Domenico34 – Profeti e profezia nel Nuovo Testamento. Capitolo 4. EPISTOLE E APOCALISSE – LA FORMA PLURALE DI PROFETI

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Domenico34
00venerdì 20 maggio 2011 00:10

Capitolo 4




EPISTOLE E APOCALISSE – LA FORMA PLURALE DI PROFETI




La forma plurale di profeti, nelle varie epistole e nell’Apocalisse, ricorre ventisei volte. Esaminando le occorrenze, si possono mettere in risalto i contesti nei quali la nostra parola compare e, nello stesso tempo dargli l’importanza che merita, secondo l’uso che ne fanno gli autori degli scritti del Nuovo Testamento. In questo modo, non solo conosceremo dove si trovano i vari passi nel Nuovo Testamento che parlano dei profeti, ma sapremo anche apprezzare perché vengono citati. Bisogna dire subito che, nella maggioranza dei casi, quando gli autori degli scritti del Nuovo Testamento nominano i profeti, lo fanno essenzialmente per convalidare le loro asserzioni e nello stesso tempo provare che le interpretazioni che loro danno agli eventi che citano, i profeti ne hanno parlato molto tempo prima di loro.

Il vengelo promesso per mezzo dei profeti

Paolo, servo di Cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo, messo a parte per il vangelo di Dio,
che egli aveva già promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sante Scritture
riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne,
dichiarato Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santità mediante la risurrezione dai morti; cioè Gesù Cristo, nostro Signore
(Romani 1:1-4).

Anche se il termine vangelo non si legge mai negli scritti dell’A.T. visto che è un termine che ricorre abbondantemente solo nel Nuovo Testamento, però, il significato di buona novella che il vangelo ha, si trova nei profeti, principalmente riguardante il Figlio di Dio, Gesù Cristo e tutta l’opera che Egli venne a compiere sulla terra in favore dell’umanità. Tenendo conto che i profeti parlarono in varie riprese del Messia, Gesù Cristo, indicandone il luogo della sua nascita, cioè Betleemme (Michea 5:1); presentandolo come il futuro profeta (Deuteronomio 18:15); la sua opera missionaria in mezzo agli uomini (Isaia 8:23; 9:1); i suoi patimenti, la sua morte e la sua risurrezione (Salmo 22; Isaia 53:3-12; Salmo 16:10), rientrava nella logica che Paolo parlasse del vangelo promesso dai profeti nelle sante Scritture. Che le sante Scritture sono gli scritti dell’A.T., è cosa certa che nessuno può contestare.

Inoltre, tenuto conto che a Paolo era stato affidato l’incarico di predicare il vangelo di Dio e che questo vangelo non l’aveva imparato dall’uomo, ma gli era stato rivelato da Gesù Cristo (Galati 1:12), fare riferimento ai profeti, era una necessità per convalidare la sua affermazione e nello stesso tempo provare che il vangelo che egli predicava, non era altro che lo stesso che i profeti avevano proclamato nei secoli precedenti.

La testimonianza dei profeti intorno alla giustizia di Dio

Ora però, indipendentemente dalla legge, è stata manifestata la giustizia di Dio, della quale danno testimonianza la legge e i profeti:
vale a dire la giustizia di Dio mediante la fede in Gesù Cristo, per tutti coloro che credono —, infatti, non c’è distinzione:
tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio — ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, mediante la redenzione che è in Cristo Gesù
(Romani 3:21-24).

L’apostolo Paolo, nelle sue epistole, in modo particolare, ha scritto molto sulla legge e sulla giustizia di Dio. Da bravo fariseo che egli era, sapeva che i Giudei, per quanto riguardava la giustizia di Dio, si basavano prevalentemente sull’osservanza della legge di Mosè. Lui al pari degli altri Giudei, non si era comportato diversamente, prima di convertirsi a Gesù Cristo e di averlo ricevuto nella sua vita come il Messia promesso dalla legge e dai profeti. Ora, però, visto che la luce del vangelo lo ha illuminato e gli ha fatto comprendere cose che prima ignorava, non può più sostenere la vecchia tesi, cioè che la giustizia di Dio si basa sull’osservanza della legge; essa invece si fonda esclusivamente sulla fede in Cristo Gesù, mediante la quale si viene gratuitamente giustificati, escludendo in maniera totale il merito umano. Una simile persuasione non appartiene al passato; è invece la consapevolezza della rivelazione divina che gli ha fatto comprendere come bisogna intendere quello che la legge e i profeti hanno testimoniato, intorno alla giustizia di Dio. Il chiaro insegnamento che l’apostolo ha dato sull’argomento, resterà un pilastro portante di tutta la teologia della salvezza per grazia, valido per tutte le generazioni.

