Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 13. LE PARABOLE DEL DENARO AFFIDATO

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Domenico34
00sabato 23 aprile 2011 00:25

Capitolo 13




LE PARABOLE DEL DENARO AFFIDATO




Testo

«Poiché avverrà come ad un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni.
A uno diede cinque talenti, ad un altro due e ad un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì.
Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque.
Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due.
Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone.
Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro.
Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Il suo padrone gli disse: Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.
Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.
Il suo padrone gli disse: Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.
Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;
ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo.
Il suo padrone gli rispose: Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse.
Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti.
Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.
E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti»
(Matteo 25:14-30).

NOTA INTRODUTTIVA

Per quanto riguarda i principali destinatari della parabola, non si può stabile, in maniera certa, a chi essa sia stata indirizzata. Si suppone che sia stata rivolta ai capi religiosi, soprattutto ai dottori della legge e agli scribi. Per confermare questa ipotesi, J. Jeremias deduce i seguenti motivi: «Grandi cose sono state loro affidate da Dio: la guida spirituale del popolo, la scienza della volontà, la chiave della regalità di Dio» [J. Jeremias, Le parabole di Gesù, pagg.204-205]. Visto che c’è incertezza in merito, è meglio puntare sull’insegnamento che Gesù ha voluto dare, sia alle persone del Suo tempo e sia a noi che viviamo in un’altra epoca e in un’altra cultura.

Quindi non va considerata solamente la bontà del padrone che affida parte del suo patrimonio ai suoi servitori, ma anche la fedeltà dei servi nel maneggiare quel denaro. Saranno, infatti, questi elementi che metteremo in evidenza nel corso dell’esame delle due parabole in questione e che ci aiuteranno, senza dubbio, ad apprezzare quei servi fedeli che hanno saputo ben maneggiare il denaro ricevuto e, nello stesso tempo, a constatare il comportamento negativo degli altri servi che, nella loro eccessiva prudenza, non hanno saputo rispondere all’effettiva volontà del loro padrone.

Esame della parabola dei talenti

Secondo Gnilka, «l’azione narrativa si suddivide sostanzialmente in tre parti: un padrone in procinto di intraprendere un viaggio affida ai suoi schiavi il proprio patrimonio (esposizione, vv. 14s.); il comportamento degli schiavi durante la sua assenza (vv. 16-18); il padrone al ritorno chiama gli schiavi a rendiconto (vv. 19-30)» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte seconda, pag. 520].

1. Il denaro del padrone affidato ai suoi servi

Che il padrone fosse un mercante, anche se la narrazione della parabola non lo specifica, lo rileviamo soprattutto dal denaro che egli affida ai suoi servi. Se poi si considera che quel denaro non venne affidato a scopo di beneficenza, ma con il preciso scopo di farlo aumentare, rientra nella logica pensare ad un mercante di professione. Il fatto, poi, che prima di mettersi in viaggio egli abbia pensato di affidare il suo denaro ai servi, è un altro elemento che ci fa dedurre che egli fosse interessato all’accrescimento del suo patrimonio.

Non ha importanza se il viaggio che egli intraprese fosse per affari o se si trattasse di una vacanza; quello che conta è il fatto che, prima di partire, egli pensò di consegnare il denaro ai suoi servi. Per affidare loro il suo patrimonio, non solo il padrone doveva conoscere i suoi servi, le loro capacità, ma bisognava che queste fossero anche persone di sua fiducia. Infatti, la precisazione che fa il testo, nell’affermare che a ciascuno dei tre venne affidato secondo la sua capacità, mette in risalto che il denaro non venne consegnato secondo una logica indiscriminata, bensì con riferimento alla precisa caratteristica che il padrone notava nei suoi servitori.

I destinatari del denaro sono tre: al primo vengono affidati cinque talenti; al secondo due e al terzo uno. Un talento corrispondeva a seimila denari. Il denaro era l’equivalente della paga di un giorno di lavoro di un comune operaio. Quindi si ha: 5 x 6.000 = 30.000; 2 x 6.000 = 12.000; 1 x 6.000 = 6.000. Questa è la somma che i tre servi hanno ricevuto dal loro padrone. Come si può notare, non si trattava di piccole somme, ma d’ingenti capitali, anche per chi aveva ricevuto un solo talento. Ultimata l’assegnazione, il padrone partì.

