Domenico34 – Profeti e profezia nel Nuovo Testamento – Capitolo 8. L’INSEGNAMENTO DI PAOLO PER QUANTO RIGUARDA PROFETI E PROFEZIA

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Domenico34
00domenica 29 maggio 2011 00:08

Capitolo 8




L’INSEGNAMENTO DI PAOLO PER QUANTO RIGUARDA PROFETI E PROFEZIA




L’insegnamento che Paolo fornisce, riguardante profeti e profezia, è molto vasto e dettagliato, da permettere di guardare l’argomento sotto diverse angolature, che nessun altro scrittore del Nuovo Testamento ha affrontato nella stessa maniera.

Quello che Dio ha posto nella chiesa

E Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue.
Sono forse tutti apostoli? Sono forse tutti profeti? Sono forse tutti dottori? Fanno tutti dei miracoli?
Tutti hanno forse i doni di guarigioni? Parlano tutti in altre lingue? Interpretano tutti?
Voi, però, desiderate ardentemente i doni maggiori! Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza
(1Corinzi 12:28-31).

Il concetto di chiesa del nostro passo, non è quello di una comunità locale, bensì quello dell’intera collettività dei credenti disseminati in tutta la terra. Anche se Paolo sta parlando con la comunità di Corinto e la sua epistola è indirizzata a loro, il riferimento che egli fa della chiesa, non ha niente a che vedere con una comunità locale. Sotto quest'aspetto, il porre di Dio nella chiesa, di apostoli, profeti e dottori, ha un senso molto largo e abbraccia tutte le comunità, grandi e piccole, sotto un solo capo: Gesù Cristo. Inoltre, se nella chiesa ci sono gli apostoli, i profeti e i dottori, non lo è per volontà di Paolo, ma per esplicita determinazione di Dio, che lo ha chiaramente voluto. Se si tiene in debito conto quest'elemento fondamentale, che rappresenta il cardine di tutta l’argomentazione che l’apostolo farà sull’argomento dei profeti e delle profezie, si potrà meglio valutare e comprendere l’insegnamento dell’apostolo, ed apprezzarlo nel suo insieme, senza estrapolarlo dal suo ampio contesto, per fargli dire una cosa diversa dalla volontà del suo autore.


D’altra parte, la chiesa di Gesù Cristo (Matteo 16:18), o la chiesa di Dio, (Atti 20:28; 1Corinzi 1:2; 10:32; 11:22; 15:9; 2Corinzi 1:1; Galati 1:13; 1Timoteo 3:5), come viene definita dalle Scritture, non è un’organizzazione, ma un vivente organismo diretto e controllato dallo Spirito Santo. Se lo Spirito di Dio non ha il controllo e il posto che gli compete nella chiesa, quest’ultima, con ragione, non si potrà chiamare più chiesa di Dio, sarà semplicemente un’associazione di uomini e di donne, con intenti e direttive umane. Se il Signor Gesù, si è impegnato ad edificare la Sua chiesa (Matte 16:18), l’ha fatto e lo farà sempre per mezzo dello Spirito Santo, che guida i credenti in tutta la verità (Giovanni 16:13). Pertanto, i profeti e le profezie, essendo ispirati dallo Spirito Santo nel loro svolgimento, hanno appunto come obiettivo e punto di riferimento l’edificazione della chiesa e non i non credenti (1Corinzi 14:4,22).

Il fatto che Paolo precisi che è stato Dio a porre nella chiesa i profeti che, per mezzo di loro, c’è anche la profezia, non voleva assolutamente limitarla alla sola era apostolica, ma estenderla ad ogni epoca. Se all’opera di Dio, si pone una certa limitazione nel tempo, si intacca seriamente il concetto dell’universalità e si rischia di fraintenderla, e, come conseguenza, invece di favorire il lavoro dello Spirito di Dio, si finisce con l’ostacolarlo per non parlare di rifiutarlo nelle sue svariate manifestazioni. Quando accade questo strano fenomeno, (che poi la storia del cristianesimo attraverso i secoli è piena di tali fenomeni) accade lo sviamento, che consiste nell’allontanarsi dai sani insegnamenti della Parola di Dio per cedere a vedute e considerazioni umane.

