Domenico34 – Il mondo degli spiriti – Capitolo 13. Uno spirito d’infermità

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Domenico34
00venerdì 4 marzo 2011 02:32

Capitolo 13




UNO SPIRITO D'INFERMITÀ



Ed ecco vi era una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito di infermità, ed era tutta curva e non poteva in alcun mondo raddrizzarsi (Luca 13:11).

Il termine gr. tradotto per infermità è astheneia che significa: Mancanza di forza, debolezza. Malattia, penuria, povertà.

Premessa

In tutto il N.T. non ci sono altri riferimenti intorno ad uno spirito d'infermità; l’unico testo che abbiamo, è appunto quello di Luca. Anche se in altri testi si parla di persone, come per Esodo: sordi, muti e ciechi, le cui menomazioni fisiche sono stati causati da spiriti immondi o da demoni. Tuttavia, non crediamo che simili testi possano essere associate a quello di Luca, per il semplice fatto che in quest’ultimo caso, oltre a non trovarsi i termini spirito immondo e demoni - che vanno sempre inquadrati per ciò che riguarda una persona indemoniata -. Non abbiamo indicazioni certe che possono permetterci di pensare alla donna del nostro testo, in simile stato. Anche se l’affermazione di Cristo tenuta legata da Satana per diciotto anni, potrebbero portarci verso quella direzione, considerando attentamente tutto il racconto evangelico nel suo insieme, non vediamo come si potrebbe arrivare a questa conclusione [R. G. Stewart, Commentario Esegetico pratico del Nuovo Testamento, S. Luca, p. 159]

ESAME DEL TESTO

a) La situazione fisica della donna

La sinagoga, era il luogo dove le persone si radunavano per scopi religiosi, cioè per adorare Dio e sentire la lettura della legge di Mosè e dei profeti, e le relative spiegazioni che ne venivano date. Non possiamo dire con esattezza se la donna del nostro testo, si trovò in quel giorno nella sinagoga, per puro caso. Siamo portati piuttosto a credere al contrario, cioè che quella donna si trovasse in quell'edificio di culto, perché era un'assidua frequentatrice, nonostante fosse tutta curva e non poteva in alcun modo raddrizzarsi.

Pensando a questo, c’è veramente da elogiare e da imitare, una persona che si comporta in questo modo, quando si tratta di andare nella casa di Dio, per adorarlo e per sentire la spiegazione della Sua Parola. Per una persona che ha un simile atteggiamento, le parole che leggiamo:
Io mi sono rallegrato quando mi dissero: andiamo nella casa del Signore (Salmo 122:1).

Hanno un particolare significato, e sono oltremodo belle, perché esprimono lo zelo e l’interesse di un’anima, che è veramente assetata e affamata di Dio e delle Sue cose. Quando una persona non sta bene, fisicamente parlando, non è difficile assentarsi dalla casa del Signore, con giustificazioni validissime. Quando però è lo spirito che è ammalato, allora diventa più facile assentarsi dai luoghi di culto. Infine, della donna del nostro testo, non ci viene detto niente della sua età, né del suo stato civile.
Ma in conseguenza della lunga malattia diciotto anni, le persone con le quali lei era in contatto, dovevano certamente soffrire nel vederla ridotta in una condizione, che faceva veramente pietà.

b) Il vedere di Gesù

Il vangelo afferma che Gesù vide quella donna. Non c’è dubbio che il vedere di Gesù sia ben diverso da quello dell’uomo. L’uomo vede solamente quello che si presenta davanti ai suoi occhi, mentre Gesù vede quello che è nell’interno, cioè i suoi reali bisogni, principalmente quelli dell’anima e dello spirito.
Quante persone c’erano in quel giorno nella sinagoga, non è detto, e neanche sappiamo se in quel luogo vi erano altri sofferenti. Tutti sapevano che quella donna senza nome - ognuno poteva mettere il suo, dietro quell’anonimato -, era sofferente da parecchi anni diciotto per l’esattezza; nonostante ciò, nessuno sapeva misurare il grado di sofferenza di quell'infelice.