2. Il comportamento dei servi durante l’assenza del padrone

Ricevuto il denaro, due dei tre servi si danno subito da fare. Il termine greco eutheōs, subito, è un avverbio che esprime l’entrata in azione dei primi due servi. Il significato di questo termine è subito, immediatamente, allora, presto, entro poco tempo. Da ciò si può notare con quanta celerità i due servi in questione entrarono in azione. Non rimandarono ad un domani, ad un prossimo futuro, ad un tempo migliore, ma investirono immediatamente il denaro ricevuto, con ferma determinazione. È senza dubbio ammirevole il loro comportamento, che merita non solo di essere preso in considerazione, ma anche di essere quantomai lodato.

Per ciò che riguarda la celerità nell’investire il denaro ricevuto non vi fu alcuna differenza tra chi aveva ricevuto cinque talenti e chi invece due. Sì, è vero che il guadagno che ottennero dall’investimento andò totalmente a beneficio del padrone, ma la ricompensa e l’onore che ne ricevettero fu tutto per loro.

È notevole la differenza tra i due servi che investirono e il terzo che manifestò eccessiva prudenza. In questo caso, essa non consiste nella quantità di denaro ricevuto, ma nel modo di comportarsi. Certo, chi aveva ricevuto un solo talento, se l’avesse investito, non avrebbe mai potuto pretendere di ottenere un guadagno simile a quello degli altri suoi colleghi, perché tra la somma che egli aveva ricevuto e quella degli altri c’era una notevole differenza. Però, se fosse stato investito, il suo talento avrebbe potuto aumentare e diventare due talenti, nella stessa maniera in cui i cinque divennero dieci e i due quattro.

Siccome il servo fu assalito dalla paura di perdere quella somma di denaro, invece di correre questo rischio, egli preferì fare una buca in terra e nascondere il denaro del suo padrone. Probabilmente, egli avrà pensato tra sé e sé: «Se il mio signore non ricaverà guadagno, almeno non subirà alcuna perdita, ed io potrò restituirgli la stessa somma ricevuta». Il suo ragionamento, però, non si trovava in armonia con la volontà del padrone, secondo il quale sarebbe stato preferibile che il suo servo avesse messo il denaro in mano ai banchieri, così da poterlo riscuotere con l’interesse.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00domenica 24 aprile 2011 02:59
3. Il ritorno del padrone e il rendiconto dei servi

Stando alla descrizione della parabola, è probabile che il padrone, prima di partire, non avesse fissato una data del suo ritorno con i servi, limitandosi solamente ad assicurarli che sarebbe tornato. Il racconto precisa che dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro (v. 19). Visto che nella sua volontà, fin da quando aveva deciso di affidare il denaro ad alcuni dei suoi servitori fidati, c’era il pensiero del guadagno, non appena arrivò egli fece chiamare i suoi servi perché ognuno di loro potesse fargli il rendiconto di quello che aveva fruttato il suo denaro:

Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro.
Chi aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: Signore, tu mi affidasti cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque.
Il suo padrone gli disse: Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.
Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due.
Il suo padrone gli disse: Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore.
Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso;
ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo.
Il suo padrone gli rispose: Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso;
dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l’interesse.
Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha i dieci talenti
(Matteo 25:19-28).

Dal resoconto che i tre servi hanno fatto al loro padrone, si può vedere da una parte il loro comportamento a proposito del denaro ricevuto e, d’altra, la ricompensa che hanno ricevuto per il modo in cui l’hanno gestito. Sia il primo che il secondo servo hanno dimostrato impegno e determinazione, senza risparmiare le loro energie. Grazie all’impegno e alla laboriosità che hanno dimostrato in quest’affare, essi hanno raccolto un frutto significativo che li ha resi felici. Quando, poi, il loro signore li ha elogiati pubblicamente, definendoli servi buoni e fedeli, la loro soddisfazione si sarà senza dubbio completata, soprattutto davanti alla promessa di promuoverli sopra molte cose e di entrare nella gioia del loro Signore.

Per il terzo servitore, invece, la scena è totalmente diversa, perché diverso è stato il suo comportamento a proposito del denaro ricevuto. La paura che ha avuto nel perdere il capitale ricevuto l’ha portato a nascondere il talento sottoterra. Di solito questo tipo di comportamento era messo in pratica in tempo di guerra, quando c’era la prospettiva di una sconfitta. Per evitare che il nemico si impossessasse del denaro o di altri bene, si scavavano delle buche nel terreno e vi si nascondeva il tutto.

