Domenic34 – Giuseppe... L’uomo denomonata Safnat-Paneac – Capitolo 8. LA FAMIGLIA DI GIACOBBE SI STABILISCE IN EGITTO

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Domenico34
00martedì 31 maggio 2011 00:11

Capitolo 8




LA FAMIGLIA DI GIACOBBE SI STABILISCE IN EGITTO




Una volta che si è fatto riconoscere dai suoi fratelli e che tra loro è avvenuta la riconciliazione, Giuseppe pensa a suo padre. Intanto la voce della presenza dei fratelli di Giuseppe arrivati in Egitto si sparge rapidamente nella casa del Faraone Non appena la notizia arriva al Faraone, questi, oltre ad accoglierla con piacere, fa subito chiamare Giuseppe e gli ordina di far venire in Egitto suo padre con tutta la sua famiglia.

Il faraone disse a Giuseppe: «Di’ ai tuoi fratelli: "Fate questo: caricate le vostre bestie e andate, tornate al paese di Canaan;
prendete vostro padre, le vostre famiglie e venite da me; io vi darò il meglio del paese d’Egitto e voi mangerete il grasso della terra".
Tu hai l’ordine di dire loro: "Fate questo: prendete nel paese d’Egitto dei carri per i vostri bambini e per le vostre mogli; conducete vostro padre e venite.
E non vi rincresca di lasciare la vostra roba; perché il meglio di tutto il paese d’Egitto sarà vostro"»
(Genesi 45:17-20).

Con questa sicurezza, i fratelli di Giuseppe vengono congedati e ritornano a Canaan, dove li attende il padre con trepidazione. Giuseppe dà loro dei viveri per il viaggio, dei regali ...un abito di ricambio per ciascuno di loro... ma per Beniamino ...cinque e trecento sicli d’argento. Mentre manda: Dieci asini carichi delle migliori cose d’Egitto, dieci asine cariche di grano e di viveri per suo padre durante il viaggio (Genesi 45:23).

LA RACCOMANDAZIONE DI GIUSEPPE

Nel congedarsi dai suoi fratelli, Giuseppe dice loro: Non ci siano, durante il viaggio, delle liti tra voi (Genesi 45:24).

Perché Giuseppe fa quella raccomandazione, e che cosa vuol significare con quelle parole? È facile intuirlo! Giuseppe, conoscendo il carattere dei suoi fratelli, pensa che durante il viaggio di ritorno, possano sorgere dissidi e litigi. Il giorno in cui si era fatto riconoscere dai suoi fratelli aveva saputo che, Ruben, il maggiore dei fratelli, era intervenuto per salvarlo dalla mano dei suoi fratelli e questo lo aveva messo in allarme. Senza la sua presenza, durante il viaggio avrebbero potuto litigare, lanciandosi accuse reciproche. Giuseppe anche in quella raccomandazione è senza dubbio illuminato dalla luce divina che voleva prevenire quello che sarebbe potuto succedere.

I litigi tra fratelli, i dissapori e ì malumori hanno sempre creato discordie e divisioni. Litigare tra fratelli non si addice ai figli di Dio e ai seguaci di Gesù Cristo. I litigi frantumano la comunione che tra fratelli dovrebbe sempre esserci, inaspriscono gli spiriti generando odio e rancore.

La Bibbia ci esorta a vivere in pace con tutti gli uomini (Romani 12:18); ad amarci gli uni con gli altri e a perdonarci (Efesini 4:31). Se nascono tra fratelli divergenze di carattere materiale, invece di ricorrere a persone lontane dalla fede, notai o avvocati, bisognerebbe fare il possibile per riuscire ad appianare le divergenze, superando con spirito benigno e compassionevole i dissapori.

