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Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 5. GUARIGIONI CONTENUTE NEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI

Ultimo Aggiornamento: 22/07/2011 00:15
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14/07/2011 00:21


Capitolo 5




GUARIGIONI CONTENUTE NEGLI ATTI DEGLI APOSTOLI




Nota introduttiva

Dopo aver esaminato i vari racconti di guarigione riportati dai sinottici e da Giovanni, diamo uno sguardo a quelli che vengono elencati nel libro degli Atti degli apostoli. Anche se tutti i riferimenti di miracoli che troviamo, non sono nominativi, nel senso cioè che non sempre indicano il nome dei malati e le loro malattie, li citiamo ugualmente se non altro per mettere in evidenza l’azione miracolosa della guarigione.
Siccome il libro degli Atti degli Apostoli, vuole essere il racconto della vita della Chiesa del primo secolo e la continuazione dell’evento miracoloso delle guarigioni fisiche, iniziato particolarmente con la venuta di Gesù, è importante esaminare tutto il materiale che questo libro ci fornisce, se non altro per sapere come agirono gli apostoli, gli immediati continuatori dell’opera di Gesù, in relazione soprattutto al ministero di predicatori del vangelo di Cristo.

In questo elenco, non figurano certi eventi soprannaturali, perché non rientrano nello scopo di questo libro, quali:

* La morte di Anania e Saffira (5:1-11);
* La liberazione degli apostoli dalla prigione (5:17- 21);
* Il rapimento di Filippo ad opera dello Spirito (8:39);
* La liberazione di Pietro dalla prigione (12:3-17);
* Erode è colpito con una malattia da un angelo (12:23);
* La cecità del mago Elima (13:9-12);
* La liberazione della giovane schiava dello spirito di divinazione (16:16-18);
* La liberazione di Paolo e Sila dalla prigione (16:25-34);
* I figli di Sceva malmenati (19:13-19);
* La vipera scossa dalla mano di Paolo (28:3-6).

Questo, naturalmente, non ci esimerà dal valorizzare l’operato degli apostoli, soprattutto per ricavarne un esempio pratico, da tenere presente nell’esercizio del ministero dei nostri tempi. Dal momento che lo Spirito Santo aveva un ruolo principale in tutte le attività degli apostoli, — e le guarigioni fisiche facevano parte integrale del loro ministero —, l’attività della Chiesa di oggi, non può essere diversa, da quella che ne fu il modello fin dagli inizi, trattandosi dello stesso Spirito, che ispirava e conduceva allora, come anche oggi, la vita della Chiesa.

1. SEGNI E MIRACOLI PER MANO DEGLI APOSTOLI

Ed erano tutti presi da timore; e molti segni e miracoli si facevano per mano degli apostoli (Atti 2:43).

Esame del testo

I segni e i miracoli, di cui parla chiaramente il testo, (e ripetuto in 5:12) avvenivano ad opera degli apostoli. Ciò vuol dire che Dio, si serviva di loro, per compiere queste opere miracolose. Siccome vengono chiamati in causa gli apostoli, non dobbiamo pensare solamente a Pietro e a Giovanni, (anche se quest’ultimo è presentato come un muto accompagnatore di Pietro) — come più tardi saranno nominati specificatamente —, ma a tutti i dodici, poiché Giuda Iscariot, era stato sostituito da Mattia (Atti 1:26).

Ci sorprende però che degli apostoli, vengono nominati solo Pietro e Giovanni e tutti gli altri rimangono nell’anonimato e nel generico. Anche se questa constatazione è vera e lascia un po’ di amaro in bocca, — come si sol dire —, nondimeno l’affermazione di Luca non va sottovalutata, anche perché se non fosse stato vero che i segni e i miracoli venivano fatti tramite gli apostoli, la credibilità dello stesso Luca sarebbe stata messa in discussione e lo stesso rispetto per gli apostoli ne uscirebbe offuscato.

Lungi dal sospettare che Luca non sia stato esatto nelle sue affermazioni, accettiamo per vero quello che dice il libro degli Atti e cerchiamo invece di comprendere perché i segni e i miracoli, venivano fatti solamente dagli apostoli. Condividiamo in pieno l’osservazione che fa lo Stählin:

«Come per Gesù, così anche per gli apostoli i miracoli sono inseparabili dal loro insegnamento» [Gustav Stählin, Gli atti degli apostoli, pag. 110].

Senza volere aprire una discussione sul valore esclusivo del ministero apostolico, inteso nel senso come più tardi lo definirà Paolo, quando qualificherà gli apostoli come il ‘fondamento’, assieme a quello dei profeti, su cui viene edificata la Chiesa (Efesini 2:20), si deve tenere in debito conto che, secondo il testo summenzionato, siamo agli albori della vita della Chiesa, ragion per cui, la menzione degli apostoli, come strumenti che vengono usati da Dio per i segni e i miracoli, rappresentano una seria garanzia di attendibilità, anche perché si tratta di uomini scelti direttamente da Gesù e testimoni oculari delle manifestazioni miracolose operate dal Cristo.

D’altra parte, se agli inizi della Chiesa, Dio avesse usato altri nel campo dei miracoli — cosa che avvenne più tardi mentre gli apostoli erano ancora in vita —, ne sarebbe nato tra il popolo inconvertito un certo disorientamento, a discapito della credibilità della missione apostolica e della crescita della Chiesa in genere.

Siccome gli apostoli in quel tempo, erano gli unici che potevano rappresentare degnamente la prosecuzione dell’opera di Cristo, si rendeva necessario che la loro attività fosse contraddistinta, da qualcosa che, potesse testimoniare che i segni e i miracoli che essi compivano, era il marchio di garanzia che suggellava ed approvava il loro mandato. Infine, i loro insegnamenti e le manifestazioni miracolose che si susseguivano continuamente, avevano un particolare significato nella vita degli apostoli, per il fatto che potevano dire:

... Quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della Parola della vita... noi ve lo annunziamo... (1 1 Giovanni 1:1,3).

Passato però quel periodo iniziale, in cui la Chiesa si era costituita saldamente sotto l’autorità apostolica, vediamo che Dio si serve anche della strumentalità di altri nel campo dei miracoli, come per esempio di Stefano (Atti 6:8) e di Filippo (Atti 8:6,7).
Anche se i miracoli, di cui parla il nostro testo, non vengono specificati, — più tardi sarà fornita ampia specificazione per quanto riguarda le varie malattie che vennero guarite —, sono sempre miracoli che testimoniano la potenza del Cristo risorto, glorificato e assiso alla destra di Dio.

Il motivo dei ‘segni’, di cui si parla spesso nel vangelo di Giovanni per i miracoli che Gesù faceva (Atti 2:22), viene ora ripreso dal libro degli Atti in riferimento a quello che gli apostoli fanno, aggiungendo a questi sēmeia, miracoli, operazioni e prodigi (Atti 4:30; 5:12; 6:8; 8:13; 14:3; 15:12). Tutto questo, naturalmente, servirà per provare che i miracoli, i prodigi e le operazioni che gli apostoli compivano, non erano il risultato della loro potenza o pietà, per glorificare se stessi, ma avvenivano unicamente per glorificare Dio e il Figlio Gesù (Atti 3:12,13).

2. LO ZOPPO GUARITO ALLA PORTA BELLA DEL TEMPIO

Or Pietro e Giovanni salivano insieme al tempio verso l’ora nona, l’ora della preghiera. E vi era uno zoppo fin dalla nascita, che veniva ogni giorno portato e deposto presso la porta del tempio, detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio. Costui, avendo visto Pietro e Giovanni che stavano per entrare nel tempio, chiese loro l’elemosina. Allora Pietro, con Giovanni, fissando gli occhi su di lui, disse: «Guarda noi». Ed egli li guardava attentamente, sperando di ricevere qualche cosa da loro. Ma Pietro disse: «Io non ho né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati e cammina!». E, presolo per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante i suoi piedi e le caviglie si rafforzarono. E con un balzo si rizzò in piedi e si mise a camminare; ed entrò con loro nel tempio, camminando, saltando e lodando Dio. E tutto il popolo lo vide camminare e lodare Dio, e lo riconobbero per quel tale che sedeva alla porta Bella del tempio a chiedere l’elemosina; e furono ripieni di sbigottimento e di stupore per ciò che gli era accaduto (Atti 3:1-10).

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15/07/2011 00:15

Esame del testo

La guarigione dello zoppo, di cui parla il nostro testo, non è meno importante di quello che Gesù fece alla Piscina di Betesda, anche perché si tratta di considerare la stessa potenza divina che agiva in Cristo e che ora agisce nella vita degli apostoli. La specificazione che viene fatta di questo zoppo, fin dalla sua nascita, è senza dubbio l’elemento che contribuisce ad accrescere la spettacolarità dell’evento. Anche se ci viene detto che quell’uomo aveva più di quarant’anni (v. 22) e niente del tempo trascorso in questa sua condizione, il miracolo in sé stesso fu di tale rilevanza, che attirò un numero di persone verso il portico di Salomone (v. 11).

Pietro e Giovanni salivano insieme al tempio verso l’ora nona, l’ora della preghiera (v. 1).

Quantunque fossero seguaci di Gesù, non avevano nessuna difficoltà a partecipare all’ora della preghiera, delle tre pomeridiane, che presso i Giudei veniva chiamata la preghiera della sera. Non era quindi una riunione cristiana, — come si direbbe ai nostri giorni —, e, lo stesso tempio, non era il luogo dove i seguaci di Gesù si radunavano abitualmente per celebrare il culto a Dio.

