Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 7. I LAVORATORI DELLE DIVERSE ORE

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Domenico34
00martedì 12 aprile 2011 21:16

Capitolo 7




I LAVORATORI DELLE DIVERSE ORE




Il testo

«Il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa, il quale, sul far del giorno, uscì a prendere a giornata degli uomini per lavorare la sua vigna.
Si accordò con i lavoratori per un denaro il giorno e li mandò nella sua vigna.
Uscì di nuovo verso l’ora terza, ne vide altri che se ne stavano sulla piazza disoccupati,
e disse loro: Andate anche voi nella vigna e vi darò quello che sarà giusto. Ed essi andarono.
Poi, uscito ancora verso la sesta e la nona ora, fece lo stesso.
Uscito verso l’undicesima, ne trovò degli altri in piazza e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi?
Essi gli dissero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Egli disse loro: Andate anche voi nella vigna.
Fattosi sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama i lavoratori e dà loro la paga, cominciando dagli ultimi fino ai primi.
Allora vennero quelli dell’undicesima ora e ricevettero un denaro ciascuno.
Venuti i primi, pensavano di ricever di più; ma ebbero anch’essi un denaro per ciascuno.
Perciò, nel riceverlo, mormoravano contro il padrone di casa dicendo:
Questi ultimi hanno fatto un’ora sola e tu li hai trattati come noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e sofferto il caldo.
Ma egli, rispondendo ad uno di loro, disse: Amico, non ti faccio alcun torto; non ti sei accordato con me per un denaro?
Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare a quest’ultimo quanto a te.
Non mi è lecito fare del mio ciò che voglio? O vedi tu di mal occhio che io sono buono?
Così gli ultimi saranno primi e i primi ultimi»
(Matteo 20:1-16).

Nel proporre questa parabola, certamente lo scopo di Gesù non era di descrivere la premura e l’interessamento di un comune proprietario terriero, ma di far capire a che cosa fosse simile il regno dei cieli. Quindi, la parabola va interpretata tenendo presente il concetto di regno dei cieli o di regno di Dio, visto che queste due formule hanno lo stesso significato.

Il fatto che si precisi che i lavoratori furono presi nelle diverse ore della giornata — al mattino (le sei del mattino); all’ora terza (le nove del mattino); all’ora sesta (mezzogiorno); all’ora nona (le tre del pomeriggio) e all’undicesima ora (le cinque di pomeriggio) — sta a significare che i lavoratori non erano tutti disponibili alla stessa ora, cioè all’inizio della giornata. Siccome i primi lavoratori non erano sufficienti per il bisogno che c’era nella vigna del padrone, quest’ultimo cercò dei lavoratori nelle diverse ore della giornata.

Si precisa che il padrone fissò con i primi lavoratori la paga del giorno lavorativo per un denaro, mentre per tutti gli altri che vennero dopo si precisa che avrebbero ricevuto ciò che sarebbe stato giusto. Con questi accordi precisi, tutti i lavoratori — sia quelli della prima ora come anche quelli dell’undicesima — svolsero la loro attività lavorativa. Alla fine della giornata, il padrone affidò l’incarico al suo fattore di pagare i lavoratori, in accordo con quanto prevedeva la legge di Dio (Levitico 19:13; Deuteronomio 24:15), cominciando dagli ultimi. Dal momento che il padrone non aveva dato alcuna istruzione specifica al fattore riguardo alla paga dei lavoratori, quello che egli aveva pattuito con i primi valeva anche per gli ultimi. Se i lavoratori che avevano lavorato una sola ora avessero dovuto ricevere la paga in proporzione al tempo impiegato, certamente il padrone non avrebbe omesso di dirlo chiaramente al suo fattore. Siccome, però, questo non rientrava nella sua volontà, ecco perché i lavoratori dell’ultima ora ricevettero un denaro per ciascuno. Lo stesso trattamento venne riservato a tutti gli altri lavoratori, senz’alcuna differenza. La paga fu uguale per tutti, sia per quelli che avevano sopportato il peso di un’intera giornata lavorativa sia per quelli che avevano lavorato solamente alcune ore: un denaro per ciascuno.

Siccome la paga venne data davanti a tutti, compreso il padrone, ogni lavoratore seppe l’ammontare del denaro che aveva ricevuto il proprio compagno. Nel vedere ciò, i primi lavoratori pensarono e credettero che loro avrebbero avuto il diritto di ricevere di più, dato che avevano lavorato dodici ore. Però, quello che loro pensavano non si verificò, per il semplice fatto che anche a loro venne dato un denaro. La lamentela che ne seguì non venne fatta nei confronti del fattore, ma direttamente del padrone, perché secondo loro c’era stata un’evidente ingiustizia nei loro confronti. Se quei lavoratori, però, avessero tenuto conto del fatto che il padrone non era venuto meno nel suo impegno con loro, non avrebbero avuto alcun motivo e diritto di avanzare quella lamentela.