IL RAPPORTO DEI FRATELLI DI GIUSEPPE CON IL LORO PADRE

Essi risalirono dall’Egitto e giunsero nel paese di Canaan, da Giacobbe il loro padre.
Gli riferirono ogni cosa, dicendo: «Giuseppe vive ancora ed è governatore di tutto il paese d’Egitto». Ma il suo cuore rimase freddo, perché egli non credeva loro.
Essi gli ripeterono tutte le parole che Giuseppe aveva detto loro. Quando egli vide i carri che Giuseppe aveva mandato per trasportarlo, lo spirito di Giacobbe, il loro padre, si ravvivò.
E disse: «Basta, mio figlio Giuseppe vive ancora; io andrò e lo vedrò prima di morire»
(Genesi 45:25-28).

Era logico che Giacobbe sarebbe rimasto scettico davanti al racconto dei figli. Erano passati tanti anni da quando aveva ricevuto la veste insanguinata di suo figlio Giuseppe; egli l’aveva riconosciuta e aveva pianto tanto, convinto che suo figlio, fosse stato sbranato da una bestia feroce. Come poteva credere ad una diversa versione? Non è l'appassionato racconto dei figli che convince Giacobbe, ma i carri che erano stati mandati dall’Egitto e che egli vedeva con i suoi occhi. Alla vista di quei carri Giacobbe si convince che, veramente, suo figlio Giuseppe è ancora vivo.

LA FAMIGLIA DI GIACOBBE SI TRASFERISCE IN EGITTO

Israele dunque partì con tutto quello che era e, giunto a Beer-Seba, offrì sacrifici al Dio di suo padre Isacco.
E DIO parlò ad Israele in visioni notturne e disse: «Giacobbe, Giacobbe!». Egli rispose «Eccomi».
Dio allora disse: «Io sono Dio, il DIO di tuo padre; non temere di scendere in Egitto, perché là ti farò diventare una gran nazione.
Io scenderò con te in Egitto e ti farò anche sicuramente risalire; e Giuseppe ti chiuderà gli occhi».
Allora Giacobbe partì da Beer-Seba, e i figli d'Israele fecero salire Giacobbe loro padre, i loro piccoli e le loro mogli sui carri che il Faraone aveva mandato per trasportarlo.
Così essi presero il loro bestiame e i beni che avevano acquistato nel paese di Canaan e vennero in Egitto, Giacobbe e tutti i suoi discendenti con lui.
Egli condusse con sé in Egitto i suoi figli, e figli dei suoi figli, le sue figlie, le figlie dei suoi figli e tutti i suoi discendenti
(46:1-7).

Questo avvenimento è importante, almeno per tre motivi.

1) Ci porta a considerare la ferma determinazione di Giacobbe a seguire le vie di Dio;
2) ci porta a riflettere sulla promessa di Dio;
3) ci permette di gettare uno sguardo sul futuro.

1) GIACOBBE È DETERMINATO A SEGUIRE LE VIE DI DIO

Dal momento in cui Giacobbe raggiunge la certezza che suo figlio Giuseppe è ancora in vita e gli ha mandato i carri del Faraone affinché si trasferisca in Egitto, deve prendere la fatale decisione: andare o meno in Egitto. Giacobbe decide di andare in Egitto con tutta la sua famiglia, ma prima di varcare il confine della terra di Canaan, si ferma a Beer-Seba e offre sacrifici a Dio. La fermata di Giacobbe con la sua famiglia in quella località, non è certamente una delle tante tappe del suo lungo pellegrinare. Essa ha, senza dubbio, un preciso significato.

La circostanza rafforza maggiormente la nostra convinzione che probabilmente c’era qualcosa di non risolto nella vita del patriarca.. Il luogo dove Giacobbe abitava, prima della sua partenza, era Hebron (Genesi 37:14) e per arrivare a Beer-Seba, (dato che c’era un bel tratto di strada), ci erano voluti sicuramente alcuni giorni di cammino.