È il divino compassionevole che sta guardando, non per vedere com'era vestita o quali ornamenti avesse addosso, né per esprimere sentimenti di commiserazioni, ma per intervenire in quel caso particolare. Dal momento che quella donna era tutta curva, non sappiamo se lei si sarà accorta, che in quell'attimo, qualcuno la stava guardando. Comunque sia meno accorta, lo scopo di Luca è di attirare la nostra attenzione su Gesù.

c) Gesù chiama la donna

Come il vedere di Gesù ha un senso particolare, anche la parola che rivolse a quella donna, riveste un’altrettanta importanza. Anche se non era abitudine di Gesù chiamare le persone nelle sinagoghe, tuttavia, in quella giornata lo fece verso una donna che aveva un particolare bisogno.

Chiamare a sé una donna tutta curva, che non poteva in alcun modo raddrizzarsi, a dir poco, umanamente parlando, poteva essere interpretato come un gesto scortese e di poca sensibilità e comprensione, nei confronti di uno che soffriva. Ma per Gesù, non rappresentava un gesto d'insensibilità, bensì un’occasione per comunicarle la guarigione. Donna, tu sei liberata dalla tua infermità.

Non era stata la donna ad invocare la sua guarigione, e probabilmente non era neanche andata nella sinagoga col pensiero e nell’aspettativa di un simile evento miracoloso, ma è Gesù, il divino compassionevole che le offre quello che lei non aspettava, senza chiederle se avesse fede per ricevere la guarigione.
Il tempo presente del verbo sei liberata.., indica chiaramente che, in quel preciso momento che le viene detta quella parola, si effettua la sua guarigione. A questo punto potremmo domandare: Perché Gesù usò il termine liberare? Era in relazione con la sua guarigione? Certamente!

Dato che Satana l’aveva tenuta legata per ben diciotto anni, era giusto che Cristo facesse presente che quel legame, di cui era stata vittima per tanti anni, era finalmente sciolto. Abbiamo detto che, il legame di Satana, non rappresenta un segno o una prova che quella donna fosse posseduta dal diavolo.
La sua debolezza, cioè la mancanza di forza fisica, era causata da uno spirito d'infermità, come un legame, che la teneva in quello stato. Una volta che quel legame veniva sciolto che equivaleva ad una vera liberazione, la donna era guarita.

d) Quello che Gesù fece

Per i tanti miracoli che riscontriamo nel N.T., rileviamo che Gesù non usava gli stessi metodi, questo perché Egli non aveva regole stereotipate per tutti i casi.
E pose le mani su di lei e lei fu subito raddrizzata, e glorificava Dio.
L’imposizione delle mani rappresenta un’altra prova che quella donna, non era posseduta. Delle tante liberazioni di indemoniati, per nessuno di loro, Gesù impone le sue mani, ma sgrida sempre gli spiriti immondi o i demoni e, una volta cacciati, la persona ritorna normale e piena di salute.

Si continuerà il prossimo giorno...
Tutti i testi che parlano dell’imposizione delle mani, sono sempre come riferimento alle malattie fisiche. Per rendersi conto basta ricordare: imporranno le mani agli infermi, e questi guariranno (Marco 16:18). L’anormalità che aveva quella donna, venne subito tolta, non appena Gesù gli impose le sue mani.