Giustamente il padrone, nel rispondere a quei lavoratori che si lamentavano, fece rilevare che l’accordo tra di loro era stato per un denaro, e se i lavoratori dell’undicesima ora avevano ricevuto pure un denaro, quella somma non era stata sottratta alla loro paga, ma alla sua tasca. Quindi, a rigor di logica, essi non avrebbero dovuto lamentarsi, anzi avrebbero avuto l’obbligo di lodare la bontà del padrone, cosa che però non fecero, perché, in effetti, non seppero apprezzarla.

A questo punto, s’impone una seria riflessione per cercare di comprendere quello che Gesù ha voluto insegnare a quei tempi con la parabola in oggetto, e quello che si propone d’insegnare alla Sua chiesa di oggi. Sicuramente, la verità insegnata dalla parabola ha a che fare con la salvezza. Anche se è vero che la salvezza non viene mai presentata come un salario, ma sempre come dono gratuito di Dio (Romani 6:23), dal momento che la parabola ha come punto di riferimento il regno dei cieli, e che ne faranno parte Giudei e Gentili, l’interpretazione deve concentrarsi su questo obiettivo e mettere in risalto alcuni punti salienti che compongono la parabola.

Il primo elemento della parabola che dev’essere messo in evidenza riguarda la volontà del padrone. Se con il riferimento al padrone Gesù voleva alludere a Dio (come crediamo che ciò vada inteso), non si potrà allora fare a meno di pensare alla Sua volontà in relazione alla salvezza degli uomini. Più tardi, l’apostolo Paolo si esprimerà in forma dogmatica quando specificherà che Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità (1Timoteo 2:4). La chiamata dei lavoratori ad andare a lavorare nella vigna parla appunto di questa volontà divina. La chiamata di Dio alla salvezza, pur essendo per tutti, non avviene però alla stessa ora. Il fatto della diversità dell’orario non dipende dalla volontà del padrone, ma dalla disponibilità del lavoratore. Se il padrone della vigna avesse trovato abbastanza lavoratori, sul far del giorno non sarebbe ritornato in piazza in cerca di altri lavoratori. Non c’è da obbiettare se s’interpreta che i primi lavoratori chiamati a lavorare nella vigna rappresentino il popolo d’Israele.

Così come il padrone della vigna chiamò i lavoratori ad andare a lavorare, nello stesso modo agisce Dio quando avverte gli uomini riguardo alla salvezza. Per adempiere la volontà di Dio, l’essere umano dovrà rispondere alla Sua chiamata; se questi non darà risposta, la volontà salvifica divina sarà vanificata dal rifiuto dell’uomo.

Che, per la sua salvezza, la creatura umana debba accettare la volontà di Dio, cioè quello che Egli ha stabilito, è fuori d’ogni discussione. Dio ha stabilito che la salvezza dell’uomo si possa ottenere soltanto mediante Gesù Cristo (Atti 4:12). Se l’essere umano non è disposto ad accettare nella sua vita la volontà divina, tutte le buone opere che egli potrà esibire non avranno alcun valore, e di conseguenza non ci sarà alcuna speranza di salvezza.

Tenuto conto che la salvezza è uguale per tutti, non si può pensare che Dio faccia delle parzialità tra le persone. Il padrone della vigna diede a tutti i lavoratori un denaro, sia a quelli che avevano lavorato dodici ore, cioè l’intera giornata, sia a quelli che avevano lavorato una sola ora. Il trattamento che ricevettero i lavoratori rispecchiava fedelmente quello che era stato pattuito tra il datore di lavoro e i lavoratori, e non quello che questi ultimi avrebbero potuto pretendere, come pensavano i primi chiamati. Se gli ultimi chiamati avevano ricevuto la stessa paga dei primi, ciò era accaduto solamente in virtù della bontà del padrone. La salvezza è uguale sia per chi serve il Signore da cinquant’anni sia per chi, prima di morire, invoca il nome del Signore (Romani 10:13).

La frase con cui Matteo chiude il racconto della parabola è: Così gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi. Che cosa significa? È solamente per riferirci che gli ultimi lavoratori furono i primi a ricevere la paga, mentre i primi la ottennero per ultimi? Sicuramente no! Il significato più generale della frase riguarda le persone che entreranno nel regno di Dio. In un altro passo del vangelo viene precisato che i pubblicani e le prostitute entreranno prima nel regno di Dio dei religiosi giudei (Matteo 21:31). Con questo, però, non si vuol sostenere che Israele, chiamato per primo, sarà escluso dal regno di Dio. La frase non ha niente a che vedere con l’idea dell’esclusione, come qualcuno erroneamente ha interpretato, ma vuole alludere semplicemente al privilegio che avranno gli ultimi nell’essere trattati al pari dei primi. Infine, dal momento che nel regno di Dio ci saranno sia Giudei che Gentili, sia gli uni che gli altri saranno alla pari davanti a Dio in virtù della Sua bontà.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con piacere[/DIM
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