La domanda che sorge spontanea nella nostra mente, è: perché Giacobbe offre sacrifici al Dio di suo padre Isacco, a Beer-Seba e non lo fa a Hebron, prima di partire? Vuole solamente ricordare quello che avevano fatto suo padre (Genesi 26:23-25) e suo nonno, oppure c'è qualche altro motivo? (Genesi 21:33). Noi crediamo che ci sia un altro motivo. Senza dubbio Beer-Seba, avrà destato il ricordo del patriarca, dell'invocazione all'Eterno di Abrahamo e Isacco, dei sacrifici offerti all’Eterno, identificabili con altrettante invocazioni rivolte a Dio.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00mercoledì 1 giugno 2011 00:19
Dal passato della storia di Giacobbe apprendiamo:

a) A Sichem, edificò un altare all’Eterno, al quale assegnò il nome di El-Elohey-Israel = il potente Dio d’Israele (Genesi 33:20). In questo non si fa nessun accenno a sacrifici offerti a Dio.
b) Mentre Giacobbe si trova a Sichem, Dio gli ordina di andare a Bethel e fare lì un altare (Genesi 35:1). Neanche in questo luogo, Giacobbe offrì sacrifici a Dio. Inoltre, da Abrahamo viene affermato che a Beer-Seba invocò il nome dell’Eterno (Genesi 21:33); mentre Isacco vi costruì un altare e invocò il nome dell’Eterno (Genesi 26:23,25).

È chiaro il primo riferimento a Giacobbe, il quale ‘offrì sacrifici’ a Dio, quando arrivò a Beer-Seba. L’avrà fatto sullo stesso altare che aveva costruito suo padre? Nulla si può dire con certezza in proposito. Quello che secondo noi è importante, non è tanto sapere se i ‘sacrifici’ Giacobbe li abbia offerti all’Eterno sullo stesso altare che aveva costruito suo padre Isacco, quanto conoscere in che cosa consistessero quei sacrifici, cosa fossero effettivamente quei sacrifici. Noi crediamo che quei ‘sacrifici’ possano certamente essere ritenuti le ‘preghiere’ che Giacobbe innalzò al suo Dio.

Ci sembra chiaro che queste preghiere e queste invocazioni vengono per invocare la benedizione del Signore sul suo trasferimento in Egitto, soprattutto alla luce della risposta di Dio.

Ritorna però la domanda: quello che il patriarca fa a Beer-Seba, non poteva farlo prima di mettersi in cammino, quando si trovava a Hebron? Forse l’emozione per la bella notizia che il suo prediletto Giuseppe era ancora in vita, gli avrà fatto dimenticare un preciso dovere: pregare il suo Dio, consultarsi con Lui sull'opportunità o meno di andare in Egitto.

Un vecchio proverbio dice: meglio tardi che mai. Anche se Giacobbe lo fa con ritardo, è apprezzabile che

a) Giacobbe a Beer-Seba fermi la marcia della sua famiglia, come se qualcuno dall’interno gli avesse detto: «Ma perché continui a camminare ancora?»
b) Egli riconosca di aver commesso un errore per non essersi rivolto a Dio prima di partire;
c) senta il bisogno di rivolgersi al suo Dio per consultarsi con Lui in merito al suo futuro;
d) cerchi la guida di Dio.

E allora qual è il motivo per cui Giacobbe si ferma a Beer-Seba? Come abbiamo detto Beer-Seba era il confine della terra di Canaan. La promessa fatta a Dio contenuta in Genesi 28:15 sarà ritornata nella mente del patriarca e con essa una profonda preoccupazione e una grande paura avranno invaso il suo cuore. Si sarà forse chiesto se questo passo, per caso, non fosse in contrasto con il piano che Dio aveva fatto per lui e violava la volontà di Dio. Se in quel giorno non ci fosse stata la risposta alla sua preghiera e se Dio si fosse opposto e avesse dato un segno della sua collera, Giacobbe senza dubbio sarebbe ritornato a Hebron.

Anche se c’era un forte desiderio di rivedere il suo prediletto, c’era anche in Giacobbe la ferma volontà di attenersi al volere di Dio. Dio non poteva ignorare la richiesta di Giacobbe, come se non fosse vitale per il suo futuro. I ‘sacrifici’ che gli vengono offerti, richiedono una precisa risposta, per non lasciare nell’incertezza la vita di Giacobbe. Ed ecco che Dio si rivela in favore del patriarca.

