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Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 4. GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 13/07/2011 00:12
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10/07/2011 00:22

Esame del testo

Il secondo miracolo di guarigione che Giovanni racconta, merita un esame approfondito, non solo intorno al come venne fatto, ma soprattutto per valorizzare il motivo che spinse il Cristo ad effettuarlo e quali sono stati i suoi atteggiamenti nei confronti di colui che venne guarito. La piscina con i cinque portici che c’e a Gerusalemme, vicino alla porta delle pecore, nonché l’angelo che in determinati momenti ne agitava l’acqua, ha avuto nel passato una spiegazione particolareggiata.

Da una parte, i critici testuali, hanno parlato di «antica glossa, dettata dalla sensibilità di quei tempi per i miracoli», per ciò che riguarda la seconda parte del (v. 3) e tutto il (v. 4), dato che non è stata accolta nei migliori manoscritti [R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni, I, pagg. 227,228 e II, pag. 168], (ma lo ha il codice Alessandrino, di data appena posteriore ai due più antichi, cioè il Sinaitico e il Vaticano, nonché in altri 10 manoscritti onciali, nella Peshito e in tutte le versioni siriache, eccetto quella Italica e la volgata) [R. G. Stewart, L’evangelo secondo Giovanni, pag. 821] e, dall’altra parte, ad opera di Agostino, in un modo particolare, che era un maestro di spiritualizzazione, difficilmente imitabile, che riusciva ha dare un significato ad ogni particolare.

Infatti, per lui, la piscina con i cinque portici era un «profondo mistero», e significavano «il popolo dei giudei». Le acque «i popoli», sulla base di Apocalisse 17:15 e i cinque portici «i cinque libri di Mosè» [Sant’Agostino, Commento al vangelo di Giovanni, pag. 263]. Inoltre, per lui, l’agitare le acque della piscina, significava la venuta di Cristo in mezzo al popolo giudeo che, «facendo prodigi, dando insegnamenti salutari, ha turbato i peccatori, ha agitato l’acqua con la sua presenza, dando l’esca alla sua persecuzione.

Discendere nell’acqua agitata significa, dunque, credere umilmente nella passione del Signore». I trentotto anni dell’infermità del paralitico: «un numero che appunto indica la malattia [Ibidem, pag. 264]. Mentre per altri: «un’allusione agli anni che durò la migrazione nel deserto (Deuteronomio 2:14): “Andammo erranti per 38 anni...”, oppure porsonifica l’ingratitudine del popolo giudeo» [R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni, II, pagg. 168,169].

Mettendo da parte tutte le spiritualizzazioni che si sono fatte di questo racconto evangelico attraverso gli anni, accettabili fino ad un certo punto, cerchiamo di capire l’evento miracoloso in sé, per meglio valorizzare l’operato di Gesù, in favore di un malato solo, senza che nessuno lo potesse aiutare in un particolare momento, quando l’aiuto si rendeva veramente necessario. Cerchiamo anche di comprendere Giovanni, che ci ha tramandato questo episodio, ricco di particolari, che hanno senza dubbio il loro significato.

Che le guarigioni fisiche in questa piscina di Betesda si fossero veramente verificate, lo prova il fatto del gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici, che in attesa del momento opportuno per entrarvi.

Dato che il testo precisa che, colui che entrava nella piscina, dopo che l’acqua veniva agitata, era guarito di qualsiasi malattia fosse affetto; ora se quelli che scendevano nella piscina, non fossero stati veramente guariti, nessuno dei presenti avrebbe taciuto, senza denunciare l’imbroglio e l’inganno, che veniva perpetrato ai danni degli stessi ammalati. La mancanza assoluta di questa protesta, è più che sufficiente per convincere la mente più ostinata e il cuore più indurito.

Naturalmente, le guarigioni non avvenivano perché le acque della piscina avessero una virtù terapeutica, ma era dovuta esclusivamente al movimento dell’acqua ad opera di un angelo. Se le acque non venivano agitate dall’angelo, nessuna virtù guaritrice si sprigionava da esse. Il fatto poi che quelle acque fossero agitate in tempi determinati, non depone certamente a favore del naturale, ma del soprannaturale. Anche se il testo non dice che era un angelo del Signore che agitava le acque della piscina, non è sorprendente pensarlo, soprattutto per i tanti riferimenti che la Bibbia contiene, relativamente ad essi. Che gli angeli di Dio siano completamente a disposizione e al servizio di Lui, è indiscutibile; noi non possiamo spiegare perché questo agitare le acque fosse limitato al beneficio di un solo ammalato alla volta.