La presenza di Pietro e di Giovanni in questo luogo prevalentemente frequentato dai Giudei, diede modo di manifestare la potenza divina, nella stessa maniera come faceva Gesù quando guariva i malati nelle sinagoghe (Luca 13:11-16).
Non era certamente nell’intenzione di Pietro e di Giovanni di avere una conversazione con lo zoppo che chiedeva l’elemosina alla porta Bella del Tempio. Siccome i due apostoli salivano al tempio per l’ora della preghiera pomeridiana, è impensabile che prima di allora, Pietro e Giovanni non avessero visto quello zoppo. Dal momento che il testo precisa che lo zoppo

veniva ogni giorno portato e deposto presso la porta del tempio, detta Bella, per chiedere l’elemosina a coloro che entravano nel tempio (v. 2).

e poiché la preghiera all’ora nona si teneva ogni giorno, è insostenibile che prima di quel giorno, i due apostoli non avessero notato quello zoppo che sedeva alla porta. Quel giorno fu particolare, non perché Pietro e Giovanni avessero rivolta una parola allo zoppo, ma perché lo zoppo si rivolse a loro per chiedere l’elemosina. Se lo zoppo non l’avesse chiesta, si sarebbero fermati i due apostoli davanti a quell’uomo? Probabilmente no! Non perché in loro non ci fosse la virtù e la potenza per sanarlo, ma perché l’occasione non si era ancora presentata. Non era ancora il momento voluto da Dio.

Guarda noi, — dissero con fermezza gli apostoli a quel mendicante — . Ed egli li guardava attentamente sperando di ricevere qualcosa da loro (v. 4).

Davanti a quella precisa parola, era nella logica delle cose che quello zoppo aspettasse di ricevere qualche monetina, come del resto fanno quelli che si fermano davanti a quelli che chiededono l’elemosina. Però quando Pietro precisò che non aveva né argento né oro, quel povero mendicante, almeno per un attimo, avrà forse perso ogni speranza di ricevere. Ma poiché non era nell’intenzione di Pietro di lasciare quell’uomo nella delusione, aggiunse subito:

ma quello che ho te lo do: Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati e cammina (v. 6).

Siccome Pietro era sicuro che quello zoppo sarebbe stato guarito proprio in quel momento, non ebbe nessuna esitazione e,

presolo per la mano destra, lo sollevò; e in quell’istante i suoi piedi e le caviglie si rafforzarono. E con un balzo si rizzò in piedi e si mise a camminare (v. 7-8a).

Ecco, l’evidenza del miracolo in tutta la sua spettacolarità! E, poiché quell’uomo era stato zoppo fin dalla sua nascita e non aveva mai camminato con i suoi piedi, perché alla porta Bella del tempio veniva portato da altri, il suo camminare in quel giorno, in uno stato normale, rappresentava inequivocabilmente l’evidenza più eloquente della manifestazione miracolosa divina che si era manifestata in lui. Poiché la guarigione non era finta ma reale, lo zoppo miracolato, non solo entra nel tempio assieme a Pietro e a Giovanni, ma comincia a saltare e a lodare Dio. In questo modo si adempì alla lettera la profezia d’Isaia: Lo zoppo salterà come un cervo... (Isaia 35:6). Il racconto di questo miracolo si conclude col dire che, quell’uomo venne riconosciuto come

quel tale che sedeva alla porta Bella del tempio a chiedere l’elemosina; e furono ripieni di sbigottimento e di stupore per ciò che gli era accaduto (v.10).

Riflessioni su questo evento miracoloso

1. Pietro e Giovanni insieme

La prima cosa su cui vogliamo riflettere è il fatto che Pietro e Giovanni vanno insieme al tempio, per l’ora della preghiera pomeridiana. Questo andare insieme, non era certamente casuale, ma rappresentava sicuramente il risultato di una precisa concertazione, di intenti comuni e di propositi determinati. Questo legame di comunione che viene espresso dall’avverbio “insieme”, ha il suo valore e il suo peso, soprattutto quando si pensa alle relazioni che intercorrono tra due cristiani, per ciò che concerne la preghiera e la vita spirituale in genere.

Anche se la preghiera è una forma di devozione personale, esercitarla insieme, non deve essere considerata come una pura forma liturgica, priva di un qualsiasi valore spirituale, ma come un pio esercizio per raggiungere comuni traguardi (Matteo 18:19). Trovarsi, quindi, insieme davanti a Dio, per una causa comune, per intercedere presso il trono della grazia in favore di un’anima, di un peccatore, di un popolo, di una nazione, o di un governante, è sempre qualcosa che piace al Signore, e, nello stesso tempo, ritorna al beneficio di quanti sanno dedicare un po’ del loro tempo in questo pio esercizio della preghiera.

Anche se Pietro e Giovanni hanno una differente personalità, diversità di cultura e diversità di età, non hanno nessuna difficoltà di andare insieme nello stesso luogo per pregare. Questo ci fa comprendere chiaramente che, la preghiera, lungi dall’essere un esercizio che fomenta i dissensi e le discrepanze, svolge una funzione di accomunare, amalgamare e consolidare i principi divini di sana convivenza e di reciproco interesse per le cose di Dio.

2. Pietro senza argento e oro

Quando Pietro rispose allo zoppo di non avere argento e oro, diceva la verità, cioè in quel giorno nelle sue tasche, non si trovava nessuna moneta, — poiché l’argento e l’oro, nel contesto di questo racconto, avevano senza dubbio il senso del denaro — . Come è possibile, che, Pietro, che in quel tempo svolgeva probabilmente la funzione di capo della comunità cristiana, si trovasse senza denaro in tasca? E se in quella giornata ci fosse stata una richiesta di un’offerta, avrebbe Pietro potuto parteciparvi? Sicuramente no!

Ai nostri giorni, con la mentalità moderna, è possibile pensare che un ministro del vangelo vada in una riunione di culto, senza avere denaro in tasca? Eppure Pietro era lì, stava entrando nel tempio, senza preoccuparsi di avere pensato di mettersi in tasca del denaro, prima di partire da casa, ammesso che ne avesse. A un povero mendicante che chiede l’elemosina, Pietro non ha nessuna vergogna di rispondere: Io non ho né argento né oro, frase, questa che voleva dire: Non posso aiutarti in questo giorno; quello che mi chiedi non te lo posso dare, perché non ho denaro in tasca. A questo punto, I. Howard Marshall, ha ragione quando osserva:

«In nessun senso la narrazione implica la proibizione di dare aiuto materiale ai poveri e ai bisognosi, e da essa non si deve nemmeno dedurre che il dovere della Chiesa sia quello di offrire la salvezza spirituale e non l’aiuto fisico e materiale — dopo tutto qui si dà guarigione fisica e non salvezza spirituale — ! Comunque, una lezione c’è e riguarda le priorità della Chiesa» [I. Howard Marshall, Gli atti degli apostoli, pagg. 112,113].

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3. Quello che Pietro ha lo dona

Quello che non ho non te lo posso dare; ma quello che ho, sì: Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati e cammina (v. 6). Queste parole che l’apostolo Pietro pronunciò, anche se furono dette per guarire quello zoppo, — che poi non era una formula magica — Ibidem, pag. 112], contengono una preziosa verità, sotto altri aspetti.

Nel campo spirituale, principalmente in quello ministeriale, ognuno dà in base a quello che ha, — che poi sarebbe più esatto dire: Ognuno dà in base a quello che ha ricevuto dal Signore (1 Corinzi 11:23) —. Se uno ha ricevuto dallo Spirito Santo il dono delle guarigioni, dà guarigioni agli ammalati; mentre se non ha ricevuto, questo dono, non potrà dare la guarigione a nessuno.

Il motivo principale perché gli infermi non vengono guariti dalle loro infermità ai nostri giorni, nella stessa maniera come avveniva ai tempi di Gesù e degli apostoli, non consiste nel fatto che l’era dei miracoli è tramontata, rimanendo soltanto un ricordo del lontano passato, ma principalmente perché non c’è il dono delle guarigioni. Ricordiamo che il dono delle guarigioni — come del resto tutti gli altri doni — viene dato dallo Spirito Santo, e non dipende dal desiderio e dalla volontà umana (1 Corinzi 12:11).

Non è affatto vero che tutti i credenti, specialmente quelli che sono impegnati nel ministero, hanno tutti i doni dello Spirito. Se così fosse, questi non solo si manifesterebbero, ma le stesse persone, specie quelli che soffrono a causa di una malattia, beneficerebbero del dono stesso, con la conseguenza di una chiara guarigione. Il dono delle guarigioni infatti, non viene dato a pro di colui che lo riceve, ma unicamente per liberare le persone che si trovano imprigionate dalle sofferenze fisiche.

Quando Pietro disse al mendicante della porta Bella del tempio, che gli avrebbe dato quello che aveva, ciò si riferiva alla virtù divina che era in lui, per cui poteva comandare allo zoppo di camminare, nel nome di Gesù Cristo il Nazareno. Il fatto poi che Pietro prenda per la mano destra lo zoppo e lo solleva, e che in quell’istante i suoi piedi e le sue caviglie si siano rafforzate, questo è la dimostrazione che il dono che aveva l’apostolo, non agiva solamente pronunciando parole, ma dava la riabilitazione a quell’uomo che non sapeva cosa significasse camminare con i propri piedi.

Che non sia stata la potenza di Pietro e la sua pietà, a guarire quell’uomo, viene detto chiaramente (v. 12), ma per la fede nel nome di Gesù... ed è appunto la fede, nella potenza di questo nome che quello zoppo ha potuto ricevere la completa guarigione delle sue membra, in presenza di tutti (v. 16).

