Domenico34 – Profeti e profezia nel Nuovo Testamente – Capitolo 3. ADEMPIMENTO DI QUANTO AVEVANO PREDETTO I PROFETI DELL’A.T.

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Domenico34
00mercoledì 11 maggio 2011 00:27

Capitolo 3




ADEMPIMENTO DI QUANTO AVEVANO PREDETTO I PROFETI DELL’A.T.




2. Profeti al plurale

La formula affinché si adempisse... che abbiamo esaminato per ciò che riguarda il profeta al singolare, si ripete anche al plurale, cioè quello che hanno detto i profeti. Ora esamineremo la formula al plurale.
Dopo che Giuseppe riceve l’ordine dall’angelo del Signore: «Alzati, prendi il bambino e sua madre, e va’ nel paese d’Israele; perché sono morti coloro che cercavano di uccidere il bambino» (Matteo 2:20), prendendo la madre e il bambino, lasciarono l’Egitto e rientrarono nel paese d’Israele.

Ma, udito che in Giudea regnava Archelao al posto di Erode, suo padre, ebbe paura di andare là; e, avvertito in sogno, si ritirò nella regione della Galilea,
e venne ad abitare in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti, che egli sarebbe stato chiamato Nazareno
(Matteo 2:22-23).

L’angelo del Signore si era limitato ad avvisare Giuseppe che, coloro che cercavano di uccidere il bambino erano morti. Non indicò nessun luogo, come nuova residenza della famiglia. Che Giuseppe scelse di ritirarsi in Galilea e venne ad abitare in Nazaret, fu una sua scelta. Però, Matteo, il solo dei quattro evangelisti che riporta questa notizia, in quello spostamento e nel nuovo luogo di residenza, vede l’adempimento di quanto avevano detto i profeti. Questo particolare, logicamente, non è sfuggito ai commentatori e ognuno ha cercare di dare una spiegazione a modo suo. È, però un dato certo, che nessun profeta dell’A.T. fece una simile predizione; come fece l’evangelista a rifarsi ai profeti, non sappiamo dirlo. Riportiamo qui di seguito la spiegazione che hanno dato alcuni commentatori.

«Queste parole non sono una citazione testuale delle Sacre Scritture, né l’evangelista intende citar qui alcuna profezia particolare; accenna solo al senso generico delle profezie. La parola «Nazareo» significa spregevole, e deriva probabilmente dal vocabolo ebraico netzer (rampollo), adoperato nelle profezie per indicare il Messia, che, quantunque discendente di Davide, doveva nascere e vivere nella povertà e nel disprezzo. Da Giovanni 1:46, risulta chiaramente che Nazaret era un luogo spregiato, e che i suoi abitanti erano chiamati Nazareni per dispregio» [Robert G. Stewat, L’evangelo secondo Matteo e Marco, pag. 11].

«Questo è un riferimento all’Antico Testamento difficile da individuare. I profeti (al plurale) indica che si hanno presenti più passi. Di solito si vede qui un’allusione al “neser” («ramo») d'Isaia 11:1. Si pensa che questo sia un passo messianico che predicava l’umile origine del Cristo nonostante che discendesse da Davide. Sembra che il nome Nazareth abbia richiamato tutto ciò alla mente dell’Evangelista. Non vi è alcun motivo per vedervi una qualche relazione con i Nazarei. Quanto al disprezzo verso Nazareth, si veda Giovanni 1:46» [R. E. Nixon, Commentario Biblico Volume 3, pag. 47].

«Tuttavia le parole egli sarebbe stato chiamato Nazareno, non furono direttamente pronunciate da alcun profeta dell’Antico Testamento, benché numerose profezie si avvicinino, quanto al significato, a quest'espressione. Isaia affermò che il Messia sarebbe stato «un rampollo... dalle... radici» d'Isai (Isaia 11:1). «Rampollo» è la traduzione del termine ebraico neser, le cui consonanti sono le stesse di «nazareno» ed è un termine che racchiude in sé l’idea di un inizio insignificante. Dato che Matteo usa il plurale profeti forse la sua idea non si riallaccia ad una profezia specifica, ma ad un concetto che appare in un certo numero di profezie riguardanti le umili e disprezzate origini del Messia» [Louis A. Barbieri, Jr. Investigate le Scrittura, Nuovo Testamtento, pag. 26].

La prossima citazione è la più dotta, anche perché proviene da uno specialista di fama in materia di esegesi.

«Evidentemente Nazaret, quale patria di Gesù, costituiva un elemento del conflitto che opponeva il cristianesimo al giudaismo. L’obiezione giudaica sarà stata che il Messia non poteva provenire da questo borgo. Come poteva essere dimostrato che questa provenienza era conforme alla Scrittura, se Nazaret non ricorre affatto nell’A.T.? La soluzione trovata dall’evangelista sta davanti a noi nel v. 23. Come si svolge nei particolari l’argomentazione di questo «riferimento scritturistico», è per noi ancora difficile da stabilire, come dimostra la massa di proposte interpretative. Specificamente sono due le questioni da chiarire: 1. Che cosa significa il concetto di «Nazoreo»? e 2. in quale senso va intesa la citazione scritturista?

1. Il nome Nazoreo non è limitato a Mt. ma ricorre 13 volte nel N.T. (ancora in Lc./Act/Io.), dal che si deduce che esso deve essere stato nel cristianesimo primitivo una diffusa designazione di Gesù. È sorprendente che nei vangeli essa sia sempre usata da persone che non appartengono alla cerchia dei discepoli. Matteo 2:23 tiene una posizione in qualche modo speciale. O dobbiamo supporre che Gesù sarà chiamato Nazoreo dagli estranei? In un solo passo del N.T. i seguaci di Gesù sono chiamati Nazorei (Atti 24:5). Nazoreo può essere usato promiscuamente con Nazareno, almeno per Luca. Matteo, che evita il termine «Nazareno», lo sostituisce con Nazoreo nel racconto del rinnegamento (cfr. Marco 14:67 con Matteo 26:71). Tale constatazione ci fa chiaramente capire che almeno per Mt. (e Lc.) il nome Nazoreo è connesso con Nazaret. Gesù può essere chiamato Nazoreo perché viene da Nazaret. Tale nesso consente anche il riferimento scritturistico in 2:23.

Il significato «uomo di Nazaret» per «Nazoreo» però non basta. Da un canto il nome resta, dal punto di vista filologico, strano; dall’altro esso non corrisponde al peso che l’evangelista in questo contesto gli attribuisce. Come il cap. 1, così anche il cap. 2 si conclude con l’imposizione di un nome. In 1:25 riceve il nome di Gesù, qui viene chiamato Nazoreo.
Ci sono e vengono discusse altre due possibilità. Gesù sarebbe presentato come nazir, nazireo, consacrato a Dio (cfr. Numeri 6:3ss), santo di Dio. Ma l’immagine normale del nazir si adatta meglio a Giovanni Battista che a Gesù, al quale si rimproverava di essere un crapulone (Matteo 11:19). Più persuasiva è l’interpretazione messianologica del nome Nazoreo. Essa si fonda sull’affinità fonetica di questo nome col virgulto (nçser) messianico atteso dal profeta: «Un germoglio spunterà dal tronco di Jesse e un virgulto darà frutto dalle sue radici» (Isaia 11:1).

Contro quest'interpretazione fu fatto notare che nel virgulto messianico all’interno dell’A.T. si parla solo in (Isaia 11:1). Resta però da osservare che per Matteo, Isaia è il profeta messianico per eccellenza. Nella comunità di Qumran il «virgulto» viene allo stesso modo concepito in senso escatologico, anche se riferito alla comunità stessa. L’equivalente ebraico semah (= virgulto) ha in Isaia 4:2; Geremia 23:5; 33:15; Zaccaria 3:8; 6:12 significato messianico. Il conferimento del nome ‘Nazoreo’ a Gesù nel contesto del trasferimento a Nazaret diventa un argomento a favore della sua messianicità contro gli avversari giudaici che obiettavano: «Come può il Messia venire da Nazaret. Non stiamo a chiederci se l’argomento sia o no persuasivo. Esso però aumenterebbe d’importanza per la comunità, se si potesse presupporre che «Nazoroe» al tempo della composizione del nostro evangelo fosse già diventato al tempo stesso un nome indicante gli stessi membri della comunità. Essi riconoscono nel Gesù Nazoreo quello di loro, cui fa la propria confessione di fede e che porta il loro nome.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00giovedì 12 maggio 2011 00:15
2. Con ciò si è già detto qualcosa d’importante circa la citazione scritturista. La formula introduttiva indica in modo inequivocabile il carattere riflessivo della citazione. La sua peculiarità consiste nel fatto che essa richiama non un passo specifico dei profeti, ma i profeti. I profeti hanno per la maggior parte annunciato Gesù come il virgulto messianico, così come «gli scritti dei profeti» hanno predetto la sua passione. Matteo 26:56 è un riflesso scritturistico paragonabile a 2:23. Con ciò entrano in causa, quali passi di rimando, innanzitutto quelli sopra ricordati, che parlano del futuro virgulto messianico» [Joachim Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte prima, pag. 97, nota 35, in cui l’autore elenca i tanti che sono intervenuti per spiegare il passo in questione].