2) LE PROMESSE DI DIO RINNOVATE

DIO parlò ad Israele in visioni notturne e disse, «Giacobbe, Giacobbe!». Egli rispose: «Eccomi» (Genesi 46:22).

Dio si rivolge direttamente alla persona interessata, chiamandola prima col nuovo nome Israele e poi con quello vecchio di Giacobbe. Non ha tanta importanza che Dio parli in visioni notturne o diurne; se Egli avesse preferito il giorno, il significato sostanziale della sua parola non sarebbe certamente cambiato. Per Lui, infatti, la notte e il giorno, sono uguali (Salmo 139:11-12). Chiamandolo due volte col vecchio nome: Giacobbe, Giacobbe, ci ricorda la chiamata di Samuele (1Samuele 3:10). Più tardi Gesù userà la formula ripetitiva da Lui preferita: in verità, in verità vi dico... quasi a rafforzare la verità della Sua parola, verità assoluta .

Pronunciando due volte il nome di Giacobbe, Dio voleva rafforzare l'importanza della verità, ma anche sottolineare che ciò che stava per dire era di fondamentale aiuto per il vecchio patriarca e richiamare con forza la sua attenzione. Giacobbe, da parte sua, pur non conoscendo quello che Dio gli avrebbe detto, senza indugio risponde: «Eccomi, sono pronto per ascoltare quello che hai da dirmi». Dio non potrà mai parlare all'uomo, se questi non è disposto ad ascoltarlo. Parla, perché il tuo servo ascolta (1Samuele 4:10).

Dio allora disse: «Io sono Dio, il DIO di tuo padre; non temere di scendere in Egitto... scenderò con te in Egitto... (Genesi 46:3-4).

L'imperativo ‘non temere’, sottolinea la paura di Giacobbe, non tanto perché egli avesse dubbi sull’accoglienza di suo figlio Giuseppe o della mancanza di un sostentamento, quanto per il dubbio che il suo spostamento non rientrasse nella volontà di Dio.

Era pertanto necessario che Giacobbe avesse la certezza che la sua discesa in Egitto non fosse in opposizione ai piani divini, né per lui, né per la sua discendenza. Se Dio avesse solamente approvato la discesa di Giacobbe liberandolo dal timore, sarebbe stato sufficiente a sciogliere l’incertezza e la preoccupazione. Aggiunge però «Io scenderò con te in Egitto», assicurandogli che Egli in persona, (non un suo angelo) sarebbe stato al suo fianco nella nuova destinazione.
Davanti a tale affermazione, non c’era più nessun motivo per fermare la marcia. Ecco perché il testo precisa: allora Giacobbe partì da Beer-Seba (Genesi 46:5).

3) IL FUTURO DI GIACOBBE E DELLA SUA DISCENDENZA, VIENE ASSICURATO

L'Eterno, non dà solamente il suo nulla osta a Giacobbe, ma allude anche al suo futuro e a quello della sua discendenza. In Egitto ti farò diventare una gran nazione... ...e ti farò anche risalire. Questo significava che, non solo la discesa in Egitto realizzava la promessa divina fatta a Bethel, sia la prima che la seconda volta e con essa la promessa si sarebbe ‘pienamente’ adempiuta (Genesi 28:13-14; 35:11), ma che anche la sua permanenza e quella della sua discendenza, sarebbe durata per un certo periodo di tempo, dopo il quale sarebbero stati fatti risalire nella loro terra dall’Eterno stesso.
Quando Dio fece la promessa ad Abrahamo che la sua discendenza sarebbe stata numerosa come le stelle del cielo (Genesi 15:5), aggiunse anche che, sarebbe rimasta come straniera in un paese che non era loro, e sarebbero stati trattati come degli schiavi e oppressi per quattrocento anni (Genesi 15:13).

L’Egitto, è vero, non veniva menzionato, ma era sicuramente a quel luogo che Egli si riferiva. Giacobbe è, dunque, la persona con cui si adempie la promessa divina. Dio acconsente alla sua discesa in Egitto. Ciò è necessario per attuare i piani di Dio.