L’affermazione di Paolo intorno ad Israele

«Signore, hanno ucciso i tuoi profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e vogliono la mia vita»? (Romani 11:3).

La citazione si trova in 1Re 19:10: «Io sono stato mosso da una grande gelosia per il SIGNORE, per il Dio degli eserciti, perché i figli d’Israele hanno abbandonato il tuo patto, hanno demolito i tuoi altari, e hanno ucciso con la spada i tuoi profeti; sono rimasto io solo, e cercano di togliermi la vita».

Tutta l’argomentazione che Paolo fece nel capitolo 11 dell’epistola ai Romani, tendeva a dimostrare che, nonostante Israele non avesse accettato Gesù come il Messia, Dio, però, non lo aveva rinnegato come suo popolo. Ai giorni di Paolo, non era ancora nata la dottrina della sostituzione, (perché egli la potesse contrabbattere) secondo la quale Dio ha messo da parte Israele e lo ha rimpiazzato con la Chiesa. Siccome l’argomento trattato, aveva a che fare con il futuro di questo popolo, l’apostolo lo trattò con l’appoggio dei profeti, in modo da far comprendere a tutti come stavano le cose. Anche se Paolo non conosceva quella dottrina, lo Spirito Santo lo illuminò e lo guidò in tutta l’argomentazione che fece, in modo tale da portare chiarezza nella mente.

Quelli che insegnano la dottrina della sostituzione, se avessero compreso la portata dell’insegnamento dell’apostolo Paolo, non avrebbero imboccato quella strada. Siccome il suo l’insegnamento non è stato compreso, rifacendosi a certi testi biblici, male interpretati, sostengono l’opposto di quello che Paolo ha esposto nell’epistola ai Romani. Non è un puro caso che l’apostolo inizia il suo ragionamento col citare le parole del profeta Elia: Hanno ucciso i tuoi profeti... ed io sono rimasto solo e vogliono la mia vita. Alla luce della risposta che Dio gli diede, il profeta dovette prendere atto che non era vero che era rimasto solo come profeta del Signore, perché Dio aveva riservato settemila uomini che non avevano piegato il ginocchio davanti a Baal.

Le citazioni che l’apostolo adduce, hanno lo scopo di consolidare quello che egli ha affermato, conducendolo alla finale conclusione: Per quanto concerne il vangelo, essi (gli Israeliti) sono nemici per causa vostra; ma per quanto concerne l’elezione, sono amati a causa dei loro padri;
perché i doni e la vocazione di Dio sono irrevocabili
(Romani 11:28-29).

La chiesa edificata sul fondamento dei profeti

Siete stati edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù stesso la pietra angolare,
sulla quale l’edificio intero, ben collegato insieme, si va innalzando per essere un tempio santo nel Signore
(Efesini 2:20-21).

Gli apostoli e i profeti, vengono costituiti dall’apostolo Paolo, come il fondamento sul quale viene edificata la chiesa del Signore. Perché i profeti vengono associati con gli apostoli? Non ha Gesù promesso che Egli avrebbe edificato la Sua chiesa (Matteo 16:18)? Questa è una verità ferma, nel senso che non può cambiare, non solo perché l’ha proclamato Gesù, ma anche perché è poggiata sulla verità della Sua parola, che non può mentire o venir meno. L’impegno di edificare la chiesa l’ha preso Gesù, ed Egli non l’ha delegato a nessuno: l’ha iniziato Lui, e Lui stesso lo porterà a compimento.

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Domenico34
00sabato 21 maggio 2011 00:07
D’altra parte, se Gesù si è assunto quest’incarico, di edificare la sua chiesa, l’ha preso in funzione del fatto che Egli è il legittimo proprietario, visto che è stato Lui a comprarla con il suo sangue. L’apostolo Pietro specificherà che i credenti non stati riscattati

con cose corruttibili, con argento o con oro, dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri,
ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia
(1 Pietro 1:18-19).

