possibilità di entrare in cielo. Nel cielo entreranno solamente persone, i cui peccati sono stati perdonati e imbiancati dal sangue di Gesù.

Per quanto riguarda la vita religiosa con le sue preghiere di richieste che si innalzano a Dio, per qualsiasi bisogno, Gesù avverte che le richieste potranno essere bloccate, se c’è qualche ostacolo, che sarebbe:

Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate; affinché il Padre vostro, che è nei cieli vi perdoni le vostre colpe.
Ma se voi non perdonate, neppure il Padre vostro che è nei cieli perdonerà le vostre colpe (Marco 11:25-26).

Questa è una norma che riguarda sia il rapporto con gli uomini e sia con i fratelli. Perciò il credente, in maniera particolare, dovrebbe esercitare un severo controllo su se stesso, affinché tutto ciò che è di ostacolo, sia rimosso.

«Non giudicate, e non sarete giudicati; non condannate, e non sarete condannati; perdonate, e vi sarà perdonato (Luca 6:37).

Il non “giudicate” e il non “condannate”, si riferisce sia per gli uomini e sia per i fratelli. È una norma che riguarda la vita associata, senza fare nessuna distinzione, tra chi crede e chi non crede; perciò il credente, in modo particolare, dovrà agire con molta attenzione, intorno al suo comportamento.

Una norma che riguarda il perdono tra fratelli


State attenti a voi stessi! Se tuo fratello pecca, riprendilo; e se si ravvede, perdonalo.
Se ha peccato contro di te sette volte al giorno, e sette volte torna da te e ti dice: "Mi pento," perdonalo » (Luca 17:3-4).

Le parole iniziali di questo passo, State attenti a voi stessi! Suonano come un campanello dall’arme per far comprende ai discepoli di Gesù che la raccomandazione-esortazione che segue, non solo è molto seria da non trascurare, ma è anche importante sotto il profile della vita pratica, trattandosi di atteggiamenti, che possono avere delle svolte e delle ripercussioni, per ciò che riguarda il proseguimento del cammino cristiano.

Peccare tra fratelli, non è insolito, anche se non si specifica che tipo di peccato si può commettere. Se Gesù, nel suo insegnamento, avesse avuto davanti a sé un tipo di peccato, sicuramente l’avrebbe specificato. Quindi, visto che non c’è stata nessuna specificazione, l’avvertimento-esortazione è di carattere generale, che comprende sia l’azione che il parlare. Infatti, ci sono peccati che si manifestano con delle precise azioni che si compiono, e ce ne sono altri che si commettono con le parole. Sparlare, o diffamare, per esempio, sono peccati che si commettano con le parole.

Qualunque sia il peccato che si commette contro un fratello, Gesù insegna cosa bisogna fare, riprendere il fratello, nella speranza che lo stesso, vedendosi ripreso, riconosca il suo peccato, e, se si ravvede, dicendo chiaramente: "Mi pento", deve essere perdonato; questo però significa, che il fratello ripreso, potrebbe anche non riconoscere di aver peccato, di conseguenza, rifiuterà di ravvedersi e di pentirsi.

Fatta questa precisazione, Gesù affronta il problema di quante volte il fratello pecca e di quante volte perdonare. Peccare sette volte il giorno, anche se non rientra nella normalità, nel senso che non è sicuramente all’ordine del giorno, un simile comportamento, e sette volte il giorno c’è il pentimento, Gesù è categorico: perdonalo.

A questo punto, fare riferimento alla domanda che Pietro rivolse a Gesù, intorno al perdono, non solo rientra nella logica, ma è anche attinente all’argomento che stiamo trattando.

Allora Pietro si avvicinò e gli disse: « Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte? »
E Gesù a lui: « Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette
(Matteo 18:21-22).

La domanda che sorge spontanea, è: perché Pietro chiese al Maestro se si doveva perdonare fino a sette volte? Perché c’era un insegnamento rabbinico che circolare, come tradizione che si tramandava che, il perdono, non doveva superare tre volte. Quindi, Pietro, fu molto generoso, a parlare di sette volte. Visto, però, che Pietro ponesse un preciso limite, anche se fosse stato più del doppio di quanto avevano stabilito i rabbini, Gesù non poteva accettare quella limitazione. Settanta volte sette, letteralmente parlando, equivale a 490 volte. Si direbbe un numero abbastanza rilevante! Però, il significato di quell'espressione, anche se ci vorrà molto tempo per arrivare a quella somma (ammesso che si raggiungerà quella cifra), rimane sempre una limitazione; non era sicuramente questo che Gesù voleva intendere, ma perdonare senza limitazione, cioè, per sempre.