UN INSEGNAMENTO DI VITA PRATICA

Dalla vita di Giacobbe possiamo trarre un esemplare insegnamento di esistenza pratica. I cristiani devono saper controllare il loro entusiasmo e pregare Dio, prima di mettersi in movimento. Questo servirà loro ad avere idee chiare in merito al loro spostamento, senza poi cadere in timori e incertezze sul loro futuro.

Dio, certamente, non lascerà soli coloro che si rivolgono a Lui, senza incoraggiarli ed illuminarli. Avere il Suo incoraggiamento ed essere ‘illuminati’ da Lui è molto importante per non cadere nella trappola dello scoraggiamento e dell’abbattimento. Con la luce divina nella nostra mente e nel nostro cuore, si può camminare con passo fermo sulle vie di Dio. Anche se durante il cammino della vita si incontreranno difficoltà, (e nell'esistenza cristiana non mancano) chi ha in sé la luce celeste, sarà fermo e deciso e affronterà coraggiosamente ogni prova.

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00giovedì 2 giugno 2011 00:07
Le parole di Gesù ce lo confermano: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Giovanni 8:12). Con la certezza nel cuore che Dio è con noi, si potrà dire con Paolo: se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? (Romani 8:31); oppure con Davide: Quand’anche camminassi nella valle dell’ombra della morte, non temerei alcun male, perché tu sei con me; il tuo bastone e la tua verga sono quelli che mi consolano (Salmo 23:4).

Con questa meravigliosa certezza, mettiamoci in cammino e Dio ci spianerà la strada.

GIUSEPPE VA INCONTRO A SUO PADRE

Or Giacobbe mandò Giuda davanti a sé da Giuseppe, perché lo introducesse nel paese di Goscen. Così giunsero nel paese di Goscen.
Allora Giuseppe fece attaccare il suo carro e salì a Goscen incontro ad Israele suo padre; appena lo vide, gli si gettò al collo e pianse lungamente stretto al suo collo.
E Israele disse a Giuseppe: «Ora lascia pure che io muoia, poiché ho visto la tua faccia, e tu sei ancora in vita».
Allora Giuseppe disse ai suoi fratelli e alla famiglia di suo padre: «Io salirò ad informare il Faraone e gli dirò,“I miei fratelli e la famiglia di mio padre, che erano nel paese di Canaan, sono venuti da me.
Essi sono pastori, perché sono sempre stati allevatori di bestiame, e hanno portato con sé le loro greggi, i loro armenti e tutto quello che posseggono”.
Quando il Faraone vi farà chiamare e vi dirà: “Qual è la vostra occupazione?”, voi risponderete,
“I tuoi servi sono stati allevatori di bestiame dalla loro fanciullezza fino ad ora, tanto noi che i nostri padri”, perché possiate abitare nel paese di Goscen. Poiché gli Egiziani hanno in abominio tutti i pastori»
(Genesi 46:28-34).

Il racconto dell’incontro tra Giacobbe e Giuseppe, così come c'è stato tramandato dall’autore sacro, è particolarmente ricco di particolari e commovente nello stesso tempo. Da quando Giuseppe era stato creduto morto da suo padre Giacobbe, erano trascorsi venti anni. Nonostante tutto questo tempo, nel cuore del vecchio patriarca, l’amore per il suo prediletto figlio, non si era affatto spento.

Ora che Giacobbe ha la certezza da Dio che la sua discesa in Egitto è perfettamente in armonia con il Suo volere e con i Suoi piani, poco prima dell’incontro con Giuseppe, incarica Giuda, suo figlio, affinché l’appuntamento avvenga a Goscen. Sorge spontanea una domanda: perché mai Giacobbe affida quest'ambasciata a Giuda e non a Ruben, per esempio, che è il primogenito?

La scelta di Giuda ha un senso, se si tiene presente che è stato lui a garantire a suo padre l’incolumità del fratello Beniamino, allorquando Giacobbe non voleva acconsentire che il suo ultimo figlio andasse in Egitto assieme agli altri discendenti per comprare il grano. Visto che l’affare era stato portato a buon fine e che non era successo nulla di ciò che il vecchio paventava, Giuda si era accattivato la simpatia e la fiducia del padre, tanto da affidargli l’incarico preparatorio per l’incontro con suo figlio Giuseppe.

