Domenico34 – Le parabole di Gesù – Capitolo 10. PARABOLA DELLE NOZZE E DEL GRAN CONVITO

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Domenico34
00sabato 16 aprile 2011 20:46

Capitolo 10




PARABOLA DELLE NOZZE E DEL GRAN CONVITO




Gesù ricominciò a parlare loro in parabole, dicendo:
«Il regno dei cieli è simile ad un re, il quale fece le nozze di suo figlio.
Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire.
Mandò una seconda volta altri servi, dicendo: “Dite agli invitati: io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati; tutto è pronto; venite alle nozze”.
Ma quelli, non curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo commercio;
altri poi, presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero.
Allora il re si adirò, mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città.
Quindi disse ai suoi servi: “Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni.
Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete”.
E quei servi, usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; e la sala delle nozze fu piena di commensali.
Ora il re entrò per vedere quelli che erano a tavola e notò un uomo che non aveva l’abito di nozze.
E gli disse: “Amico, come sei entrato qui senza avere un abito di nozze?” E costui rimase con la bocca chiusa.
Allora il re disse ai servitori: “Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti”.
Poiché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti»
(Matteo 22:1-14).

Tenuto conto che la parabola delle nozze, riportata da Matteo, e quella del gran convito, riferita da Luca (e anche dal Vangelo di Tommaso, n° 64) [A. Kemmer, Le parabole di Gesù, pagg. 106-107; J. Jeremias, Le parabole di Gesù, pag. 80], sono diverse l’una dall’altra non tanto nella forma, quanto nel contenuto, non crediamo che si possa parlare della medesima parabola presentata in due versioni differenti.

Di solito si afferma che la differenza che esiste tra le due parabole rappresenta il risultato dell’adattamento che i due evangelisti hanno compiuto nel riportarle. Siccome non condividiamo questa tesi, restiamo quindi fermi nella convinzione che non si tratti di una sola parabola, ma di due. Di conseguenza, le esporremo separatamente. Inoltre, abbiamo vari motivi per sostenere che Gesù propose due parabole distinte: Matteo presenta quella delle nozze, mentre Luca parla del gran convito.

Quali sono i motivi che c’inducono a credere che la parabola delle nozze non coincida con quella del gran convito e viceversa? Eccoli qui di seguito.

1°) Le due parabole furono raccontate in diversi luoghi e tempi: quella di Luca in una casa privata, in Galilea; quella di Matteo nel tempio, in Gerusalemme. Da Luca 14:1,12 risulta chiaro che Gesù si trovasse in casa di uno dei principali farisei che lo aveva invitato a prendere cibo. Proprio in quella casa, Gesù diede un consiglio a chi lo aveva invitato:

Quando fai un pranzo o una cena, non invitare i tuoi amici, né i tuoi fratelli, né i tuoi parenti, né i vicini ricchi; perché essi potrebbero a loro volta chiamare te, e così ti sarebbe reso il contraccambio;
ma quando fai un convito, chiama poveri, storpi, zoppi, ciechi;
e sarai beato, perché non hanno modo di contraccambiare; infatti, il contraccambio ti sarà reso alla risurrezione dei giusti
(Luca 14:1,12-14).

Gesù proseguì subito con la parabola del gran convito.
In Matteo 21:23 si narra che Gesù si trovava nel tempio, a Gerusalemme, nella settimana della passione. Fu in quella circostanza che

i capi sacerdoti e gli anziani del popolo si accostarono a lui, mentre egli insegnava, e gli dissero: «Con quale autorità fai queste cose? E chi ti ha dato quest'autorità?

In quell’occasione, Gesù, oltre a rispondere alle due domande che Gli vennero rivolte, propose anche le parabole dei due figli, dei malvagi vignaiuoli e delle nozze.

2°) In Luca si tratta di una cena preparata da un uomo, di cui non si dice la condizione sociale, mentre in Matteo di un convito dato da un re in occasione del matrimonio di suo figlio.

3°) In Luca trattasi di un deipnon (cena, ossia pasto della sera) e in Matteo di un ariston (pranzo, ossia pasto del mezzodì).

4°) Nella parabola riferita da Luca, le parole di Gesù suonano meno severe che in Matteo, perché, quando Egli le pronunciò, l’inimicizia dei Farisei non era ancora giunta al colmo, non avendo essi ancora deciso di farLo morire.

5°) In Luca, gli invitati rispondono con rifiuto cortese; in Matteo, essi mostrano un disprezzo tale da non mandare risposta alcuna, anzi da uccidere alcuni dei messaggeri.