4. L’evidenza del miracolo

Siccome in quel giorno si verificò un vero miracolo, che gli stessi capi giudei non potevano negare (Atti 4:16), il camminare e il saltare dello zoppo, rappresentavano segni visibili di una vera e completa guarigione. Che quel saltare volesse anche esprimere la gioia che provava quell’uomo, è una cosa certa. D’altra parte, la profezia d’Isaia prevedeva che lo zoppo avrebbe saltato come il cervo (Isaia 35:6).

Il giubilo e la gioia che si sprigionavano dalla vita dei miracolati, non è finta, ma reale; non è il risultato di una pura imitazione — come spesso si verifica ai nostri giorni —, ma personale; non forzata ed esagerata, ma spontanea e genuina.

3. LA PREGHIERA CHE LA COMUNITÀ INNALZÒ A DIO PER GUARIRE E COMPIERE SEGNI E PRODIGI

All’udire ciò, alzarono all’unanimità la voce a Dio e dissero: «Signore, tu sei il Dio che hai fatto il cielo, la terra, il mare e tutte le cose che sono in essi, e che mediante lo Spirito Santo hai detto, per bocca di Davide tuo servo Perché si sono adirate le genti e i popoli hanno macchinato cose vane? I re della terra si sono sollevati e i principi si sono radunati insieme contro il Signore e contro il suo Cristo. Poiché proprio contro il tuo santo Figlio, che tu hai unto, si sono radunati Erode e Ponzio Pilato con i gentili e il popolo d’Israele, per fare tutte le cose che la tua mano e il tuo consiglio avevano prestabilito che avvenissero. Ed ora, Signore, considera le loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare la tua parola con ogni franchezza, stendendo la tua mano per guarire e perché si compiano segni e prodigi nel nome del tuo santo Figlio Gesù» (Atti 4:24-30).

Esame del testo

Il miracolo della guarigione dello zoppo alla porta Bella del tempio, lungi dall’essere stato motivo di gioia per i capi religiosi giudei, suscitò un’ondata di persecuzione contro Pietro e Giovanni, tanto che presto i due apostoli vennero messi in prigione, e, successivamente interrogati per sapere

con quale potere o in nome di chi era stato fatto quel miracolo (Atti 4: 7).

Quando Pietro precisò ai capi religiosi che lo zoppo era stato guarito nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, lo stesso che essi avevano crocifisso ma che Dio aveva risuscitato dai morti (v. 10), nacque una vivace discussione: Pietro e Giovanni da una parte, che affermavano con franchezza che, Gesù era quella pietra che rigettata dagli edificatori, era diventata la testata d’angolo, e dall’altra parte, i capi che riconoscevano che i due apostoli, uomini illetterati e senza istruzione (vv. 11,13), erano stati con Gesù, vista la franchezza del loro modo di parlare.

Non potendo poi negare l’evidenza del miracolo, poiché l’uomo miracolato era in piedi accanto ai due apostoli (v. 14), passarono subito al contrattacco, ordinando a Pietro e a Giovanni di non parlare più a nessun uomo del nome di Gesù né insegnare nel suo nome. E siccome il loro comando con minaccia non ebbe esito positivo, per il netto e fermo rifiuto degli apostoli, i capi furono costretti a mettere in libertà Pietro e Giovanni, dopo di averli nuovamente minacciati (vv. 17-21).

Fu a seguito di questi avvenimenti che la comunità, decise di innalzare una particolare preghiera al Signore. Questa è la prima preghiera della Chiesa, che il libro degli Atti registra. Essa venne innalzata “all’unanimità” dalla comunità a Dio, perché l’opposizione dei capi religiosi voleva impedire a qualsiasi costo l’avanzata della Chiesa di Gesù Cristo, la quale non progrediva solamente con la predicazione della parola di Dio, ma anche con l’evidenza delle opere miracolose di guarigione.

Lasciando ai commentatori il compito di esaminare e valutare i vari riferimenti biblici che vennero usati in questa particolare preghiera, cerchiamo di attirare la nostra attenzione su ciò che è attinente allo scopo per cui stiamo scrivendo, cioè i miracoli di guarigione.

Ed ora, Signore, considera le loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare la tua parola con ogni franchezza (v.29).

La franchezza di cui è fatta esplicita richiesta, non è quella che deriva dalla capacità umana, ma quella che viene dallo Spirito Santo. La Chiesa del primo secolo non vuole annunziare la parola di Dio, solamente perché il suo fondatore, Gesù Cristo, ordinò di andare per tutto il mondo e predicare l’evangelo ad ogni creatura (Marco 16:15); ma la vuole annunziare, soprattutto, con franchezza, quella che viene da Dio, e non secondo la sapienza umana. Anche se col termine “servi”, si allude agli apostoli [Gustav Stählin, Gli atti degli apostoli, pag. 145], ciò non toglie di intenderlo nel senso più largo che abbraccia tutti i seguaci di Gesù Cristo e in modo particolare tutti quelli che sono impegnati nell’opera del ministero della Parola. Assieme alla franchezza, si vuole anche che Dio stenda la sua mano per guarire e perché si compiano segni e prodigi.

Ecco le due cose che venivano considerate inseparabili dalla Chiesa primitiva: proclamazione della Parola di Dio e guarigioni con segni e prodigi. Se la predicazione della parola di Dio rappresentava l’elemento essenziale per far conoscere agli uomini i piani e la volontà divina, le manifestazioni miracolose di guarigione, i segni e i prodigi, ne erano l’autenticazione che convalidava autorevolmente l’efficacia del ministero cristiano, o come dice più chiaramente: i segni che accompagnano di quelli che hanno creduto (Marco 16:17).

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17/07/2011 01:06

Come si fa a sostenere che ai nostri giorni non sono necessari i miracoli di guarigione, pensando che il tempo dei miracoli fisici è terminato? Se i miracoli di guarigione erano considerati elementi inseparabili dall’attività apostolica e della Chiesa del primo secolo, tanto da farne una richiesta specifica di preghiera a Dio, perché mai, la Chiesa di oggi, non ha la stessa visione e non manifesta lo stesso interesse per i miracoli di guarigione?

Si deve forse concludere che la preghiera della Chiesa, di cui Atti 4:24-30, non sia più valida ed attuale per la Chiesa di oggi? Solo se non si è accecati dal fanatismo umano e dell’autosufficienza umana, si può respingere il bisogno di chiedere a Dio di stendere la sua mano, perché nel nome di Gesù, si compiano guarigioni, segni e prodigi (v. 30).

4 I MALATI PORTATI A GERUSALEMME E GUARITI

... si aggiungeva al Signore un nemero sempre maggiore... tanto che portavano i malati nelle piazze, li mettevano sui letti e giacigli perché, quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro. Anche la folla delle città intorno accorreva a Gerusalemme, portando i malati e quelli che erano tormentati da spiriti immondi, e tutti erano guariti (Atti 5:14-16).

Esame del testo

In un primo momento si parla di ammalati che vengono portati nelle piazze, su letti e giacigli, perché il passaggio di Pietro potesse adombrare qualcuno di loro. Questo particolare dell’ombra di Pietro, che Luca menziona, è stato variamente interpretato dai commentatori. C’è chi afferma che Luca fa semplicemente riferimento ad una certa credenza vigente presso i pagani e gli Ebrei, e cioè, che l’ombra di una persona dotata di poteri magici, poteva trasmettere guarigione agli ammalati [Gustav Stählin, Gli Atti degli apostoli, pag. 161]. E poiché quella credenza, sia in senso benefico o malefico, era diffusa nel mondo antico, questo spiega la ragione per cui la gente agiva in quel modo [I. Howard Marshall, Gli Atti degli apostoli, pag. 153]. Lo Stählin cita il celebre manoscritto D il quale specifica:

«Infatti essi venivano liberati da qualsiasi tipo di malattia, qualunque essa fosse» Ibidem pag. 161].

Da parte sua, Gerhard Schneider, mette in evidenza che
«nell’ombra può operare la dunamis di una persona, se c’è Dio dietro; in questo modo accadono cose meravigliose» [Gerhard Schneider, Gli Atti degli apostoli, I, pag. 530, nota 33].

Giovanni Luzzi, pur concedendo che si possono verificare vere e reali guarigioni in simili circostanze, non è disposto ad accettare il merito dell’ombra di Pietro, come vorrebbero A. Martini e Agostino, ma unicamente la fede degli ammalati [G. Luzzi, Fatti degli apostoli, pagg. 120,121].

Se si considera attentamente il testo, si deve convenire che Luca, non dica niente che l’ombra di Pietro abbia potuto produrre la guarigione in qualche ammalato. Considerando il suddetto testo degli Atti, da un punto di vista critico-obbiettivo, per Luca che ci tiene tanto a fare certe precisazioni, se veramente i malati coperti dall’ombra di Pietro fossero stati guariti, non vediamo perché egli non lo dica chiaramente, anziché lasciarlo supporre al lettore.

Se poi si tiene conto che tutte le guarigioni fisiche che gli apostoli fecero, non furono fatte in virtù della loro potenza o virtù, ma esclusivamente per la potenza e la virtù del Cristo risuscitato, l’uomo, non importa se sia Pietro con la sua ombra o un Paolo con i suoi vestimenti (Atti 19:11,12), diventano semplicemente strumenti e veicoli attraverso i quali Dio opera il miracolo.

A differenza del (v. 15) che non precisa se i malati fossero stati guariti quando venivano coperti dall’ombra di Pietro, il (v. 16) mette invece in chiara evidenza che gli ammalati che venivano portati a Gerusalemme, assieme a quelli che erano tormentati da spiriti immondi, erano tutti guariti.