Una parola d’incoraggiamento

A conclusione delle beatitudini che Gesù proclamò nel grande “sermone sul monte”, si leggono le seguenti parole:

Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli; poiché così hanno perseguitato i profeti che sono stati prima di voi (Matteo 5:12 vedere anche Luca 6:23).

Tenuto conto che le due penultime beatitudini, parlano di persecuzioni e d'insulti con ogni sorta di male per causa di Gesù, era necessario che si fornisse un certo incoraggiamento e sicurezza per quanti sarebbero stati trattati in quel modo, attraverso un tangibile esempio dei profeti che soffrirono prima di loro. I passi che si possono citare come prova di profeti che furono incompresi e perseguitati, sono: (1Re 19:1-4; 22:8; Geremia 26:8-11; 37:11-16; 38:1-6; Daniele 3:6; Amos 7:10-13). Logicamente le parole di Gesù, non miravano solamente ad incoraggiare, ma anche e soprattutto in vista del premio riservato loro nei cieli.

Il compito di Gesù di non abolire la legge e i profeti

Proseguendo nel suo insegnamento, Gesù ha voluto fare delle precisazioni, per evitare di essere frainteso, per ciò che riguardava la legge e i profeti: «Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento (Matteo 5:17).

Perché Gesù fece quella precisazione, solo per evitare di essere frainteso dalla classe religiosa dei suoi giorni? Certamente non solo per quello, ma anche per mettere in risalto lo scopo della Sua missione. La legge e i profeti avevano detto tanto di Lui: della Sua nascita, del Suo ministero in mezzo agli uomini, dei Suoi maltrattamenti, dei Suoi patimenti, della Sua morte e della Sua risurrezione. Tutte quelle predizioni descritte in modo dettagliato, dovevano compiersi; e l’unico che l’avrebbe portato a compimento, sarebbe stato proprio Lui.

Il tassello conclusivo che Gesù mette nel Suo gran mosaico, del sermone sulla montagna, è quello di far vedere il vero significato della legge e dei profeti. In precedenza aveva affermato che Egli non era venuto per abolirli; ora non indugia a fare un’altra dichiarazione di natura pratica, cioè Egli vuole portare i suoi e tutti quelli che ascoltano ed accettano i Suoi insegnamento, quale deve essere il tenore di vita che devono condurre e qual è il vero significato della legge e dei profeti.

«Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro; perché questa è la legge e i profeti (Matteo 7:12).

Questo testo è stato definito la regola d’oro. Nel senso negativo, cioè non fate..., questa regola d’oro non è un’esclusiva del vangelo, visto che si trova anche in Confucio; ma nel senso corretto, cioè fate... si trova solamente nel vangelo. Siccome il messaggio che i profeti e la legge proclamarono ai loro giorni non era il messaggio dell’uomo ma quello di Dio, Gesù, con l’autorità del suo insegnamento ha voluto mettere in risalto l’attualità della Sua parola, valida per tutte le epoche e per ogni individuo. Che poi non tutte le persone prestano attenzione all’insegnamento del Cristo, non significa però che l’uomo può esimersi dalle sue responsabilità per ciò che riguarda le sue azioni.

Se Gesù avesse formulato una lista da sottoporre all’attenzione dell’ascoltatore, quest’ultimo avrebbe potuto obbiettare e dirgli: Maestro, con la lista di cose da fare, ci hai privato della nostra libertà di scelta, dato che la forma imperativa che ci hai presentato, non prevede una diversa alternativa di scelta, ma solamente ubbidienza e sottomissione alla tua volontà. Il fatto che Gesù lascia all’uomo l’iniziativa di compilare quello che deve fare, è molto significativo per il fatto che, l’essere umano, il confronto lo deve fare con se stesso. Se una tale cosa che vorrà fare agli altri, è di suo gradimento, perché vuole che gli venga fatta a lui, quella è la giusta maniera di agire nella vita pratica con chiunque. Inoltre, si fa osservare che la norma di amare Dio e il prossimo, deve camminare a braccetto con la regola d’oro, se si vuole che ci sia armonia nel complesso dell’insegnamento divino.

Se tutti gli esseri umani, non diciamo solamente la cristianità, sapessero considerare l’importanza e il valore della regola d’oro che Gesù ha proposto all’attenzione dei Suoi ascoltatori, la mettessero in pratica, con la loro attività, rispetterebbero la legge e i profeti, visto che il loro messaggio tendeva proprio questo principio di carattere universale. Infine, Gesù non ha insegnato verità che non si può praticare per l’uomo di ogni tempo e di ogni epoca; il tutto è concentrato nel credere alla Sua parola e nel saperla accettare senza condizioni, cioè pienamente.

Un avvertimento sui falsi profeti

Prima che Gesù concludesse il Suo gran sermone sulla montagna, ha voluto fare riferimento ai falsi profeti, poiché Egli sapeva che sarebbero apparsi sulla scena, con lo scopo di sedurre e condurre l’uomo lontano da Dio dalla verità evangelica.

«Guardatevi dai falsi profeti i quali vengono verso da voi in vesti da pecore, ma dentro sono lupi rapaci.
Li riconoscerete dai loro frutti. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?
Così, ogni albero buono fa frutti buoni, ma l’albero cattivo fa frutti cattivi.
Un albero buono non può fare frutti cattivi, né un albero cattivo far frutti buoni.
Ogni albero che non fa buon frutto è tagliato e gettato nel fuoco.
Li riconoscerete dunque dai loro frutti
(Matteo 7:16-20).

Il problema dei falsi profeti esisteva prima della venuta di Gesù, tanto è vero che Dio, ai tempi di Mosè, aveva dato una particolare norma per conoscerli e non cadere nella loro seduzione.

Quando sorgerà in mezzo a te un profeta o un sognatore che ti annunzia un segno o un prodigio,
e il segno o il prodigio di cui ti avrà parlato si compie, ed egli ti dice: «Andiamo dietro a dèi stranieri, che tu non hai mai conosciuto, e serviamoli»,
tu non darai retta alle parole di quel profeta o di quel sognatore, perché il SIGNORE, il vostro Dio, vi mette alla prova per sapere se amate il SIGNORE, il vostro Dio, con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra.
Seguirete il SIGNORE, il vostro Dio, lo temerete, osserverete i suoi comandamenti, ubbidirete alla sua voce, lo servirete e vi terrete stretti a lui.
Quel profeta o quel sognatore sarà messo a morte, perché avrà predicato l’apostasia dal SIGNORE Dio vostro che vi ha fatti uscire dal paese d’Egitto e vi ha liberati dalla casa di schiavitù, per spingerti fuori dalla via per la quale il SIGNORE, il tuo Dio, ti ha ordinato di camminare. Così toglierai il male di mezzo a te
(Deuteronomio 13:1-5).

Una simile norma era più che efficace per scoprire la falsità di un profeta, solo che il problema si doveva guardare da diverse angolature. Non bastava solamente che il detto del profeta si adempisse, si doveva anche guarda il suo comportamento e il consiglio che avrebbe dato nel consigliare al popolo, di cercare e servire una diversa divinità, che il popolo non conosceva, rispetto al loro Dio che li aveva liberati dalla schiavitù d’Egitto, e che loro stavano servendo. Un simile banco di prova, avrebbe smascherato il falso dal vero, e avrebbe preservato il popolo dal cadere nella trappola della seduzione.