6°) Lì il solo castigo è l’esclusione, mentre altri (pubblicani e meretrici) subentrano ai primi; qui la città degli invitati è distrutta e altri sono chiamati dal di fuori (Gentili) a riempire la sala del convito.

Per quanto riguarda l’esegesi che fornisce Crisostomo sulla parabola delle nozze, la troviamo coerente con il pensiero di Gesù, cioè con quello a cui Egli voleva effettivamente riferirsi, tranne che per il riferimento che egli fa agli eremiti e ai monaci, ai quali applica il significato della veste di nozze [Cfr. S. Giovanni Crisostomo, Commento al vangelo di Matteo, pagg. 142-153].

Infine, è giusto — esegeticamente parlando — il suggerimento di Crisostomo, secondo cui la parabola delle nozze va letta e considerata tenendo presente quella dei malvagi vignaiuoli, poiché in essa ci sono diversi elementi simili.

Ha ragione Gnilka a suggerire quanto segue:

«Occorre rinunciare sin dall’inizio a qualsiasi tentativo di interpretare il racconto come una breve vicenda tratta dalla vita. Il titolo “parabola del banchetto di nozze imbandito da un re” non è trasferibile al brano di Luca e già da ciò si comprende la gran differenza che esiste tra le due parabole». Poi aggiunge: «La maggioranza degli interpreti ipotizza una fonte letteraria comune. Nei dettagli, la storia della tradizione viene giudicata in maniera disparata. C’è chi parla di due varianti della medesima parabola; chi ritiene che nessuna delle due versioni sia derivabile dall’altra; chi dice semplicemente di una fonte comune; in genere, si attribuisce alla versione lucana una maggiore originalità.
La struttura narrativa della versione lucana, di quella matteana (e del Vangelo di Tommaso) è sostanzialmente identica, se si prescindesse dall’epilogo matteano sull’ospite senza abito nuziale: un uomo invita ad un banchetto gli invitati si rifiutano vengono chiamati ospiti sostitutivi costoro accettano e intervengono. Nel dettaglio però sussistono differenze notevoli» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte seconda, pag. 348].

La parabola è fortemente impregnata di allegorizzazioni, e di conseguenza non si possono spiegare i diversi elementi che la compongono senza tenerne conto.
Si comincia a riferire che il regno dei cieli è simile ad un re, il quale fece le nozze di suo figlio. Che questo re e suo figlio rappresentino Dio e Gesù Cristo è il primo importante elemento che va messo in risalto e che non si può spiegare diversamente. Se a questi due personaggi si dovesse dare un senso diverso, la parabola perderebbe la sua importanza e si troverebbe fuori dell’orbita in cui Gesù l’ha voluta collocare. Se poi si tiene in debito conto che la parabola in questione fu proclamata nel tempio di Gerusalemme davanti ai gerarchi giudaici, subito dopo quella dei malvagi vignaiuoli, diventa impossibile pensare che il re e il figlio, di cui parla chiaramente la parabola, non siano Dio e Gesù Cristo.

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Domenico34
00domenica 17 aprile 2011 22:53
Avendo assodato che il re e il figlio rappresentano Dio e Gesù Cristo, è molto importante considerare l’invito che il re manda agli invitati per le nozze del proprio figlio. Ma se questo figlio, secondo la parabola dei malvagi vignaiuoli, fu da loro assassinato, come spiegare il pranzo preparato per le sue nozze? La risposta a questa domanda si trova nel pensare alla risurrezione di Gesù dai morti. Solo in questo modo sarà possibile spiegarne il significato e comprenderne la spiegazione. In che senso, dirà qualcuno? Quando i servitori andarono dai vignaiuoli, avevano l’incarico di riscuotere il frutto della vigna. Questo, naturalmente, avvenne prima della morte di Gesù e interessa specificatamente l’era dei profeti, visto che quei servitori li rappresentavano. Dopo la risurrezione di Gesù, l’invito rivolto ad Israele era di accettare il vangelo di Gesù Cristo, che aveva come tema il ravvedimento per il perdono dei peccati. Anche se la predicazione di questo messaggio sarebbe stata destinata a tutto il mondo, però, per ordine di Gesù, sarebbe dovuta cominciare da Gerusalemme (Luca 24:47; Atti 1:8). Il banchetto delle nozze parla della salvezza che Dio offre gratuitamente a tutti gli uomini, e il primo ad essere stato invitato è stato appunto Israele.

