Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 16. TRE PARABOLE: LA GRAVITÀ DELL’ORA

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Domenico34
00domenica 1 maggio 2011 00:44

Capitolo 16




TRE PARABOLE: LA GRAVITÀ DELL’ORA




Il testo

Or uno della folla gli disse: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità».
E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente;
egli ragionava così, fra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse:
Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni,
Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa l’anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?
Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio»
(Luca 12:13-21).

NOTA INTRODUTTIVA

Il brano di Luca 12:13-21 si divide in due parti: la prima riguarda la richiesta di ripartire l’eredità e la seconda tratta del ricco stolto. I vv. 13-14 non servono solamente come parte introduttiva alla parabola del ricco stolto (visto che è stato a motivo di questa situazione familiare che Gesù ha parlato della parabola in questione), ma servono anche ad illustrare un problema di famiglia concernente i beni materiali di questa terra. Non c’è alcun dubbio che l’eredità, di cui parla il testo, consista in beni materiali. I due fratelli (supponendo che il padre sia morto o, se ancora vivo, abbia un’età che non gli permetta di amministrare l’eredità ai figli) devono entrare in possesso dell’eredità del proprio genitore. Ad uno dei due fratelli è stato affidato l’incarico (probabilmente dal padre mentre ancora era vivo e ne aveva le facoltà) di amministrare l’eredità, cioè di dividerla. Sta di fatto che chi ha ricevuto quest’incarico non l’ha fatto nei confronti dell’altro fratello. È quindi una situazione di famiglia che non è stata ancora risolta.

Non si conoscono i motivi che spingono il fratello (probabilmente minore) a rivolgersi a Gesù per chiederGli di ordinare a suo fratello di risolvere quel problema. Forse quell’uomo, riconoscendo la saggezza che aveva Gesù, pensa che con il Suo intervento possa convincere l’altro fratello a dividere l’eredità. Tenuto conto che si tratta indiscutibilmente di beni materiali, non ha senso logico la spiegazione che fornisce Agostino, visto che egli non tiene conto della forma letterale e, invece, dà al termine dividere un significato spirituale:

«Giustamente non ascoltò quel tale che lo sollecitava contro proprio fratello dicendo: Signore, ordina a mio fratello che divida con me l’eredità. Signore, disse, ordina a mio fratello. Che cosa? Che divida con me l’eredità. E il Signore: Dimmi, uomo. Perché vuoi dividere se non perché sei ancora «uomo»? Quando, infatti, uno arriva a dire: «Io sono di Paolo», e un altro: «Io sono di Apollo», non siete forse uomini? (1Corinzi 3: 4). Dimmi, uomo: chi mi ha costituito spartitore di eredità tra voi? Sono venuto a riunire, non a dividere» [La Bibbia commentata dai padri, Nuovo Testamento 3 Luca, pag. 297].

Se Gesù rifiutò d’intromettersi in quella faccenda, non fu per sottovalutare quel bisogno, ma soprattutto perché la Sua missione sulla terra mirava a ben altro, cioè alla salvezza dei peccatori e alla loro riconciliazione con Dio. Ecco perché Egli rispose: Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?, volendo intendere con questo che, per le cose materiali, essi dovevano rivolgersi ai giudici, persone qualificate in questa materia. Però, davanti a quel caso, Gesù ravvisò la necessità di esortare gli ascoltatori a stare attenti e a guardarsi dall’avarizia. La parabola del ricco stolto mira a questo.
Esame della parabola

L’uomo ricco della parabola viene presentato come una persona che pensa solamente ai beni materiali e ne fa dipendere la felicità della sua vita. L’avarizia è una forma di egoismo raffinato. L’avaro, infatti, vive la sua vita pensando solamente a se stesso e, nello stesso tempo, ignora chi esiste attorno di lui. Quando aumentano le sue possibilità economiche, egli non è totalmente soddisfatto, nel senso che non è pago della condizione in cui si trova, ma pensa a come conservare la ricchezza, perché, in effetti, nel suo cuore c’è avidità, cioè l’insaziabilità riguardo a quello che possiede.