Crediamo che, l’intenzione dell’Evangelista, nel riportare questo episodio miracoloso, non era quello di concentrare la sua attenzione su quello che avveniva nella piscina di Betesda, ma principalmente su quello che compirà Gesù, l’inviato del Padre, in una maniera ben diversa.

Il testo sacro dice che, tra gli infermi che aspettavano ve ne era uno che era infermo da trentotto anni. Non viene specificata la sua infermità, e, ognuno può pensare a modo proprio, fino al punto di credere che egli fosse anche cieco [R. Schnackenburg, Il vangelo di Giovanni, II, pagg. 169, nota 12]. Per Giovanni, naturalmente, che vuole spostare l’attenzione del lettore per farlo concentrare su Gesù, non ha tanta importanza specificare se quell’uomo fosse stato cieco, zoppo o paralitico; quello che ha importanza per lui è:

che quell’uomo è infermo da trentotto anni;
che è solo, senza che nessuno lo potesse aiutare.

Gesù non si recò alla piscina di Betesda, solamente per guardare una scena di infelici che soffrono, ma per manifestare a tutti quello che Egli è. Fu Lui, infatti, che vide quell’uomo ammalato disteso sul suo letto, che si trovava in quello stato da molto tempo, e nel vederlo, sicuramente avrà avuto compassione, tanto da indurlo a chiedergli se voleva essere guarito. È l’unico caso, in tutto il N.T., che Gesù chiede a un ammalato se vuole essere guarito. Anche se al cieco di Gerico Cristo chiese: Che vuoi che io ti faccia?, non gli chiese però se voleva recuperare la vista. Una simile domanda, per uno che aspetta la guarigione fisica, può sembrare fuori posto, a dir poco.

Ma se Gesù la pose, Egli aveva un valido motivo per farlo. Infatti se non gli avesse fatta quella domanda, i lettori di questo evangelo, non avrebbero mai saputo che quel povero infelice era solo, abbandonato da tutti, e, noi che stiamo meditando su questo passaggio, non avremmo mai avuto elementi sufficienti per riflettere sullo stato di quell’infermo e sull’atteggiamento di Gesù nei suoi confronti. È infatti con la domanda di Gesù, che il velo viene tolto, così che si può guardare in faccia alla realtà.
Come è possibile, ci potremmo chiedere, che un uomo infermo da trentotto anni, sia lasciato solo alla piscina di Betesda, senza che nessuno della sua famiglia o dei suoi conoscenti, manifestassero un po’ di compassione nei suoi confronti? Eppure, questa è la tragica realtà messa in evidenza in tutta la sua crudezza. Davanti alla precisa domanda di Gesù, l’ammalato risponde:

Signore, io non ho nessuno che mi metta nella piscina quando l’acqua è agitata; e, mentre vado, un altro vi scende prima di me.

Questo ci dice, prima di ogni altra cosa che, quest’uomo ha tentato altre volte di entrare nella piscina, dopo che l’acqua veniva agitata, ma sempre col risultato che un’altro vi arrivava prima di lui. In secondo luogo, l’infermo non sapeva che colui che gli aveva chiesto se voleva essere guarito era Gesù, colui che lo avrebbe potuto guarire, senza l’ausilio delle acque della piscina.

Infine, nella risposta che quell’uomo diede, mette in evidenza, non solo lo stato di incapacità personale, ma anche l’assenza totale di aiuto da parte di qualcuno, pronto a dargli una mano nel momento opportuno. Ecco, cosa si prefiggeva l’evangelista Giovanni, nel raccontare la storia degli infermi alla piscina di Betesda, non tanto per farci vedere i miracoli di guarigione che in essa si verificavano.

Ma perché Gesù guarì solo questo infermo, e ignorò una moltitudine di malati che si trovavano assieme a quell’uomo? Non certamente per i trentotto anni di infermità di cui era affetto, ma perché quell’uomo, lasciato solo ed abbandonato a se stesso, e senza che avesse un raggio di speranza, nonostante i suoi trentotto anni di malattia, potesse meglio, più di ogni altro infermo, rappresentare l’uomo peccatore emarginato dalla società, in cui vive la sua esistenza, senza che ci sia per lui un barlume di speranza, o una via d’uscita. D’altra parte, Gesù Cristo venne su questa terra, per cercare e salvare ciò che era perduto (Luca 19:10).

Si continuerà il prossimo giorno...
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