Lo confermano le parole dell’apostolo Pietro: a voi per primi Dio, avendo suscitato il suo Servo, lo ha mandato per benedirvi, convertendo ciascuno di voi dalle sue malvagità (Atti 3:26).

Sullo stesso piano si trovava l’apostolo Paolo, quando affermava: Era necessario che a voi per primi si annunziasse la Parola di Dio; ma poiché la respingete e non ritenete degni della vita eterna, ecco, ci rivolgiamo agli stranieri [cioè i Gentili] (Atti 13:46).

Quest’invito pervenne a Israele tramite gli apostoli, che cominciarono a invitarlo dal giorno di Pentecoste (Atti 2:38). Qualcuno dirà: com’è concepibile una cosa del genere, dopo che i gerarchi giudaici aveva maltrattato e messo a morte i vari servitori-profeti che erano stati mandati loro per riscuotere il frutto della vigna e, non contenti di ciò, avevano messo a morte anche il figlio del padrone della vigna?

L’invito al banchetto delle nozze del figlio del re è la chiara prova della manifestazione dell’amore di Dio che, superando tutte le offese ricevute, offre un banchetto reale, nel quale, partecipando, si potrà gioire. Da parte degli invitati, non è richiesto niente, cioè essi non devono fare dei preparativi, perché tutto è stato preparato dal re; hanno solo l’obbligo di accettare l’invito e di recarsi alla sala del banchetto. Qual è stata la risposta degli invitati? C’è una parola che può descrivere l’atteggiamento di quelle persone: ingratitudine! Sono stati veramente ingrati e irriconoscenti, pur aver ricevuto l’invito per due volte e aver sentito dai messaggeri:

Io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati; tutto è pronto; venite alle nozze.

Il racconto usa un termine che descrive tutta l’ingratitudine di quegli esseri umani: non curandosene, se ne andarono, chi.... Se gli invitati si fossero solamente limitati a non recarsi al banchetto delle nozze, la loro ingratitudine sarebbe stata evidente; ma per il fatto che, addirittura, maltrattarono e uccisero i servi mandati dal re, essi oltrepassarono i limiti del buonsenso e della sopportazione.

L’ira del re, a questo punto, è più che giustificata. La decisione che prende il monarca, di mandare le sue truppe per sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città, rappresenta una giusta punizione. Questo, però, non avvenne subito; passarono tanti anni, prima che questo castigo si abbattesse su quei micidiali. Si sa, infatti, che solo nell’anno 70 d.C. gli eserciti romani, capitanati dal generale Tito, invasero la città di Gerusalemme, la devastarono, misero a morte tante persone e distrussero il tempio.

Tenuto conto che gli invitati iniziali non ne erano degni, il re ordinò ai suoi servi di andare ai crocicchi delle strade e chiamare alle nozze quante troveranno. L’ordine venne eseguito e la sala delle nozze fu piena di commensali, cattivi e buoni. Chi erano i primi invitati? Israele e, in particolare, i capi religiosi giudaici che lo rappresentavano. Chi erano, invece, quelli che furono invitati in un secondo tempo, i quali si trovavano ai crocicchi delle strade, buoni e cattivi? Erano senza dubbio i pubblicani e le meretrici, gente che era stata messa al bando dai capi religiosi. Furono loro, infatti, che accolsero l’invito e si recarono alla sala delle nozze.

Tenuto presente che il re fu informato che la sala era piena di commensali, prima che si cominciasse a servire il pranzo egli si recò nel luogo del banchetto per vedere quelli che erano a tavola, e notò là un uomo che non aveva l’abito di nozze. Su quest’abito di nozze si sono dette tante cose, e la fantasia degli interpreti è stata spinta a dare diversi significati.

Si comincia con l’affermare che la parte che parla dell’uomo senza abito nuziale (vv 11-13) non facesse parte della parabola, ma che fu aggiunta da Matteo. Poi si riferisce che era usanza di quei tempi fornire l’abito nuziale a tutti i partecipanti da parte di chi invitava. A questo punto, Gnilka fa rilevare che

«l’usanza di fornire agli ospiti, all’ingresso nella sala delle celebrazioni, un abito festivo, non è potuta essere provata. La spiegazione ha stimolato la fantasia degli interpreti: la veste è stata intesa come la vita per la fede; la giustificazione per la fede; la salvezza finale, con riferimento ad Isaia 61:10; il compimento della legge; le opere della giustizia» [J. Gnilka, Il vangelo di Matteo, parte seconda, pagg. 356-357; G. Crisostomo, Commento al vangelo di S. Matteo, pag. 147]. Mentre, per qualcun altro, «quest’abito indica il battesimo, mediante il quale l’uomo diventa membro della chiesa» [A. Kemmer, Le parabole di Gesù, pag. 113].

