Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 5. RACCOLTA DI SETTE PARABOLE

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Domenico34
00venerdì 8 aprile 2011 00:14

Capitolo 5




RACCOLTA DI SETTE PARABOLE




Il testo

e dorma e si alzi, la notte e il giorno; il seme intanto germoglia e cresce senza che egli sappia come.
La terra da sé stessa dà il suo frutto: prima l’erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato.
Quando il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l’ora della mietitura è venuta»
(Marco 4:26-29).

L’accento principale non è posto sull’uomo che getta il seme nel terreno, ma sul modo inspiegabile della crescita della semenza. Lo stesso seminatore che ha fatto il suo lavoro non trova una valida spiegazione (perché non lo comprende) su come abbia fatto il seme a germogliare e a crescere, senza che ci sia stato l’intervento umano. Tenuto conto che, con la similitudine, Gesù parlava del regno di Dio, era anche necessario che, con la breve narrazione parabolica, Egli mettesse in risalto l’azione di Dio. Naturalmente, quello che Dio compie sfugge al controllo dell’uomo. Se vengono menzionati il giorno e la notte è per farci notare che, durante questo periodo, chi ha seminato il seme si riposa: va a dormire e si alza, senza che si renda conto di quello che succederà alla semenza.

La crescita del regno di Dio non è collegata al trascorrere del giorno e della notte, ma alla potente e misteriosa azione divina, che compie tutto nel silenzio e nel segreto. Ecco la verità che nostro Signore ha voluto insegnare con questa prima similitudine. Una volta che è stato gettato il seme nel terreno, non ci sono spine che possano soffocarlo. Il corso che esso seguirà sarà piuttosto naturale: Prima l’erba, poi la spiga, poi nella spiga il grano ben formato. Quando, poi, il frutto è maturo, subito il mietitore vi mette la falce perché l’ora della mietitura è venuta.

Quindi, facendo un riepilogo della parabola, si possono distinguere nettamente quattro tempi: 1) per gettare il seme; 2) per germogliare e crescere; 3) per la maturazione e 4) per la mietitura o raccolta.

Il testo

Egli propose loro un’altra parabola, dicendo: «Il regno dei cieli è simile ad un granello di senape che un uomo prende e semina nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi; ma, quand’è cresciuto, è maggiore dei legumi e diventa un albero; tanto che gli uccelli del cielo vengono a ripararsi tra i suoi rami»
(Matteo 13:31-32).

Diceva ancora: «A che paragoneremo il regno di Dio, o con quale parabola lo rappresenteremo?
Esso è simile ad un granello di senape, il quale, quando si è seminato in terra, è il più piccolo di tutti i semi che sono sulla terra;
Con molte parabole di questo genere esponeva loro la parola, secondo quello che potevano intendere.
Non parlava loro senza parabola; ma in privato ai suoi discepoli spiegava ogni cosa
(Marco 4:30-34).

Diceva ancora: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo paragonerò?
È simile a un granello di senape che un uomo ha preso e gettato nel suo orto; ed è cresciuto ed è divenuto albero; e gli uccelli del cielo si sono riparati sui suoi rami»
(Luca 13:18-19).

Commento e riflessioni

L’espressione Il regno dei cieli è simile... si trova menzionata solamente nel vangelo di Matteo e ricorre dieci volte, in dieci parabole; mentre Marco e Luca preferiscono la forma Il regno di Dio…. Le parabole con la dicitura in questione sono quella delle zizzanie, del granello di senape, del lievito, del tesoro nascosto, del mercante di perle, della rete, del re che fa i conti con i suoi servi, del padrone di casa, delle nozze e delle dieci vergini.

Quasi tutti gli studiosi che hanno commentato le parabole di Gesù, nella loro spiegazione della parabola del granello di senape hanno messo in risalto — come crediamo sia giusto fare — la piccolezza del seme di senape e la grandezza del suo sviluppo, dopo che esso è stato seminato.

Qualcuno ha fornito, addirittura, le dimensioni del granello di senape nera: «ha un diametro di mm 0,95-1,6 e pesa 1 mg» [R. Pesch, Il vangelo di Marco, Parte prima, pag. 417]. Qualche altro riferisce «di un rabbi che salì su una pianta di senape nel suo giardino, come un fico» [E. Schweizer, Il vangelo secondo Marco, pag. 84].

Anche se certe informazioni potrebbero stimolare il nostro interesse ad approfondire la conoscenza della Parola di Dio, dovrà rimanere fermo uno dei princìpi base della ricerca volta a mettere in evidenza la verità o le realtà esposte in un determinato passo biblico. Nel nostro caso specifico, stiamo parlando della parabola del granello di senape. Dai particolari che presentano i tre evangelisti, riguardo alla semina del granello di senape, sono stati tratti significati particolari (come vedremo tra breve). Quali sono questi particolari? Eccoli!

Matteo ha questa frase: Un uomo prende e semina nel suo campo. Marco, invece, ha: Quando si è seminato in terra. Da parte sua, Luca puntualizza: Un uomo ha preso e gettato nel suo orto. Quindi abbiamo il campo, la terra e l’orto.