Gerusalemme, in quel tempo, non era solamente la sede in cui abitavano gli apostoli, ma era anche il luogo dove si verificavano i miracoli di guarigione, nella stessa maniera come si verificavano ai tempi di Gesù. Infatti, la stessa potenza divina che operava in Cristo, si manifestava ora nella vita degli apostoli; di modo che i vari malati venivano beneficiati da una reale guarigione fisica. Gli apostoli in quel tempo, godevano molta stima presso il popolo, e, la fama loro, si spargeva velocemente in tutte le città circonvicine.

È in questa prospettiva che deve essere inquadrato il (v. 16), perché se si guarda il testo con questa ottica, si riesce facilmente a comprendere tutta la portata e l’importanza che esso ha. Anche se il testo non lo dice, si può con ragione pensare che non saranno stati gli apostoli a dare l’ordine di portare a Gerusalemme gli ammalati, ma le persone interessate agivano in quella maniera di spontanea volontà, soprattutto quando venivano incoraggiate, in base ai risultati che essi vedevano.

Portare un malato in un posto, senza che l’infermo riceva la guarigione, non è certamente incoraggiante, né per altri infermi, né di sprone per quelli che si interessano ai loro casi. Ma portarli e ricevere una autentica e completa guarigione, ciò rappresenta la migliore garanzia e il segno più evidente della manifestazione divina.

Davanti a questa scena di guarigioni in massa che si verificavano nella città di Gerusalemme per mano degli apostoli, per Luca, che racconta questi avvenimenti, non ha nessuna importanza descrivere come avvenivano queste guarigioni: se gli apostoli pregavano, imponevano le mani o davano semplicemente dei comandi.

Quello che maggiormente interessava a Luca, era il fatto che i malati arrivavano a Gerusalemme infermi e ritornavano alle loro case perfettamente guariti. Poiché il testo precisa che tutti era guariti, ciò è senza dubbio l’elemento più significativo e qualificante di questo straordinario evento miracoloso. Era la fede dei malati o quella di coloro che li portavano che operava il miracolo di guarigione o piuttosto la fede degli apostoli?

Abbiamo detto in altra parte di questo libro che, non era sempre la fede dell’ammalato che causava la guarigione; come non era sempre la fede di colui o di coloro che portavano l’infermo, che procurava la completa salute al malato. Spesse volte, la guarigione di un malato, era dovuta a colui che l’operava, — in tantissimi casi Gesù guariva senza chiedere al malato se avesse fede per ricevere la guarigione —. La sua compassione e la sua pietà, unitamente alla sua virtù, andavano incontro all’infermo; la guarigione che ne seguiva, rappresentava la migliore garanzia di veridicità dell’evento miracoloso. Anche gli apostoli facevano lo stesso ai loro giorni.

Non si può dire quindi con precisione, se le guarigioni di (Atti 5:16), erano dovuti alla fede degli ammalati o di quella di coloro che li portarono a Gerusalemme, o degli apostoli che li operavano. Una cosa è però certissima: nessuna guarigione si verificava, senza la manifestazione del potere divino. Era Dio, infatti che guariva gli ammalati, anche se Egli si serviva delle mani e della strumentalità degli apostoli.
Era anche l’evidenza della risposta di Dio, alla preghiera della comunità, di cui (Atti 4:29,30) E per tutto quello che Egli fece e fa, ne vada sempre a Lui solamente l’onore e la gloria, per sempre. Amen!

5. PRODIGI E SEGNI AD OPERA DI STEFANO

Or Stefano, ripieno di fede e di potenza, faceva grandi prodigi e segni fra il popolo (Atti 6:8).

Nota introduttiva

«Dopo aver illuminato gli apostoli, e soprattutto Pietro, i riflettori sono ora puntati sulla figura più importante dei sette, Stefano» [Gustav Stählin, Gli Atti degli apostoli, pag. 186].

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18/07/2011 00:50

Il capitolo 6 degli Atti, non è solamente conosciuto come il testo che parla dell’istituzione dei diaconi, ma è anche quello che ci presenta Stefano, uno dei sette, con le sue note caratteristiche di persona di buona testimonianza, ripieno di Spirito Santo e di sapienza, aggiungendone un altro elemento di uomo ripieno di fede. Quest’ultima caratteristica, — non richiesta per la carica di diacono —, è quella che fa la differenza, per ciò che riguarda l’attività taumaturgica che Stefano svolgeva.

Con questo capitolo, inoltre, si chiude un ciclo apostolico — ad eccezione di Pietro, che lo vedremo ancora in occasione della guarigione di Enea e della risurrezione di Tabitha (Atti 9:32-42) — e se ne apre un’altro che riguarda appunto credenti che non fanno parte del numero degli apostoli, usati da Dio, nel campo delle guarigioni fisiche. Quello che poi chiuderà il ciclo Neotestamentario, sarà Paolo, di cui parleremo nelle prossime pagine.

Esame del testo

Anche se «Luca non ha però alcun miracolo concreto da presentare» [Gerhard Schneider, Gli Atti degli apostoli, I, pag. 604], tuttavia, il fatto che si dica di Stefano che faceva grandi prodigi e segni fra il popolo, è più che sufficiente per farcelo vedere come un uomo dotato di una particolare virtù divina, in grado di compiere opere miracolose di guarigione.

I termini: ‘prodigi’ e ‘segni’, che vengono usati nel sopracitato testo, — che noi spesso abbiamo ricordato in questo libro —, sono riferiti in gran parte ai miracoli di guarigione fisica che Gesù compì e poi successivamente anche gli apostoli. La traduzione che fa il Diodati: ... ripieno di fede e di potenza, seguita anche dalla Nuova Diodati, confrontata con la Nuova Riveduta e la CEI, che rendono: ...ripieno di grazia e di potenza, potrebbe indurci a chiedere: Perché uno menziona la fede e l’altro la grazia? Il testo greco ufficiale, riporta: Stéfanos de plérés cháritos kai dunámeos = Stefano ripieno di grazia e di potenza.

«Invece di cháritos (così P 74 S A B D e altri codici) koinè [Lingua greca, comune, basata sul dialetto attico, che si affermò, a partire dal 4o secolo a.C., in tutto il Mediterraneo centro-orientale (Il Nuovo Zingarelli)] leggono pisteós (assimilazione al v. 5) ed E cháritos kai pisteós (combinazione delle due lezioni) Ibidem pag. 599, nota a].

Anche se il (v. 8) ha grazia, anziché fede, dal momento che c’è il (v. 5) che dice che Stefano era uomo ripieno di fede, oltre ad essere ripieno dello Spirito Santo, c’è presente nella vita di questo uomo, l’elemento necessario perché le manifestazioni miracolose abbiano a compiersi.

Anche se Luca non ci presentata i prodigi e i segni che Stefano faceva fra il popolo, in maniera specifica (come farà per Filippo 8:7), c’è sempre l’espressione plurale che dà molto peso a tutto quello che fece Stefano. In altre parole, non si tratta di un caso singolo, che può essere facilmente dimenticato e sorvolato, ma di una serie di prodigi e segni, atti ad autentificare l’attività taumaturgica di questo illustre servitore e martire di Gesù Cristo.

6. I MIRACOLI OPERATI NELLA CITTÀ DI SAMARIA

Or Filippo discese nella città di Samaria e predicò loro Cristo. E le folle, con una sola mente, prestavano attenzione alle cose dette da Filippo, udendo e vedendo i miracoli che egli faceva. Gli spiriti immondi infatti uscivano da molti indemoniati, gridando ad alta voce; e molti paralitici e zoppi erano guariti (Atti 8:5-7).

Esame del testo

A differenza dell’attività taumaturgica non specificata che Stefano compì fra il popolo, (in Gerusalemme) quella di Filippo, oltre ad esserla, rivestiva una notevole importanza, soprattutto perché venne compiuta lontano dagli apostoli, fuori della città di Gerusalemme. Anche se a portare Filippo nella città di Samaria, non furono gli apostoli, ma la persecuzione contro la Chiesa a seguito del martirio di Stefano, la sua attività missionaria in quella località, segnò un nuovo capitolo nella storia della Chiesa primitiva.

Filippo, uomo ripieno di Spirito Santo (Atti 6:3) — scelto per servire alle mense, cioè un diacono —, era senza dubbio un uomo pieno di zelo per l’opera del Signore, e, quando si presentò l’occasione (anche se fu probabilmente con dolore) di separarsi dalla Chiesa madre di Gerusalemme, lo fece senza rimpianti e con piena determinazione per portare i peccatori a Cristo.

Da quello che Luca racconta nel capitolo 8 di questo semplice servitore di Gesù Cristo, possiamo vedere chiaramente come si articolò la missione nella città di Samaria. L’elemento principale di ogni attività apostolica, e successivamente quella di altri, consisteva sempre nel predicare Cristo, il messaggio della grazia salutare di Dio (Tito 2:11). La prima cosa che viene detta di Filippo, è che scese nella città di Samaria e predicò Cristo.

Anche se la predicazione è sempre la prima cosa di un missionario, Filippo non rimase vincolato al solo parlare, ma compì anche miracoli. furono infatti questi miracoli, che produssero una grande gioia in quella città.

Il grande risveglio che si produsse nella città di Samaria, talché uomini e donne si fecero battezzare, non era basato solamente su quello che sentivano dalla bocca di Filippo quando annunziava la buona novella delle cose concernenti il regno di Dio e il nome di Gesù Cristo (v. 12),

ma aveva anche come punto di riferimento i miracoli che egli compiva (vv. 6,7). Le due attività: predicare Cristo e guarire gli infermi, erano inseparabili nella vita missionaria di Filippo. Se la prima faceva conoscere quello che i Samaritani non sapevano, intorno al regno di Dio e al nome di Gesù Cristo, la seconda confermava e suggellava l’autorità del missionario, che veniva dall’alto, da Dio, molto diversa da quella che mostrava Simone con le sue arti magiche.