La guarigione di quell'infelice era avvenuta nel momento in cui Gesù aveva pronunciato: donna, tu sei liberata dalla tua infermità; però, l’evidenza della sua guarigione, avvenne solo in seguito all’imposizione delle mani. Se la donna non si fosse raddrizzata subito, come si sarebbe potuto affermare che quella sofferente era stata guarita?
Poiché le guarigioni che Gesù fece erano tutte vere, ne consegue che i segni visibili dovevano essere altrettanto veri, perché tutti potessero costatare la veracità del miracolo.
La conclusione che Gesù fa, dietro la critica che gli venne mossa per la guarigione fatta in giorno di sabato, rappresenta una garanzia della sua compassione. Non tenendo presente il rigido legalismo dei capi della sinagoga riguardante l’osservanza del giorno del sabato, scioglie dal legame di Satana quella donna, che era anche una figlia di Abrahamo.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00sabato 5 marzo 2011 02:37
f) Considerazioni di ordine teologico

Quando si pensa ad Abrahamo, specialmente nel contesto di come l’apostolo Paolo lo cita, - dichiarandolo padre di tutti i credenti in Cristo Romani 4:12,17; Galati 3:6-9 -, il riferimento di essere una figlia di Abrahamo, non è certamente casuale, né collegato solamente al fatto di essere una donna ebrea, come effettivamente lo era.

L’orizzonte si allarga quando riflettiamo su quello che dice il N.T. a proposito della figliolanza di Abrahamo. Ai Farisei e ai Sadducei che si presentarono per il battesimo di Giovanni, vennero rivolte le seguenti parole:

Razza di vipere, chi vi ha mostrato a fuggire dall’ira a venire? Fate dunque frutti degni di ravvedimento! E non pensate di dir fra voi stessi: Noi abbiamo Abrahamo per padre; perché io vi dico che Dio può far sorgere dei figli di Abrahamo anche da queste pietre (Matteo 3:7-9; Luca 3:8).

Queste persone, si vantavano pensando che il loro padre fosse Abrahamo, portandoli addirittura a sottovalutare la necessità del ravvedimento, credendo che sol perché appartenevano a quella discendenza, portavano anche in loro dei veri frutti degni del pentimento. Il Battista, però, nel dire loro queste precise parole, li catalogava come serpenti velenosi, invitandoli a cambiare il loro modo di vivere che era ipocrita. Sullo stesso tenore Gesù parlò ai Giudei che avevano creduto in lui:

Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli;
conoscerete la verità e la verità vi farà liberi
(Giovanni 8:31,32).

Siccome le parole di Cristo non vennero giustamente comprese, essi replicarono:

Noi siamo la discendenza di Abrahamo e non siamo mai stati schiavi di nessuno; come puoi tu dire: diventerete liberi? (Giovanni 8:33).

La vera libertà - intesa soprattutto in senso morale e spirituale - non è quella derivante dall’appartenenza alla progenie di Abrahamo, ma dal conoscere la verità, che è Cristo stesso (Giovanni 14:6).

Quando poi Gesù rivelò la loro vera intenzione che era quella di ucciderlo, non valeva niente dichiararsi progenie di Abrahamo, poiché nella loro vita non trovava posto la sua parola (Giovanni 8:37). Per l’insistenza di questi Giudei, dichiarando che Abrahamo era il loro padre, venne loro affermato che, in effetti, non erano figli di Abrahamo, per il semplice fatto che non stavano facendo le opere di Abrahamo (Giovanni 8:39).

Quando in conclusione Cristo affermò che chi avrebbe osservato la sua parola, non avrebbero mai visto in eterno la morte, indignati risposero:

Sei tu più grande del padre nostro Abrahamo, il qual è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretende di essere? (Giovanni 8:53).

Siccome Gesù non intendeva auto-glorificarsi, perché c’era il Padre che pensava a ciò, Egli non poté fare a meno di riferire quello che provò Abrahamo, il loro padre, allorquando vide il suo giorno. A questo punto i Giudei replicarono:

Tu non hai ancora cinquant’anni e hai visto Abrahamo? Gesù disse loro: In verità, in verità io vi dico, Prima che Abrahamo fosse nato, io sono (Giovanni 8:56-58).