Qualcuno domanderà, con ragione: com’è possibile per un uomo che sta nei crocicchi della strada, probabilmente ad elemosinare, avere un abito da festa? Perché c’era l’obbligo che tutti i partecipanti al banchetto nuziale avessero l’abito adatto per quell’occasione? In che cosa consisteva quell’abito? Qual è il suo significato? Sono domande che richiedono una risposta. Alla prima domanda si può rispondere nel seguente modo:

Tenuto conto che si tratta di una parabola che parla delle nozze del figlio di un re, si deve convenire che non siamo davanti a un comune festeggiamento. Per questo motivo, anche l’abbigliamento dei partecipanti ha l’obbligo di rispecchiare il rango del caso, perché in ciò si manifesta la volontà di chi l’ha programmato. Infatti, non è un servitore del monarca a notare che uno dei commensali seduti a tavola non ha il vestito da festa, ma il re in persona. Questo significa che è stato lui ha stabilire questa norma.

Dei tanti autori che abbiamo consultato, abbiamo raccolto queste poche informazioni intorno all’abito nuziale: «Questo vestito era un candido caftan, o veste con maniche, che i servitori offrivano al convitato, e che questi doveva indossare sopra il proprio vestito, prima di entrare nella sala del banchetto» [R. G. Stewart, L’evangelo secondo Matteo e Marco, pag. 236].

«L’abbigliamento per la festa era distinto da quello ordinario soltanto per il materiale più costoso (Genesi 27:15; Matteo 22:11-12; Luca 15:22). Il colore era di preferenza il bianco (Ecclesiaste 9:8; Marco 9:3; Apocalisse 3:4)» [C. De Wit, Dizionario Biblico GBU, pag. 4].

Quasi tutti i commentatori si orientano nel mettere in risalto il significato spirituale dell’abito nuziale; e siccome non tutti danno lo stesso significato, abbiamo una varietà di interpretazioni. Riportiamo una delle tante spiegazioni spirituali che sono state formulate dai commentari:

«Quell’uomo non aveva l’abito di nozze. Non era vestito in maniera conveniente per una cerimonia nuziale. Non indossava gli abiti migliori. Notate: molti vengono al banchetto nuziale senza gli abiti di nozze. Se l’Evangelo rappresenta la festa nuziale, l’abito di nozze raffigura una disposizione d’animo e una condotta di vita conforme all’Evangelo e alla nostra professione di fede, degni della vocazione che ci è stata rivolta (Efesini 4:1) e degni dell’Evangelo di Cristo (Filippesi 1:27); solo chi ha una disposizione d’animo cristiana ed è adornato delle grazie cristiane; solo chi vive per fede in Cristo; solo colui per cui Cristo è ogni cosa ha l’abito di nozze» [M. Henry, Commentario Biblico, Volume 9, pag. 441].

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Domenico34
00lunedì 18 aprile 2011 20:39
Infine, bisogna anche mettere in risalto che, nel giorno della verifica che sarà fatta da Dio — cioè quando tutti gli esseri umani, compresi i credenti, dovranno rispondere del loro modo di vivere sulla terra —, allora si saprà chi ha veramente l’abito nuziale. In quel giorno, tutti gli ipocriti saranno smascherati, perché Chi li paleserà non sarà un uomo, ma direttamente Gesù Cristo, l’unico cui è stato dato il potere di giudicare i vivi e i morti.
Il fatto che la parabola si concluda annunciandoci che l’uomo che fu trovato senza il vestito nuziale fu egato mani e piedi e gettato nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti, sta a significare la sorte che subiranno gli ipocriti e quanti non si sono impegnati a vivere la loro vita in conformità con la volontà del Signore (Matteo 7:21).

Il testo

Allora Gesù gli disse: Un uomo fece una gran cena e invitò molti;
e, all’ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, perché tutto è già pronto.
Ma tutti allo stesso modo cominciarono a scusarsi. Il primo gli disse: Ho comprato un podere e devo andare a vederlo; ti prego di scusarmi.
E un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego di scusarmi.
Un altro ancora disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire.
Poi il servo gli disse: Signore, è stato fatto come hai comandato, ma c’è ancora posto.
Allora il signore disse al servo: Va’ fuori per le vie e lungo le siepi e costringili ad entrare, affinché la mia casa sia piena.
Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati gusterà la mia cena
(Luca 14:16-24).

