Domenic34 – Giuseppe... L’uomo denomonata Safnat-Paneac – Capitolo 7. I DUE FIGLI DI GIUSEPPE E IL LORO SIGNIFICATO

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
Domenico34
00domenica 29 maggio 2011 00:10

Capitolo 7





I DUE FIGLI DI GIUSEPPE E IL LORO SIGNIFICATO




Oltre ad aver raggiunto grandezza e gloria, Giuseppe prende in moglie, Asenath, figlia di Poteferah, dalla quale ha due figli. Se al primo viene dato il nome di Manasse, che significa: Che fa dimenticare, fu perché Giuseppe disse: DIO mi ha fatto dimenticare ogni mio affanno e tutta la casa di mio padre; e se il secondo è chiamato Efraim, che significa: Doppiamente fecondo, fu perché disse: DIO mi ha reso fruttifero nel paese della mia afflizione (Genesi 41:51,52).

All’inizio di questo capitolo, abbiamo affermato che nei significati dei due nomi dei figli di Giuseppe, è implicita tutta la sua storia, che, così come descritta dal libro della Genesi, è colma di momenti nefasti.

Essa inizia con l’odio dei fratelli, la loro invidia, la loro impossibilità ad avere con lui un dialogo amichevole. In seguito lo spogliano della veste lunga che lo pone agli occhi di tutti come prediletto dal padre, lo gettano nel pozzo, lo vendono agli Ismaeliti per venti sicli d’argento; finisce in casa di Potifar come uno schiavo, viene accusato di aver tentato violenza alla moglie, viene messo in prigione ed ivi rimane per ben due anni.

Non è immaginabile una vita peggiore! Giuseppe non meritava l'odio e la violenza dei suoi fratelli. Come avrebbe potuto quell’uomo dimenticare i suoi affanni, se non fosse stato per l’intervento di Dio nella sua vita? Non per suo merito ma per l'intervento di DIO riesce a dimenticare ogni suo affanno e la casa del padre, ricordo che gli avrebbe portato un'immensa sofferenza.

Con tutto ciò Giuseppe non aveva rinnegato la sua casa, né si vergognava della sua discendenza dalla stirpe di Giacobbe.
Dio gli aveva fatto semplicemente dimenticare i momenti brutti legati ai suoi fratelli e al padre. Ma essi sono sempre vivi e presenti nella sua mente e nel suo cuore. Quel padre che, col dono della veste lunga, gli ha procurato l’odio e l’invidia dei fratelli, sono tuttora nel suo cuore.

L'intervento di Dio gli ha solamente cancellato i brutti ricordi, che sicuramente gli hanno procurato, per anni, quella morsa di dolore, spina della vita di questo splendido Giuseppe.

UNA LEZIONE DA IMPARARE

Grande è la lezione che ci viene offerta e che dobbiamo imparare! Dio è immutabile nei secoli. Cambiano gli uomini, le situazioni, ma come Egli ha saputo intervenire nella vita di Giuseppe per fargli dimenticare i suoi affanni, così interverrà anche nella nostra, per compiere quell'opera che Lui solo sa compiere e portare a compimento.

Ognuno di noi, nel corso della propria vita, incontra immancabilmente tanti affanni, di varia specie e natura. La vita si snoda in mezzo a tante avversità. Non sempre le avversità che incontriamo sono dovute alle nostre colpe. Spesso i nostri affanni nascono dal risentimento e dall’invidia di persone che, pur vivendo vicine a noi, si comportano come estranei, come se non ci avessero mai conosciute, come se non ci fossero legami nè di amicizia, nè di fratellanza.

Dimenticare un’offesa di un amico, un torto immeritato di un congiunto, un oltraggio e un danno, sia materiale che morale di un fratello, non solo della stessa famiglia carnale, ma, a volte, anche appartenente alla stessa fede, non è certo cosa facile. Se però, Dio, compie quell'azione miracolosa nella vita dell’uomo, allora e soltanto allora, si ha tanta forza, tanto coraggio, e soprattutto tanto amore, da riuscire a dimenticare tutto ciò che è stato causa di affanno e di dispiacere.