Senza dubbio, i miracoli che compiva Filippo, facilitavano l’avanzata del regno di Dio nella vita degli inconvertiti e li conducevano alla salvezza in Cristo. Era la potenza del Gesù risorto e glorificato che agiva e si manifestava nella vita ministeriale di Filippo, diventando così un potente strumento nelle mani di Dio.

Questo è possibile anche oggi, soprattutto perché Gesù è lo stesso, ieri oggi e in eterno (Ebrei 13:8), e se egli ha nelle sue mani elementi di cui servirsi, cioè persone ripiene di Spirito Santo e di fede, potrà manifestare la stessa potenza e virtù che mostrò ai suoi giorni e nella vita degli apostoli, e gli ammalati di oggi, potranno essere guariti nella stessa maniera come fecero gli apostoli e Filippo, in questa attività missionaria nella città di Samaria.

7. LA GUARIGIONE DI SAULO

Anania dunque andò ed entrò in quella casa; e, imponendogli le mani, disse: «Fratello Saulo, il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, mi ha mandato perché tu ricuperi la vista e sii ripieno di Spirito Santo». In quell’istante gli caddero dagli occhi come delle scaglie, e riacquistò la vista; poi si alzò e fu battezzato (Atti 9:17,18).

Esame del testo

La storia della conversione di Saulo da Tarso a Gesù Cristo, viene presentata da Luca con ricchezze di particolari, allo scopo di farci apprezzare meglio, non solo la conversione di quest’uomo, ma soprattutto quello che Gesù fece per raggiungere e frantumare l’ostilità di Saulo. Poiché il nostro scopo riguarda la sua guarigione fisica, tutto il resto della vita di quest’uomo, che più tardi sarà chiamato Paolo, servo di Gesù Cristo (Romani 1:1); apostolo di Gesù Cristo per la volontà di Dio (1 Corinzi 1:1); dottore dei gentili (1 Timoteo 2:7); il grande missionario instancabile (Romani 15:19-24) e colui che è stato riconosciuto come il più grande dei teologi di tutti i tempi, — anche se più tardi parleremo di lui e di tutti i miracoli di guarigione che Dio fece per le sue mani (Atti 15:12) —, noi lo lasciamo ai biografi nel descrivere la sua vita, mentre noi ci occupiamo della sua guarigione corporale.

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19/07/2011 00:09

La cecità, di cui fa riferimento il nostro testo, protrattasi per tre giorni senza vedere, nei quali né mangiò né bevve (v. 9), fu causata dal grande bagliore di quella luce che venne dal cielo che gli folgorò d’intorno (v. 3), mentre camminava sulla via di Damasco. Poiché quella circostanza diede una svolta radicale alla vita di Saulo, il rimanere tre giorni senza vedere, fu sicuramente molto salutare per la sua anima e il suo spirito, da indurlo a pregare (v. 11).

Poiché Cristo gli aveva dato un ordine di entrare in città, e lì avrebbe conosciuto quello che avrebbe dovuto fare, quei tre giorni di completa cecità, lo indussero a rimanere in uno stato di aspettativa. Gesù non parlò direttamente a Saulo, ma a un suo discepolo di nome Anania, al quale ordinò di andare nella strada detta Diritta, e cercare in casa di Giuda un uomo di Tarso di nome Saulo (v. 11).

Siccome questo uomo era molto conosciuto nell’ambiente cristiano, non per la sua fede, ma per la crudeltà nei confronti di quelli che invocavano il nome di Gesù, Anania non ebbe nessuna titubanza nell’obiettare:

Signore, io ho sentito molti parlare molto di quest’uomo di quanto male ha fatto ai tuoi santi in Gerusalemme E qui ha l’autorizzazione dai capi dei sacerdoti, di imprigionare tutti coloro che invocano il tuo nome (v. 13-14).

Al che il Signore rispose:

Va’, perché costui è uno strumento da me scelto per portare il mio nome davanti alle genti, ai re e ai figli d’Israele . Poiché io gli mostrerò quante cose egli deve soffrire per il mio nome (vv. 15,16).

Ricevuta l’assicurazione da parte del Signore, Anania non ha nessuna esitazione a raggiungere la casa in cui si trova Saulo ad attenderlo. E quando arriva, gli dice fermamente:

Fratello Saulo, il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, mi ha mandato perché tu ricuperi la vista e sii ripieno dello Spirito Santo (v. 17).

Chi era questo Anania che venne mandato da Saulo per fargli ricuperare la vista? Un semplice “discepolo” (v. 10). Infatti, il testo precisa che quando Anania impose le mani su Saulo, in quell’istante gli caddero dagli occhi come delle scaglie, e riacquistò la vista (v. 18).

Ecco, l’evidenza della guarigione fisica di un uomo che era rimasto cieco per tre giorni! Per questa guarigione non venne usato un apostolo, o un membro importante della Chiesa, ma un semplice discepolo che, equipaggiato della virtù divina, sanò la cecità di Saulo da Tarso.

Dal momento che questo Anania non viene più nominato, né che egli abbia fatto con altri, quello che fece con Saulo, non possiamo dire con certezza se questo semplice discepolo di Gesù, avesse ricevuto il dono delle guarigioni. Stando al racconto degli Atti e a quello che riusciamo a capire di quest’uomo, non ci sembra che il Signore Gesù abbia mandato Anania per far ricuperare la vista a Saulo, perché egli avesse il dono delle guarigioni, ma semplicemente per onorare il mandato divino.

Siccome quello che Anania compì, era una missione affidata dal Cristo, e non dalla volontà umana, sicuramente lo Spirito Santo l’avrà guidato ad imporre le mani sopra Saulo, e, a dargli nello stesso tempo quella fede necessaria, senza la quale difficilmente il miracolo si sarebbe verificato. Ai fini infatti, del miracolo per la guarigione fisica, quello che conta, non sono i titoli o le qualifiche che possono fare apparire una persona come ‘qualcuno’, ma la potenza e la virtù del Signore e Salvatore Gesù Cristo. A Lui tutta la gloria!

8. LA GUARIGIONE DI ENEA

Or avvenne che, mentre Pietro percorreva tutto il paese, venne anche dai santi che abitavano a Lidda. Qui trovò un uomo di nome Enea che già da otto anni giaceva in un letto, perché era paralitico. Pietro gli disse: «Enea, Gesù, il Cristo, ti guarisce; alzati e rifatti il letto». Ed egli subito si alzò. E tutti gli abitanti di Lidda e di Saron lo videro e si convertirono al Signore (Atti 9:32-35).

Esame del testo

Secondo questo racconto, Pietro sta svolgendo una missione itinerante, visitando la varie comunità della regione, compresa quella di Lidda. È in questa località che trova un uomo di nome Enea, (presumibilmente un cristiano) paralizzato da otto anni [Gerhard Schneider, Gli Atti degli apostoli, II, pag. 64, nota 25 in cui viene detto che ecs etōn oktō può significare eventualmente anche: «da quando aveva otto anni»; I. Howard Marshall, Gli Atti degli apostoli, pag. 246]. Per lo Stählin, «la durata della malattia ha il compito di sottolineare l’entità del miracolo [Gustav Stählin, Gli Atti degli apostoli, pag. 259].

Pietro, in qualità di apostolo di Gesù Cristo, al pari di tutti gli altri, venne usato dal Signore, nel campo dei miracoli di guarigione fisica, come abbiamo visto in precedenza. La virtù del Cristo che si trovava in lui, lo porta ad agire nella stessa maniera come agiva Gesù. Considerando il racconto della guarigione di Enea, così come Luca ce l’ha tramandato, è d’obbligo fare qualche osservazione: 1) Pietro, nel vedere quell’uomo disteso sopra il suo letto, non gli chiede se ha fede per essere guarito; 2) non chiede se può pregare per la sua guarigione; 3) infine, lui stesso non fa una preghiera perché il paralitico sia ristabilito; si limita solamente a dirgli: Enea, Gesù, il Cristo, ti guarisce: alzati e rifatti il letto.

Che la guarigione gliela dava Gesù e non Pietro, appare abbastanza evidente; l’apostolo era solamente lo strumento che Gesù usava, attraverso il quale faceva arrivare la guarigione a quel paralitico.

Poiché la virtù del Cristo opera in Pietro, non era necessario che l’apostolo chiedesse al malato se aveva fede per essere sanato. La sua guarigione infatti, non dipendeva dalla sua fede, ma da quella di Pietro. Non è affatto vero che un malato per essere guarito debba avere fede; è sufficiente che ce l’abbia colui che viene usato dal Signore. D’altra parte, come abbiamo più volte ripetuto, Gesù, poche volte chiedeva ai malati se avevano fede per ricevere la guarigione.

Nella stragrande maggioranza dei casi, Egli guariva i malati in base alla virtù sanatrice che Lui possedeva, e non in base alla fede che potevano manifestare i sofferenti. È molto importante capire bene questo concetto, non solo per avere chiarezza nella nostra mente, ma soprattutto per non giudicare il malato, nell’esercizio del dono ricevuto dal Signore.

In altre parole: Quando un credente ha il dono delle guarigioni, — e il dono in sé implica il possesso della fede per poterlo esercitare — nel senso più vero di questo termine, di solito non si appella alla fede del sofferente, perché si sa che nel malato, specialmente se la malattia si è protratta nel tempo, non sarà facile trovarla, ma sulla fede di colui che esercita il dono ricevuto.