I profeti al servizio della chiesa e per la sua edificazione

lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori,
per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo,
fino a che tutti giungiamo all’unità della fede e della piena conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomini fatti, all’altezza della statura perfetta di Cristo;
affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore;
ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo.
Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare sé stesso nell’amore
(Efesini 4:11-16) [Per conoscere l’ampia spiegazione che viene fornita su questo testo di Efesini 4:11-16, considerato dai commentatori un lungo periodo, consigliamo di leggere quello che hanno scritto questi due autori: Ernest Best, Efesini, pagg. 447-475 e Heinrich Schlier, La lettera agli Efesini, pagg. 307-329].

Efesini 4:11-16, considerato dai commentatori un lungo periodo, è generalmente conosciuto da tutti gli studiosi della Bibbia, come il testo che parla dei cinque ministeri che Cristo ha dato alla Sua chiesa, apostoli, profeti, evangelisti, pastori e dottori, specificandone anche lo scopo e la finalità, come vengono chiaramente indicati:

1) per il perfezionamento dei santi;
2) l’edificazione del corpo di Cristo;
3) l’unità della fede;
4) la conoscenza del Figlio di Dio, in uno stato di uomini fatti e all’altezza della statura perfetta di Cristo;
5) per non essere sballottati come bambini da ogni vento di dottrina;
6) per seguire la verità nell’amore;
7) per crescere in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo;
8) in modo che tutti traggono il proprio sviluppo, nella misura del vigore di Ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore.

Dallo schema così dettagliato che l’autore di Efesini fornisce, oltre che c’è tanto da riflettere, possiamo anche comprendere come l’apostolo valutava l’attività ministeriale nel suo complesso e nel suo svolgimento, senza mettere in mostra il ministro che lo esercita. D’altra parte, se l’apostolo accentra la sua esposizione in questo modo, lo fa perché consapevole che nessun dono o ministero viene conferito, per l’uso personale di chi lo riceve, ma solamente per il beneficio del corpo di Cristo, che è la Sua chiesa. Rientra quindi nella logica e nella coerenza teologica esaltare il donatore dei ministeri, cioè Gesù Cristo, anziché chi lo riceve, cioè l’uomo, tenendo sempre presente che, chi riceve un particolare carisma spirituale, deve essere considerato solamente uno strumento umano usato dal Signore e dallo Spirito Santo, per scopi e fini divini.

1) Il perfezionamento dei santi

I santi, cui parla il testo, non sono credenti che vivono in uno stato di beatitudine, vale a dire in cielo; si trovano sulla terra, perché appunto non hanno ancora raggiunto quella maturità spirituale, per questo motivo hanno i loro difetti e commettano certi errori. Sono loro, infatti, che usufruiranno il beneficio dell’attività ministeriale con il preciso scopo di perfezionarli.

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Domenico34
00lunedì 30 maggio 2011 00:07
Il perfezionamento della vita del credente, oltre ad essere un lento processo che si estende per tutto l’arco della durata della permanenza sulla terra, viene portato a compimento dallo Spirito Santo per mezzo dei ministeri che Gesù Cristo ha dato la Sua chiesa. L’opera del ministero si può paragonare al lavoro che viene svolto in un’officina. Tutti i materiali che entrano in un'officina, di solito si trovano nello stato grezzo, vale a dire hanno bisogno di una particolare lavorazione per diventare oggetti preziosi, attrezzi di lavori pronti per l’uso. Se, per esempio, è un metallo senza nessuna forma, dopo che l’artigiano lo avrà lavorato, potrà diventare un attrezzo di lavoro e servire per un determinato uso; se invece è argilla, dopo che sarà ultimata la lavorazione in tutte le sue fasi, uscirà un vaso che servirà per contenere qualcosa di prezioso o per adornare un ambiente.