LA PROVA CHE GIUSEPPE AVEVA DIMENTICATO OGNI SUO AFFANNO

Giuseppe è ormai la seconda persona del regno di Egitto, ha tutto sotto di sé, controlla ogni situazione della vita dell’intera nazione, è carico di gloria e di grandezza, sa esattamente tutto quello che dovrà accadere nei primi sette anni, a partire dalla data in cui è stato nominato viceré d’Egitto. Sa anche che, dopo i sette anni di straordinaria abbondanza, seguiranno sette anni di orribile carestia. Ha inoltre una bella moglie dalla quale ha avuto due bei figli, e, soprattutto, ha dimenticato, per grazia di Dio, il suo passato pieno di affanni.

Giuseppe non perde tempo. Appena elevato alla massima dignità di seconda persona del regno, si mette subito al lavoro: predispone ogni cosa in modo che nei primi sette anni di abbondanza si immagazzini tutto, affinché le riserve coprano i sette anni di grande carestia. Oggi si chiamerebbe "boom edilizio" il periodo in cui iniziano innumerevoli lavori di costruzione, sia per ingrandire i granai esistenti, sia per edificarne di nuovi.

Sicuramente non saranno mancate le persone che avranno detto: da quando il Faraone ha nominato Giuseppe come viceré di Egitto, non si sono mai visti tanti lavori. Giuseppe è proprio la persona che ci voleva, l’uomo ideale per tutta l'economia dell’Egitto. Col decreto emanato che imponeva,

di prelevare il quinto dei prodotti del paese di Egitto (Genesi 41:34), si ammassa tanto grano durante i sette anni di abbondanza, come la sabbia del mare, in così gran quantità, che si smise di tenere i conti perché era incalcolabile (Genesi 41:49).

Quando i sette anni di abbondanza che vi furono nel paese di Egitto finirono, e cominciarono a venire i sette anni di carestia, come Giuseppe aveva detto, ci fu carestia in tutti i paesi, ma in Egitto vi era del pane (Genesi 41:53,54).

Prima che i sette anni di carestia terminassero, tutto il denaro di Egitto va a finire nelle casse del Faraone. Quando gli Egiziani non hanno più denaro per comprarsi da mangiare, vendono alla casa del Faraone le loro terre, il loro bestiame e la loro stessa vita, per sopravvivere. La carestia non risparmia il paese di Egitto, ma si estese anche in Canaan, paese dove abitava la famiglia di Giacobbe. È a causa della pesante carestia che affligge anche il Canaan, che i dieci figli di Giacobbe si recano in Egitto per comprare il grano.

I figli d’Israele giunsero per comprare grano in mezzo agli altri che erano venuti; perché nel paese di Canaan c’era la carestia.
Or Giuseppe era colui che comandava nel paese; era lui che vendeva il grano a tutta la gente del paese; i fratelli di Giuseppe vennero e si inchinarono davanti a lui con la faccia a terra.
Giuseppe vide i suoi fratelli e li riconobbe, ma si comportò come un estraneo davanti a loro e parlò loro aspramente dicendo: «Da dove venite?» Essi risposero: «Dal paese di Canaan per comprare dei viveri».
Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma essi non riconobbero lui
(Genesi 42:5-8).

Sembrerebbe strano dopo venti anni, tanti erano trascorsi a partire da quando Giuseppe aveva avuto in dono da suo padre la veste lunga, che i fratelli di Giuseppe non lo riconoscano più. Eppure questi uomini erano davanti a lui, senza avere la minima percezione che quel personaggio illustre ed importante fosse proprio il loro fratello Giuseppe.

Forse lo avrebbero riconosciuto se Giuseppe avesse ancora indossato la veste lunga fino ai piedi, regalatogli dal padre prima di essere venduto agli Ismaeliti. La veste attualmente indossata, non era lontanamente paragonabile a quella, non tanto per la lunghezza quanto per la qualità. Credendo che questa persona addetta alla vendita del grano fosse un alto Ufficiale egiziano, i figli di Giacobbe non esitano a prostrarsi davanti a lui con la faccia a terra. Avrebbero fatto lo stesso, se avessero riconosciuto Giuseppe?

