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Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 4. GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2011 00:12
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12/07/2011 00:10

La medesima espressione ha lo stesso significato per l’uomo malato della piscina di Betesda. Anche se di lui non si può nominare uno specifico peccato, (come il caso della donna adultera, appena menzionata), il fatto però che Gesù dica: mekēti amartane = “non peccare più”, rappresenta una prova inconfutabile del peccato o dei peccati che quell’uomo aveva commesso con le sue azioni, causandogli quella malattia che si è protratta per trentotto anni.

Anche per il paralitico di Capernaum, al quale venne detto: I tuoi peccati ti sono perdonati, (Matteo 9:2) si potrebbe intravedere la stessa constatazione di cui sopra, anche se non si può essere esplitici su questo testo. Se poi si riflette sulle parole di Giacomo:

Qualcuno di voi è infermo? Chiami gli anziani della Chiesa, ed essi preghino su di lui, ungendolo di olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà il malato e il Signore lo risanerà; e se ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati (Giacomo 5:14,15),

ciò porta alla conclusione più ovvia, di credere che le parole di Gesù: non peccare più affinché non ti avvenga di peggio, volevano chiaramente stabilire che la malattia di quell’uomo, protrattasi per trentotto anni, era stata causata dal peccato.

2. L’affermazione di Giovanni 9:2

Questa affermazione di Giovanni 9:2, anche se appare in contrasto con quella di Giovanni 5:14, vale sempre la pena considerarla, se non altro per comprenderla nella sua giusta portata. La domanda che i discepoli posero a Gesù, mirava essenzialmente a stabilire la causa della cecità di quell’uomo. Secondo la convinzione che essi avevano, se quell’uomo era nato cieco, non era stato sicuramente un caso fortuito, o come si direbbe, accidentale; dovevano esservi dei motivi ben precisi, per giustificare un tale stato.

Dal momento che il dubbio, secondo le idee in voga consisteva nello stabilire chi dei tre, figlio o genitori, avesse peccato per una simile nascita, si rendeva necessario che ci fosse chiarezza, su un tema che includeva, pressoché l’unanimità presso i giudei i quali credevano che, tutte le deformazioni fisiche e malattie, erano una netta conseguenza del peccato. Col dire: Né lui né i suoi genitori hanno peccato..., Gesù volle stabilire che, per quanto concerneva quel caso specifico, ciò non era da addebitare al peccato, cioè non era stata causata dal peccato.

Questo però non voleva assolutamente dire che, quelle tre persone, oggetto della domanda, fossero immuni dal peccato, senza rimettere alla ribalta l’universalità del peccato, per ciò che riguarda tutti gli esseri umani.

Precisato in questi termini il problema, la risposta di Gesù, mira a stabilire che: Pur essendo il cieco e i suoi genitori dei peccatori, per il fatto che sono figli di Adamo, — e in Adamo, tutti gli uomini sono peccatori (Romani 5:12) —, non si poteva fare la stessa equazione per la deformazione fisica di quell’uomo, per il semplice fatto che quella nascita, non aveva nessun rapporto col peccato, cioè non era stata causata dal peccato, ma specificatamente: affinché siano manifestate in lui le opere di Dio.

In altre parole quella cecità era stata permessa, per un fine ben diverso di come potevano pensare gli uomini. Le opere di Dio, sono quelle che Cristo compirà, e se questo cieco di nascita, non ci fosse stato, Gesù non avrebbe compiuto il miracolo e le opere di Dio non si sarebbero manifestate in lui. Una volta che questo punto viene evidenziato e precisato, il miracolo in sé stesso acquista importanza su due aspetti: quello umano per ciò che riguarda la guarigione totale del cieco e quello divino per ciò che concerne la manifestazione delle opere di Dio.

Dopo aver detto queste cose, sputò sulla terra , con la saliva fece del fango e ne impiastrò gli occhi del cieco. Poi gli disse: «Va’, lavati nella piscina di Siloe» (che significa: Mandato); egli dunque vi andò, si lavò e ritornò che ci vedeva (v. 7).

Tutti i ciechi che vennero guariti da Gesù — stando ai Sinottici —, non venne mai usata la saliva che, secondo la credenza di allora, le si dava una certa virtù. Questo dimostra che Gesù non segue quella credenza, ma agisce secondo quello che Egli vede e crede opportuno di fare. Se quel cieco non fosse andato a lavarsi nella piscina di Siloe, nonostante avesse sugli occhi la saliva di Gesù e l’impiastro ottenuto, il recupero della vista non sarebbe avvenuto.

Come anche non sarebbe avvenuta la guarigione dalla lebbra, se Naaman non fosse andato al Giordano per lavarsi sette volte nelle sue acque, secondo il comando del profeta Eliseo (2 Re 510,14).

L’obbedienza alla parola di Gesù, in questo particolare contesto, ha la sua primaria importanza sull’esito del miracolo, anche e soprattutto per il legame che ha col principio divino che stabilisce:

l’Ubbidienza è migliore del sacrifico, e ascoltare attentamente è meglio del grasso dei montoni (1 Samuele 15:22).

Quando più tardi il cieco miracolato rispose a quelli che gli chiedevano come avvenne la sua guarigione, egli disse chiaramente:

Un uomo, chiamato Gesù, ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va’ alla piscina di Siloe e lavati. Ed io vi sono andato, mi sono lavato e ho recuperato la vista’ (vv. 11,15).

Ecco gli elementi elencati che hanno causato la guarigione:

* La saliva di Gesù;
* il fango spalmato sopra gli occhi;
* la piscina di Siloe;
* l’andata del cieco alla piscina e
* il suo lavarsi in quelle acque.

I cinque elementi di questo mosaico, sono talmente inscindibili tra di loro, che se uno di essi fosse stato messo da parte o ignorato, la guarigione stessa non si sarebbe verificata.

4. LA RISURREZIONE DI LAZZARO

[C[Or Maria era quella che unse di olio profumato il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli; e suo fratello Lazzaro era malato. Le sorelle dunque mandarono a dire a Gesù: «Signore, ecco, colui che tu ami è malato». E Gesù, udito ciò, disse: «Questa malattia non è a morte, ma per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato» (Giovanni 11:2-4).

Esame del testo

La risurrezione di Lazzaro, oltre a chiudere il ciclo dei miracoli che Giovanni racconta, vuole essere anche il punto culminante di tutte le manifestazioni miracolose, poiché con essa, il Figlio di Dio viene glorificato. Siccome la cosa più importante di questo racconto di morte e di risurrezione, per l’evangelista Giovanni, è la glorificazione del Figlio di Dio, approfondiamone l’esame, per meglio conoscere l’autorità e la virtù di Gesù, l’operatore del miracolo.

Nella proporzione in cui conosciamo il Figlio, il miracolo della resurrezione acquista più importanza, non tanto perché un morto ritorna in vita, quanto perché il Figlio gliela ridà. Di quale malattia fosse stato colpito Lazzaro, non ci viene dato di sapere; per l’evangelista non ha tanta importanza conoscere la malattia del malato, quanto piuttosto il malato stesso. Per Giovanni, è sufficiente dire solamente che Lazzaro era malato; che era fratello di Marta e di Maria e che Gesù stesso lo amava. Questi semplici dati (senza parlare della durata della malattia) servono essenzialmente a farci comprendere, l’interessamento delle due sorelle per recapitare a Gesù, la notizia relativa alla malattia di Lazzaro.

Si continuerà il prossimo giorno...
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