Il perfezionamento, consistente nell’eliminazione dei vari difetti che i credenti hanno nella loro vita, viene portata a compimento dallo Spirito Santo per mezzo dell'attività ministeriale. Quando si pensa all’esortazione, per esempio, derivata dall’attività ministeriale della profezia (1Corinzi 14:3), si può meglio comprendere il valore del perfezionamento che produce nella vita dei santi. Infatti, l’esortazione in sé, non ha mai lo scopo di fare allontanare una persona dalle vie del Signore, scandalizzarla e fargli perdere il suo zelo, ma conduce il credente nella consapevolezza dei suoi difetti e dei suoi errori, allo scopo di eliminarli per raggiungere quel livello di perfezionamento.

2) l’edificazione del corpo di Cristo

Una delle immagini che l’apostolo adopera per parlare della chiesa del Signore, è quella di presentarla come il corpo di Cristo: Cristo viene indicato come il capo e la chiesa, il suo corpo. Nel concetto di corpo, bisogna tener presente i vari membri che lo compongono, anche se non tutti i membri sono uguali, non solo per quanto riguarda la forma, ma anche e soprattutto perché non tutti svolgono la medesima funzione, però tutti contribuiscono per il bene dell’intero corpo. Questo significa, per usare l’argomentazione di Paolo che, nessun membro, sia quello più importante, come per esempio l’occhio, la mano, il piede come anche quello più piccolo e il meno appariscente può considerarsi indipendente, nel senso cioè che non ha bisogno di altri membri, perché tutti hanno bisogno l’uno dall’altro (cfr.1Corinzi 12:12-27).

Il corpo di Cristo è composto di tutti i seguaci di Gesù, cioè di tutte quelle persone che lo hanno ricevuto nella loro vita come il loro personale Salvatore e Signore; che hanno creduto nel Suo nome ed hanno ricevuto la Sua parola. Infatti, in questo numero ci sono uomini e donne, bianche e persone di colore; ebrei e gentili, colti e ignoranti, ricchi e poveri, insomma ci sono persone di ogni condizione e strato sociale. Questa varietà però, nella sua totalità, non mette in discussione che i suoi membri non abbiano bisogno di essere edificati. Per evitare di incorrere un'imprecisione, l’elemento edificativo cui parla chiaramente l’apostolo, non solo è al centro di tutta l’argomentazione che egli fa, ma è anche un elemento troppo importante per essere sottovalutato. Edificare, cioè costruire, mettere un mattone sopra l’altro, in pratica è l’opposto di demolire. L’opera del ministero, per mezzo delle varie strumentalità umane, guidate dallo Spirito di Dio, ha questa finalità; se ciò non avviene e non viene compiuto, è prova che quello che si fa, in grande o in piccolo, è solamente opera umana che, particolarmente cerca il proprio interesse e la propria utilità. Se Gesù ha promesso di edificare la Sua chiesa (Matteo 16:18), questo lavoro Egli lo compie essenzialmente per mezzo dello Spirito Santo e l’attività ministeriale.

3) l’unità della fede

L’unità della fede è un altro obiettivo cui mira l’opera del ministero. Se i membri del corpo di Cristo, cioè la chiesa nella sua totalità, hanno bisogno di essere perfezionati, edificati, ciò lo è ai fini che tutti raggiungano l’unità della fede. In mezzo alla società, spesso si usa un detto, che ha la sua importanza: L'unità fa la forza, per esprimere l’importanza di raggiungere certi traguardi e certe mete. Se quest'affermazione ha la sua importanza per quanto riguarda gli affari della vita associata in tutti i suoi aspetti, lo è maggiormente per ciò che concerne la vita cristiana in tutti i suoi aspetti, sia per quanto riguarda le singole persone come anche per l’intera collettività.

Stare insieme per ciò che riguarda un raggruppamento di persone, non significa necessariamente che si cura l’unità della fede. Due o più persone, in pratica, possono stare insieme e non essere nello stesso tempo uniti nella fede. La fede di cui si parla, è senza dubbio quella in Cristo Gesù, con la quale, non solo si è salvati, ma si possono anche sperimentare le promesse divine.