Si continuerà il prossimo giorno...
Domenico34
00lunedì 30 maggio 2011 00:05
ll testo dice: Giuseppe allora si ricordò dei sogni (Genesi 42:9). Sicuramente è nel preciso momento in cui i suoi fratelli si prostrarono con la faccia a terra davanti a lui, che si ricorda dei sogni.
Sembra che Giuseppe non abbia affatto dimenticato i suoi affanni, quando accusa i fratelli, senza esitazione alcuna, di essere spie, venute appositamente per vedere i punti indifesi del paese (Genesi 42:12), e li fa imprigionare per tre giorni. La parte successiva del racconto, smentirà questa supposizione e rivelerà chiaramente i motivi per cui Giuseppe ha agito in quel modo.

Quando al terzo giorno i fratelli vengono liberati dalla prigione, viene trattenuto uno di loro, Simeone, per costringere gli altri a ritornare col fratello più piccolo, Beniamino. Quando essi ritornano in Egitto con Beniamino, Giuseppe è contento di rivedere il suo fratellino. Li lascia partire insieme, ma fa collocare una coppa nel sacco di Beniamino per poterlo accusare di furto. Giuseppe vuol far mettere in prigione Beniamino ma Giuda si offre al suo posto per far sì che possa tornare dal padre Giacobbe.
Il testo sacro così descrive l'angoscia dei fratelli:

Allora si dicevano l’uno all’altro: «Sì, noi fummo colpevoli verso nostro fratello, giacché vedemmo la sua angoscia quando egli ci supplicava, ma non gli demmo ascolto! Ecco perché ci viene addosso quest’angoscia».
Ruben rispose loro: «Non ve lo dicevo io: "Non commettete questo peccato contro il ragazzo?" Ma voi non voleste darmi ascolto. Perciò, ecco, il suo sangue ci è ridomandato».
Ora essi non sapevano che Giuseppe li capiva, perché tra lui e loro c’era un interprete.
Ed egli si allontanò da loro, e pianse. Poi tornò, parlò con quelli e prese tra di loro Simeone, che fece incatenare sotto i loro occhi
(Genesi 42:21-24),

ma Giuseppe è inflessibile:
Si prostrarono davanti a lui con la faccia a terra (Genesi 42:6); e si inchinarono fino a terra davanti a lui (Genesi 43:26);
E si inchinarono per rendergli riverenza (Genesi 43:28);
e si gettarono a terra: davanti a lui (Genesi 44:14).

Per ben dieci volte chiamano Giuseppe signore, e quando ritornano con le vesti stracciate a seguito del ritrovamento della coppa d’argento nel sacco di Beniamino, Giuda, che si presenta per intercedere per la vita del fratello Beniamino, pronuncia le più terribili parole che Giuseppe abbia mai potuto immaginare:

Giuda rispose: «Che diremo al mio signore? Quali parole useremo? O come ci giustificheremo? Dio ha trovato l’iniquità dei tuoi servi. Ecco, siamo schiavi del mio signore: tanto noi, quanto colui in mano del quale è stata trovata la coppa» (Genesi 44:16).

Quando poi Giuda finisce la sua lunga supplica a Giuseppe per restare in carcere, affinché Beniamino possa ritornare da suo padre Giacobbe, Giuseppe, non potendo più contenersi (Genesi 45:1), grida a voce forte: Fate uscire tutti dalla mia presenza!

Che cosa avranno pensato e provato in quell’istante i figli di Giacobbe, ora, soli con Giuseppe? Possiamo pensarli con gli occhi rossi pieni di lacrime, mentre aspettano la terrificante condanna che Giuseppe pronunzierà: il capo chino, la testa tra le mani, senza il coraggio di guardare Giuseppe, perché consapevoli del loro passato reato e soprattutto perché si rendono conto

che DIO ha ritrovato il loro peccato.
«Io sono Giuseppe; mio padre vive ancora?»
Ma i suoi fratelli non gli potevano rispondere, perché erano atterriti dalla sua presenza.
Giuseppe disse ai suoi fratelli: «Vi prego, avvicinatevi a me!» Quelli s’avvicinarono ed egli disse: «Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché fosse portato in Egitto
(Genesi 45:3,4).

Non saprei dire esattamente quante volte, nel corso dei miei circa cinquanta anni di fede, ho letto la storia di Giuseppe. Non mi vergogno di affermare che non c’è stata una sola volta che, a questo punto della storia, io non abbia dovuto ricorrere al fazzoletto per asciugarmi le lacrime.