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Domenico34
00venerdì 13 maggio 2011 00:16
Gesù, con il Suo avvertimento, pur non rifacendosi alla norma del Deuteronomio, con le Sue precise parole, non solo mette in guardia dal sorgere dei falsi profeti, ma fornisce anche gli strumenti per come individuarli e smascherare la loro falsità. Con la puntualizzazione che viene fatta che il falso profeta si presenta in l’abito da pecora, Gesù vuole insegnarci la maniera camuffata che il falso adopera per non farsi scoprire. La pecora è un animale umile, non conosce cosa sia l’arroganza e la prepotenza; è un animale che soccombe facilmente ad una minaccia, dato che non è il tipo che si sa difendere da un'azione aggressiva.

Il falso profeta con una simile veste, inganna e seduce facilmente, visto che la sua gentilezza, la sua umiltà e la sua mitezza-dolcezza, rappresentano il suo biglietto da visita, che favorirà enormemente l’entrata e l’accoglienza. Nessuno, infatti, sarebbe disposto ad ascoltare un presuntuoso, arrogante e prepotente; ma ad uno che non parla male di nessuno, è facile prestare attenzione e cadere nella trappola dell’inganno. Gesù precisa che la natura del falso profeta non è quello della pecora, bensì del lupo. All’esterno ha la veste della pecora per ingannare e sedurre, ma all’interno è un lupo rapace che divora. Ecco perché Gesù afferma che i falsi profeti si conosceranno dai loro frutti e non dal loro parlare. Perché questo?

Il frutto, è la dimostrazione della natura dell’albero. Se una pianta è conosciuta come un rovo, non si potrà pretendere che da essa si potrà raccogliere uva, perché appunto l’uva ha una diversa natura del rovo e viceversa. Così l’albero buono non può fare frutti cattivi, né la pianta cattiva fare frutti buoni. Con questa precisa descrizione, che Gesù fa, non esiste pericolo di sbagliare.

In conclusione, c’è anche un altro punto da tenere presente: il controllo va sempre eseguito sulla base della Parola di Dio. Se un profeta dovesse dire delle cose che non trovano riscontro con la Parola di Dio o peggio ancora, in contrasto con essa, non c’è bisogno di cercare un’altra prova. Si può benissimo prendere come unità di misura, un detto del profeta Isaia: Alla legge! Alla testimonianza!» Se il popolo non parla così, non vi sarà per lui nessuna aurora! (Isaia 8:20).

Infine, se si crede che tutta la Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) è stata ispirata dallo Spirito Santo (e i veri profeti sono ispirati dallo Spirito Santo in quello che dicono e fanno), non è ammissibile che tra la parola scritta (Scrittura) e quello pronunciata a bocca (quella del profeta parlante) ci sia discordanza o contraddizione.

Quello che molti profeti desiderarono vedere e udire

Al termine della parabola del seminatore, Gesù fece un’affermazione intorno ai molti profeti che desiderarono vedere e udire le cose che vedevano e udivano i Suoi discepoli.

In verità io vi dico che molti profeti e giusti desiderarono vedere le cose che voi vedete, e non le videro; e udire le cose che voi udite, e non le udirono (Matteo 13:17; Luca 10:24).

Chi furono questi profeti che espressero questo desiderio, non ci viene detto, anche perché Gesù non rivelò i loro nomi. Leggendo un passo dell’epistola di Pietro, si può avere una certa idea intorno a quei profeti, di cui parlò Gesù.

Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata.
Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle.
E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, amministravano quelle cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo, mediante lo Spirito Santo inviato dal cielo: cose nelle quali gli angeli bramano penetrare con i loro sguardi
(1Pietro 1:10-12).

Anche l’apostolo Pietro, parlando dell’attività che svolgevano i profeti, e, rendendosi conto che molte delle loro predizioni riguardavano il Messia e la Sua attività, non nascondevano il desiderio di voler comprendere quello che annunciavano, facendo ogni tipo di ricerca per arrivare a quello scopo. Però, il loro legittimo desiderio non venne accontentato, anzi fu loro detto che le cose che loro amministravano, non erano per loro ma per quelli che avrebbero creduto al tempo della venuta del Messia.

In conclusione, se Gesù rivelò ai suoi discepoli il desiderio che ebbero i profeti, intorno alle cose che essi volevano vedere e udire e non le hanno ottenute, fu essenzialmente per far capire loro, il privilegio che avevano nel vedere e udire, quello che Gesù, il Messia, diceva e faceva.

Il gran comandamento

Se Gesù parlò del gran comandamento, fu perché gli venne esplicitamente richiesto, anche se coloro che glielo chiesero, lo fecero per metterlo alla prova, nondimeno Egli rispose, facendo riferimento a due passi dell’A.T., quali Deuteronomio 6:5 e Levitico 19:18.

E uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova:
«Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?»
Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente".
Questo è il grande e il primo comandamento.
Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso".
Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti»
(Matteo 22:35-40; Marco 12:18-27; Luca 20:27-40).

Il fatto che Gesù non si limitò a rispondere al solo gran comandamento della legge, ma incluse anche quello che Egli definì il secondo simile a questo: Ama il tuo prossimo come te stesso, sta significando, come giustamente Lui concluse, che da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti. In altre parole Egli ha voluto far capire agli interroganti che se non si amava Dio e il prossimo come se stessi, non si tiene conto della legge e dei profeti, dato che il loro messaggio, verteva principalmente su questi due punti fondamentali. Ovviamente, come abbiamo osservato in precedenza, a proposito di (Matteo 2:23), il detto del gran comandamento non si può separare, perché sia il primo che il secondo testo, contengono la stessa verità.

Un atteggiamento ipocrita

Tra i tanti “guai” enumerati in Matteo 23, ce ne è uno, che è l’ultimo della serie, che ha a che fare con un atteggiamento ipocrita degli scribi e dei farisei, nei confronti dei profeti.

Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, perché costruite i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti
e dite: "Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nello spargere il sangue dei profeti!"
In tal modo voi testimoniate contro voi stessi, di essere figli di coloro che uccisero i profeti.
E colmate pure la misura dei vostri padri!
Serpenti, razza di vipere, come scamperete al giudizio della geenna?
(Matteo 23:29-33; vedere anche Luca 11:47,49-50).

Il lavoro che facevano gli scribi e i farisei nel costruire i sepolcri dei profeti che i loro padri avevano ucciso, sembrava che volessero onorare la memoria di quelle pie persone. Alla vista degli altri, quello che loro facevano, era considerato lodevole, ma davanti a Gesù, che conosceva la loro ipocrisia, era considerato deplorevole, non perché era proibito onorale la memoria di un defunto, ma perché con quello che essi facevano, testimoniavano di essere figli di chi aveva ucciso i profeti. Perché i loro padri avevano ucciso i messaggeri divini? Per non aver voluto accettare quello che loro predicavano.

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Domenico34
00sabato 14 maggio 2011 01:49
Le giustificazioni che questi religiosi si addicevano: Se fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri, non saremmo stati loro complici, era una messa in scena e una mera parvenza, per apparire davanti agli uomini innocenti e per mascherare la loro ipocrisia. Gesù, infatti, sapeva che proprio loro, stavano complottando la Sua uccisione, per non accettare il Suo messaggio che il richiamava ad un sincero ravvedimento. Ecco perché Gesù li definisce serpenti, razza di vipere e come tali non scamperanno il giudizio della geenna, cioè la perdizione eterna.

«Al tempo di Gesù c’erano non poche tombe di profeti e di santi. J. Jeremias, che le ha accuratamente descritte, ne segnala per la Galilea, la Samaria e la Giudea, ben 39, per la maggior parte in Giudea. Ma anche nel giudaismo c’erano voci critiche. Di rabbi Shimon ben Gamliel (140 d.C. circa) si tramanda il detto: «Ai giusti non si costruiscono monumenti. La loro memoria sono le loro parole» [Joachim Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte prima, pagg. 96-99].

Nella continuazione del discorso che Gesù fece con gli scribi e i farisei, fa notare che essi non erano innocenti come si definivano. Infatti, da quello che si legge, si può osservare:

Perciò ecco, io vi mando dei profeti, dei saggi e degli scribi; di questi, alcuni ne ucciderete e metterete in croce; altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città,
affinché ricada su di voi tutto il sangue giusto sparso sulla terra, dal sangue del giusto Abele, fino al sangue di Zaccaria, figlio di Barachia, che voi uccideste fra il tempio e l’altare
(Matteo 23:34-35).