L’apostolo Pietro, nell’esercizio di questo dono, non agiva sempre nella stessa maniera, cioè, non aveva regole fisse da osservare per tutti i casi. Se avvertiva la necessità di pregare, prima di dare il comando di guarigione, non esitava a farlo (Atti 9:40); mentre se avvertiva che lo Spirito Santo lo guidava in modo differente, agiva in quella direzione, e il risultato era sempre lo stesso, cioè la guarigione del malato.
Invece di dire: Nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, alzati e cammina — come fu il caso dello zoppo alla porta Bella del tempio (Atti 3:6) —, in questa nuova circostanza dice solamente: Gesù, il Cristo ti guarisce. Notate che la fede, = certezza, è quella che egli ha, e non quella che potrebbe avere il paralitico, che gli fa proclamare la guarigione avvenuta.

Dal momento che in lui c’è questa certezza, il comando che impartisce: alzati e rifatti il letto, rappresenta la logica conseguenza di questa fede. Il fatto poi che il paralitico si alzò subito, ciò dimostra l’evidenza più schiacciante di una vera guarigione.

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20/07/2011 00:11

Quando si pensa all’effetto che ebbe nella vita delle persone che videro questa guarigione fisica, si deve convenire che la guarigione di un malato, non benefica solamente la sua vita, ma porta le persone a convertirsi al Signore. Questo è molto bello evidenziarlo, perché la salvezza di un solo peccatore, vale più di tutto il mondo intero.

9. LA RISURREZIONE DI TABITHA

Or in Ioppe c’era una discepola di nome Tabitha, che significa Gazzella; ella faceva molte buone opere e molte elemosine. Or avvenne in quei giorni che ella si ammalò e morì. Dopo averla lavata, fu posta in una stanza al piano superiore. E, poiché Lidda era vicina a Ioppe, i discepoli, udito che Pietro si trovava là, gli mandarono due uomini per pregarlo di venire da loro senza indugio. Pietro dunque si alzò e partì con loro. Appena giunse, lo condussero nella stanza di sopra; tutte le vedove si presentarono a lui piangendo e gli mostrarono tutte le tuniche e le vesti che Gazzella faceva, mentre era con loro. Pietro allora, fatti uscire tutti, si pose in ginocchio e pregò. Poi, rivoltosi al corpo, disse: «Tabitha, alzati!». Ed ella aprì gli occhi e, visto Pietro, si mise a sedere. Egli le diede la mano e l’aiutò ad alzarsi; e, chiamati i santi e le vedove, la presentò loro in vita. La cosa fu risaputa per tutta Ioppe, e molti credettero nel Signore (Atti 9:36-42).

Esame del testo

La risurrezione di Tabitha, ad opera di Pietro, è un’altra testimonianza della potenza del Cristo risorto e glorificato. Di miracoli di risurrezione, ce ne sono cinque menzionati nel N.T. (senza contare quello che si verificò alla morte di Gesù (Matteo 27:52): La figlia di Iairo (Marco 5:41,42); il figlio della vedova di Nain (Luca 7:11-15); Lazzaro di Betania (Giovanni 11); (tutte e tre operate da Gesù); Tabitha (ad opera di Pietro) ed Eutico (ad opera di Paolo (Atti 20:7-12).

Quella che ha più importanza e maggiore significato, è senza dubbio quella di Lazzaro di Betania. Le tre risurrezioni che Cristo operò durante la sua vita terrena, sono segni evidenti che egli, essendo Via, verità e vita (Giovanni 14:6), può ridare questa vita. Invece, quello che fecero Pietro e Paolo, sono segni di un potere straordinario divino che avevano questi due apostoli di Gesù Cristo, per dimostrare il legame che esisteva tra loro e il vivente Signore.

Considerando la maniera come Pietro si comportò in questa circostanza, si possono chiaramente vedere dei paralleli con Gesù. Nella casa di Iairo, Gesù mise fuori tutti quelli che si ridevano di lui, quando egli affermò che la fanciulla non era morta ma dormiva (Marco 5:39,40).

Quando Pietro arrivò nella casa di Tabitha, e fu condotto nella camera di sopra dove era stata sistemata, tutte le vedove piangendo mostravano le tuniche e le vesti che Gazzella aveva fatto prima di morire. Certamente queste persone non erano come quelle della casa di Iairo, ma erano credenti. Ciò nonostante, Pietro, che era stato un testimone oculare della risurrezione della figlia di Iairo, avrà ricordato senza dubbio quello che aveva fatto il Maestro, e fece lo stesso anche lui, nel mettere fuori tutte quelle vedove che piangevano davanti a lui. Cristo, in casa del capo della sinagoga Iairo non pregò prima di risuscitare la fanciulla, perché Egli, essendo Dio fatto carne, non aveva nessun bisogno di pregare; ma Pietro lo fece, avendo avvertito in quel momento, un particolare bisogno di Dio.

Cosa avrà detto in preghiera, non ci viene dato di sapere. Possiamo immaginare che egli, — essendo il primo caso di questo genere, ben diverso da quello che si era verificato nel caso di Enea —, che avrà chiesto una grazia speciale, per potere chiamare Tabitha alla vita. Non conoscendo la durata, probabilmente la preghiera di Pietro mirava a realizzare la certezza nella sua vita della potenza divina. Quando questa si impossessò fortemente in lui egli, non ebbe più nessun indugio ad alzarsi e a passare alla fase successiva.

Notate che a questo punto, l’apostolo non usa il nome del Gesù, come aveva fatto con lo zoppo alla porta Bella del Tempio; qui dà il comando, nella stessa maniera come aveva fatto Gesù nella casa di Iairo: Tabitha, alzati! Quella parola di comando, esprimeva in tono imperativo tutta la certezza che c’era nella vita di Pietro.
E, siccome era la fede in Cristo che lo sorreggeva in quel suo modo di parlare, la morta aprì gli occhi e si mise a sedere. Il miracolo si era già verificato; c’erano tutte le prove fisiche di una autentica risurrezione dai morti. Poiché Tabitha è viva, Pietro non indugia a chiamare le vedove e consegnare loro la morta vivente. Anche per questo evento miracoloso, al pari della guarigione di Enea, molti credettero nel Signore! (v. 42).

10. SEGNI E PRODIGI OPERATI ATTRAVERSO PAOLO E BARNABA

Essi dunque (Paolo e Barnaba) rimasero là molto tempo, parlando francamente nel Signore, il quale rendeva testimonianza alla parola della sua grazia, concedendo che segni e prodigi si operassero per mano loro (Atti 14:3). Allora tutta la folla tacque, e stavano ad ascoltare Barnaba e Paolo, che raccontavano quali segni e prodigi Dio aveva operato per mezzo loro fra i gentili (Atti 15:12).

Esame del testo

Chiuso il ciclo degli apostoli, Luca ne apre un altro che riguarda Paolo e Barnaba. Gli stessi segni e i medesimi prodigi che abbiamo visto in precedenza e in Pietro particolarmente, ora li vediamo in Paolo e Barnaba. La potenza e la virtù divina che avevano operato nella vita degli apostoli, guarendo tanti infermi, ora si manifesta attraverso Paolo e Barnaba.

Questa coppia di credenti e ministri del vangelo, se si trovano insieme a svolgere il ministero della predicazione di Gesù Cristo, è essenzialmente perché sono stati mandati dallo Spirito Santo (Atti 13:4). Lo Spirito che li aveva selezionati e mandati, era stato anche quello che li aveva equipaggiati del potere divino, per compiere segni e prodigi in mezzo al popolo.

I segni e i prodigi, di cui fa esplicito riferimento il racconto degli Atti, non sono quelli che fanno Paolo e Barnaba, ma quello che Dio fa attraverso loro (Atti 15:12). Che cosa vuol dire questo? Semplicemente che Paolo e Barnaba erano degli strumenti nelle mani di Dio, ed Egli nell’usarli, non faceva altro che rendere testimonianza alla parola della sua grazia.

Rendere testimonianza, ha infatti lo stesso significato di confermare la parola con i segni (Marco 16:20). Queste sono le vere credenziali che confermano un mandato divino, ed esprimono nello stesso tempo il compiacimento di Colui che ha mandato, cioè Dio.

I segni e i prodigi di cui parla il capitolo 14 degli Atti, non sono specificati da Luca, (tranne quello dell’uomo paralizzato di Listra, di cui ci occuperemo tra breve) nel senso di elencare i vari miracoli di guarigione; ma sono lì e testimoniano delle opere che Dio sta compiendo per opera di questi due suoi servitori. Passando poi al capitolo 15 degli Atti, in cui Luca dà un ampio resoconto di quello che accadde a Gerusalemme in occasione della prima Assemblea Generale della Chiesa, troviamo nuovamente il tandem, segni e prodigi, che servirono, non solo a descriverci quello che Dio aveva fatto in mezzo ai gentili per opera di Paolo e di Barnaba, ma che anche, in quella particolare circostanza, apparivano come una boccata di aria fresca, per raffreddare l’alta tensione che si era creata in mezzo ai fratelli.

Era nato infatti un grosso problema nella cristianità gentile, causato da certi giudeo-cristiani con aria di voler comandare e imporre quello che credevano giusto, affermavano che se i gentili non si circoncidevano, secondo il rito di Mosè, non potevano essere salvati. Al che nacque una non piccola controversia e discussione da parte di Paolo e Barnaba con costoro.