Il ricco della parabola, quando vide che i suoi campi fruttarono abbondantemente, invece di pensare a quelli che non avevano niente da mangiare, cioè i poveri, escogitò un piano per raccogliere l’enorme abbondanza del suo raccolto: demolire i suoi magazzini e costruirne di più grandi. Con questo piano di lavoro, egli conservò per sé la ricchezza e, non contento di ciò per la vita presente, cercò di assicurarsi anche quella futura. Poi, rivolgendosi a se stesso, disse: Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti.

Con questo tipo di ragionamento, il ricco ignorava totalmente quello che aveva affermato Gesù: Non è dall’abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la vita. Questa verità non era valida solamente per le persone dei tempi di Gesù, ma è valida anche per noi che viviamo nel XXI secolo. Per convincere le persone ad accettare questa verità, bisognerebbe prima d’ogni cosa estirpare dai loro cuori l’egoismo e l’avarizia che, in un certo qual senso, le dominano.

Quando pensa di ipotecare il suo futuro, l’essere umano agisce da vero stolto per il semplice fatto che ha messo Dio da parte. Noi possiamo avere l’oggi, non il domani. Il domani lo conosce solamente Dio ed è Lui che ha i mezzi per assicurarlo. Se l’uomo della parabola venne definito stolto, non fu solamente perché cercò di assicurarsi il futuro, ma anche perché non tenne conto della morte. Sì, è vero che la Bibbia afferma che lo stolto ha detto in cuor suo: non c’è Dio (Salmo 14:1). Questo, però, non vuol dire che solo gli atei ragionino in questo modo, perché fanno lo stesso tutti quelli che, pur credendo nell’esistenza di Dio, si fanno padroni del domani e non pensano che la morte potrebbe portarli via, da un momento all’altro.

Giustamente l’apostolo Giacomo poteva esortare:
mentre non sapete quel che succederà domani! Che cos’è, infatti, la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce.
Dovreste dire invece: «Se Dio vuole, saremo in vita e faremo questo o quest’altro».
Invece voi vi vantate con la vostra arroganza. Un tale vanto è cattivo.
Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato
(Giacomo 4:13-17).

Il testo

Disse anche questa parabola: «Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna; andò a cercarvi del frutto e non ne trovò.
Disse dunque al vignaiolo: Ecco, sono ormai tre anni che vengo a cercar frutto da questo fico, e non ne trovo; taglialo; perché sta lì a sfruttare il terreno?
Ma l’altro gli rispose: Signore, lascialo ancora quest’anno; gli zapperò intorno e gli metterò del concime.
Forse darà frutto in avvenire; se no, lo taglierai»
(Luca 13:6-9).

NOTA INTRODUTTIVA

Secondo coloro che riferirono quei fatti a Gesù, le persone che subirono il massacro da parte di Pilato, mentre offrivano i loro sacrifici nel tempio, si trovavano certamente in peccato per aver fatto quella fine. Lo stesso dicasi delle diciotto persone che morirono a causa della caduta della torre in Siloe. Gesù, però, nell’ascoltare quello che Gli veniva riferito, pur non escludendo lo stato di peccato di quegli individui, mise in evidenza due cose: 1) che quei Galilei che furono uccisi da Pilato non erano più peccatori degli altri Galilei, e che le persone che perirono sotto le macerie della torre in Siloe non erano più colpevoli di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme; 2) era necessario il ravvedimento di quelli che riferirono i fatti per non subire la stessa sorte. Questo significa che quanti riferirono dell’accaduto non consideravano il ravvedimento come qualcosa che riguardasse solo gli altri, non loro. Ecco perché Gesù indicò il ravvedimento come rimedio per non subire la stessa sorte di quelli che perirono.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00lunedì 2 maggio 2011 02:12
Davanti a questa prospettiva, è facile comprende perché Gesù cominciò il suo ministero pubblico invitando le persone al ravvedimento: Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo:
«Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo»
(Marco 1:14-15).