I profeti di cui parla questo passo, non erano certamente quelli dell’A.T. altrimenti Gesù avrebbe evitato di esprimersi con la formula: Vi mando.... Quest'espressione sta significando che si trattava di profeti cristiani, anche se non si sa chi erano. Il trattamento che sarà riservato a questi messaggeri divini, sarà inflitto proprio da questa categoria di religiosi, cioè dagli scribi e dai farisei, che in precedenza avevano affermato che se fossero stati presenti, quando i loro padri avevano ucciso i profeti, loro non sarebbero stati complici del loro crimine.

In conclusione, Gesù allargando la sfera della responsabilità di quest’azione nefanda e criminosa, coinvolge l’intera popolazione di Gerusalemme, e con essa vuole riferirsi ad Israele, quando scandisce:

«Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!
Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta.
Infatti, vi dico che da ora in avanti non mi vedrete più, finché non direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"»
(Matteo 23:37-39; vedere anche Luca 13:34).

In definitiva, perché i padri uccisero i profeti? Per non aver voluto accettare il loro messaggio. Perché i figli si comporteranno nella stessa maniera dei loro padri, uccidendo i profeti cristiani, cioè compiendo le stesse azioni? Per il medesimo motivo, cioè per non aver voluto accettare il vangelo e con esso il messaggio del ravvedimento. Il giudizio che peserà su loro sarà molto severo. Lo stesso accadrà a tutti quelli che respingeranno la salvezza che Dio offre in Cristo Gesù!

L’opera di seduzione dei falsi profeti

Nel sermone sul monte, Gesù aveva parlato del sorgere dei falsi profeti e come riconoscerli. Ora, invece ritornando sullo stesso argomento, ne riparla di nuovo, non solo come segno degli ultimi tempi, ma anche per l’opera di seduzione che compiranno.

Molti falsi profeti sorgeranno e sedurranno molti.
Allora, se qualcuno vi dice: "Il Cristo è qui", oppure: " là", non lo credete;
perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti, e faranno grandi segni e prodigi da sedurre, se fosse possibile, anche gli eletti
(Matteo 24:11,23-24; Marco 13:22).

Questo passo non solo parla del sorgere dei falsi profeti e della seduzione che essi compiranno, ma anche dei mezzi che useranno per attuarla. I grandi segni e prodigi che faranno, ovviamente, non saranno la manifestazione della potenza divina, come avviene quando Egli opera, né avranno lo scopo di far conoscere il potere miracolo di Dio, come avviene quando ci sono miracoli, avranno lo scopo di sedurre, e sedurre anche se fosse possibile gli eletti. Che significa tutto questo. Forse i segni e prodigi non saranno veri? Sicuramente no! Infatti, la Bibbia parla di prodigi bugiardi, operati per l’azione efficace di Satana.

La venuta di quell’empio accadrà, per l’azione efficace di Satana, con ogni sorta di opere potenti, di segni e di prodigi bugiardi (2 Tessalonicesi 2:9).
I prodigi di cui parla l’Apocalisse in 13:13-14; 19:20

E operava grandi prodigi sino a far scendere fuoco dal cielo sulla terra alla presenza degli uomini.
E seduceva gli abitanti della terra con i prodigi che le fu concesso di fare alla presenza della bestia, dicendo agli abitanti della terra di erigere un’immagine della bestia che aveva ricevuto la ferita della spada ed era tornata in vita.
“Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine
,

saranno operati, per l’intervento di Satana e avranno lo scopo di “sedurre” le persone e portarli lontani da Dio e dalla verità della Sua Parola. Questo però non significa che simili manifestazioni miracolose non saranno veri, o saranno semplicemente una pura allucinazione, un prodotto della magia; saranno vere manifestazioni miracolose, cioè il fuoco che scenderà dal cielo, sarà vero fuoco, solo che, invece di produrlo Dio, sarà prodotto dal diavolo e dai suoi alleati. Un ultimo riferimento ai profeti, Matteo lo fa a proposito dell’arresto di Gesù.

In quel momento Gesù disse alla folla: «Voi siete usciti con spade e bastoni, come contro un brigante, per prendermi. Ogni giorno sedevo nel tempio ad insegnare e voi non mi avete preso;
ma tutto questo è avvenuto affinché si adempissero le Scritture dei profeti». Allora tutti i discepoli l’abbandonarono e fuggirono
(Matteo 26:55-56).

«Il rinnovato riferimento al compirsi delle Scritture ha carattere riepilogante («tutto ciò avvenne»). Matteo sottolinea l’elemento profetico degli Scritti. Egli o cita un profeta o pone in risalto il valore profetico di passo biblico, come avviene in 13:35, dove il passo di un salmo è citato come parola profetica. Gli scritti dei profeti hanno parlato di Gesù» [Joachim Gnilka, Il vangelo di Matteo, Parte seconda, pag. 429].

L’evangelista Luca

Anche se in Luca non c’è l’abbondanza della formula presente in Matteo: Affinché si adempisse... nondimeno egli ha diversi passi che parlano dei profeti. Prendendoli in esame, possiamo valorizzarli e comprendere come lui li considerava. Il primo riferimento si trova in bocca a Zaccaria, padre di Giovanni Battista. Dopo che egli riacquistò la parola, perché rimase muto per tutto il tempo della gravidanza di sua moglie Elisabetta, a causa di non aver creduto alla parola di Gabriele, che gli annunciava il lieto evento, Luca annota nel suo evangelo, le seguenti parole:

Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo e profetizzò, dicendo:
«Benedetto sia il Signore, il Dio d’Israele, perché ha visitato e riscattato il suo popolo,
e ci ha suscitato un potente Salvatore nella casa di Davide suo servo,
come aveva promesso da tempo per bocca dei suoi profeti;
uno che ci salverà dai nostri nemici e dalle mani di tutti quelli che ci odiano
(Luca 1:67-71).

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Domenico34
00domenica 15 maggio 2011 00:03
Il potente Salvatore di cui parlò Zaccaria, era senza dubbio il Signor Gesù Cristo: Luce da illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Luca 2:32).
Se l’Iddio d’Israele aveva suscitato questo potente Salvatore, l’aveva fatto perché da molto tempo i profeti ne avevano parlato. Tutti gli eventi della storia, prima del loro adempimento, Dio le ha fatte annunciare dai Suoi profeti, molto tempo prima, perché questo è il modo in cui Egli agisce, e non fa le cose come le facciamo noi uomini. Tenuto presente che Dio conosce la fine fin dal principio (Isaia 46:9-10), ne può parlarne liberamente.

I profeti con Abrahamo, Isacco e Giacobbe nel regno di Dio

Il detto sui profeti che si trovavano insieme nel regno di Dio con Abrahamo, Isacco e Giacobbe, nacque dietro una specifica domanda rivolta a Gesù, per sapere se i salvati sono pochi. Nella risposta, Gesù fornì un preciso avvertimento, e, nello stesso tempo diede un dettagliato quadro di quello che accadrà nel futuro:

Un tale gli disse: «Signore, sono pochi i salvati?» Ed egli disse loro:
«Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché io vi dico che molti cercheranno di entrare e non potranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, stando di fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: "Signore, aprici". Ed egli vi risponderà: "Io non so da dove venite".
Allora comincerete a dire: "Noi abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza, e tu hai insegnato nelle nostre piazze!"
Ed egli dirà: "Io vi dico che non so da dove venite. Allontanatevi da me, voi tutti, malfattori".
Là ci sarà pianto e stridor di denti, quando vedrete Abrahamo, Isacco, Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi ne sarete buttati fuori
(Luca 13:23-28).

Parte del testo di Luca, trova la sua corrispondenza in (Matteo 7:21-23), a proposito di quelli che diranno: Signore, Signore... e che vanteranno di aver profetizzato nel nome di Gesù e fatto in nome suo opere potenti. A loro Gesù risponderà: Io non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, malfattori!

Certo, sarà terribile in quel giorno, quando Gesù pronunzierà quelle terrificanti parole a persone che, apparentemente sembravano di essere servitori di Dio e seguaci del Cristo, sentirsi definire malfattori e che il Signore non li aveva mai conosciuti! Nel giorno della resa dei conti, ci saranno tante di quelle sorprese che noi non abbiamo la minima idea. Sarà allora, proprio in quel giorno, (e sarà troppo tardi per rimediare un passato), che i segreti più reconditi saranno manifestati e resi noti a tutti e che l’insincerità più camuffata, sarà smascherata. Giustamente, il monito che Gesù diede in quel giorno, è valido ancora ai nostri dì: Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché io vi dico che molti cercheranno di entrare e non potranno.