Nota preliminare

La parabola del gran convito nasce a seguito dell’invito fatto a Gesù, da parte di uno dei principali farisei, di mangiare a casa sua (Luca 14:1). In quell’occasione, Gesù non parlò solamente con i dottori della legge e con i farisei, ma diede anche un consiglio a chi lo aveva invitato su come comportarsi in caso d’inviti a pranzo o a cena. Qualcuno degli invitati, però, sentendo parlare Gesù in quel modo, disse: «Beato chi mangerà pane nel regno di Dio!» (Luca 14:12-15).

A questo punto, ci si potrebbe domandare perché quella persona si espresse in quel modo, visto che Gesù non aveva speso una parola intorno al regno di Dio. Era chiaro (almeno per Gesù) che alle Sue parole dovesse essere dato un significato particolare — sul piano spirituale, naturalmente. Approfittando di quell’occasione, Gesù propose la parabola del gran convito principalmente per far comprendere l’importanza del regno di Dio e il suo valore a chi avrebbe partecipato a quella mensa. Anche se Gesù, per questa parabola, non usò l’espressione il regno di Dio è simile..., il suo intento, però, era quello di descriverlo, soprattutto in rapporto a quanti sarebbero stati invitati a questo convito e alla loro risposta. Questo, in poche parole, è il contesto che ci presenta Luca. Infine, a differenza della parabola delle nozze che riporta Matteo, in cui si parla di un re e di suo figlio, qui invece si precisa che è stato un uomo (senza specificarne la qualifica) che ha preparato una gran cena.

Esame della parabola

Le prime osservazioni vanno fatte in merito alle frasi una gran cena e invitò molti. Dalla forma letterale, si comprende subito che non si trattava di un comune banchetto, visto che la preparazione fatta non era destinata ad invitare un piccolo gruppo, come se si trattasse di un affare di una famiglia, ma mirava ad accogliere molte persone. A parte il fatto che il servo incaricato si mise in moto solo quando tutto fu pronto, nel rivolgersi agli invitati egli si limitò a dire: Venite, perché tutto è già pronto.

A questo punto, la parabola ci fa conoscere la risposta degli invitati. Le scuse che tutti insieme presentarono devono essere intese non in senso individuale, come se gli invitati fossero stati solamente tre, ma in senso collettivo, e cioè che i tre individui che parlarono rappresentavano il totale di tutti gli invitati. Interpretando così la parabola, l’accento non cade sul numero delle persone che intervennero, ma su quello che esse addussero come giustificazione. Con ragione, dunque, si può affermare che gli invitati in questione rappresentino tre categorie di persone e che ognuno di essi presenti il proprio caso. Inoltre, nel considerare i motivi delle loro scuse, bisogna evitare di dare loro un significato grossolano, come se esse fossero immaginarie e non corrispondessero alle situazioni reali della vita.

Impostando il discorso in questo modo, si possono valutare le giustificazioni degli invitati per vedere se i loro motivi fossero validi nel rinunciare a partecipare al convito. Inoltre, anche se i primi due non dissero le stesse parole e non addussero i medesimi motivi, il fatto di aver comprato un campo e di aver acquistato cinque paia di buoi parla di un vero affare commerciale, inteso nel vero senso della parola. Sul piano pratico degli affari, è inconcepibile che si possa comprare un campo senza prima vederlo e acquistare dei buoi senza accertarsi che siano adatti a svolgere il lavoro. Siccome ci troviamo in una parabola, non vanno presi in considerazione i vari particolari della descrizione, quanto piuttosto la verità che viene illustrata.

Qual è, dunque, la verità che viene illustrata con le due persone che hanno comprato il campo e i buoi? Sul piano spirituale, l’invito al convito è senza dubbio quello della salvezza e chi invita al banchetto è certamente Dio. Dopo che la salvezza dei peccatori è stata acquistata da Gesù Cristo, mediante la Sua morte e il versamento del Suo sangue, Dio la può offrire gratuitamente a tutti, senza alcuna distinzione. Ma perché questa salvezza possa arrivare al peccatore, è necessario che egli l’accolga e l’accetti. Accogliere la salvezza di Dio equivale a rispondere al Suo invito. Naturalmente, una simile accettazione non significa che la persona debba rinunciare alle attività commerciali, come se queste fossero incompatibili con il piano divino della salvezza e con il regno di Dio.