Esame della parabola

La frase: Disse anche questa parabola... serve per rafforzare e ribadire quanto Gesù aveva detto in precedenza. Al fico, di cui parla la parabola, non si è dato un significato unanime. «Il fico probabilmente raffigura Gerusalemme» [A. Kemmer, Le parabole di Gesù, pag. 85]; per Ambrogio e Cirillo di Alessandria si trattava della «sinagoga»; mentre per Agostino del «genere umano» [Sant’Ambrogio, Commento al vangelo di San Luca, pag. 93; La Bibbia commentata dai padri, Nuovo Testamento 3 Luca, pag. 320].

Se si tengono presenti i seguenti testi, è più coerente e convincente allo stesso tempo pensare ad «Israele» [E. Schweizer, Il vangelo secondo Luca, pag. 210], come suggerisce Schweizer:

La dissodò, ne tolse via le pietre, vi piantò delle viti scelte, vi costruì in mezzo una torre, e vi scavò uno strettoio per pigiare l’uva. Egli si aspettava che facesse uva, invece fece uva selvatica.
Ora, abitanti di Gerusalemme e voi, uomini di Giuda, giudicate fra me e la mia vigna!
Che cosa si sarebbe potuto fare alla mia vigna più di quanto ho fatto per essa? Perché, mentre mi aspettavo che facesse uva, ha fatto uva selvatica?
Ebbene, ora vi farò conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: le toglierò la siepe e vi pascoleranno le bestie; abbatterò il suo muro di cinta e sarà calpestata.
Ne farò un deserto; non sarà più né potata né zappata, vi cresceranno i rovi e le spine; darò ordine alle nuvole che non vi lascino cadere pioggia.
Infatti, la vigna del SIGNORE degli eserciti è la casa d’Israele, e gli uomini di Giuda sono la sua piantagione prediletta; egli si aspettava rettitudine, ed ecco spargimento di sangue; giustizia, ed ecco grida d’angoscia!
(Isaia 5:1-7);

«Io trovai Israele come uve nel deserto; vidi i vostri padri come i fichi primaticci di un fico al suo primo frutto; ma, non appena giunsero a Baal-Peor, si appartarono per darsi alla vergogna e divennero abominevoli come la cosa che amavano (Osea 9:10);

Certo io li sterminerò, dice il SIGNORE. Non c’è più uva sulla vite, non più fichi sul fico, e le foglie sono appassite! Io ho dato loro dei nemici che passeranno sui loro corpi» (Geremia 8:13).

D’altra parte, nominando Israele s’includono i capi, i dirigenti e il popolo. Inoltre, se si accetta che Gesù propose la parabola in questione per rafforzare quello che Egli aveva affermato intorno alla necessità del ravvedimento, e tenendo presente che quanti riferirono a Gesù la faccenda di Pilato e della morte di quelli che vennero schiacciati dalla torre in Siloe erano Giudei, non ha senso pensare che il fico che non porta frutto sia l’umanità o, per rifarci all’esegesi moderna, la cristianità che ha di questo solamente il nome, l’apparenza.

Ecco perché il padrone del terreno, rivolgendosi al vignaiuolo, gli dice di tagliare il fico: non solo perché non produce frutto, ma anche perché sfrutta il terreno a danno di altre piante. A questo punto, il contadino chiede una proroga di un altro anno, in modo da poter fare dei trattamenti speciali: zapperà il terreno attorno al fico e gli metterà del letame, nella speranza che il fico produca frutto.

«È interessante ricordare un’antica storia, attestata nel sec. V a.C. Un padrone paragonava il proprio figlio ad un albero sterile che, sebbene si trovasse vicino all’acqua, non porta frutti, cosicché il padrone è costretto ad abbatterlo. Allora il figlio chiede di trapiantarlo, e di abbatterlo soltanto se non porterà frutti nemmeno nel nuovo sito. Ma il padrone risponde: “Quando stavi vicino all’acqua non hai fatto frutto; come vuoi portarne stando in un altro posto?”» [A. Kemmer, Le parabole di Gesù, pag. 84; J. Jeremias, Le parabole di Gesù, pagg. 209-210].