L’opera del ministero non separa i credenti per farli agire ognuno a modo proprio, spingendoli ad ignorarsi a vicenda; anzi li indirizza verso quel traguardo che è appunto il raggiungimento dell’unità della fede. Tutto ciò che non ha quest'obiettivo, è semplicemente un’opera della carne.

4) la conoscenza del Figlio di Dio, in uno stato di uomini fatti e all’altezza della statura perfetta di Cristo

La conoscenza di Cristo, quale Fglio di Dio, cui si fa riferimento, non è certamente quell'infantile, di cui si ha all’inizio della conversione, ma quella di uomini maturi, cioè sviluppati, che raggiunge la statura perfetta di Cristo. Questo significa che man mano che si è edificati e si crescerà nella vita cristiana, la conoscenza del Figlio di Dio, non solo aumenterà, ma si svilupperà a tal punto da raggiungere quel livello di essere definita una statura perfetta. Questo naturalmente non avviene in un giorno, in una settimana, in un mese e neanche in un anno, ma con il passare del tempo, specie quando si è interessati per le cose di Dio e si è perseveranti nel seguire le direttivi divine. Lo sviluppo e avanzamento, non sarà solamente per ciò che riguarda la vita privata del singolo seguace di Gesù Cristo, ma avrà anche di mira la fermezza della fede, in vista dei vari venti di dottrina che soffieranno.

5) per non essere sballottati come bambini da ogni vento di dottrina

Essere sballottati da ogni vento di dottrina, in pratica significa che non si è fermi, radicati e fondati su quello che si crede. Questa condizione, naturalmente, è quella di un bambino che non ha un'adeguata conoscenza del Signore e della sana dottrina, per questo facilmente potrà essere smosso dalla verità. In definitiva, il crescere nella conoscenza del Figlio di Dio fino a raggiungere quello stato di uomini fatti, servirà anche per essere preservati da ogni possibile sbandamento e deviazione dal diritto sentiero, per non correre il rischio di seguire l’errore nelle sue svariate manifestazioni.

6) per seguire la verità nell’amore

Seguire la verità, significa essenzialmente seguire Cristo Gesù, visto che Egli è la verità personificata. Giustamente Paolo, nell’usare la forma singolare e definitiva la verità, vuole mettere in risalto che di verità ce né una sola, non tante: Gesù è la via, la verità e la vita (Giovanni 14:6). Con il detto proverbiale che tutte le strade conducono a Roma, si vuole convincere l’uomo che in ultima analisi, ogni forma di religione ha lo stesso obiettivo di condurre a Dio. Questo però non è vero per quanto riguarda la verità, per il semplice fatto che la Scrittura afferma che è Gesù Cristo, l’unico mediatore tra Dio e l’uomo (1Timoteo 2:5); Egli perciò è il solo che può condurre l’uomo a Dio.
Perché l’apostolo parla di seguire la verità nell’amore? Perché, in effetti, l’amore è il vincolo della perfezione, secondo la sua stessa affermazione: Al di sopra di tutte queste cose rivestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione (Colossesi 3:14) e perché la fede deve operare mediante l’amore (Galati 5:6).

7) per crescere in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo

La crescita del credente nella vita cristiana deve essere verso Chi è definito il capo, cioè Cristo. Questo significa che Cristo rimane il centro della nostra attenzione, il punto di riferimento di ogni nostra attività. L’opera del ministero, persegue appunto, questa finalità.

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Domenico34
00martedì 31 maggio 2011 00:09
8) in modo che tutti traggono il proprio sviluppo, nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare se stesso nell’amore

Non c’è conclusione più significativa nel constatare che lo sviluppo, di cui parla il nostro passo, non è riservato ad alcuni, come per esempio a chi compie un ministero, ma è esteso a “tutti”, senza nessuna distinzione, in modo che ogni singola parte ne tragga il beneficio per edificare se stesso nell’amore.