L’importanza di ascoltare i profeti

Il racconto del ricco e di Lazzaro (per noi non è una parabola, come alcuni vorrebbero, ma un fatto successo, che ha lo scopo di gettare uno sguardo nell’aldilà) è abbastanza significativo da farci vedere l’importanza di sapere ascoltare i profeti.

«C’era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente;
e c’era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri,
e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri.
Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abrahamo; morì anche il ricco, e fu sepolto.
E nel soggiorno dei morti, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abrahamo, e Lazzaro nel suo seno;
ed esclamò: "Padre Abrahamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell’acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma".
Ma Abrahamo disse: "Figlio, ricòrdati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato.
Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di la si passi da noi".
Ed egli disse: "Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre,
perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento".
Abrahamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli".
Ed egli: "No, padre Abrahamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno".
Abrahamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita"»
(Luca 16:19-31).

Perché fu dato il consiglio di ascoltare Mosè e i profeti, e che se l’uomo non si lascia persuadere da quello che dicono Mosè e i profeti, neanche un morto risuscitato potrà produrre la persuasione? Perché Mosè e i profeti parlano del Cristo e invitano continuamente alla conversione e all’accettazione della salvezza di Dio, per mezzo della fede in Cristo Gesù. Se l’uomo, qualunque esso sia, non è disposto ad accettare il messaggio di Mosè e dei profeti (e in questo passo di Luca, “accettare” ha il senso di “ascoltare”), non ci sarà nessuno che possa evitare di andare a finire nel luogo del tormento, nell’altra vita.

Le cose scritte dai profeti

Nei prossimi quattro passi, Luca fa riferimento alle cose scritte dai profeti, riguardante Gesù.

Poi, prese con sé i dodici, e disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme, e saranno compiute riguardo al Figlio dell’uomo tutte le cose scritte dai profeti (Luca 18:31;

Allora Gesù disse loro: «O insensati e lenti di cuore a credere a tutte le cose che i profeti hanno detto!
Non doveva il Cristo soffrire tutto ciò ed entrare nella sua gloria?»
E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture, le cose che lo riguardavano
(Luca 24:25-27);

Poi disse loro: «Queste sono le cose che io vi dicevo quand’ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi» (Luca 24:44).

I profeti dell’A.T. avevano previsto tutto intorno alla vita e al ministero di Gesù: a cominciare dalla Sua nascita fino il giorno in cui sarebbe risuscitato dai morti. Logicamente le predizioni profetiche che coprivano tutto l’intervallo che Gesù sarebbe rimasto in terra, dovevano adempiersi, esattamente come si sono adempiute. Questo, giustamente, Gesù lo sapeva; ecco perché in varie riprese ne parlò chiaramente, fornendo nello stesso tempo luce e conoscenza ai suoi discepoli.

L’evangelista Giovanni

Nel vangelo di Giovanni si trovano pochi passi che parlano dei profeti; però quei pochi che ci sono, sono abbastanza significativi da comprendere come l’evangelista li considerava.

Filippo trovò Natanaele e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù da Nazaret, figlio di Giuseppe».
Natanaele gli disse: «Può forse venir qualcosa di buono da Nazaret?» Filippo gli rispose: «Vieni a vedere»
(Giovanni 1:45-46).

Per Filippo, che portò un messaggio importante a Natanaele — così, egli credeva — quando gli comunicò: Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti: Gesù da Nazaret, non fu però tale per il dotto Israelita che, stentava a credere che da Nazaret, cioè dalla Galilea, potesse venire qualcosa di buono. Perché Natanaele si espresse in quel modo dando un giudizio negativo, solo a sentire nominare Nazaret? Perché appunto quell'oscura regione non godeva prestigio presso gli altri israeliti, come per esempio la Giudea; i suoi abitanti erano di solito sottovalutati. Se Filippo avesse riferito a Natanaele che aveva incontrato nel suo cammino, un profeta che proveniva da quella regione, forse la reazione sarebbe stata diversa; ma sentendo nominare il Cristo, cioè il Messia promesso dai profeti, la sua valutazione fu negativa.

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Domenico34
00lunedì 16 maggio 2011 00:09
D’altra parte, Filippo non era un dotto studioso delle Scritture che avrebbe potuto illuminare Natanaele, e, rendendosi conto che il suo messaggio non recò entusiasmo nel suo interlocutore, trovò la saggezza di dirgli: Viene a vedere. Dall’incontro che Natanaele ebbe con Gesù, si convinse che quel Gesù, di cui Filippo gli aveva parlato, era, non solo il Cristo, il messia, ma addirittura il Figlio di Dio. Sotto certi aspetti, è sempre vero: quando le persone entrano in un'intima relazione personale con Gesù, i loro sentimenti vengono illuminati e comprendono di Lui, quello che prima non sapevano.

Tutti saranno istruiti da Dio

Ogni uomo che ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me (Giovanni 6:45).

Il detto dei profeti si trova in due libri dell’A.T: Tutti i tuoi figli saranno discepoli del SIGNORE e grande sarà la pace dei tuoi figli (Isaia 54:13); e: Nessuno istruirà più il suo compagno o il proprio fratello, dicendo: "Conoscete il SIGNORE!" poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande», dice il SIGNORE. «Poiché io perdonerò la loro iniquità, non mi ricorderò del loro peccato» (Geremia 31:34).

«Nel giudaismo si credeva che studiando la Torà si fosse istruiti dallo stesso Dio e si attendeva un totale insegnamento di Dio, intimamente operante, per il tempo escatologico» [Rudolf Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni, Parte seconda, pag. 111].

Visto che «l’idea della Scrittura è estranea al contesto», — come giustamente fa notare lo stesso autore — si deve cercare altrove, per vedere da dove viene l’istruzione che Dio dà. Tenendo presente la puntualizzazione che fa Gesù che, ogni uomo che ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me, e che nel (v. 46) è respinta l’idea di una visione fisica del Padre, l’unico modo per udire ed imparare dal Padre, è attraverso Suo Figlio, Gesù Cristo. Questa spiegazione trova il pieno appoggio dallo stesso Giovanni che, in diversi passi ci fa comprendere che il Padre si dà a conoscere interamente nel Figlio.

Gesù stesso stabilisce: «Chi crede in me, crede non in me, ma in colui che mi ha mandato;
e chi vede me, vede colui che mi ha mandato.
«Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: "Mostraci il Padre"?
(Giovanni 12:44-45; 14:9).

Rientra nella logica accettare l’affermazione secondo la quale: Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Dio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere (Giovanni1.18).

Chi ha ricevuto la sua testimonianza, ha confermato che Dio è veritiero (Giovanni 3:33).

Se uno vuol fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio (Giovanni7:17).

Gesù dunque disse loro: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che io sono, e che non faccio nulla da me, ma dico queste cose come il Padre mi ha insegnato;
Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Per questo voi non le ascoltate; perché non siete da Dio»
(Giovanni 8:28,47).

Chi mi respinge e non riceve le mie parole, ha chi lo giudica; la parola che ho annunciata è quella che lo giudicherà nell’ultimo giorno.
Perché io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare
(Giovanni12:48-49).

Non credi tu che io sono nel Padre e che il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico di mio; ma il Padre che dimora in me, fa le opere sue;
Chi non mi ama non osserva le mie parole; e la parola che voi udite non è mia, ma è del Padre che mi ha mandato
(Giovanni 14:10,24).

«Secondo la concezione giovannea il Figlio è così pienamente una cosa sola col Padre, che in definitiva con ‘udire il Figlio’ si esprime l’idea di udire il Padre» [Ibidem, pag. 112].

L’incomprensione dei Giudei

I Giudei gli dissero: «Ora sappiamo che tu hai un demonio. Abrahamo e i profeti sono morti, e tu dici: "Se uno osserva la mia parola, non gusterà mai la morte" (Giovanni 8:52).