Ritornando alla domanda, perché i profeti vengono associati con gli apostoli e insieme costituiscono il fondamento dell’edificio? Tenuto conto che la chiesa di Gesù Cristo fu paragonata ad un edificio, con la finalità da servire come dimora di Dio per mezzo dello Spirito (Efesini 2:22), i profeti (un chiaro riferimento a quelli dell’A.T.) svolsero un’opera preparatoria con le loro predizioni intorno al lavoro del suo fondatore, Gesù Cristo. Gli apostoli, persone scelte da Gesù Cristo, a sua volta sarebbero stati i continuatori dell’opera iniziata dal Figlio di Dio. Il fondamento, è la struttura portante di tutto l’edificio. Gli apostoli e i profeti non si sono auto costituiti fondazione, ma sono stati costituiti tale da Dio. Gesù Cristo, oltre ad essere l’edificatore della Sua chiesa, è anche la testata d’angolo; tutta la costruzione viene allineata sulla pietra angolare. Dio, come testata d’angolo, non poteva porre un profeta o un apostolo, per il semplice fatto che nessuno dei due sarebbe stato perfetto, cioè senza difetto; ha posto Suo Figlio, modello di assoluta perfezione.

L’uccisione dei profeti

Infatti, fratelli, voi siete diventati imitatori delle chiese di Dio che sono in Cristo Gesù nella Giudea; poiché anche voi avete sofferto da parte dei vostri connazionali le stesse tribolazioni che quelle chiese hanno sofferto da parte dei Giudei,
i quali hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, e hanno cacciato noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini,
impedendoci di parlare agli stranieri perché siano salvati. Colmano così senza posa la misura dei loro peccati; ma ormai li ha raggiunti l’ira finale
(1 Tessalonicesi 2:14-16).

Le parole che Paolo rivolse alla fratellanza di Tessalonica, avevano lo scopo di incoraggiarli, visto che loro erano divenuti imitatori (degli apostoli) e del Signore, avendo ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo,
tanto da diventare un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia
(1 Tessalonicesi 1:6-7).

Il riferimento che l’apostolo faccia all’uccisione dei profeti, è senza dubbio a quelli dell’A.T. senza però escludere che in quel numero ci possano essere anche quelli del Nuovo Testamento, secondo l’autorevole parola di Gesù:

Perciò ecco, io vi mando dei profeti, dei saggi e degli scribi; di questi, alcuni ne ucciderete e metterete in croce; altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città,
affinché ricada su di voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l’altare
(Matteo 23:34-35).

L’esempio di quei martiri che vennero trattati barbaramente, oltre a servire per consolidare la fede dei Tessalonicesi, mirava anche a sostenerli nelle lotte che incontravano, in modo che potessero continuare il cammino della loro fede, senza tentennamenti.

Dio che ha parlato per mezzo dei profeti

Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti,
in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato l’universo
(Ebrei 1:1-2).

È verità assodata che i profeti, attraverso i secoli, sono stati gli strumenti che Dio ha usato per parlare all’uomo. Quando loro parlavano, non esponevano le loro idee; il loro messaggio, non era il frutto della loro fantasia, era piuttosto la Parola che Dio gli aveva rivelato. La frase che loro usavano: Così dice il Signore, serviva, non solo per autenticarli come messaggeri di Dio, ma anche per mettere in guardia gli ascoltatori che quello che stavano ascoltando dalla loro bocca, era il messaggio del Signore e non quello dell’uomo. Ascoltare un profeta e non tener conto quello che egli dichiarava, sia che si trattava di una predizione, o di un'esortazione al ravvedimento, in pratica significava rifiutare chi parlava dal cielo, cioè Dio. Infine, la lettera agli Ebrei chiude l’elenco di tutte le persone di fede, con le seguenti parole:

Che dirò di più? Poiché il tempo mi mancherebbe per raccontare di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide, Samuele e dei profeti,
i quali per fede conquistarono regni, praticarono la giustizia, ottennero l’adempimento di promesse, chiusero le fauci dei leoni,
spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri.
Ci furono donne che riebbero per risurrezione i loro morti; altri furono torturati perché non accettarono la loro liberazione, per ottenere una risurrezione migliore;
altri furono messi alla prova con scherni, frustate, anche catene e prigionia.
Furono lapidati, segati, uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati
loro il mondo non era degno), erranti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra
(Ebrei 11:32-38).

Questa è più grande e nobile testimonianza della Scrittura, rende agli uomini di fede, compresi i profeti.