SPECIFICAZIONI INTORNO AD UN PROFETA E ALLE PROFEZIE

Nel capitolo 14 della prima epistola ai Corinzi, Paolo fornisce ampie specificazioni per quanto riguarda i profeti e le profezie e lo svolgimento del loro ministero. Tenendo come base fondamentale i chiarimenti e le specificazioni che l’apostolo fornisce, seguendolo in tutta la sua argomentazione, si possono avere idee chiare e comprendere il suo insegnamento.

In (1Corinzi 12:28), Paolo stabilisce che è stato Dio a costituire nella chiesa, apostoli, profeti e dottori. Alle sette domande che egli fa seguire, quando chiede:

Sono forse tutti apostoli? Sono forse tutti profeti? Sono forse tutti dottori? Fanno tutti i miracoli? Tutti hanno forse i doni di guarigioni? Parlano tutti in altre lingue? Interpretano tutti?,

la risposta sarà con un perentorio no! Il motivo di questa risposta sta nel fatto che, pur ammettendo, in linea eccezionale che, un credente può essere un apostolo (nel senso largo di questo termine), un profeta, un dottore, fare miracoli, avere doni di guarigioni, parlare in altre lingue e interpretarle, resta però il fatto che non si può negare la differenza che esiste tra apostolo, profeta, dottore, ecc. per considerarli come se fossero puri sinonimi. Tenuto presente che non tutti sono apostoli, profeti, dottori; non tutti fanno i miracoli, hanno i doni di guarigioni; non tutti parlano le lingue e li interpretano, nel senso di ricevere questi carismi, occupiamoci dei profeti e delle profezie, visto che il tema del nostro lavoro si accentra su quest'argomento.

Quello che si afferma in 1Corinzi 14:1-4

Desiderate ardentemente l’amore, non tralasciando però di ricercare i doni spirituali, principalmente il dono di profezia.
Perché chi parla in altra lingua non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno lo capisce, ma in spirito dice cose misteriose.
Chi profetizza, invece, parla agli uomini un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione.
Chi parla in altra lingua edifica se stesso; ma chi profetizza edifica la chiesa
.

In primo luogo il chiarimento che Paolo fa, riguarda il dono del parlare in lingue e quello della profezia. Questi due doni distribuiti dallo Spirito Santo, in particolare com'egli vuole (1Corinzi 12:1-11), nel loro svolgimento, hanno due modi diversi di parlare: il primo, cioè il parlare in lingue, non parla agli uomini, ma a Dio; poiché nessuno lo capisce, ma in spirito dice cose misteriose; il secondo, quello della profezia, invece, è rivolto agli uomini in un linguaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione. La diversità che c’è in questi due doni spirituali, è evidente; non riguarda solamente il fatto che uno è chiamato dono del parlare in lingue, e l’altro dono della profezia, ma riguarda essenzialmente la finalità. In secondo luogo, si mette in evidenza che il dono del parlare in lingue, ha lo scopo di edificare la persona che li parla, mentre il profetizzare ha di mira l’edificazione della chiesa (cioè la collettività) (v. 4).

Facendo questo tipo di chiarificazione, l’apostolo vuole far comprendere alla fratellanza che la superiorità di chi profetizza rispetto a chi parla in altre lingue, non consiste nel semplice fatto che il dono di profetizzare si trova nelle prime posizioni dell’elenco dei doni spirituali e il parlare in lingue in coda alla lista, bensì nella finalità che mirano. Se la profezia ha a che fare con i credenti, vale a dire la chiesa e non il singolo fedele (v. 20), il suo parlare non può essere misterioso e incompressibile, come quello del parlare in lingue che nessuno comprende, ma comprensibile a tutti in modo che la collettività ne tragga beneficio, cioè viene edificata.

