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Domenico34 - Insegnando le cose che Gesù ha comandato di osservare

Ultimo Aggiornamento: 02/09/2011 00:08
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Sesso: Maschile
26/08/2011 01:01

L'uomo di solito crede ad una cosa, solo quando c'è l'ha tra le mani. Questo tipo di credere, non è quello che Gesù volle insegnare ai suoi discepoli. Non è il credere della razionalità, ma quello della fede in Dio. La vera fede in Dio, l'unica per la quale Dio esprime il suo compiacimento (Ebrei 11:6), è audace, sa appropriarsi tutte quelle ricchezze che Dio ha messo davanti nel suo cammino, prima ancora che diventino palesi. È a questo livello di fede che Gesù volle condurre i suoi, esperienza necessaria per insegnare le cose che Gesù comandò d'osservare. Quando si crede che si hanno le cose domandate e richieste, allora Gesù può assicurare: L'otterrete. Ottenere in senso visibile le cose richieste e domandate, ciò è il risultato di averle prima credute. Non è fuori posto o della logica di Dio, se una cosa domandata e richiesta, ritarda nella sua attuazione visibile, ad essere nelle mani di colui che l'ha richiesta e domandata.

Chi ha domandato una cosa e ha creduto di averla già ricevuta, non si pone il problema se ha quella cosa, perché già sul piano della fede quella cosa l'ha già ottenuta (anche se su un piano visibile, nel senso che altri possono vedere non c'è), ma aspetterà solamente che la cosa invisibile diventi visibile, perché altri possano vedere le cose che Dio ha date, in risposta a quello che si è creduto d'avere ottenuto.

A questo punto non deve sembrare un paradosso, se la cosa ottenuta sul piano della fede, si fa attendere in un tempo piuttosto prolungato, prima che diventi verificabile da parte degli altri. L'esempio classico di Abramo potrebbe ulteriormente illustrare quest'aspetto della fede. Dio fece una promessa ad Abramo e gli disse chiaramente che la sua progenie sarebbe stata come le stelle del cielo. In quello stesso giorno Abramo credette a Dio, ci dice il testo sacro (Genesi 15: 5,6). Da un punto di vista di Dio, Abramo aveva già una progenie e dal punto della percezione della fede, Abramo poteva vedere la sua progenie guardando alle stelle del cielo. Da un punto di vista pratico, però, Abramo dovette aspettare 25 anni, prima che quella progenie, veduta solamente da lui, potesse essere vista anche dagli altri. Tutto quello che la fede mantiene nella sua fermezza su un piano invisibile, diventerà visibile ed altri potranno vedere le cose che, pregando, si crede di averle ottenute.

28. UNA PRECISA DISPOSIZIONE A PREGARE ED A VEGLIARE

Vegliate e pregate, affinché non cadiate in tentazione; ben è lo spirito pronto, ma la carne è debole (Marco 14: 38).

L'episodio riguardante, il Getsemani, è narrato da tutti e quattro gli evangelisti. Il solo che si distacca dai Sinottici è Giovanni, che aggiunge dei partiari che danno un significato speciale, allo scopo per questo Giovanni scriveva il suo evangelo. Matteo e Marco riportano la frase: vegliate e pregate, mentre Luca parla solamente di pregare. Tutte e tre i Sinottici, sono concordi nel mettere in risalto la tentazione che minaccia la vita dei discepoli, allettamento che può essere superato con la preghiera. Il momento che Gesù sia passato in quella notte nel Getsemani, non è facile poterlo descrivere con parole umane.

Anche se il linguaggio che gli evangelisti adoperano è umano e risponde esattamente alla loro natura. Per Gesù, invece, che era Dio fatto uomo, esprimere i sentimenti interiori e soprattutto esternare tutto ciò che sentiva e provava in vista dell'ora finale, ciò rischia di non essere ben capito o addirittura si può fraintendere quella situazione partiare in cui venne a trovarsi, in vista del coronamento della sua missione per la quale era stato mandato dal Padre. Pensare di interpretare la scena del Getsemani da un punto di vista spirituale, equivale a spogliare il racconto evangelico di tutti quegli elementi comprovanti l'umanità di Gesù e ridurlo in un ammasso di leggenda, privo di attendibilità storica. Ha perfettamente ragione R. Pesch quando afferma:

«Lo sconvolgimento di Gesù durante l'attesa della sua morte è un'espressione inoppugnabile della sua umanità» [R. Pesch, Marco II, pag. 311].

Ai suoi tre fidati apostoli: Pietro, Giacomo e Giovanni, Gesù aveva detto chiaramente:

L'anima mia è oppressa da tristezza mortale, rimanete qui e vegliate (Marco 14:34).

Perché Gesù entrando nel Getsemani cominciò ad essere spaventato, angosciato e oppresso da tristezza mortale? Notate che queste parole Gesù non li pronunciò durante i tre anni circa della sua missione terrena, pur avendo incontrato tanti ostai, tanta opposizione, tanta incredulità, ma nulla poteva essere paragonata all'esperienza del Getsemani. Gesù sapeva, fin troppo bene, che era venuto sulla terra per fare la volontà del Padre, e la volere del Padre era che Egli andasse a morire sulla croce.

Perché mai tutto questo sconvolgimento, dal momento che Egli sa di trovarsi nella piena volontà del Padre? Solo tenendo presente il fattore umano, cioè la vera umanità che Gesù aveva assunto volontariamente, possiamo capire le sue parole pronunciate al Getsemani, che suonano come un grido disperato, come uno che vuole sfuggire ad una tremenda realtà che lo attende. Non c'è da stupirsi e neanche da gridare allo scandalo, se Gesù, pregando il Padre, gli diceva: se era possibile che quell'ora passasse oltre da lui. Marco riporta una parola che gli altri evangelisti non ricordano:

Si continuerà il prossimo giorno...
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