I profeti, modello di sopportazione e di pazienza

Prendete, fratelli, come modello di sopportazione e di pazienza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore (Giacomo 5:10).

Non sempre i profeti quando proclamavano il messaggio divino, venivano ascoltati in quello che loro dicevano; spesso le loro parole non venivano accettate, e peggio ancora venivano accusati di non riferire la parola del Signore, (confronta per questo Geremia 43:1-3). Oppure, le parole del re Acab e la risposta del profeta Micaia:

Così dice il re: "Rinchiudete costui in prigione, mettetelo a pane e acqua finché io torni sano e salvo"».
Micaia disse: «Se tu torni sano e salvo, non sarà il SIGNORE che
avrà parlato per bocca mia». E aggiunse: «Udite questo, popoli tutti!»
(1Re 22:27-28).

Nonostante i disprezzi che subirono i profeti, Giacomo li addita alla fratellanza come modelli di sopportazione e di pazienza, perché con la loro fermezza, seppero mantenere ferma la loro fede nel loro Dio, senza farsi intimidire dalle minacce della prigione e anche della morte. Una simile pazienza che loro manifestarono in periodi particolari della loro vita, può insegnare a noi cristiani come affrontare le varie avversità e nello stesso tempo rimanere fedeli al nostro Signore.

Ricordarsi delle parole dette dai santi profeti

Carissimi, questa è già la seconda lettera che vi scrivo; e in entrambe io tengo desta la vostra mente sincera facendo appello alla vostra memoria,
perché vi ricordiate le parole già dette dai santi profeti, e il comandamento del Signore e Salvatore trasmessovi dai vostri apostoli
(2Pietro 3:1-2).

Tenuto conto che in questa parte dell’epistola Pietro ha trattato l’argomento della venuta del Signore, (si intende la seconda venuta), che in quel tempo era viva quell’attesa nella vita della comunità cristiana, esortare la fratellanza a ricordarsi delle parole dette dai santi profeti, non solo era motivo di ravvivare la fede, ma c’era anche da garantire la stabilità per quell’evento. Lui, infatti, sapeva che la parola profetica, era come una lampada splendente in luogo oscuro (2 Pietro 1:19), che poteva illuminare il sentiero della vita e dare chiare e sicure prospettive agli eventi futuri.

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Domenico34
00domenica 22 maggio 2011 00:07
Il pericolo e la minaccia di farsi trascinare dagli schernitori, era serio; loro, infatti, asserivano:

«Dov’è la promessa della sua venuta? Perché dal giorno in cui i padri si sono addormentati, tutte le cose continuano come dal principio della creazione» (2 Pietro 3:4).

Era pertanto necessario ed urgente che la fratellanza tenesse vivo il ricordo della parola dei profeti, perché da essa potevano attingere quella garanzia, che era anche suggello della verità evangelica, al pari del comandamento del Signore, trasmesso dagli apostoli.

Il compimento del mistero di Dio

Ma nei giorni in cui si sarebbe udita la voce del settimo angelo, quando egli avrebbe sonato, si sarebbe compiuto il mistero di Dio, com’egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti (Apocalisse 10:7).

Se i profeti in questo testo vengono definiti “servi di Dio”, è perché sono stati al suo servizio in tutte le predizioni che hanno fatto. Sì sa, infatti, che i disegni e i piani divini sono stati proclamati dai profeti; è stato per mezzo di loro che Dio ha parlato, facendo conoscere all’uomo la sua volontà. Siccome tutti gli eventi della storia Dio li ha fatto conoscere molto tempo prima del loro adempimento, doveva arrivare il momento in cui si sarebbe compiuto il mistero di Dio, e, questo sarebbe avvenuto con la voce del settimo angelo.

I due profeti dell’Apocalisse

Gli abitanti della terra si rallegreranno di loro e faranno festa e si manderanno regali gli uni agli altri, perché questi due profeti erano il tormento degli abitanti della terra (Apocalisse 11:10).

Fin dai tempi antichi si è cercato di conoscere il nome di questi due profeti che, svolgeranno in terra il loro ministero profetico per milleduecentosessanta giorni, cioè quaranta due mesi, tre anni e mezzo. Siccome il testo non rivela i loro nomi, si è proceduto facendo riferimento a quello che loro faranno durante il tempo della loro missione. Le interpretazioni si sono accentrati intorno a tre nomi: ci sono quelli che pensano che i due testimoni-profeti di Apocalisse 11, saranno Mosè ed Elia, mentre altri suppongono che si tratti di Enoc e di Elia. Siccome nessuno delle due interpretazioni può affermare che si tratta di Mosè e di Elia, o di Enoc e di Elia, bisogna rifarsi ai motivi che hanno suggerito queste interpretazioni.