Se l’argomentazione di Paolo si inquadra in questo contesto, (che poi è quello che l’apostolo afferma nei primi quattro versetti di 1Corinzi 14), non è difficile comprendere il significato delle tre parole impiegate: Edificazione, esortazione e consolazione. Ai tre termini in questione, generalmente si dà il senso, quasi dogmatico, che profetizzare significa semplicemente esporre un messaggio di edificazione, di esortazione e di consolazione, quasi che fosse un sinonimo di una comune predicazione. Interpretare in questo modo l’insegnamento di Paolo, si dimentica che la predicazione, in certo qual modo, è il risultato di una preparazione accurata, mentre la profezia, che è un parlare estemporaneo ispirato, non richiede nessuna forma di preparazione preventiva. In conseguenza di ciò, nel profetizzare, non ci sono solamente gli elementi dell’edificazione, dell'esortazione e della consolazione, c’è anche l’elemento della predizione, che non ha niente a che vedere con l’intelligenza umana. Questo però non significa che tutti i messaggi profetici contengono predizioni in mancanza dei quali non c’è profezia; però non si può escludere che la predizione, fa parte integrale della profezia.

Che cosa intendiamo per predizione? Quando si parla di predizioni, tipo quelle che fece Agabo con riferimento alla carestia che si ebbe durante l’impero di Claudio (Atti 11:28) e il trattamento crudele che Paolo subì a Gerusalemme (Atti 21:11), non significa che una predizione di questo genere, intacchi o si trovi in contrasto con quello che la Bibbia traccia nelle sue pagine, per quanto riguarda la sorte dell’umanità incredula, per esempio. Si sa, infatti, che su quest'argomento, sia la profezia biblica dell’A.T. come anche quella del N.T., è completa, vale a dire non ha bisogno che si aggiunga altri elementi, come se i profeti dell’A.T., Gesù, Paolo e l’Apocalisse, avessero dimenticato qualcosa.

Mentre se si tratta di un caso personale, cioè di una rivelazione profetica che mette in chiaro qualcosa che si nasconde nell’intimo di quella persona, il discorso è tutto diverso. D’altra parte, quest'elemento si trova nell’argomentazione che Paolo fa in 1Corinzi 14. Ecco le sue parole:

Quando dunque tutta la chiesa si riunisce, se tutti parlano in altre lingue ed entrano degli estranei o dei non credenti, non diranno che siete pazzi?
Ma se tutti profetizzano ed entra qualche non credente o qualche estraneo, egli è convinto da tutti, è scrutato da tutti,
i segreti del suo cuore sono svelati; e così, gettandosi giù con la faccia a terra, adorerà Dio, proclamando che Dio è veramente fra voi
(1Corinzi 14:23-25).

Si noti che, il non credente o un estraneo che entra in un luogo di culto, non sarebbe rimasto colpito o venisse convinto dalle parole di edificazione, di esortazione e di consolazione che i vari credenti proclamano nel loro profetizzare, ma dal sentirsi scrutato da tutti (cioè da quelli che profetizzano) perché i segreti del suo cuore sono svelati. È l’elemento dello svelamento del segreto del cuore, che convincerà il non credente o l’estraneo, che Dio si trova in mezzo a quell’assemblea, di conseguenza sarà spinto a gettarsi con la faccia per terra e adorare Dio.

Condividiamo in pieno quello che ha scritto J.P. Baker:

«Tutti possono essere d’accordo sul fatto che non c’è da attendere alcuna rivelazione nuova che riguardi Dio in Cristo, la via della salvezza, i principi della vita cristiana, ecc. Però non pare esserci alcuna buona ragione per la quale Dio vivente, che parla ed agisce (in contrasto agli idoli morti), non possa usare il dono di profezia per dare una guida locale specifica a una chiesa, a una nazione o individualmente o per ammonire o per incoraggiare mediante la predizione come pure tramite promesse, in pieno accordo con la Scrittura, alla luce della quale devono essere vagliate tutte queste comunicazioni» [J.P. Baker, Dizionaria Biblico GBU, pag, 1281].