Che il tempo che l’agricoltore chiede al padrone di curare in un modo speciale il fico, nella speranza che porti frutto, corrisponda al periodo della missione di Gesù in mezzo ad Israele, è convinzione di tutti i commentatori. Però, si sa senza tema di essere smentiti, che Israele non rispose all’attività di Gesù in suo favore, cioè rifiutò di ravvedersi, di credere in Lui e di accettarLo come il Messia promesso dai profeti. La conclusione della parabola è terribile: Forse darà frutto in avvenire; se no, lo taglierai. La sorte che subiranno quelli che non si ravvedranno sarà severa, soprattutto perché non avranno risposto a quello che Dio ha stabilito:

Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedono (Atti 17:30).

Testo

Ma a chi paragonerò questa generazione? É simile ai bambini seduti nelle piazze che gridano ai loro compagni e dicono:
Vi abbiamo sonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto.
A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione? A chi sono simili?
Sono simili a bambini seduti in piazza, che gridano gli uni agli altri: Vi abbiamo sonato il flauto e non avete ballato; abbiamo cantato dei lamenti e non avete pianto.
venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori!
Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli»
(Luca 7:31-35)

Ai testi di Matteo 11:16-19 e Luca 7:31-35 si è dato il titolo di parabola dei ragazzi sulla strada o i ragazzi che giocano [J. Jeremias, Le parabole di Gesù, pag. 197; A. Kemmer, Le parabole di Gesù, pag. 81].

Sia Matteo che Luca (il testo non si trova in Marco) cominciano col dire: A chi paragonerò questa generazione? Quindi è un paragone che fa Gesù per mettere in risalto le critiche che i capi religiosi avevano mosso contro Giovanni Battista e contro di Lui.

I giochi, di cui parla il testo, sono quelli che facevano in Palestina i bambini sulle piazze, con il suono del flauto per coinvolgere altri bambini ad unirsi nel loro ballo. Se mancava la partecipazione, cioè se gli altri bambini non si univano ballando, il gioco perdeva il suo valore, ovvero non aveva significato. Lo stesso dicasi per le bambine che cantavano lamenti funebri (visto che erano le donne a farli): le altre bambine che ascoltavano dovevano unirsi a loro piangendo. Anche se era tutto un gioco, ci doveva essere una reazione da parte di chi ascoltava, partecipando sia al suono del flauto sia al canto del lamento funebre.

Il paragone era di semplice comprensione, anche perché rispecchiava una pratica comune ai tempi di Gesù. Se Gesù fece quel ragionamento, sotto forma di paragone più che di parabola, agì in riferimento alla posizione critica che i religiosi giudei avevano preso nei confronti di Giovanni Battista e di Lui stesso. Si sa che Giovanni Battista era considerato dal popolo un profeta, cioè un messaggero divino, e Gesù stesso lo aveva definito il maggior profeta nato da donna.

Nonostante Giovanni tenesse un comportamento austero, da vero asceta, cioè non mangiava e beveva, dato che egli si nutriva di cavallette e di miele selvatico (Matteo 3:4) veniva considerato dai religiosi come una persona che aveva un demonio. Di Gesù, il Figlio dell’uomo, seppure Egli mangiasse e bevesse, si diceva: Ecco un mangione e un beone, un amico dei pubblicani e dei «peccatori»!

Logicamente, questo giudizio severo che i capi religiosi avevano formulato nei confronti di Giovanni Battista e di Gesù li aveva talmente accecati da non comprende e accettare il messaggio di ravvedimento che i due personaggi in questione predicavano con forza e determinazione. È sempre vero che, quando ci sono preconcetti, invidia, gelosia e superbia, le persone finiscono per chiudersi in se stesse e rifiutano facilmente gli avvertimenti salutari che provengono da Dio.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo prontamente
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