Forse quel servo pensava che il suo signore avrebbe elogiato il suo comportamento prudente, per il semplice fatto che non si era esposto al rischio di perdere il denaro. Invece, con sua sorpresa, egli si sentì definire malvagio e fannullone. Perché il padrone pronunciò quelle terribili parole? Perché il comportamento di quel servo, in effetti, non poteva essere definito prudente ed era semmai il risultato della sua inoperosità, che lo aveva indotto ad agire in quel modo. Quel servo non solo venne dichiarato malvagio, fannullone e inutile, ma gli venne anche tolto il talento che aveva nelle sue mani e lui stesso fu gettato nelle tenebre di fuori, dove c’è il pianto e lo stridor dei denti. Questa sarà la terribile punizione che subiranno gli infedeli nel giorno della resa dei conti, cioè del giudizio.

Come abbiamo detto all’inizio, non è tanto importante pensare ai probabili destinatari della parabola, ma quello che piuttosto ha valore per la chiesa di oggi, quindi per noi credenti, è conoscere la verità che Gesù ha voluto insegnare con questa parabola. Facendo un riepilogo di quanto abbiamo osservato, crediamo che il tutto si possa presentare nel seguente modo:

1. È sempre un privilegio ricevere dalla bontà di nostro Signore i beni della Sua grazia e i doni dello Spirito Santo, che sono la vera ricchezza divina. Tutto quello che riceviamo dalla mano di nostro Signore serve per farci sperimentare che, con il nostro impegno e la nostra determinazione, possiamo crescere nella grazia e nella conoscenza del nostro Signore e Salvatore, Gesù (2Pietro 3:18).

2. Dio conosce le capacità di ognuno di noi; Egli ci affida le Sue ricchezze, principalmente per l’accrescimento del Suo regno. Come il denaro cresce se viene investito e non si ha paura di affrontare i rischi, così il nostro avanzamento, nell’esercizio del ministero che Dio ci ha affidato sarà manifestato davanti a tutti.

Non sarà possibile conseguire alcun risultato, grande o piccolo che sia, se mancano la determinazione e l’impegno. Se ci prende il sopravvento e ci domina la paura di perdere o di non farcela, il nostro fallimento sarà sicuro. Mentre se si affrontiamo i vari rischi che potranno presentarsi nel nostro cammino, con la consapevolezza che il Signore è con noi, le cose volgeranno a nostro favore.

3. Nessun premio sarà conferito all’inizio di una qualsiasi attività; mentre, se si avrà la forza e il coraggio di perseverare e portare a termine il lavoro, il Signore, che è il giusto giudice che non dimentica le varie attività dei Suoi, saprà dare le giuste ricompense (1Corinzi 15:58). Il premio, che non è da confondere con la salvezza, oltre a non essere uguale per tutti, sarà dato secondo l’opera di ciascuno (1Corinzi 3:8; Apocalisse 22:12).

4. Essere dei fannulloni, cioè non impegnarsi in qualche attività, non precluderà solamente l’avanzamento, ma sarà anche il comportamento più deplorevole che si possa assumere, che immancabilmente determinerà la rovina per l’eternità, portando cioè lontano dalla gioia del cielo.
Se l’uomo, durante la sua vita, non saprà sfruttare le opportunità che il Signore gli concederà, non ci saranno scuse valide che possano essere accettate da Lui.

Testo

Mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente.
Disse dunque: «Un uomo nobile se ne andò in un paese lontano per ricevere l’investitura di un regno e poi tornare.
Chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: Fatele fruttare fino al mio ritorno.
Or i suoi concittadini l’odiavano e gli mandarono dietro degli ambasciatori per dire: Non vogliamo che costui regni su di noi.
Quando egli fu tornato, dopo aver ricevuto l’investitura del regno, fece venire quei servi ai quali aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ognuno avesse guadagnato mettendolo a frutto.
Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci.
Il re gli disse: Va bene, servo buono; poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi potere su dieci città.
Poi venne il secondo, dicendo: La tua mina, Signore, ha fruttato cinque mine.
Egli disse anche a questo: E tu sii a capo di cinque città.
Poi ne venne un altro che disse: Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto,
perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato.
Il re gli disse: Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quello che non ho depositato e mieto quello che non ho seminato;
perché non hai messo il mio denaro in banca, e io, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l’interesse?
Poi disse a coloro che erano presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine.
Essi gli dissero: Signore, egli ha dieci mine!
Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.
E quei miei nemici che non volevano che io regnassi su di loro, conduceteli qui e uccideteli in mia presenza»
(Luca 19:11-27).