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Domenico34
00mercoledì 1 giugno 2011 00:21
Il profetizzare nelle riunioni di culto

Che dunque, fratelli? Quando vi riunite, avendo ciascuno di voi un salmo, o un insegnamento, o una rivelazione, o un parlare in altra lingua, o un’interpretazione, si faccia ogni cosa per l’edificazione.
Se c’è chi parla in altra lingua, siano due o tre al massimo a farlo, e l’uno dopo l’altro, e qualcuno interpreti.
Se non vi è chi interpreti, tacciano nell’assemblea e parlino a sé stessi e a Dio.
Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino;
se una rivelazione è data ad uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia.
Infatti, tutti potete profetare ad uno ad uno perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati.
Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti
(1Corinzi 14:26-32)

Quante sono diverse le riunioni di culto che si tengono ai nostri giorni con quelle che si tenevano ai tempi di Paolo! La varietà di elementi descritti in questa parte dell’epistola, mostra la ricchezza spirituale che c’era in una comunità, quando questa si radunava in assemblea pubblica per offrire il culto al Signore. Che le varie attività che si svolgevano nelle riunioni pubbliche dovevano contribuire per l’edificazione, viene ribadito con forza per ogni partecipante.

Il parlare in lingue, visto che non è attinente al nostro soggetto, mettiamolo da parte, e, fermiamoci a considerare l’attività profetica che si svolgeva nelle riunioni pubbliche, dove non partecipavano solamente i credenti, ma a volte c’erano anche dei non credenti o degli stranieri. In vista di ciò, l’apostolo dà dei precisi suggerimenti come comportarsi, in modo da favorire sia lo svolgimento del culto nel suo insieme e le diverse manifestazioni ministeriali, particolarmente quelle profetiche. Questa norma — se così si può definire —, aveva una precisa finalità, che tutto contribuisse all’edificazione dei partecipanti. Tenuto conto che durante il culto si svolgevano diverse attività, era più che logico che il tutto fosse regolato da un certo ordine, per evitare possibili confusioni, in modo che i credenti ne potessero trarre il maggiore beneficio e i non credenti e gli stranieri, non rimanessero scandalizzati e delusi, da quello che avrebbero potuto sentire e vedere.

Il ministero profetico, cioè il parlare dei profeti doveva essere ordinato nel senso che erano ammessi a parlare due o tre, non tutti in una volta, naturalmente, ma uno dietro l’altro. Questo procedere nelle assemblee pubbliche, era senza dubbio guidato da chi presiedeva la riunione, anche se questo elemento non è menzionato nel nostro passo, ma è da sottintenderlo ai fini di una corretta interpretazione dell’insegnamento di Paolo. Il fatto poi che si precisi che potevano parlare due o tre profeti, dà l’idea che non si trattava di ascoltare due o tre predicazioni, — nel senso più esteso che ha questo termine — (come sovente si collega il profetizzare alla predicazione), ma dei messaggi ispirati, secondo le rivelazioni che i profeti ricevevano.
Siamo perfettamento d’accordo con quanto afferma J.P. Baker:

«Spesso è stato dato per scontato, oppure si è affermato, che in alcun periodo post-apostolico, e dunque anche oggi, possano esserci nella chiesa profezia o profeti nel senso neotestamentario della parola, e molti di coloro che usano il termine “profezia” per descrivere qualsiasi ministero ne hanno spesso diluito il significato rendendolo equivalente a predicazione. Ma sebbene la proclamazione del vangelo, o un ministero d’insegnamento possano a volte avvicinarsi alla profezia, non sono tuttavia la stessa cosa» [J.P. Baker, Dizionaria Biblico GBU, pag, 1281].

L’elemento della rivelazione, com'è chiaramente messo in evidenza dal testo (1Corinti 14:30), deve essere messo in risalto per meglio valorizzare il ministero profetico e comprenderlo nella sua giusta dimensione. Abbiamo detto sopra che il parlare del profeta, oltre ad esprimersi con un linguaggio di edificazione, esortazione e consolazione, compreso da tutti, non era il risultato di una preparazione, nel senso come fanno i predicatori prima di salire sopra i pulpiti, era invece un parlare estemporaneo ispirato, che non richiedeva nessuna preparazione accademica. In altre parole, il profeta non dipendeva dallo studio e dalle ricerche sui manuali di teologia o commentari, come sarebbe avvenuto per i predicatori dei nostri giorni, ma dipendeva esclusivamente dalla rivelazione divina dello Spirito del Signore. In definitiva, il profeta parlava solo se aveva ricevuto una rivelazione divina. Nel suo parlare poteva rivolgere una parola di esortazione, non per sgomentare l’ascoltatore, bensì per correggerlo in qualche devizione in cui era incorso, ai fini di riportarlo nel giusto sentiero. Questo naturalmente, contribuiva all’edificazione e alla consolazione, non solo dell’interessato, ma anche per quanti ascoltavano quel messaggio.