La prima domanda che dobbiamo porci è: qual è la verità che Gesù ha voluto insegnare con questa parabola? È una verità che ha a che fare con il tempo presente, vale a dire con l’era della chiesa, o che, piuttosto, si riferisce al futuro escatologico? Inoltre, la parabola mira a farci conoscere la persona che semina il granello di senape o vuole farci comprendere la verità riguardante il regno di dei cieli o il regno di Dio?

Se poniamo queste domande è perché qualcuno, nell’antichità, ha visto nel granello di senape Gesù Cristo stesso.
Ambrogio, famoso per le sue spiritualizzazioni e i collegamenti scritturali che adduceva per convalidare le sue interpretazioni, vedeva nel granello di senape il Signore Gesù Cristo. La prova scritturale che egli adduceva era Giovanni 12:24, in cui si afferma: In verità, in verità vi dico che se il granello di frumento caduto in terra non muore, rimane solo; ma se muore, produce molto frutto (Giovanni 12:24). Sì, è vero che il granello di frumento, cui fece riferimento Gesù, si riferiva a Se stesso e parlava della Sua morte, ma Egli non era il granello di senape.

Poi Ambrogio usa il particolare che menziona Luca, cioè l’orto, per mettere in risalto che Gesù fu arrestato e seppellito in un orto. Visto che il granello di senape, nella sua crescita e sviluppo, diventerà un albero, egli adduce un testo biblico per chiarire meglio quanto sta asserendo: Come un albero di melo tra gli alberi della foresta, così è mio fratello tra i giovani (Cantico dei Cantici 2:3). Inoltre, egli fornisce la seguente riflessione:

«Tu semina il Signore Gesù: egli è un granello quando viene arrestato, ma un albero quando risuscita, un albero che fa ombra a tutto il mondo. È un granello quando viene sepolto in terra, ma è un albero quando si eleva al cielo». Infine, arriva anche a vedere nel granello di senape «i martiri Felice, Nabor e Vittore» [Cfr. Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di Luca, Volume 2, pagg. 104-108].

Siamo perfettamente convinti che la parabola del granello di senape presenti la verità riguardante il regno di Dio e che non debba essere confusa con l’altro detto sul granello di senape, che riguarda la fede (Matteo 17:20). Per il fatto stesso che Gesù ne parla chiaramente, ogni altra interpretazione che non tenga presente ciò non merita di essere accettata e condivisa.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00sabato 9 aprile 2011 01:01
A questo punto, è importante chiedersi: che cos’è il regno di Dio? La risposta più semplice e concisa è: Il dominio e il governo di Dio. Sugli uomini o sugli angeli? Sugli uomini, immancabilmente. Ad avvalorare il nostro convincimento sta il fatto che Gesù, fin dall’inizio della Sua attività ministeriale pubblica, non fece altro che proclamare l’avvicinarsi del regno di Dio (Marco 1:15). Gli apostoli furono mandati ad annunziare il regno di Dio (Luca 9:2).

Quando Gesù scacciava i demoni, davanti ai Suoi oppositori affermava che il regno di Dio era giunto fino a loro (Matteo 12:28). Egli considerava una buona notizia l’annunzio del regno di Dio (Luca 4:43; 8:1).

Ai farisei che volevano sapere quando sarebbe venuto il regno di Dio, Gesù rispose: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare gli sguardi; né si dirà: Eccolo qui, o eccolo là; perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi» (Luca 7:20-21). Infine, concepire un regno senza il regnante non ha senso. Gesù è senza dubbio il re che regnerà secondo giustizia (Isaia 32:1).

Il regno di Dio (= il dominio di Dio), cui fa riferimento la parabola del granello di senape, riguarda il tempo della chiesa o, piuttosto, ha un senso escatologico? Crediamo che esso abbracci i due periodi: quello della chiesa e quello della fine. Per quanto riguarda l’era della chiesa, il dominio di Dio è di carattere spirituale, cioè il Signore regna nei cuori dei credenti, ossia di tutti quelli che si lasciano governare da Lui; mentre quello escatologico riguarderà l’intero universo.

La parte finale della parabola parla della crescita e dello sviluppo del seme: esso parte come il più piccolo dei semi, poi diventerà addirittura un albero così grande da permettere agli uccelli del cielo di ripararsi tra i suoi rami.

«Ogni cosa grande, nella Chiesa, comincia per lo più allo stadio del granello di senape, perché dinanzi a Dio non decide la misura umana, il peso o le relazioni di grandezza. Egli non ha bisogno di porre alcuna proporzione tra la nostra azione e il risultato da lui voluto. Tutto questo sarebbe necessario soltanto se ciò riguardasse unicamente, o almeno in prima linea, l’azione umana. Ma non è così, se Dio agisce in forma decisiva. Dalla parabola del granello di senape risulta che egli lo fa, e si parla pure della forma in cui lo compie» [R. Gutzwiller, Cristo nel vangelo di Matteo, pag. 173].