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00lunedì 25 aprile 2011 12:45
Nota preliminare

Abbiamo affermato che le parabole che parlano del denaro affidato, cioè quella dei talenti che riporta Matteo e quella delle mine riferita da Luca, sono due parabole diverse e non due versioni della stessa parabola. I motivi che c’inducono ad insistere su questo punto sono diversi, anche se parecchi commentatori sostengono il contrario, perché secondo loro si tratta di un’unica parabola riferita in due versioni distinte. Qui di seguito elenchiamo le differenze che ci sono nei resoconti dei due evangelisti.

Cominciamo dal contesto più immediato della parabola. Luca precisa che

mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù aggiunse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente.

Quali erano le cose che stavano ascoltando? Le cose relative a Zaccheo e all’accoglienza che questi aveva dato a Gesù, in casa sua. L’evangelista precisa che, a motivo di ciò, tutti mormoravano, perché appunto Gesù era andato in casa di un peccatore. Chi erano questi mormoratori, che Luca non chiama per nome, ma si limitata ad indicare con l’uso del pronome personale essi? Erano senza dubbio i farisei, che consideravano i pubblicani peccatori di primo piano e che erano sempre i primi a mormorare in seguito a quello che Gesù diceva e faceva.

Questo primo elemento fu seguito subito da un altro, che causò il racconto della parabola delle mine, visto che Gesù si trovava vicino a Gerusalemme ed essi [i mormoratori] credevano che il regno di Dio stesse per manifestarsi immediatamente. Il contesto più immediato della parabola dei talenti è, invece, l’esortazione alla vigilanza, derivato dalla parabola delle dieci vergini. Il motivo dell’imminenza della manifestazione del regno di Dio è completamente assente in Matteo.

Nella parabola dei talenti si parla di un uomo (probabilmente un mercante) che, in vista di un suo viaggio, affida il proprio denaro a tre dei suoi servi. In quella delle mine, si parla di un nobile che si reca un paese lontano per ricevere l’investitura di un regno. I servi ai quali egli affida il suo denaro sono dieci e la valuta è la mina. Talento e mina sono due monete diverse, non solo nella forma, ma soprattutto nel valore: il primo vale 6.000 dracme = denari, mentre la seconda equivale a 100 dracme = denari.

Nella parabola dei talenti i tre servi ricevono il primo cinque talenti, il secondo due e il terzo uno, ed è specificato che a ciascuno viene dato secondo la propria capacità. Nella parabola delle mine si precisa non solo che i servi sono dieci, ma che a ciascuno di loro viene affidata una sola mina, senza una specificazione della loro capacità, ma solamente con un’esortazione: Fate fruttare fino al mio ritorno.

Nella parabola dei talenti non c’è il minimo accenno ai concittadini che odiavano il nobile e che non volevano che egli regnasse sopra di loro, e neanche al massacro che subirono al ritorno del re. Infine, chi aveva ricevuto cinque talenti ne presentò dieci nel suo rendiconto; e chi ne aveva ottenuto due ne mostrò quattro. Per quanto riguardava le mine, tra i dieci servi solo tre fecero il loro rendiconto, ma, nel farlo, il primo precisò: La tua mina, ne ha fruttate altri dieci; il secondo: la tua mina, ha fruttato cinque. Queste differenze che abbiamo elencato, e che poi non sono di stile ma di contenuto, c’inducono a credere che non ci troviamo davanti ad un’unica parabola riferita in due versioni, ma a due parabole distinte.

Esame della parabola

Per quanto riguarda l’uomo nobile della parabola che va in un paese lontano per ricevere l’investitura del regno, tutti i commentatori fanno riferimento ad Archelao, figlio di Erode il Grande, il quale alla morte del padre (4 a.C.) ebbe da Augusto il titolo di etnarca (cioè di re subalterno) della Giudea, della Samaria e dell’Idumea [Cfr. G. Flavio, Antichità XVII, 299-303.339]. Anche se, storicamente parlando, tale osservazione è vera e la descrizione della parabola coincide con questo personaggio, mi domando, però, se l’intenzione di Gesù fosse di parlare di un uomo che non aveva niente a che vedere con le cose del regno di Dio. Se poi si tiene presente che la parabola in questione nacque come risposta a quelli che credevano che il regno di Dio si stesse manifestando imminentemente, non vediamo come essa possa essere collegata alla pretesa di ascendere al trono da parte di Archelao. Invece, se nell’uomo nobile che va in un paese lontano per ricevere l’investitura del regno e poi ritornare Gesù voleva alludere a Se stesso, alla realtà del Suo ritorno in cielo dopo la Sua risurrezione dai morti, per ricevere l’investitura da Suo Padre e ritornare sulla terra per regnare quale Re dei re e Signore dei signori, questo sì che ha attinenza con le cose riguardanti il regno di Dio!