Il lungo ragionamento che Gesù ebbe con i Giudei, secondo il resoconto che Giovanni ci fornisce nel cap. 8:30-59 ci dà l’idea in che misura Gesù era incompreso e che senso gli davano alle Sue affermazioni. La sezione del capitolo 8, che va da 30-59, non è altro che una botta e risposta. Da una parte c’è Gesù che fa delle affermazioni e dall’altra ci sono i Giudei che, con le loro risposte, non solo mettono in evidenza la loro incomprensione a quello che Gesù afferma, ma rivelano anche il netto rifiuto alla Sua parola.
Davanti all’auto definizione che Gesù fece di se stesso di essere la luce del mondo, e chi lo segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Giovanni 8:12), a parte che i farisei lo rintuzzarono subito affermandogli che quel suo modo di parlare, non era altro di testimoniare di se stesso, però ci furono tanti che credettero il Lui. Davanti a quelli che hanno creduto a Gesù, Egli si affretta a dire loro che, conoscendo la verità e perseverando in essa, si diventa liberi. Questa Sua affermazione, ovviamente, non fu compresa, perché gli ascoltatori pensavano che Gesù alludesse ad uno stato di schiavitù umana, mentre Egli si riferiva a quella del peccato.

Facendo riferimento alla discendenza di Abrahamo, i Giudei, con aria di vanto, asserivano di essere figli di Abrahamo, mentre Gesù, conoscendo i loro malvagi intenti che lo volevano uccidere, rispose che non stavano facendo di opere di Abrahamo, ma le opere del loro padre. A questo punto, i Giudei, ribattendo, risposero che il loro padre era Dio. Gesù, però, confutandoli, gli rispose:

«Se Dio fosse vostro Padre, mi amereste, perché io sono proceduto e vengo da Dio; infatti, io non sono venuto da me, ma è lui che mi ha mandato (Giovanni 8:42).

Visto che il discorso si animava, per le domande e le risposte che venivano date, Gesù fece un’affermazione, attraverso la quale tolse il coperchio della pendola che stava bollendo: In verità, in verità vi dico che se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte» (Giovanni 8:51).

Una simile affermazione che, forse quei Giudei non avevano mai sentito da nessuno dei loro maestri, li fece esplodere, portandoli a definire Gesù un indemoniato, e, nello stesso tempo gli chiesero se Egli fosse maggiore di Abrahamo e dei profeti, i quali erano morti. Poiché la loro incomprensione era all’apice, e non c’era argomentazione che poteva convincere quegli interpellanti, Gesù pose termine alla discussione, asserendo di esistere prima di Abrahamo e dei profeti, con la frase IO SONO, che, inequivocabilmente si richiamava a (Esodo 3:14). Davanti a quelle precise parole, i Giudei presero delle pietre per tirargliele, perché credevano che Gesù avesse bestemmiato nel definirsi in quel modo. Tutto questo perché, in quel giorno, Gesù fu incompreso dai Giudei.

Gli Atti degli apostoli

In questa sezione, saranno esaminati i vari passi che il libro degli Atti contiene intorno ai profeti.

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Domenico34
00martedì 17 maggio 2011 00:17
Ma ciò che Dio aveva preannunziato per bocca di tutti i profeti, cioè, che il suo Cristo avrebbe sofferto, egli lo ha adempiuto in questa maniera.
Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati
e affinché vengano dalla presenza del Signore dei tempi di ristoro e che egli mandi il Cristo che vi è stato predestinato, cioè Gesù,
che il cielo deve tenere accolto fino ai tempi della restaurazione di tutte le cose; di cui Dio ha parlato fin dall’antichità per bocca dei suoi santi profeti.
Mosè, infatti, disse: "Il Signore Dio vi susciterà in mezzo ai vostri fratelli un profeta come me; ascoltatelo in tutte le cose che vi dirà.
E avverrà che chiunque non avrà ascoltato questo profeta, sarà estirpato di mezzo al popolo".
Tutti i profeti, che hanno parlato da Samuele in poi, hanno anch’essi annunziato questi giorni.
Voi siete i figli dei profeti e del patto che Dio fece con i vostri padri, dicendo ad Abrahamo: "Nella tua discendenza tutte le nazioni della terra saranno benedette"
(Atti 3:18-25).

Nel discorso che l’apostolo Pietro fece al popolo, dopo la guarigione dello zoppo alla porta del tempio detta “Bella”, non solo mise in risalto che quella guarigione non avvenne per la potenza o per la pietà di lui e di Giovanni, ma unicamente perché il Dio di Abrahamo, d'Isacco e di Giacobbe, il Dio dei padri ha glorificato il suo servo Gesù, che fu messo nelle mani di Pilato e rinnegato davanti a lui, mentre egli aveva giudicato di liberarlo (Atti 3:13).

Anche se Pietro non negò la responsabilità oggettiva degli Ebrei, definendoli addirittura gli uccisori del Principe della vita, ma che Dio lo risuscito dai morti, nondimeno, tutto ciò che avvenne, trovava il suo adempimento in quello che i profeti avevano preannunziato, circa le sofferenze che il Cristo avrebbe sofferto. Parlando poi dei tempi della restaurazione di tutte le cose, l’apostolo affermò che Dio, fin dall’antichità, ne aveva parlato per bocca dei Suoi santi profeti.

Visto che tutti i profeti, da Samuele in poi, avevano anch’essi annunziato quei giorni, per Pietro, tenuto conto com'erano andate le cose, non c’era una diversa conclusione cui arrivare: Voi (Israeliti) siete i figli dei profeti e del patto che Dio fece con i vostri padri. In virtù di questo patto, a voi per primi, Dio ha mandando il Suo servo, Gesù, risuscitato dai morti, per benedirvi, convertendo ciascuno di voi dalle sue malvagità (v. 26).

Quando si considerano le parole di Stefano, e si confrontano con quelle di Gesù, si nota la stessa severità.

Quale dei profeti non perseguitarono i vostri padri? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete divenuti i traditori e gli uccisori;
voi, che avete ricevuto la legge promulgata dagli angeli, e non l’avete osservata»
(Atti 7:52-53).

«Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!
Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta
(Matteo 23:37-38).

Se Gesù per primo e dopo Stefano, usarono quel severo parlare, fu perché si resero conto che davanti a loro avevano persone di collo duro e di cuore ostinato, determinati a rigettare la salvezza di Dio, che gli veniva offerta per mezzo di Cristo Gesù. Inoltre, se Stefano, nel suo parlare (che fu una vera requisitoria davanti al sommo sacerdote), fece riferimento al detto del profeta:

O casa d’Israele, mi avete forse presentato sacrifici e offerte nel deserto, durante i quarant’anni?
Ora prenderete sulle spalle il baldacchino del vostro re e il piedistallo delle vostre immagini, la stella dei vostri dèi che vi siete fatti;
e io vi farò andare in esilio oltre Damasco», dice il SIGNORE, il cui nome è Dio degli eserciti
(Amos 5:25-27),

lo fece essenzialmente per far capir che, tra i loro padri e loro, non c’era nessuna differenza: com'erano di collo duro e di cuore ostinato i loro padri, allo stesso modo lo erano anche i loro figli.

Un diverso ambiente

Cambiando ambiente, ci troviamo in casa di un Gentile, il centurione Cornelio, che invita in casa sua Pietro, dietro ordine di un angelo del Signore, perché questi gli parli delle cose relative alla sua salvezza e a quella della sua famiglia. Inviati i messaggeri di Cornelio in casa dove era alloggiato Pietro, quest’ultimo, rendendosi conto che quegli uomini arrivati a casa sua, non si trovavano lì solamente perché Cornelio li aveva inviati, ma soprattutto perché un angelo del Signore aveva ordinato al centurione di fare chiamare Pietro a casa sua.

Nel frattempo Pietro, senza sapere la missione che lo attendeva, aveva visto una visione di giorno, mentre pregheva e sentito una voce che gli ordinava:

«Alzati, Pietro; ammazza e mangia».
Ma Pietro rispose: «No assolutamente, Signore, perché io non ho mai mangiato nulla di impuro e di contaminato».
E la voce parlò una seconda volta: «Le cose che Dio ha purificate, non farle tu impure»
(Atti 10:13-15).

A questo punto Pietro, mentre cercava di capire il significato della visione e l’ordine ricevuto, arrivano alla porta della sua casa i messaggeri di Cornelio che domandano di lui. E lui, senza che avesse avuto la minima idea perché quegli uomini lo cercavano, si sente dire dallo Spirito: (chiaro riferimento allo Spirito Santo)

«Ecco tre uomini che ti cercano.
Alzati dunque, scendi, e va’ con loro, senza fartene scrupolo, perché li ho mandati io»
(Atti 10:19-20).