E poiché non fu possibile raggiungere un’intesa, fu deciso di mandare Paolo e Barnaba, assieme ad altri fratelli, per sottoporre agli apostoli, quel grosso problema, nella speranza di trovare una felice soluzione (vv. 1,2). Quando i lavori di questa Assemblea Generale vennero aperti, Pietro, prendendo per primo la parola, cercò di dimostrare chiaramente che la salvezza non si ha per mezzo dell’osservanza dei riti di Mosè, ma mediante la grazia del Signor Gesù Cristo]/C] (v. 11).

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21/07/2011 00:13

E poiché Pietro lo affermava con fermezza e autorità, si creò una certa tregua in quella assemblea, tanto che essendosi la folla taciuta, poterono ascoltare Paolo e Barnaba raccontare i segni e i prodigi che Dio aveva fatto tra i gentili, per mezzo di loro.

Anche se qui Luca sta ancora sul generico, perché non specifica i segni e i prodigi, per noi che conosciamo la guarigione dell’uomo paralizzato di Listra, siamo portati a credere che nel racconto che venne fatto, non sarà mancato il riferimento a quel miracolo. Quanto tempo avranno impiegato Paolo e Barnaba nel raccontare i segni e i prodigi, non ci viene dato di sapere.

Una cosa però è certa: quella relazione che venne fatta, fu talmente efficace che tranquillizzò gli animi; tanto è vero che Giacomo, che presiedeva quell’assemblea, la poté concludere felicemente, e, la decisione che ne seguì, oltre ad essere stata unanime, fu di beneficio per tutti i credenti, per i presenti, per quelli che aspettavano il responso di quell’assemblea, e per quanti in avvenire, avrebbero creduto in Cristo Gesù per la loro salvezza.

11. GUARIGIONE DELL’UOMO PARALIZZATO DI LISTRA

Or a Listra c’era un uomo paralizzato ai piedi, che stava sempre seduto e non aveva mai camminato, essendo storpio sin dal grembo di sua madre. Costui udì parlare Paolo che, fissati gli occhi su di lui, e vedendo che egli aveva fede per essere guarito, disse ad alta voce: «Alzati in piedi». Ed egli saltò su e si mise a camminare (Atti 14:8-10).

Esame del testo

Ecco un altro uomo paralizzato sin dalla nascita che non aveva mai camminato in vita sua! Se costui era sempre seduto, vuol dire che il suo male era inguaribile. Era quest’uomo un medicante, come alcuni suppongono, facendo un parallelo con lo zoppo che stava seduto alla porta Bella del Tempio? Il fatto che Luca non lo dica, ci porta a credere che non lo era, altrimenti sarebbe stato specificato.

Quest’uomo, il cui nome non viene rivelato, udì parlare Paolo, — si intende di quello che egli diceva intorno al vangelo di Gesù Cristo —, e sarà stato attirato del messaggio che l’apostolo proclamava. Siccome Paolo usava il greco nella sua predicazione, va da sé che il paralitico, comprendendo quella lingua, poteva benissimo seguire l’apostolo in quello che diceva. Questo primo elemento di ascoltare, è molto importante ai fini della fede. Infatti, stando a (Romani 10:17), che dice: La fede dunque viene dall’udire, e l’udire viene dalla parola di Dio, si può facilmente individuare la fede che nasque in quel paralitico, dell’ascolto della Parola di Dio, che Paolo predicava. Il nostro testo dice che Paolo avendo visto che quell’uomo aveva fede per essere guarito... Altri traducono: Avendo visto che aveva fede per essere salvato... Anche se il termine greco sōthēnai, ha il significato di salvare, esso significa anche stare bene di salute.

Nel suo contesto, e soprattutto in riferimento al comando che Paolo diede a quel paralitico di alzarsi all’impiedi, si addice meglio il significato di stare bene di salute, anziché quello della salvezza, che generalmente riguarda la parte spirituale dell’essere umano, cioè l’anima.

Anche per questo miracolo di guarigione, l’apostolo non eleva una preghiera e neanche usa il nome di Gesù, come di solito viene fatto; si limita solamente a dare un comando di alzarsi all’impiedi. Siccome quel comando affondava le sue radici nella fede di quell’uomo e nella fede dell’apostolo, il miracolo si compì all’istante. L’evidenza dell’immediatezza della guarigione consiste nel fatto, che il paralitico saltò su e si mise a camminare.

Poiché quell’uomo non aveva mai camminato in vita sua, il vederlo ora camminare, fu giustamente interpretato come una reale prova della sua guarigione e una evidenza dell’intervento divino. Siccome questo era palese, Paolo non cedette quando gli abitanti di Listra, volevano tributargli, onore e gloria, come se fosse stata la sua potenza e la sua virtù a guarire il paralitico. Anzi quella fu una buona occasione per l’apostolo, di esortare il popolo a convertirsi da quelle cose vane al Dio vivente (v. 15).

12. MIRACOLI DI GUARIGIONE COMPIUTE MEDIANTE IL CONTATTO DEI PANNI CHE ERANO STATI ADDOSSO A PAOLO

E Dio faceva prodigi straordinari per le mani di Paolo, al punto che si portavano sui malati degli asciugatoi e dei grembiuli che erano stati sul suo corpo, e le malattie si allontanavano da loro e gli spiriti maligni uscivano da loro (Atti 19:11,12).

Esame del testo

Questo è l’unico caso in tutto il Nuovo Testamento in cui si fa esplicito riferimento di guarigione di malattie a mezzo indumenti. Se però si tiene in debito conto che i prodigi straordinari li faceva Dio, le mani di Paolo e gli indumenti che toccavano il suo corpo, erano semplicemente strumenti che Dio usava, per portare guarigione ai malati.

Non c’era quindi nessuna virtù in quei panni; la virtù si trovava nell’apostolo, non una virtù propria, ma una virtù concessagli dal Signore Gesù Cristo che si manifestava attraverso il contatto dei panni, guarendo i malati e liberando da spiriti maligni.

A questo punto, bisogna mettere in evidenza due elementi importanti, che contribuiranno sicuramente a farci comprendere il passo in questione.

1) In primo luogo, si deve tenere presente, che l’apostolo Paolo non dà nessun suggerimento o consiglio per utilizzare indumenti che siano stati a contatto col suo corpo, per guarire i malati e scacciare spiriti maligni. L’opera non viene svolta da Paolo, ma da ignoti, in concomitanza con una credenza pagana di quei tempi che, tenendo presente la persona che aveva una virtù divina nella sua vita, si credeva che la potesse trasmettere anche attraverso i contatti dei suoi vestimenti [I. Howard Marshall, Gli atti degli apostoli, pag. 438; Gustav Stählin, Gli atti degli apostoli, pag. 451].

Luca che riporta questa notizia, non ha nessuna difficoltà ad affermare che effettivamente avvenivano delle guarigioni al contatto con indumenti che erano stati sul corpo di Paolo. Questo particolare serve essenzialmente a mettere in risalto quello che Dio faceva attraverso l’apostolo, usando persino capi di vestiario di Paolo, per beneficiare malati ed ossessi.

La fede, indubbiamente, ha un ruolo importante e determinante in questo contesto nella realizzazione di buoni risultati, da servire come incoraggiamento in tutte quelle azioni che vengono compiute per il bene delle persone e dei credenti in Cristo in modo particolare.

2) In secondo luogo, il testo in questione, non fa nessuna allusione di pregare su un fazzoletto per poi metterlo sul corpo del malato per essere guarito. Questa pratica, ampiamente diffusa in certi ambienti cristiani dei nostri tempi, non ha nessun fondamento scritturale, sul quale basarsi, poiché è certo che non si può produrre un testo scritturale che provi e giustifichi una simile azione.

Quando un atto non trova conferma con la parola scritta, non si può accettare come un qualcosa che viene dallo Spirito Santo e da Dio. Ragione per cui, il testo di Atti 19:11,12, non può essere citato come prova scritturale, che autorizzi a pregare su un fazzoletto per guarire un malato o per liberare una persona da spiriti maligni.

13. LA RISURREZIONE DI EUTICO

Il primo giorno della settimana, essendosi i discepoli radunati per rompere il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, conversava con loro, e protrasse il discorso fino a mezzanotte. Or nella sala, dove erano radunati, vi erano molte lampade. Un giovane di nome Eutico, che era seduto sul davanzale della finestra, fu colto da un profondo sonno; e, mentre Paolo tirava il suo discorso a lungo, preso dal sonno, cadde dal terzo piano e fu racconto morto. Ma Paolo, sceso giù, si gettò su di lui, l’abbracciò e disse: «Non vi turbate, perché l’anima sua è in lui». Quindi risalì, spezzò il pane con loro e mangiò; e dopo aver parlato a lungo fino all’alba, partì. Intanto ricondussero il ragazzo vivo, per cui furono oltremodo consolati (Atti 20:7-12).

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22/07/2011 00:15

Esame del testo

Il racconto della morte e risurrezione di Eutico, — anche se il termine risuscitare non è menzionato nel testo, ma lo lascia chiaramente presupporre —, è l’elemento che maggiormente dà più importanza all’evento miracoloso. Paolo si trova a Troas, con i fratelli del luogo, dove partecipa ad una riunione di culto; in esso la fratellanza è radunata per rompere il pane (v. 7) = celebrazione della Cena del Signore, e per accomiatarsi da Paolo, poiché l’indomani l’apostolo dovrà partire e quindi distaccarsi da quei cari.

I particolari menzionati da Luca, circa la camera alta, dove i fratelli erano radunati, e dove vi erano molte lampade, — ad olio, si intende —, hanno fatto pensare a diversi commentatori che l’aria si era talmente surriscaldata, da produrre la sonnolenza di Eutico.