Prima che si metta in viaggio, l’uomo nobile chiama dieci dei suoi servi e affida loro dieci mine, una per ciascuno, con una precisa raccomandazione: Fatele fruttare fino al mio ritorno. Appare dunque chiaro quale sia il suo intento. I dieci servi non venivano rimandati alle loro case solamente con il denaro in mano, ma erano soprattutto esortati ad assumere un preciso impegno, non limitato ad un certo numero di giorni, ma fino al ritorno del loro padrone. Ciò stava a significare che, perché il denaro ricevuto potesse fruttare, questi servi avrebbero dovuto escogitare un piano di lavoro senza indugio e con perseveranza. Inoltre, l’uomo della parabola non diede alcuna direttiva a suoi servi su come agire per far fruttare il suo denaro, ma li lasciò nella loro piena libertà di scegliere la maniera migliore per raggiungere lo scopo.

Visto che la parabola riferisce dei concittadini del re, che lo odiavano e che gli mandarono degli ambasciatori per dirgli: Non vogliamo che costui regni su di noi, è giusto che ci occupiamo di loro, prima di andare avanti con il rendiconto che i servi presentarono al loro signore.

Chi erano questi concittadini che manifestavano la loro ostilità nei confronti dell’uomo nobile? Quest’ultimo era forse Archelao, come hanno sostenuto i commentatori? Notiamo che la parabola si chiude menzionando quelle stesse persone definendole nemici, i quali saranno messi a morte davanti al re rifiutato. Il riferimento è senza dubbio ai capi dei sacerdoti giudaici, che opposero il loro rifiuto nei confronti di Cristo, rifiutando di riconoscerLo quale loro re, e scegliendosi, come loro sovrano, Cesare. Ecco cosa afferma la Scrittura:

Allora essi gridarono: «Toglilo, toglilo di mezzo, crocifiggilo!» Pilato disse loro: «Crocifiggerò il vostro re?» I capi dei sacerdoti risposero: «Noi non abbiamo altro re che Cesare» (Giovanni 19:15).

In quel momento quei capi non si rendevano conto che proprio da Cesare sarebbe venuta la loro rovina e la loro distruzione. Infatti, furono proprio i Romani, nel 70 d.C., a seminare distruzione e morte in mezzo al popolo giudaico. Questa fu la tragica conseguenza che subirono i Giudei per aver rifiutato Gesù come Messia e per non averLo voluto riconoscere quale loro re.

Ritornando ai servi che hanno ricevuto il denaro dal loro Signore, notiamo che essi, senza dubbio, si diedero subito da fare per conseguire quello che era nella volontà del padrone, cioè far fruttare il denaro. Questo, però, si può affermare solo per due di loro, visto che per gli altri, tranne che per uno, non sappiamo che cosa abbiamo fatto. Il primo, presentandosi, precisò: Signore, la tua mina ne ha fruttate altre dieci. Ciò significa, senza ombra di dubbio, che questo servo si sarà maggiormente impegnato rispetto agli altri o che avrà scelto un modo migliore per far fruttare di più il valore del denaro. Infatti, il secondo, pur ripetendo le stesse parole del primo, cioè la tua mina, ha fruttato..., non può però presentare la stessa quantità, perché, in effetti, la sua mina ne aveva guadagnate solo altre cinque. Col primo, il re si congratula dicendogli: Va bene, facendo subito seguire alcune parole di elogio: poiché sei stato fedele nelle minime cose, abbi il potere su dieci città. Si

continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00martedì 26 aprile 2011 02:33
Mentre per il secondo, egli si limita solamente a dirgli: E tu sii capo di cinque città. Anche se il risultato di questi due servi non fu lo stesso, almeno tutti e due dimostrarono al re l’impegno nel lavoro svolto.