La chiarezza nella mente di Pietro è piena: comprende che il Signore lo chiama nella casa di Cornelio. Anche se lui sa che quell’uomo è un Gentile, e lui com'Ebreo, a rigore, non potrebbe andare in quella casa; nondimeno, siccome è stato lo Spirito del Signore ha ordinargli di andare, assieme ai servitori di Cornelio, nel giro di poco tempo si trova in casa di un Gentile. Quando poi sente il racconto di Cornelio che gli riferisce che, nell’ora nona, l’orario della preghiera, vede a casa sua un angelo di Dio che gli ordina:

Cornelio, la tua preghiera è stata esaudita, e le tue elemosine sono state ricordate davanti a Dio.
Manda dunque qualcuno ad Ioppe e fa’ venire Simone, detto anche Pietro; egli è ospite in casa di Simone, conciatore di pelli, in riva al mare.
Perciò, subito mandai a chiamarti, e tu hai fatto bene a venire; or dunque siamo tutti qui presenti davanti a Dio, per ascoltare tutto ciò che ti è stato comandato dal Signore»
(Atti 10:31-33),

Pietro non ha nessun dubbio: comprende chiaramente che Dio non ha
riguardi personali;
ma che in qualunque nazione chi lo teme e opera giustamente gli è gradito (vv. 34-35).

La conclusione che Pietro fece in quel giorno nella casa di Cornelio, non poteva farla meglio di come la fece: Di lui attestano tutti i profeti che chiunque crede in lui (cioè in Gesù) riceve il perdono dei peccati mediante il suo nome» (v. 43). Questo è il messaggio valido per tutti ai nostri giorni, cioè credere in Cristo Gesù, per avere il perdono dei peccati!

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Domenico34
00mercoledì 18 maggio 2011 00:02
Paolo in Antiochia di Pisidia

Nel suo primo viaggio missionario, Paolo e Barnaba, trovandosi in Antiochia di Pisidia, nel giorno di sabato, entrano nella sinagoga e si siedono. Lo scopo della loro presenza in quel luogo dove si trovano radunati i Giudei per il loro culto, non è stato solamente quello di partecipare ad una funzione religiosa, ma di avere l’opportunità di parlare di Gesù a quelle persone. Infatti, il testo precisa che:

Dopo la lettura della legge e dei profeti, i capi della sinagoga mandarono a dir loro: «Fratelli, se avete qualche parola di esortazione da rivolgere al popolo, ditela».
Allora Paolo si alzò e, fatto cenno con la mano, disse: «Israeliti, e voi che temete Dio, ascoltate
(Atti 13:15-16).

La lettura della legge e dei profeti che si faceva nelle sinagoghe, era prassi normale, cioè faceva parte integrale della liturgia.

«Nel servizio del sabato era usanza leggere due porzioni dell’A.T.: una della legge (il Pentateuco) e l’altra dei profeti. «La legge e i profeti» sta ad indicare tutto l’A.T. (cfr. Matteo 5:17; 7:12; 11:13; 22:40; Luca 16:16; Atti 24:14; 28:23; Romani 3:21)» [Stanley D. Toussaint, Investigate le Scritture, Nuovo Testamento, pag. 418; G. Stählin, Gli Atti degli Apostoli, pag. 320; I. Howard Marshall, Gli Atti degli Apostoli, pagg. 310-311].

In questo modo le persone che frequentavano quei luoghi, potevano tener presente quello che Dio aveva detto anticamente ai padri, per mezzo dei profeti, e, se c’era una persona competente, poteva seguire una predica. In quale parte del Pentateuco e dei profeti venne fatta la lettura, non ci viene detto. Paolo che era sempre pronto a parlare e sfruttare ogni occasione che gli si presentava, una volta invitato a parlare, non esitò a presentare un panorama profetico, per arrivare al suo obiettivo di presentare Gesù: la persona di cui parlavano la legge e i profeti. Le diverse citazioni che addusse in quella giornata, avevano il solo scopo di fornire una dimostrazione scritturale, intorno a quello che egli asseriva circa Gesù Cristo.

Non potendo fare a meno di parlare di quello che i capi avevano fatto a Gerusalemme, nei confronti di Gesù, lo rafforzò con un'affermazione:

Infatti gli abitanti di Gerusalemme e i loro capi non hanno riconosciuto questo Gesù e, condannandolo, adempirono le dichiarazioni dei profeti che si leggono ogni Sabato (Atti 13:27).

Il riferimento ai profeti, era tagliato a misura. Paolo, proseguendo nel suo discorso, fece riferimento alla morte di Gesù; non poteva però fermarsi lì, doveva necessariamente parlare anche del fatto che quel Gesù che i capi avevano condannato a morte, Dio lo aveva risuscitato dai morti, e per molti giorni apparve a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, i quali ora sono suoi testimoni davanti al popolo (v. 31).

Tenuto conto che la risurrezione di Gesù era stata predetta da Davide: PoichE' tu non abbandonerai l’anima mia in potere della morte, né permetterai che il tuo santo subisca la decomposizione (Salmo 16:10), l’apostolo, oltre a dimostrarla con la Scrittura, ha concluso il suo messaggio con un severo avvertimento, citando un’altra scrittura profetica:

Guardate dunque che non vi accada ciò che è detto nei profeti:
"Guardate, o disprezzatori, stupite e nascondetevi, perché io compio un’opera ai giorni vostri, un’opera che voi non credereste, se qualcuno ve la raccontasse"»
(Atti 13:40-41).

La citazione era quella del profeta Abacuc, che recita: “«Guardate fra le nazioni, guardate, meravigliatevi e siate stupiti! Poiché io sto per fare ai vostri giorni un’opera, che voi non credereste, nemmeno se ve la raccontassero”(Abacuc 1:5).

La conferenza di Gerusalemme

La prima conferenza cristiana che si tenne a Gerusalemme, fu in relazione ad un grosso problema di particolare importanza che nacque nella chiesa di Antiochia, a causa di alcuni giudei-cristiani venuti dalla Giudea che insegnavano: «Se voi non siete circoncisi secondo il rito di Mosè, non potete essere salvati» (Atti 15:1). Paolo e Barnaba, che in quel tempo si trovavano impegnati nella comunità di Antiochia a svolgere il loro ministero, saputi di quella dottrina, si opposero energicamente con tutta la loro forza, perché giustamente ritenevano quell’insegnamento deviante e in contraddizione con l’evangelo della grazia che loro insegnavano e predicavano. Siccome dalla discussione piuttosto vivace che ebbero con questi sedicenti cristiani, non fu possibile trovare un punto di convergenza, si decise che Paolo e Barnaba si recassero a Gerusalemme, dagli apostoli e anziani e sottoponessero a loro quella questione (v. 2).

Leggendo quello che Luca ci riferisce di quella conferenza, nel capo 15 degli Atti, si può immaginare come l’argomento fu trattato e con quale animosità parlarono quelli che intervennero nella discussione, specialmente quelli della setta dei farisei che erano diventati credenti che, affermavano in maniera decisa e ferma: «Bisogna circonciderli, (e Gentili) e comandar loro di osservare la legge di Mosè» (v. 5). Una simile impostazione e valutazione che venne dato all’argomento, richiedeva una decisa e ferma presa di posizione, per riportare la serenità in mezzo alla cristianità, e anche in seno alla conferenza, visto che era nata una vivace discussione (v. 7).

Pietro che fu il primo a prendere la parola, dopo che l’argomento fu presentato e messo in discussione, non poteva appoggiare o convalidare la tesi dei farisei, anche perché la sua esperienza che aveva fatto nella casa di Cornelio, smentiva categoricamente la validità dell’osservanza della legge di Mosè, come sostenevano quei credenti farisei. Egli, infatti, come se il caso di Cornelio non fosse conosciuto dalla fratellanza, volle ripercorrere quella tappa per dimostrare che non era affatto vero che senza osservare il rito della circoncisione secondo la legge di Mosè, non si poteva essere salvati.

Pietro si alzò in piedi e disse: «Fratelli, voi sapete che dall’inizio Dio scelse tra voi me, affinché dalla mia bocca gli stranieri udissero la Parola del vangelo e credessero.
E Dio, che conosce i cuori, rese testimonianza in loro favore, dando lo Spirito Santo a loro, come a noi;
e non fece alcuna discriminazione fra noi e loro, purificando i loro cuori mediante la fede.
Or dunque perché tentate Dio mettendo sul collo dei discepoli un giogo che né i padri nostri né noi siamo stati in grado di portare?
Ma noi crediamo per essere salvati mediante la grazia del Signore Gesù allo stesso modo di loro»
(Atti 15:7-11).