Visto che nel parlare del profeta non c’era solamente, l’edificazione, l’esortazione e la consolazione, — come ripetutamente si afferma —, si poteva benissimo aggiungersi anche la predizione di qualche evento particolare, sia a carattere personale come anche comunitario. Il tipo di parlare predizionale, il profeta lo faceva a seguito di una particolare rivelazione divina che riceveva dallo Spirito di Dio; questo rientrava a pieno titolo nel ministero profetico.

I profeti seduti in assemblee

Anche i profeti parlino in due o tre e gli altri giudichino;
se una rivelazione è data ad uno di quelli che stanno seduti, il precedente taccia.
Infatti, tutti potete profetare ad uno ad uno perché tutti imparino e tutti siano incoraggiati.
Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti,
perché Dio non è un Dio di confusione, ma di pace
(1Corinzi 14:29-33).

Quanti erano i profeti nella chiesa di Corinto, non ci viene dato da sapere, ma sicuramente erano più di tre. Tenuto conto che secondo l’istruzione che Paolo aveva dato ai Corinzi, riguardante il comportamento da tenersi nelle riunioni pubbliche, i profeti ammessi a profetizzare durante il culto erano da due a tre, tutti gli altri rimanevano seduti. La precisazione che fa il testo di giudicare i profeti che parlano, gli altri giudicano, il riferimento è particolarmente ai profeti seduti, visto che loro hanno la facoltà di distinguere, se una profezia è da parte di Dio o meno, senza però escludere gli altri.

Questo si afferma in conformità a due testi del Nuovo Testamento, cioè uno dello stesso Paolo e un altro dell’apostolo Giovanni. Ecco i due passi:

Carissimi, non crediate ad ogni spirito, ma provate gli spiriti per sapere se sono da Dio; perché molti falsi profeti sono sorti nel mondo.
Da questo conoscete lo Spirito di Dio: ogni spirito, il quale riconosce pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio;
e ogni spirito che non riconosce pubblicamente Gesù, non è da Dio, ma è lo spirito dell’anticristo. Voi avete sentito che deve venire; e ora è già nel mondo
(1Giovanni 4:1-3).

Non disprezzate le profezie;
ma esaminate ogni cosa e ritenete il bene
(1Tessalonicesi 5:20-21).

Appare chiaro che questi due passi sono rivolti ai credenti in genere, perché ognuno di loro deve esercitare questo tipo di esercizio di non disprezzare le profezie e di esaminare ogni cosa e ritenere il bene. Ma ritorniamo al testo dei Corinzi. Paolo precisa che mentre il profeta parla, si può verificare che ad un altro profeta che sta seduto gli viene data una rivelazione; in quel caso il primo si taccia, e parli chi ha ricevuto la rivelazione (questo è sottinteso). Da questi chiarimenti che Paolo fornisca, si comprende chiaramente che il profeta, nell’esercizio del suo ministero di profetizzare, è strettamente collegato con la rivelazione divina, che lo porti a comprendere e svelare cose segrete, con l’unico scopo di edificare (e non di produrre sfaceli), esortare e consolare. Siccome l’esercizio del ministero profetico deve svolgersi nell’ordine, cioè non creare confusioni, Paolo precisa che il profeta ha la facoltà di controllarsi, secondo la norma: Gli spiriti dei profeti sono sottoposti ai profeti [Per un maggiore approfondimento, si possono consultare gli articoli di C. M. Robeck, Dizionario di Paolo e delle sue lettere, pagg. 1238-1251; G. Friedrich, GLNT, Volume XI, colonne 621-652].

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e noi risponderemo con premura
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