Dagli elementi che abbiamo messo in evidenza, si può stabilire che, quando si assume un preciso impegno in un determinato lavoro, è impossibile che non ne conseguano dei buoni risultati. Che le fatiche non saranno per tutti uguali è cosa certa; però, l’impegno e la determinazione, in un dato campo di attività, non rimarranno infruttuosi, e la persona che vi si sarà dedicata riceverà la sua parte, commisurata alla quantità di frutto che avrà portato. Se questo è vero nel campo materiale e per le cose terrene, è altrettanto vero per le cose spirituali.

Poiché la descrizione della parabola si limita a parlare di tre servi e non ci fornisce alcuna notizia degli altri sette, di loro non possiamo dire niente. Il terzo servo che si presentò davanti al re, per rendere conto del suo comportamento, sarà stato l’ultimo dei dieci o il terzo, in ordine numerico? Non possiamo affermare né la prima né la seconda ipotesi, visto che il testo si limita a precisare: Poi venne un altro che disse.... Quello che conta in questa fase della parabola non è tanto sapere se questo servo fosse il terzo in ordine numerico o l’ultimo dei dieci, quanto il suo comportamento.

A differenza della parabola dei talenti, che riferisce che il terzo servo aveva paura di perdere il capitale, in quella delle mine si afferma che il servo aveva paura della durezza del suo padrone, il quale avrebbe preso quello che non aveva depositato. Davanti alle parole del servo, che dice al suo padrone: Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, c’è la replica dura e ferma del re, che qualifica il suo servo come un malvagio. Poi gli rivolge la domanda: Perché non hai messo il mio denaro in banca, e io, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l’interesse? Segue subito la punizione che consiste nel togliergli la mina dalle mani e darla a chi ne ha dieci. Questa è la triste fine del servo che non ha saputo far fruttare il denaro ricevuto dal suo signore. Così sarà anche la sorte di quanti, alla resa dei conti, non potranno presentare un minimo di frutto ricavato da quello che hanno ricevuto dal loro Signore e Salvatore, Gesù Cristo. Gesù conclude affermando: Io vi dico che a chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha (fatto fruttare quello che ha ricevuto) sarà tolto anche quello che ha.

L’insegnamento che si ricava dalla parabola

Lasciando da parte l’interpretazione di Ambrogio e non specificando se accettarla o meno, cerchiamo di vedere quale insegnamento pratico possiamo ricavare dalla nostra parabola. Crediamo di poterlo descrivere come segue:

1. L’uomo nobile della parabola è senza dubbio Gesù Cristo, il quale, prima di ascendere al cielo, cioè ritornare da dove era venuto, ha voluto affidare agli apostoli (e con loro a tutta la chiesa) il grande mandato di andare per tutto il mondo e predicare il vangelo ad ogni creatura (Marco 16:15). Il vangelo non è solamente la potenza Dio, per la salvezza di chiunque crede (Romani 1:16), la buona notizia divina per l’intera umanità, ma anche la ricchezza di Dio affidata ad ogni Suo servitore (ma che non è limitata ai ministri che la predicano, essendo estesa a tutta la famiglia di Dio), data ad ognuno di loro con il preciso intento di farla fruttare.

2. Far fruttare i beni che il Signore ci ha affidato non significa che questo processo sia automatico; ci dovrà essere, da parte nostra, il nostro impegno e la nostra dedizione perseveranti. Ai servi della parabola fu detto: Fate fruttare fino al mio ritorno, volendo intendere che il lavoro non doveva limitarsi ad un certo numero di giorni, ma che andava esteso fino al ritorno. Fino a quando il Signore non sarà ritornato, siamo invitati a tenerci impegnati con determinazione, in modo tale che quello che il Signore ci ha affidato possa crescere. Nessuna crescita sarà possibile se mancano la dedizione e la perseveranza.

3. La nostra parabola non parla di una diversa somma di denaro che i servi hanno ricevuto, come nella parabola dei talenti, ma di un’identica somma per tutti. Se il primo ha fatto aumentare la sua mina di dieci e il secondo di cinque, è stato essenzialmente per la determinazione che essi hanno assunto nel loro lavoro, avendo come obiettivo la crescita del capitale. Se questi servi hanno conseguito il loro risultato, è stato perché non hanno risparmiato le energie e non hanno tenuto le mani incrociate, come si suol dire.

4. Infine, imitiamo chi può ispirarci con l’impegno, la determinazione e la fedeltà ad una maggiore attività, con rinnovato zelo e con fermo proponimento di cuore (ND) o con cuore risoluto (NR) (Atti 11:23).

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo prontamente
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