Se questo fosse vero, come mai —, non viene detto di nessun’altro che si addormentò? In effetti, la sonnolenza di quel ragazzo fu prodotta, non tanto dall’aria calda e inquinata, quanto dal prolungamento del discorso di Paolo, protrattosi fino a mezzanotte. Qualcuno fa rilevare che l’età del ragazzo era dagli 8 ai 14 anni [I. Howard Marshall, Gli atti degli apostoli, pag. 462].

«Sicuramente Luca ha inteso narrare la resurrezione di un morto, trovando così un parallelo Paolino alla resurrezione di Tabitha (9:36). Il senso che egli dà all’episodio è accentrato soprattutto su tre particolari: è mezzanotte (v. 7); il modo con cui Paolo si precipita sul ragazzo e lo abbraccia ricorda 9:40; infine, le parole che pronuncia in quello stesso momento richiamano (Marco 5:39). Se la tesi di coloro che sostengono che, il ragazzo caduto dal terzo piano, fu raccolto ‘come morto’, fosse vera, giustamente osserva il Luzzi, il testo greco dovrebbe avere «ós necrús = come morto, ma dice assolutamente: érthé necros = fu levato morto: o: quando l’alzarono, era morto. Lo spiegare quindi la cosa come se si fosse trattato d’uno svenimento, d’un momentaneo sbalordimento, o che so io, come fanno l’Olshausen, il De Wette e altri, è far violenza al testo ed al contesto» [G. Luzzi, Fatti degli apostoli, pag. 220; G. Ricciotti, Gli atti degli apostoli e le lettere di S. Paolo, pagg. 262,263].

Anche se il racconto di questo ragazzo, viene interpretato come un ‘incidente’, e che Luca non fornisce tanti altri particolari, è sempre tuttavia la storia di uno che muore e risuscita. Il gettarsi di Paolo sul ragazzo e l’abbraccio, richiamano alla memoria quello che fecero Elia (1 Re 17:21) ed Eliseo (2 Re 4:34), due autentici racconti di resurrezione.

Il miracolo della risurrezione di Eutico, anche se viene attribuito a Paolo, è sempre una chiara testimonianza dell’intervento di Dio. Il fatto poi che si dica che ricondussero il ragazzo vivo, per cui furono oltremodo consolati, rappresenta un’ulteriore prova della manifestazione della potenza divina.

14. GUARIGIONI OPERATE NELL’ISOLA DI MALTA

Or avvenne che il padre di Publio giaceva a letto, malato di febbre e di dissenteria; Paolo andò a trovarlo e, dopo aver pregato, gli impose le mani e lo guarì. Dopo questo fatto, anche gli altri isolani che avevano delle malattie venivano ed erano guariti (Atti 28:8,9).

Esame del testo

Quest’altro racconto di miracoli di guarigione nell’isola di Malta, chiude tutte le storie di miracoli che il libro degli Atti ci ha tramandato. Anche se il testo non è ricco di particolari, è sempre un racconto che vale la pena considerare, se non altro per conoscere come si comportò Paolo in quei frangenti.

Paolo, assieme alle duecentosettantasei persone che erano con lui sulla nave, scamparono da quella tremenda tempesta, soprattutto perché Dio aveva detto all’apostolo che nessuno sarebbe perito (Atti 27:22-25,37).

Quando però misero piede sull’isola di Malta, gli isolani che li accolsero, si interessarono ad accendere un grande fuoco, perché tutti gli scampati potessero riscaldarsi, poiché pioveva e faceva freddo. Paolo, volle contribuire raccogliendo rami secchi per metterli sopra il fuoco. Sennonché, una vipera che, nel frattempo si era risvegliata per il calore del fuoco, si attaccò alla sua mano. Gli isolani nel vedere ciò, dissero:

Quest’uomo è certamente un omicida perché, pur essendo scampato dal mare, la giustizia divina non gli permette di sopravvivere. Ma Paolo, scossa la serpe nel fuoco, non ne risentì alcun male. Or essi si aspettavano di vederlo gonfiare e cadere morto all’istante; ma dopo aver lungamente aspettato e vedendo che non gli avveniva nulla di insolito, mutarono parere e cominciarono a dire che egli era un dio (Atti 28:4-6).

Mettendo da parte tutta la nostra immaginazione per ricostruire tutto quello che si sarà potuto verificare in questi isolani, per ciò che riguardava la vita di questo uomo-dio, Luca ci fa sapere, da testimone oculare quale egli era, che il capo dell’isola, di nome Publio, li accolse e li ospitò con grande cortesia per tre giorni (v.7), nella sua tenuta di campagna. Quello che avranno potuto dirsi in quei tre giorni, non ci viene dato di sapere. Con molta probabilità, Publio, avrà parlato a Paolo di suo padre e della sua malattia.

Talché Paolo avrà chiesto: “Se me lo permetti, vorrei visitarlo”. Il figlio avrà risposto: “Andiamoci subito”. Questa nostra supposizione di ricostruire la storia di quell’avvenimento, è avvalorata dal fatto che Paolo andò a trovarlo (v. 8). Se egli abitava assieme al figlio, questo modo di esprimersi di Luca, non avrebbe senso; mentre lo ha, se si suppone, — come la frase lascia intendere — che quell’uomo abitava in un’altro posto. Il figlio condusse Paolo dal padre, pensando che quest’uomo avrebbe potuto guarire il malato? Luca non ci rivela questo segreto. Però, quando Paolo arriva, nel vedere quell’uomo con la febbre e con la dissenteria, pregò, gli impose le mani, e il malato fu guarito.

Al paralitico di Listra, Paolo non innalzò nessuna preghiera in favore di quel malato, ma qui si sentì di pregare e di imporre le mani, prima che si avverasse la guarigione. Quando i nostri movimenti vengono guidati dallo Spirito Santo, oltre ad agire in accordo con la parola scritta (Marco 16:18), si manifestano la potenza e la virtù divina, che liberano dalle malattie.

La notizie della guarigione del padre di Publio, si diffuse rapidamente, talché, gli altri isolani che avevano delle malattie venivano ed erano guariti (v. 9). Ecco ancora una volta, che cosa può fare un uomo dotato del potere divino, o come si direbbe, che ha il dono delle guarigioni!

CONCLUSIONE


La vasta rassegna che abbiamo condotto nell’esaminare i miracoli di guarigione fisica che Gesù fece durante il tempo della sua permanenza su questa terra , secondo quello che ci hanno tramandato i sinottici, Giovanni e gli Atti, e, successivamente gli apostoli e credenti comuni, quali Stefano e Filippo, nonché quello che fece più tardi Paolo, ci hanno insegnato alcune verità fondamentali, che in breve vogliamo ancora una volta ribadire.

1) Tutti i miracoli che Gesù e gli apostoli compirono, sono presentati come ‘segni’, non solo per parlarci della potenza e della virtù divina, ma anche come prova dell’immutabilità di Dio. L’unico che non cambia mai nell’universo, è Dio e la sua Parola. La potenza divina che operava nella vita di Gesù e degli apostoli, è la stessa che opera attraverso i secoli e continuerà ad operare fino alla fine, procurando guarigione, liberazione ed ogni benessere nella vita umana.

2) Le guarigioni fisiche che Gesù e gli apostoli operarono, facevano parte integrale del loro ministero. Non era un qualcosa di accessorio e marginale, ma indiscutibilmente fondamentale che univa il divino all’umano, in una relazione inscindibile. Il ministero della predicazione del regno di Dio e del vangelo, unitamente alle guarigioni fisiche, camminavano di pari passo nell’adempimento del mandato divino; e se il primo portava alla conoscenza del volere di Dio, il secondo ne autentificava la natura e la provenienza.

3) La fede era sempre alla base di ogni guarigione divina, se non si trovava nel malato, si trovava indubbiamente in colui che veniva usato da Dio, in questo aspetto del ministero divino. Gesù, non sempre chiedeva ai malati se avevano fede per ricevere guarigione. Il più delle volte, non guariva in base alla fede che potevano manifestare i malati, ma in base alla Sua compassione. Gli apostoli agirono nella stessa maniera. Le guarigioni che Gesù e gli apostoli operavano, furono quasi tutte istantanee. Questo è il modello che dobbiamo seguire anche ai nostri giorni.

4) I miracoli di guarigione, non venivano fatti per la gloria dell’uomo o per la virtù o pietà umana, ma per la gloria di Dio e per la Sua virtù e potenza. Non c’erano casi disperati che la virtù divina non potesse risolvere e le malattie secondo la scienza medica di quei tempi, trovavano perfetta e completa guarigione per la potenza di Dio. Le cose che umanamente parlando erano impossibili, diventavano possibili, in accordo col principio divino che stabilisce che ogni cosa è possibile a Dio (Marco 10:27) e ogni cosa è possibile a chi crede (Marco 9:23).

Davanti ad una simile prospettiva, pensando soprattutto che il tempo dei miracoli fisici non è tramontato, ma servono anche oggi per confermare la parola (Marco 16:20), la preghiera che fece la chiesa di allora, è valida anche per i nostri giorni:

Signore, considera le loro minacce e concedi ai tuoi servi di annunziare la tua parola con ogni franchezza, stendendo la tua mano per guarire e perché si compiano segni e prodigi nel nome del tuo santo Figlio Gesù (Atti 4:29,30).


BIBLIOGRAFIA



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R. G. Stewart, L’evangelo secondo Giovanni, 1987 Claudiana, Torino.
K. Weiss, GLNT, Vol. XI, 1977 Paideia, Brescia.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura. Inoltre, per quanti fossero interessati ad avere lo studio in un’unico file, nel formato PDF di un libro, escludendo la carta stampata, non dovranno fare altro di chiederlo, privatamente a: cvl_dbarbera@yahoo.ca
e sarà loro inviato gratuitamente. Grazie!

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