Rientra nella logica delle cose di Dio che nell’illustrazione dell’albero grande, in cui si riparano gli uccelli del cielo, ci sia una prefigurazione dell’estensione del regno di Dio — nel senso di offrire riparo a tutti, Giudei e Gentili. Infatti, Egli non pensa solamente ad alcuni e mette da parte altri. La Sua imparzialità si manifesta nei riguardi delle persone di tutte le età e di ogni popolo, senza fare alcuna differenza o tener conto del colore della pelle e dello stato sociale degli individui. Sotto quest’aspetto, la prefigurazione dell’illustrazione in questione non è qualcosa di fantasioso e d’irrealizzabile; è, invece, in perfetta coerenza con i piani divini della crescita e dello sviluppo del regno di Dio fra gli uomini.

Il testo

e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa.
Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli
(Matteo 5:14-16).

Poi diceva ancora: «Si prende forse la lampada per metterla sotto il vaso o sotto il letto? Non la si prende invece per metterla sul candeliere?
Poiché non vi è nulla che sia nascosto se non per essere manifestato; e nulla è stato tenuto segreto, se non per essere messo in luce.
Se uno ha orecchi per udire oda»
(Marco 4:21-23).

«Nessuno accende una lampada e poi la copre con un vaso, o la mette sotto il letto; anzi la mette sul candeliere, perché chi entra veda la luce.
Poiché non c’è nulla di nascosto che non debba manifestarsi, né di segreto che non debba essere conosciuto e venire alla luce
.

Gesù sta rivolgendo la Sua parola ai discepoli. Sono, infatti, loro che vengono definiti luce del mondo e sale della terra (Matteo 5:13-14). Se i discepoli di Gesù sono definiti in questo modo, ciò significa che, nella società in cui abitano, devono risplendere come astri (Filippesi 2:15). Si sa, infatti, che l’umanità senza Cristo vive nelle fitte tenebre. Tenuto presente che Gesù, come luce del mondo (Giovanni 8:12), ha portato illuminazione in mezzo agli uomini, anche i Suoi discepoli devono fare lo stesso.

La similitudine fatta da Gesù della lampada, che non si accende per coprirla con un vaso o per metterla sotto il letto, serve appunto per far comprendere ai Suoi il ruolo che essi devono assumere in mezzo alla società, a cominciare dalla casa, sede della propria famiglia. A che vale accendere una lampada quando questa non potrà portare alcun beneficio agli altri? Mentre, se si mette sopra un candeliere, cioè in un posto sopraelevato, essa può illuminare tutto l’ambiente.

È molto importante la conclusione tratta da Gesù: Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché vedano le vostre buone opere e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli (Matteo 5:16).

Infatti, è il modo di comportarsi del discepolo che indurrà chi lo vede (s’intende quelli del mondo) a glorificare il Padre celeste. Come per le cattive opere il nome del Padre viene bestemmiato, così per le buone opere esso viene glorificato. Questa è la migliore testimonianza che il discepolo di Gesù possa rendere in mezzo ad una generazione storta e perversa, nella quale egli risplende come astro nel mondo (Filippesi 2:15).

Il testo

Disse loro un’altra parabola: «Il regno dei cieli è simile al lievito che una donna prende e nasconde in tre misure di farina, finché la pasta sia tutta lievitata».
Tutte queste cose disse Gesù in parabole alle folle e senza parabole non diceva loro nulla,
affinché si adempisse quello che era stato detto per mezzo del profeta: «Aprirò in parabole la mia bocca; proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo»
(Matteo 13:33-35).

E di nuovo disse: «A che cosa paragonerò il regno di Dio?
Esso è simile al lievito che una donna ha preso e mescolato in tre misure di farina, finché sia tutta lievitata»
(Luca 13:20-21).

Gesù stesso, in varie occasioni, diede precise istruzioni di guardarsi dal lievito di certe persone. Ecco i testi che ne parlano:

E Gesù disse loro: «Guardatevi bene dal lievito dei farisei e dei sadducei».
Come mai non capite che non è di pani che io vi parlavo? Ma guardatevi dal lievito dei farisei e dei sadducei».
Allora capirono che non aveva loro detto di guardarsi dal lievito del pane, ma dall’insegnamento dei farisei e dei sadducei
(Matteo 16:6,11,12).

Egli li ammoniva dicendo: «Guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!» (Marco 8:15).

Nel frattempo la gente si era riunita a migliaia, così da calpestarsi gli uni gli altri. Allora Gesù cominciò a dire prima di tutto ai suoi discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è ipocrisia (Luca 12:1).

Purificatevi del vecchio lievito, per essere una nuova pasta, come già siete senza lievito. Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata.
Celebriamo dunque la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità
(1Corinzi 5:6-8).

Un po’ di lievito fa lievitare tutta la pasta (Galati 5:9): in senso negativo, naturalmente.

Allora, ritorniamo alla domanda precedente: se Gesù sapeva che il lievito simboleggiava il male, perché ne parlò con riferimento al regno di Dio? Tenendo presente che c’è di mezzo il regno di Dio — che non è qualcosa di umano, ma di squisitamente divino —, il lievito, nella parabola in questione, non può avere il senso di malizia e di malvagità (1Corinzi 5:8) o l’effetto pericoloso e corrompente del male.

Si continuerà il prossimo giorno...
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