Dal modo con cui i Giudei reagirono nei confronti di Gesù, nel volerlo lapidare, desumiamo che nel loro vanto di dichiararsi figli di Abrahamo, non c’era nessun particolare privilegio, poiché non vivevano ed operavano come Abrahamo.
Dal racconto della vita di Zaccheo, il capo dei pubblicani, viene messa in risalto da Gesù il fatto che quest’uomo è anche figlio di Abrahamo (Luca 19:9). Questo naturalmente Gesù lo affermò, non in base a una pura discendenza, come ogni ebreo poteva dire, ma in conseguenza della conversione e del ravvedimento che si era prodotto in quest’uomo.

I testi paolini sono quelli che maggiormente mettono in evidenza il vero significato di essere figli di Abrahamo. Per Paolo, in una visuale prettamente cristiana, essere figlio di Abrahamo, significa seguire le orme della sua fede (Romani 4:12). Quando poi analizza la posizione di Israele, nei confronti della grazia di Dio, non ha nessuna difficoltà ad affermare che

Non tutti quelli che appartengono ad Israele sono Israele. E neppure perché sono progenie di Abrahamo sono tutti figli della promessa; ma i discendenti veri sono unicamente quelli del giuramento (Romani 9:6-8).

Perché nessuno fraintende le sue parole, l’apostolo Paolo precisa:

Sappiate pure che chi è dalla fede, sarebbero stati figli di Abrahamo (Galati 3:7).

Per quanto riguarda la definizione della progenie di Abrahamo, Paolo, ulteriormente dichiara:

Ora le promesse furono fatte ad Abrahamo e alla sua discendenza. La Scrittura non dice: e alle discendenze come se si trattasse di molte, ma come di una sola. E alla tua discendenza, cioè Cristo (Galati 3:16).

La conclusione che l’apostolo fa, è la più logica e la più coerente, dal punto di vista cristiano:
Ora, se appartenete a Cristo, siete dunque progenie d’Abrahamo ed eredi secondo la promessa (Galati 3:29).

La donna che è stata tenuta legata da Satana per diciotto anni, viene identificata da Gesù, come figlia di Abrahamo. Questo per farci comprendere che i figli di Abrahamo, - non solamente nel senso della discendenza ebraica, ma principalmente nel significato cristiano, cioè quelli che appartengono a Cristo, vale ad affermare che hanno fede in Lui - non vengono risparmiati da certe infermità causate da uno spirito da malattia. Con ciò non vogliamo assolutamente affermare che tutte le malattie che colpiscono i cristiani, derivano dallo spirito d'infermità.

Ci sono però certe infermità, non sapremmo quali, che non possono essere definite fisiologiche, poiché sono causate dalla presenza di questo spirito.

L’informazione riguardante, lo spirito d'infermità, che il N.T. presenta nell’unico passo di Luca, anche se viene presentata nella forma singolare, non vuol affermare che si tratti di un solo spirito che agisce per procurare infermità nella vita delle persone.

Nel campo degli spiriti immondi, il vangelo ci precisa che sono migliaia, mentre in quello che causa le malattie, si limita solamente a dirci: Uno spirito d'infermità. Senza dubbio, l’articolo indeterminativo uno, che il testo adopera, non ha lo scopo di farci conoscere il numero, ma indica uno dei tanti, che può causare infermità, nella vita dei credenti.

Che questo spirito, sia un dipendente di Satana, è fuori discussione, e, come tale, agisce sempre agli ordini del suo capo. Come fa questo spirito ad entrare nella vita di chi appartiene a Cristo, non c'è dato di sapere. Fu uno spirito d'infermità che causò quel malessere nella vita dell’apostolo Paolo?

Anche se non lo possiamo affermare categoricamente, non possiamo neanche escluderlo. Comunque siano le cose, la nota consolante per chi viene colpito da uno spirito d'infermità, sta nel fatto che non saranno lasciati in balia di questo spirito per sempre. Gesù Cristo che sciolse quella donna dal legame di Satana, saprà sciogliere tutti quelli che sono suoi, perché questi possano proclamare a tutti, le grandi cose che Egli fa.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo prontamente
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