Posso capire perché in quel momento i fratelli di Giuseppe non potessero rispondere alla sua domanda. Troppo grande era la commozione! Un nodo alla gola certamente non permetteva loro di parlare. Giuseppe capisce lo stato d’animo dei suoi fratelli, anche lui troppo commosso in quel magico momento. Ma nonostante tutto, al contrario dei fratelli, riesce a parlare.

I fratelli non possono certamente parlare come venti anni addietro, quando non gli potevano parlare in modo amichevole... Essi si vergognano di tutto il male che gli hanno fatto. Giuseppe capisce perfettamente il loro stato d'animo e per dimostrare a loro che DIO gli aveva fatto dimenticare tutti i suoi affanni, dice:

Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita.
Infatti, sono due anni che la carestia è nel paese e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà raccolto né mietitura.
Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti scampati.
Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio. Egli mi ha stabilito come padre del faraone, signore di tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d’Egitto
(Genesi 45:5,7-8).

Dopo queste parole, Giuseppe dà ai suoi fratelli tutte le istruzioni riguardanti Giacobbe loro padre. Si legge:

Baciò pure tutti i suoi fratelli, piangendo. Dopo questo, i suoi fratelli si misero a parlare con lui (Genesi 45:15).

«Dove c’è una vera riconciliazione, c’è anche un’autentica comunione» (Matthew Henry).

Quando Giuseppe si fa riconoscere dai suoi fratelli, si limita ad invitarli ad avvicinarsi a lui”; Ora la situazione è totalmente cambiata. I fratelli credono che la persona con la quale stanno parlando è proprio Giuseppe il loro fratello, sono stati rassicurati per quanto riguarda il passato, hanno raggiunto la consapevolezza che in tutta la loro vicenda ci sia stato un preciso disegno divino.

Lo stesso Giuseppe cambia atteggiamento, invece di aspettare che i suoi fratelli si gettino al suo collo per baciarlo, e perché no, per chiedergli anche perdono per tutto il male che gli hanno fatto, è lui che prende l’iniziativa di baciare tutti i suoi fratelli.

Forse Giuseppe, nella sua immensa bontà, si rende conto che i suoi fratelli, sono in preda ad una sincera e profonda umiliazione che non permette loro di trovare le parole per esprimere tutto il loro rammarico per aver agito in maniera tanto crudele nei suoi confronti. Allora, senza indugiare, è proprio Giuseppe a fare il primo passo ...bacia tutti i suoi fratelli... come fosse lui a trovarsi dalla parte del torto e i suoi fratelli da quella della ragione.

L’atteggiamento di Giuseppe verso i fratelli è la manifestazione di una vera grandezza spirituale, ed insegna i grandi valori dell’umiltà e della sottomissione. La vera grandezza di una persona, non risiede tanto nel "ricevere" i riconoscimenti e gli onori, quanto nel dimostrare in maniera palpabile, di aver dimenticato tutto, tutte le offese ricevute e tutti i torti subiti.

La Scrittura conferma l’onestà e la sincerità di Giuseppe nei confronti dei suoi fratelli e soprattutto l'assenza totale di rancore verso di loro quando dice :

I fratelli di Giuseppe, quando videro che il loro padre era morto, dissero: «Chi sa se Giuseppe non ci porterà odio e non ci renderà tutto il male che gli abbiamo fatto?»
Perciò mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre, prima di morire, diede quest’ordine:
"Dite così a Giuseppe: Perdona ora ai tuoi fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del male". Ti prego, perdona dunque ora il misfatto dei servi del Dio di tuo padre!» Giuseppe, quando gli parlarono così, pianse.
I suoi fratelli vennero anch’essi, si inchinarono ai suoi piedi e dissero: «Ecco, siamo tuoi servi».
Giuseppe disse loro: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio?
Voi avevate pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso.
Ora dunque non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri figli». Così li confortò e parlò al loro cuore
(Genesi 50:15-21).

La testimonianza più compiuta con la quale Giuseppe riconosce l'opera di Dio nella sua vita, rimane quella della scelta del nome del suo primogenito Manasse: DIO mi ha fatto dimenticare ogni mio affanno e tutta la casa di mio padre (Genesi 41:51).

PS:Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e noi risponderemo con premura
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 08:42.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com