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10/05/2012 00:20

Sono perfettamente convinto che tra fratelli, non ci siano peccati che non si possono perdonare, anche quelli che comunemente si chiamano peccati di onore, se si vorrà, si possono assolvere. Se quest'insegnamento, che tocca da vicino la suscettibilità dell’uomo, viene accettato e praticato, i tanti problemi che sorgono facilmente in mezzo alla cristianità, arriverebbero facilmente a felice soluzione.

A chi voi perdonate qualcosa, perdono anch’io; perché anch’io quello che ho perdonato, se ho perdonato qualcosa, l’ho fatto per amor vostro, davanti a Cristo (2 Corinzi 2:10).

Per valutare giustamente la portata delle parole del nostro testo, è necessario tenere presente quello che viene riferito nei versi precedenti. Anche se l’apostolo non specifica il torto che la persona in questione ha commesso (alcuni pensano che il riferimento è per l’uomo incestuoso, del capitolo 5, della prima ai Corinzi), è però certo che egli, faccia appello all’ubbidienza della fratellanza, in ciò che egli invita a procedere, in maniera benevola, dei confronti del colpevole, perché questi, non finisca ad essere sopraffatto dalla troppa tristezza. Ora, giustamente l’apostolo vuole partecipare con la comunità, a mettere in pratica l’amore e il perdono verso il colpevole, offrendo anche lui il perdono, visto che la fratellanza è stata ubbidiente alla sua raccomandazione, nel restaurare la persona che nel passato, è stata oggetto di un provvedimento disciplinare, punitivo. Egli, giustamente può dire: a chi voi perdonate qualcosa, perdono anch’io, specificando che lo farà per amore della fratellanza, davanti a Crito.

Questo è un buon esempio che, ognuno di noi dovrebbe imparare ed apprezzare, mettendolo in pratica, massimamente un conduttore, un responsabile di comunità. In ultima analisi, quando in una comunità, prevale l’amore, che copre moltitudini di peccati (1 Pietro 4:8), i problemi di perdonare i colpevoli, verranno facilmente risolti.

Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità (1 Giovanni 1:9).

Infine, anche se il detto di Giovanni riportato, si riferisce a Dio che perdona i peccati del peccatore che gli vengono confessati, dobbiamo sempre imparare da Lui, imitarlo in quello che Egli compi, facendo lo stesso anche noi.

Quel che non si dovrà mai dimenticare


Uno dei tanti testi che non bisognerebbe mai dimenticare, per inquadrarlo in questo paragrafo, si trova nel Salmo 103 scritto da Davide.

Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello ch’è in me, benedica il suo santo nome.
Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici.
Egli
perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità;
salva la tua vita dalla fossa, ti corona di bontà e compassioni;
egli sazia di beni la tua esistenza e ti fa ringiovanire come l’aquila.
Il SIGNORE agisce con giustizia e difende tutti gli oppressi.
Egli fece conoscere le sue vie a Mosè e le sue opere ai figli d’Israele.
Il SIGNORE è pietoso e clemente, lento all’ira e ricco di bontà
(Salmo 103:1-8).

Anche se le parole di questo passo, possono essere definite un monologo con il suo autore, sono capaci di essere usate da ognuno di noi, per tenere vivo e palpitante la visione della bontà e della clemenza del nostro Dio.

e a causa pure del sangue innocente che egli aveva sparso, e di cui aveva riempito Gerusalemme. Per questo il SIGNORE non volle perdonare (2 Re 24:4).

Il detto del nostro testo è riferito ad Ioiachim, re di Giuda. Il fatto che si affermi che il Signore non volle perdonarlo, perché aveva sparso sangue innocente, e di cui avvera riempito Gerusalemme, ci sembra di capire che se a questo re accadde ciò, nonostante i suoi atti orrendi, sia stato per non essersi veramente pentito che, immancabilmente, avrebbe permesso a Dio di perdonarlo. Un esempio per confermare ciò, lo troviamo nella persona di Davide. Di Davide, per esempio, la Scrittura afferma che, Dio non gli permise di costruire il tempio che aveva avuto in cuore, a motivo del molto sangue versato.

ma la parola dell’Eterno mi fu rivolta, dicendo: "Tu hai versato molto sangue e hai fatto molte guerre; perciò non costruirai una casa al mio nome, perché hai versato molto sangue sulla terra davanti a me (1 Cronache 22:8).

Anche se il testo non specifica che, in quel sangue versato, ci sia da escludere quello innocente, non si può, però essere categorici nel pensare che, fra i tanti decessi, non ci sia anche il sangue degli innocenti. E poi, pensando a certe torture che inflisse a certe persone, che furono veramente orrende, Dio, avrebbe dovuto precludergli il perdono, cosa che invece non gli mancò mai. Perché? Perché Davide, nei suoi molti peccati che commise, trovava sempre il modo di pentirsi veramente, in conseguenza di ciò, trovava sempre Dio, pronto a perdonarlo, secondo quello che lo stesso Davide affermò in uno dei suoi Salmi.

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