Quelli che pensano che i due testimoni-profeti di Apocalisse 11 saranno Enoc ed Elia, basano la loro interpretazione, facendo riferimento ad un testo della lettera agli Ebrei, che recita: Com'è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio (Ebrei 9:27). Tenuto conto che gli unici che non hanno conosciuto la morte, nella storia dell’umanità, sono stati Enoc ed Elia, perché tutte e due sono stati portati in cielo senza passare per la morte; e, visto che Ebrei 9:27 afferma che gli uomini muoiano una sola volta; e, tenuto conto che questi due profeti al termine della loro missione-testimonianza, la bestia che sale dall’abisso farà guerra contro di loro, li vincerà e li ucciderà (Apocalisse 11:7), in questo modo saranno alla pari di tutti gli uomini.

Quest'interpretazione, non tiene però conto (come giustamente è stato osservato) che con il rapimento, saranno milioni di credenti che non conosceranno la morte, perché tutti i rapiti, andranno ad incontrare il Signore nell’aria, e non moriranno.

Quelli invece che pensano che i due testimoni-profeti saranno Mosè ed Elia, basano la loro interpretazione su quello che faranno durante il tempo della loro missione, confrontandolo con ciò che fecero ai tempi di Mosè e di Elia. Secondo il testo, i due profeti, faranno uscire

fuoco dalla loro bocca e divorerà i loro nemici; il potere di chiudere il cielo affinché non cada pioggia; il potere di mutare l’acqua in sangue e di percuotere la terra con qualsiasi flagello, quante volte vorranno.

Elia fece scendere il fuoco dal cielo e consumò i due capitani con i loro cinquanta uomini (2Re 1:9-12); tenne il cielo chiuso per non fare cadere la pioggia in terra per tre anni e mezzo (1 Re 17:1; Giacomo 5:17-18). Mentre Mosè cambiò le acque in sangue (Esodo 7:14-20). Inoltre, si fa osservare che sul monte della trasfigurazione, apparvero con Gesù, Mosè ed Elia (Matteo 17:3). I paralleli che si notano, favoriscono notevolmente la seconda interpretazione. Anche se non si può affermare categoricamente che i due profeti di Apocalisse 11 saranno Mosè ed Elia, tuttavia, resta un’alta percentuale di probabilità che saranno loro.

I profeti premiati e il loro Sangue vendicato

Le nazioni si erano adirate, ma la tua ira è giunta, ed è arrivato il momento di giudicare i morti, di dare il loro premio ai tuoi servi, ai profeti, ai santi, a quelli che temono il tuo nome, piccoli e grandi, e di distruggere quelli che distruggono la terra» (Apocalisse 11:18).

Essi, infatti, hanno versato il sangue dei santi e dei profeti, e tu hai dato loro sangue da bere; è quello che meritano» (Apocalisse 16:6).

«"Rallègrati, o cielo, per la sua rovina! E voi, santi, apostoli e profeti, rallegratevi perché Dio, giudicandola, vi ha reso giustizia"».
In lei è stato trovato il sangue dei profeti e dei santi e di tutti quelli che sono stati uccisi sulla terra»
(Apocalisse 18:20,24).

Quest’ultimi versetti mettono in risalto due cose: il premio che i profeti riceveranno e la giustizia che verrà fatta nei loro confronti in merito del loro sangue versato, quando sono stati uccisi. Il momento arriverà quando il giusto giudice, darà il premio ai servi del Signore e ai suoi profeti. Che questo momento non sarà qui in terra, appare abbastanza chiaro, non solo dai suindicati testi, ma anche di altri passi della Bibbia, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento.

È verità ferma, inamovibile che Dio non dimenticherà quello che avranno fatto i Suoi figli, durante il loro terrestre pellegrinaggio. Se noi uomini dimentichiamo facilmente un’opera che meriterebbe di essere ricompensata, non così sarà per Dio. Anche se il Signore, a volte sembra di non tenere presente quello che di buono compiono i Suoi, visto che non ricevono quel premio che meriterebbero in questa terra, arriverà quel giorno nell’altra vita, quando ogni minima cosa compiuta per l’onore, la gloria del Signore e per la causa del vangelo, che riceverà immancabilmente la giusta ricompensa.