Con la parabola del gran convito, Gesù non ha voluto insegnare ciò. Quello che, invece, Egli ha voluto insegnare riguarda l’atteggiamento che l’uomo deve assume davanti all’invito alla salvezza. Non si può negare che ci siano persone che pensano a tutto, tranne alle cose di Dio e del Suo regno. Poi, ci sono di quelli che mettono gli affari materiali al primo posto e non trovano il tempo per rispondere agli appelli divini relativi al ravvedimento e all’accettazione del vangelo. Costoro trovano tutte le scuse per affermare che sono impegnati, come colui che ha comprato il campo e quell’altro che ha acquistato i buoi. Naturalmente, le loro scuse non hanno alcun valore davanti a Dio. Aveva ragione Gesù quando esortava a cercare prima il regno e la giustizia di Dio, e tutte queste cose vi saranno dati in più (Matteo 6:33).

Il terzo uomo respinse l’invito adducendo il motivo che, avendo preso moglie, non poteva andare al banchetto. Questo suo atteggiamento metteva in risalto che, anziché partecipare al convito, egli dava più importanza alla vita di famiglia. Di persone che si comportano in questo modo ce ne sono tante. Sotto un aspetto generale, si possono applicare le parole di Gesù:

«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, i fratelli, le sorelle e persino la sua vita, non può essere mio discepolo (Luca 14:26).
Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me (Matteo 10:37).

È necessaria una chiarificazione sulla parola di Gesù, al fine di comprendere bene le Sue affermazioni e non stravolgerle con interpretazioni errate. La parola di Gesù di odiare padre, madre e moglie dev’essere intesa nel senso di amarli meno di Lui, perché, se li amiamo come amiamo Lui, significa che il padre, la madre e la moglie hanno per noi più importanza di Gesù.


Naturalmente, odiare in senso letterale i propri parenti non corrisponde al volere divino, e non era certamente quello che Egli voleva affermare.

Prima di proseguire nell’esame della parabola, è necessario domandarci: chi rappresentavano gli invitati che non andarono al convito? Senza dubbio il riferimento era agli Israeliti, visto che a loro, per primi, fu rivolto l’invito al banchetto. Però questo popolo, grandemente privilegiato principalmente nei suoi capi religiosi e nei suoi dirigenti, non seppe apprezzare l’amoroso e premuroso invito alla salvezza in Cristo Gesù, pensando che avrebbero potuto ottenerla con i suoi sforzi attraverso l’osservanza della legge di Mosè. Questo, però, non si è verificato, per il semplice motivo che Dio ha stabilito per tutti gli uomini che la salvezza si abbia solamente per mezzo di Suo Figlio, Gesù Cristo.

Ora l’invito è rivolto ad altri. Quando il padrone di casa sentì dal suo servo che gli invitati avevano rifiutato di venire al banchetto, oltre a dispiacersi e ad adirarsi nello stesso tempo, ordinò al suo servo:

va’ presto per le piazze e per le vie della città, e conduci qua poveri, storpi, ciechi e zoppi.
Poi il servo disse: Signore, si è fatto come hai comandato e c’è ancora posto
(Luca 14:21-22).

A chi si vuole alludere con questa categoria di persone? Notate che si è ancora nella stessa città, con lo stesso popolo e nello stesso ambiente, ma non con le stesse persone di prima. Con le persone che stanno in piazza, che sono qualificate come poveri, storpi, ciechi e zoppi, probabilmente si allude ai pubblicani, alle meretrici e ai peccatori. Infatti, sono stati proprio loro ad accettare l’invito e a recarsi alla sala della cena con prontezza. Però, nonostante ciò, il servitore riferisce al padrone che ancora c’è posto nella sala. È a questo punto che il padrone ordina al suo servo:

Va’ fuori per le strade e lungo le siepi e costringili ad entrare, affinché la mia casa sia piena.
Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena»
(Luca 14:23-24).

Chi erano quelli che si trovavano lungo le siepi? Il riferimento è senza dubbio ai Gentili. Il vangelo e la salvezza in Cristo sono arrivati ai pagani, cioè ai Gentili, dopo il rifiuto d’Israele. La parabola si conclude con un severo giudizio: Perché io vi dico che nessuno di quegli uomini che erano stati invitati, assaggerà la mia cena» (Luca 14:24). La stessa sorte subirà chi, Giudeo o Gentile, non sapendo apprezzare gli inviti amorevoli di Dio alla salvezza, li rifiuterà!

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo prontamente[/G
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