Anche se la Sacra Scrittura non accenna al fatto che Giacobbe fosse stato informato della generosa offerta di Giuda di sostituire il fratello Beniamino, (Genesi 44:18-34) c’è tuttavia da pensare che ne fosse a conoscenza. Forse il patriarca non era stato informato direttamente dal figlio, bensì dagli altri discendenti. L’incarico, quindi, che Giacobbe affida a Giuda di preparargli l’incontro con Giuseppe, vuole essere un chiaro riferimento di gratitudine per la generosità di Giuda verso suo fratello Beniamino.

Tutte le buone azioni che si compiono qui, sulla terra, in favore di qualcuno, se non vengono giustamente ricompensate dagli uomini, si sa con certezza che, nel giorno della resa dei conti, saranno retribuite da Dio nell’altra vita, cioè nel cielo.

L’incontro tra il vecchio padre e il figlio prediletto Giuseppe, avviene a Goscen. Perché in quella località e non altrove? La scelta della località si doveva non solo alla sua vicinanza alla terra di Canaan, ma anche alla sua particolare idoneità all'allevamento di grosso e minuto bestiame (Genesi 45:10), mansione specifica, da sempre, della famiglia di Giacobbe. Per queste ragioni Giacobbe aveva accettato la proposta di Giuseppe di una sistemazione a Goscen, una volta giunto in Egitto.

L’incontro tra padre e figlio si svolge in un contesto di grande commozione. Il testo precisa: appena (Giuseppe) lo vide (Giacobbe), gli si gettò al collo e pianse lungamente stretto al suo collo (Genesi 46:29).

Anche se il testo afferma che fu Giuseppe a piangere buttandosi al collo del padre, è impensabile che il vecchio genitore non abbia unito anche le sue lacrime a quelle del figlio. Ora che gli occhi di Giacobbe hanno rivisto il viso del figlio prediletto (dopo venti anni), il vecchio ha raggiunto l'apice della sua felicità e la esprime con le parole: «Lascia pure che io muoia, poiché ho visto la tua faccia e tu sei ancora in vita».

Giuseppe era il Governatore del paese d’Egitto, ma non poteva fare ogni cosa a suo piacimento, senza che il Faraone venisse avvisato. Si affretta, quindi, a dire ai suoi fratelli che sarebbe corso dal Faraone per avvisarlo dell'arrivo in Egitto di suo padre, chiedendo l'autorizzazione alla loro sistemazione a Goscen con tutto quello che avevano portato da Canaan.

Giuseppe, anche in questo caso, è un luminoso esempio di lealtà e, insieme, di sottomissione alla autorità superiore. Anche se gode della stima e della fiducia del Faraone, nondimeno vuole dare legalità alla permanenza della sua famiglia a Goscen, chiedendo l’approvazione dell’alta autorità, cioè quella del monarca. Per evitare che nascano problemi tra la sua famiglia e il Faraone, Giuseppe suggerisce ai fratelli quello che devono dire al re di Egitto, una volta chiamati a corte.

Il Faraone, infatti, domanda ai cinque fratelli di Giuseppe quale sia la loro occupazione, e, saputo che erano pastori e allevatori di bestiame, approva che la famiglia di Giuseppe si stabilisca nella parte migliore dell'Egitto. Quando poi il Faraone domanda al vecchio padre quale sia la sua età, riceve la seguente risposta:

«Gli anni del mio pellegrinaggio sono centotrent’anni; gli anni della mia vita sono stati pochi e cattivi, e non hanno raggiunto il numero degli anni della vita dei miei padri, nei giorni del loro pellegrinaggio».

Dopo la presentazione della famiglia di Giuseppe al Faraone, la famiglia si sistema definitivamente nella contrada di Ramses, come il monarca aveva ordinato (Genesi 47:1-11).

PS: SE CI SONO DELLE DOMANDE DA FARE, FATELE LIBERAMENTE E NOI RISPONDEREMO CON PREMURA
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