I profeti, di cui parla il nostro testo (non devono essere considerati solamente quelli dell’A.T. ma anche quelli del Nuovo Testamente), durante il loro ministero, non sempre vengono accettati; spesso, invece di ricevere elogi ed apprezzamenti per i messaggi divini che amministrano, ricevono disprezzo, maltrattamenti, persecuzioni di ogni tipo. Che l’ostilità che si manifesta nei loro confronti, è principalmente motivata dalla durezza del cuore dell’uomo che non sa ravvedersi, è cosa certa. In conseguenza di ciò, i servi del Signore soffrono per il trattamento ostile a loro riservato, inducendoli a versare anche lacrime in abbondanza.

Non sempre, i servitori del Signore, nel corso della loro vita terrena, gli viene fatta giustizia; spesso vengono trattati ingiustamente, e ci sono quelli che addirittura, per non scendere a compromessi e rimanere fedeli alla loro missione, affrontano il martirio e il loro sangue viene sparso come se fossero dei criminali. Solo quando arriverà il giorno e il momento dalla resa dei conti, Chi prenderà in mano ogni situazione e saprà valutarne giustamente ogni cosa, sarà il Giusto Giudice, dei vivi e dei morti, che saprà assegnare il giusto premio a ciascuno, secondo l’opera di ciascuno.

In vista di questo finale traguardo, e, contando sulla fedeltà del Signore, esortiamo ed incoraggiamo chiunque è impegnato nell’opera del ministero, a rimanere fedeli alla propria missione, non facendo le cose per compiacere noi stessi e gli altri, ma solamente a Chi ci ha resi forti, Cristo Gesù, nostro Signore, per averci stimati degni della sua fiducia, ponendo al suo servizio noi (1Timoteo 1:12).

Infine, l’ultimo riferimento che l’Apocalisse di Giovanni ha, intorno ai profeti, recita:

Poi mi disse: «Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco» (Apocalisse 22:6)

PROFETESSA

Per il sostantivo femminile di profetessa, abbiamo due soli passi nel Nuovo Testamento. Ecco i testi qui di seguito:

Vi era anche Anna, profetessa, figlia di Fanuel, della tribù di Aser. Era molto avanti negli anni: dopo essere vissuta con il marito sette anni dalla sua verginità, era rimasta vedova e aveva raggiunto gli ottantaquattro anni (Luca 2:36).

In che cosa consisteva l’attività profetica di Anna, non ci viene detto, ad eccezione che nel giorno che Gesù bambino fu presentato nel tempio, parlava del bambino a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme (Luca 2:38). Se lei parlò del bambino Gesù a tutti quelli che aspettavano la redenzione di Gerusalemme, rientra nella logica pensare (anche se Luca non lo specifica) che ne parlò come il Messia promesso dalla legge e dai profeti.

«Il fatto che sia chiamata profetessa non significa che si sia presentata al popolo con annunci di condanna o di grazia, come gli antichi profeti, ma probabilmente è stata considerata tale perché possedeva il dono di prevedere e preannunciare cose future. In quanto profetessa del bambino Gesù presentato al tempio riconosce il Messia. Con la sua confessione di lode conferma le parole di Simeone. Il fatto che parli di Gesù a tutti coloro che attendono la liberazione di Gerusalemme, significa che annuncia Gesù come Salvatore escatologico» [G. Friedrich, GLNT, Volume XI, colonna 586].

Infine, che Anna appartenesse al numero dei profeti dell’A.T., non c’è nessun dubbio. Non era una cristiana, ma una pia ebrea che stava tra i confini tra giudaismo e cristianesimo.

Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli (Apocalisse 2:20).

Iezabel, la donna di cui parla il nostro testo, non era una vera profetessa; era lei che si credeva tale. La sua attività non era quella di edificare la chiesa di Tiatiri, bensì di indurre i servi di Gesù Cristo a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. È strano come il conduttore di questa comunità, ha dato a questa donna la libertà di insegnare e di tollerare il suo insegnamento. Questo ci fa capire che quel conduttore gli mancava il discernimento e non sapeva valutare le cose che insegnava Iezabel. È terribile quando non c’è il discernimento per comprendere una falsa dottrina; si può facilmente essere sedotti e trascinati verso l’errore, verso la menzogna ed esporre una comunità verso l’eresia.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e noi risponderemo con premura
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