Capitolo 16
TRE PARABOLE: LA GRAVITÀ DELL’ORA
Il testo
Or uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità».
E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente;
egli ragionava così, fra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse:
Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni,
Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio» (Luca 12:13-21).
NOTA INTRODUTTIVA
Il brano di Luca 12:13-21 si divide in due parti: la prima riguarda la richiesta di ripartire l’eredità e la seconda tratta del ricco stolto. I vv. 13-14 non servono solamente come parte introduttiva alla parabola del ricco stolto (visto che è stato a motivo di questa situazione familiare che Gesù ha parlato della parabola in questione), ma servono anche ad illustrare un problema di famiglia concernente i beni materiali di questa terra. Non c’è alcun dubbio che l’eredità, di cui parla il testo, consista in beni materiali. I due fratelli (supponendo che il padre sia morto o, se ancora vivo, abbia un’età che non gli permetta di amministrare l’eredità ai figli) devono entrare in possesso dell’eredità del proprio genitore. Ad uno dei due fratelli è stato affidato l’incarico (probabilmente dal padre mentre ancora era vivo e ne aveva le facoltà) di amministrare l’eredità, cioè di dividerla. Sta di fatto che chi ha ricevuto quest’incarico non l’ha fatto nei confronti dell’altro fratello. È quindi una situazione di famiglia che non è stata ancora risolta.
Non si conoscono i motivi che spingono il fratello (probabilmente minore) a rivolgersi a Gesù per chiederGli di ordinare a suo fratello di risolvere quel problema. Forse quell’uomo, riconoscendo la saggezza che aveva Gesù, pensa che con il Suo intervento possa convincere l’altro fratello a dividere l’eredità. Tenuto conto che si tratta indiscutibilmente di beni materiali, non ha senso logico la spiegazione che fornisce Agostino, visto che egli non tiene conto della forma letterale e, invece, dà al termine dividere un significato spirituale:
«Giustamente non ascoltò quel tale che lo sollecitava contro proprio fratello dicendo: Signore, ordina a mio fratello che divida con me l’eredità. Signore, disse, ordina a mio fratello. Che cosa? Che divida con me l’eredità. E il Signore: Dimmi, uomo. Perché vuoi dividere se non perché sei ancora «uomo»? Quando, infatti, uno arriva a dire: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non siete forse uomini? (1Corinzi 3: 4). Dimmi, uomo: chi mi ha costituito spartitore di eredità tra voi? Sono venuto a riunire, non a dividere» [
La Bibbia commentata dai padri, Nuovo Testamento 3 Luca, pag. 297].
Se Gesù rifiutò d’intromettersi in quella faccenda, non fu per sottovalutare quel bisogno, ma soprattutto perché la Sua missione sulla terra mirava a ben altro, cioè alla salvezza dei peccatori e alla loro riconciliazione con Dio. Ecco perché Egli rispose:
Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?, volendo intendere con questo che, per le cose materiali, essi dovevano rivolgersi ai giudici, persone qualificate in questa materia. Però, davanti a quel caso, Gesù ravvisò la necessità di esortare gli ascoltatori a stare attenti e a guardarsi dall’avarizia. La parabola del ricco stolto mira a questo.
Esame della parabola
L’uomo ricco della parabola viene presentato come una persona che pensa solamente ai beni materiali e ne fa dipendere la felicità della sua vita. L’avarizia è una forma di egoismo raffinato. L’avaro, infatti, vive la sua vita pensando solamente a se stesso e, nello stesso tempo, ignora chi esiste attorno di lui. Quando aumentano le sue possibilità economiche, egli non è totalmente soddisfatto, nel senso che non è pago della condizione in cui si trova, ma pensa a come conservare la ricchezza, perché, in effetti, nel suo cuore c’è avidità, cioè l’insaziabilità riguardo a quello che possiede.
Il ricco della parabola, quando vide che i suoi campi fruttarono abbondantemente, invece di pensare a quelli che non avevano niente da mangiare, cioè i poveri, escogitò un piano per raccogliere l’enorme abbondanza del suo raccolto: demolire i suoi magazzini e costruirne di più grandi. Con questo piano di lavoro, egli conservò per sé la ricchezza e, non contento di ciò per la vita presente, cercò di assicurarsi anche quella futura. Poi, rivolgendosi a se stesso, disse:
Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti.
Con questo tipo di ragionamento, il ricco ignorava totalmente quello che aveva affermato Gesù:
Non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la vita. Questa verità non era valida solamente per le persone dei tempi di Gesù, ma è valida anche per noi che viviamo nel XXI secolo. Per convincere le persone ad accettare questa verità, bisognerebbe prima d’ogni cosa estirpare dai loro cuori l’egoismo e l’avarizia che, in un certo qual senso, le dominano.
Quando pensa di ipotecare il suo futuro, l’essere umano agisce da vero stolto per il semplice fatto che ha messo Dio da parte. Noi possiamo avere l’oggi, non il domani. Il domani lo conosce solamente Dio ed è Lui che ha i mezzi per assicurarlo. Se l’uomo della parabola venne definito stolto, non fu solamente perché cercò di assicurarsi il futuro, ma anche perché non tenne conto della morte. Sì, è vero che la Bibbia afferma che
lo stolto ha detto in cuor suo: non c’è Dio (Salmo 14:1). Questo, però, non vuol dire che solo gli atei ragionino in questo modo, perché fanno lo stesso tutti quelli che, pur credendo nell’esistenza di Dio, si fanno padroni del domani e non pensano che la morte potrebbe portarli via, da un momento all’altro.
Giustamente l’apostolo Giacomo poteva esortare:
mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è, infatti, la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce.
Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro».
Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo.
Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato (Giacomo 4:13-17).
Il testo
Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna; andò a cercarvi del frutto e non ne trovò.
Disse dunque al vignaiolo: Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercar frutto da questo fico, e non ne trovo; taglialo; perché sta lì a sfruttare il terreno?
Ma l’altro gli rispose: Signore, lascialo ancora quest’anno; gli zapperò intorno e gli metterò del concime.
Forse darà frutto in avvenire; se no, lo taglierai» (Luca 13:6-9).
NOTA INTRODUTTIVA
Secondo coloro che riferirono quei fatti a Gesù, le persone che subirono il massacro da parte di Pilato, mentre offrivano i loro sacrifici nel tempio, si trovavano certamente in peccato per aver fatto quella fine. Lo stesso dicasi delle diciotto persone che morirono a causa della caduta della torre in Siloe. Gesù, però, nell’ascoltare quello che Gli veniva riferito, pur non escludendo lo stato di peccato di quegli individui, mise in evidenza due cose: 1) che quei Galilei che furono uccisi da Pilato non erano più peccatori degli altri Galilei, e che le persone che perirono sotto le macerie della torre in Siloe non erano più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme; 2) era necessario il ravvedimento di quelli che riferirono i fatti per non subire la stessa sorte. Questo significa che quanti riferirono dell’accaduto non consideravano il ravvedimento come qualcosa che riguardasse solo gli altri, non loro. Ecco perché Gesù indicò il ravvedimento come rimedio per non subire la stessa sorte di quelli che perirono.
Si continuerà il prossimo giorno...