L’intervento di Pietro, fu talmente efficace, che acquietò quella specie di sommossa che era nata, e tutta l’assemblea tacque e stava ad ascoltare Barnaba e Paolo, che raccontavano quali segni e prodigi Dio aveva fatto per mezzo di loro tra i pagani (v. 12).

Finito il resoconto di Barnaba e Paolo, di quello che Dio aveva fatto tra i Gentili, per mezzo di loro, Giacomo, che era il presidente della conferenza, alzatosi, invitò l’assemblea ad ascoltarlo, e, nel suo intervero, toccò il tasto del nostro tema: quello che avevano detto i profeti.

«Fratelli, ascoltatemi: Simone ha riferito come Dio all’inizio ha voluto scegliersi tra gli stranieri un popolo consacrato al suo nome.
E con ciò si accordano le parole dei profeti, come sta scritto:
"Dopo queste cose ritornerò e ricostruirò la tenda di Davide, che è caduta; e restaurerò le sue rovine, e la rimetterò in piedi,
affinché il rimanente degli uomini e tutte le nazioni, su cui è invocato il mio nome, cerchino il Signore, dice il Signore che fa queste cose,
a lui note fin dall’eternità".
Perciò io ritengo che non si debba turbare gli stranieri che si convertono a Dio;
ma che si scriva loro di astenersi dalle cose contaminate nei sacrifici agli idoli, dalla fornicazione, dagli animali soffocati, e dal sangue.
Perché Mosè fin dalle antiche generazioni ha in ogni città chi lo predica nelle sinagoghe dove viene letto ogni sabato»
(Atti 15:14-21).

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00giovedì 19 maggio 2011 00:17
Il testo profetico che Giacomo citò, è quello che si trova in Amos 9:11-12, che recita:

«Quel giorno io rialzerò la capanna di Davide che è caduta, ne riparerò i danni, ne rialzerò le rovine, la ricostruirò com’era nei giorni antichi,
affinché possegga il resto di Edom e tutte le nazioni sulle quali è invocato il mio nome», dice il SIGNORE che farà questo
.

Con quel suo intervento, Giacomo, non solo confermò quello che aveva detto Pietro prima di lui, con un testo scritturale, ma chiuse anche il dibattito, consigliando la decisione che l’assemblea avrebbe dovuto adottare. Che il consiglio di Giacomo venne accettato, sta nel fatto che, il testo conciliare che ne seguì, riportava esattamente quello che lui aveva detto.

La testimonianza di Paolo

La testimonianza che Paolo ha reso della sua conversione, davanti ai governatori Felice e Festo, e anche al re Agrippa, c'è stata tramandata accuratamente da Luca. Attraverso la descrizione che egli né fa, possiamo comprendere con quale stato d’animo Paolo la raccontò e per quale motivo. Davanti al governatore Felice che fu accusato da Tertullo, come se fosse una peste, un fomentatore di rivolte fra tutti i Giudei del mondo, il capo della setta dei Nazareni e perfino uno che tentò di profanare il tempio, Paolo, con gran garbo e con spirito di mansuetudine, dimostrò che quelle accuse non erano vere. Siccome Paolo stava parlando con una persona di legge, sapeva che Felice, non avrebbe potuto prendere in considerazione le accuse di Tertullo, se non venivano provate. Era proprio quella prova che mancava; se ci fosse stata, sarebbe stata prodotta con sollecitudine. Ecco, perché Paolo, sicuro di sé, rivolgendosi al governatore, poteva dirgli: E non possono provarti le cose delle quali ora mi accusano (Atti 24:13).

Siccome lo scopo di Paolo non era solamente quello di difendersi dalle false accuse, ma anche e soprattutto di rendere la sua testimonianza della sua fede in Dio, precisò:

Ma ti confesso questo, che adoro il Dio dei miei padri, secondo la Via che essi chiamano setta, credendo in tutte le cose che sono scritte nella legge e nei profeti;
avendo in Dio la speranza, condivisa anche da costoro, che ci sarà una risurrezione dei giusti e degli ingiusti.
Per questo anch’io mi esercito ad avere sempre una coscienza pura davanti a Dio e davanti agli uomini
(Atti 24:14-16).

Davanti a quel tipo di parlare che Paolo fece, e che gli accusatori non contestarono, il governatore Felice, con ogni probabilità si convinse che le cose non stavano come asseriva Tertullo. Ecco perché rimandò l’esame del caso, quando sarebbe venuto il tribuno Lisia.

Ora Paolo si trova davanti al governatore Festo e al re Agrippa. La scena pur essendo diversa della precedente, però ci sono sempre le pesanti accuse dei Giudei, che reclamano a Festo, di non permettere a Paolo di sopravvivere. Siccome Festo è convinto che Paolo non ha fatto niente che meriti la morte, e, tenuto conto che lo stesso si era appellato al giudizio dell’imperatore Cesare, non sapendo quello che avrebbe dovuto scrivere all’imperatore, ritiene opportuno fare ascoltare al re Agrippa l’imputato. Dal momento che Agrippa diede a Paolo la libertà di parlare, quest’ultimo raccontò la storia della sua conversione, cioè, quando Gesù gli apparve sulla strada di Damasco, mentre era intento a perseguitare con ferocia, chi invocava il nome del Signor, Gesù Cristo. A conclusione della sua testimonianza, Paolo viene fuori con queste parole:

Per questo i Giudei, dopo avermi preso nel tempio, tentavano di uccidermi.
Ma per l’aiuto che viene da Dio, sono durato fino a questo giorno, rendendo testimonianza a piccoli e a grandi, senza dir nulla al di fuori di quello che i profeti e Mosè hanno detto che doveva avvenire, cioè:
che il Cristo avrebbe sofferto, e che egli, il primo a risuscitare dai morti, avrebbe annunziato la luce al popolo e alle nazioni»
(Atti 26:21-23).

Davanti a questa solenne proclamazione, e, rispondendo a Festo che ad alta voce, diceva: «Paolo, tu vaneggi; la molta dottrina ti mette fuori di senno» (v.24), Paolo, chiede al re Agrippa, credi tu ai profeti? E senza aspettare la risposta, egli stesso risponde: Io so che ci credi (v. 26). Fu a questo punto che, Agrippa, rispondendo a Paolo, gli disse: Ancora un po’ e mi persuadi a diventare cristiano (v.27) (N.D.).

Infine, Paolo ormai si trova a Roma in veste di prigioniero. E, siccome è molto interessato per i suoi connazionali Giudei, non perse tempo ad invitarli nel suo alloggio, con la scopo di vederli e nello stesso tempo parlargli del Signor, Gesù Cristo. Il libro degli Atti chiude con queste parole:

E, avendogli fissato un giorno, vennero a lui nel suo alloggio in gran numero; ed egli dalla mattina alla sera annunziava loro il regno di Dio rendendo testimonianza e cercando di persuaderli per mezzo della legge di Mosè e per mezzo dei profeti, riguardo a Gesù.
Alcuni furono persuasi da ciò che egli diceva; altri invece non credettero.
Essendo in discordia tra loro, se ne andarono, mentre Paolo pronunciava quest’unica sentenza: «Ben parlò lo Spirito Santo quando per mezzo del profeta Isaia disse ai vostri padri:
«Va’ da questo popolo e di’: "Voi udrete con i vostri orecchi e non comprenderete; guarderete con i vostri occhi, e non vedrete;
perché il cuore di questo popolo si è fatto insensibile, sono divenuti duri d’orecchi, e hanno chiuso gli occhi, affinché non vedano con gli occhi e non odano con gli orecchi, non comprendano con il cuore, non si convertano, e io non li guarisca".
Sappiate dunque che questa salvezza di Dio è rivolta alle nazioni; ed esse presteranno ascolto»
(Atti 28:23-28).

Il testo profetico che Paolo citò, fu quello d'Isaia:

...«Va’, e di’ a questo popolo: "Ascoltate, sì, ma senza capire; guardate, sì, ma senza discernere!"
Rendi insensibile il cuore di questo popolo, rendigli duri gli orecchi, e chiudigli gli occhi, in modo che non veda con i suoi occhi, non oda con i suoi orecchi, non intenda con il cuore, non si converta e non sia guarito!»
(Isaia 6:9-10).

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e saremo pronti a rispondere
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