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Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 3. GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI LUCA

Ultimo Aggiornamento: 08/07/2011 00:16
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02/07/2011 00:20


Capitolo 3




GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI LUCA




Nota introduttiva

Dopo aver passato in rassegna i racconti di guarigione narrati da Matteo e da Marco, ci accingiamo ora ad esaminare quelli che Luca ha in esclusiva, poiché essi non si trovano negli altri evangeli. Materiale che prenderemo in esame:

1) La profezia di Isaia (4:18,19);
2) un gran numero di gente che va a Gesù per essere guariti (6:17-19);
3) la resurrezione del figlio della vedova di Nain (7:11-17);
4) la missione dei settanta (10:9);
5) la guarigione di una donna paralitica (13:10-17);
6) la guarigione di un uomo idropico (14:1-6);
7) la guarigione dei dieci lebbrosi (17:11-19) e
8) la guarigione dell’orecchio reciso del servo del sommo sacerdote (21:50,51).

1. LA PROFEZIA DI ISAIA

Lo Spirito del Signore è sopra di me, perché mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato per guarire quelli che hanno il cuore rotto, per proclamare la liberazione ai prigionieri e il recupero della vista ai ciechi, per rimettere in libertà gli oppressi e per predicare l’anno accettevole del Signore (Luca 4:18,19; cfr Isaia 61:1,2).

Esame del testo

Facendo un confronto col testo di Isaia, si possono notare alcune differenze. Queste variazioni sono dovute al fatto che il testo che Gesù lesse, pur leggendolo in ebraico, Luca però nel riportarlo, segue la versione dei LXX, [H.Schürmann, Il vangelo di Luca Parte prima, pag. 403] che probabilmente cita a memoria [R. G. Stewart, Commentario esegetico pratico del Nuovo Testamento, S. Luca, pag. 66].

Seguendo il testo di Isaia da una parte e confrontandolo col testo di Luca dall’altro, si notano le seguenti differenze:

1) La profezia dice: Recare una buona novella agli umili, mentre Luca parla di evangelizzare i poveri.
2) Isaia riferisce di fasciare quelli dal cuore rotto, mentre Luca ha: per guarire quelli che hanno il cuore rotto.
3) Nella profezia non c’è nessuno accenno al recupero della vista ai ciechi;
4) il profeta ha: Proclamare la libertà a quelli in cattività, l’apertura del carcere ai prigionieri, mentre Luca ha: liberazione ai prigionieri, per rimettere in libertà gli oppressi.

Dato che noi stiamo esaminando il testo di Luca, conviene riflettere su di esso, per meglio comprendere l’operato di Gesù, secondo quello che ci siamo prefissi in questa nostra trattazione. Il primo elemento della profezia, secondo Isaia 61:1, riguarda l’unzione, di cui Gesù è consapevole di aver ricevuta, per portare a compimento una missione specifica. In base a Luca 2:21,22:

mentre stava pregando, il cielo si aprì e lo Spirito Santo scese sopra di lui, in forma di colomba,

alcuni hanno affermato che Gesù al Giordano, in occasione del suo battesimo, ricevette lo Spirito Santo, come risposta alla sua preghiera e fu unto di Spirito, per portare a compimento la sua missione.

Per quanto riguarda la sua unzione, — anche se il riferimento di Luca non lo dica chiaramente, come neanche altri testi, (Matteo 3:13-17 e Giovanni 1:33) —, si può accettare, dato che non ci sono altri testi in cui si dica che lo Spirito Santo sia sceso sopra di lui. Questa tesi può essere avvalorata maggiormente dal fatto che l’unzione, secondo quello che dice l’A.T., veniva eseguita sui profeti, i sacerdoti e i Re, prima che entrassero in funzione del loro ufficio.

Siccome Gesù incorporava in sé un triplice ministero, quello di profeta, di sacerdote e di Re, era più che logico che ciò avvenisse. Ma per quanto riguarda l’altro aspetto della questione, cioè il ricevere lo Spirito Santo al Giordano, non ci sembra esatta questa deduzione, soprattutto se si tiene in debito conto quello che dice Giovanni Battista:

Io ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi mandò a battezzare con acqua mi disse: Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e fermarsi su di lui, è quello che battezza con lo Spirito Santo. Ed io ho visto ed ho attestato che questi è il Figlio di Dio (Giovanni 1:32-34).

Questo testo afferma chiaramente che lo Spirito Santo scese sopra Gesù, da servire “come segno” a Giovanni Battista, per individuare chi fosse il Figlio di Dio, ogni altra interpretazione è fuori posto. Se poi si tiene in debito conto che Gesù aveva trent’anni, quando fu battezzato, per ragione di coerenza e di logica, non si potrebbe affermare di avere lo Spirito Santo, prima del suo battesimo, se è vero che lo ricevette solo al Giordano.

Come se questo elemento non bastasse, all’età di dodici anni, Gesù era già ripieno di sapienza, in accodo con (Isaia 11:2), ch’è una profezia chiaramente messianica. Concludiamo quindi che Gesù anche prima del suo battesimo era ripieno dello Spirito Santo.

L’unzione che si trovava sopra Gesù aveva un preciso scopo: secondo il profeta: per recare una buona novella agli umili, mentre secondo Luca: per evangelizzare i poveri. Evangelizzare e recare una buona novella, dal punto di vista del loro stretto significato, non c’è nessuna differenza. Infatti, ogni forma di evangelizzazione, non è altro che la proclamazione della buona novella che Gesù salva e libera l’uomo dal suo peccato.

Per quanto riguarda gli umili e i poveri, stando al significato che da l’A.T. al termine umile, non c’e nessuna differenza sostanziale (anche se il termine “povero” nell’A.T. si riferisce spesse volte alla disposizione, anziché alla condizione della vita; esso significa umile in ispirito, spoglio di orgoglio naturale, e così particolarmente preparato a ricevere l’evangelo), riflettendo particolarmente alle stesse parole di Gesù:
Beati i poveri in ispiritito, perché di loro è il regno dei cieli (Matt 5:3).

Per ciò che riguarda il mandato di Gesù, è detto chiaramente:
* Per guarire quelli che hanno il cuore rotto;
* per proclamare la liberazione ai prigionieri;
* il recupero della vista ai ciechi;
* per rimettere in libertà gli oppressi e
* per predicare l’anno accettevole del Signore.

Il fasciare il cuore rotto, ha sicuramente lo scopo di guarirlo. Questa, naturalmente, non è una guarigione fisica, ma spirituale, come non lo è solamente spirituale il recupero della vista ai ciechi, ma anche fisica. Il riferimento alla libertà degli oppressi, è senza dubbio in relazione con le tante liberazioni che Gesù fece di quelle persone che erano afflitte da forze demoniache, in accordo con quanto disse l’apostolo Pietro:

...il quale (Gesù) andò attorno facendo del bene e sanando tutti coloro che erano oppressi dal diavolo... (Atti 10:38).

Infine, la profezia si chiude col parlare “dell’anno della grazia dell’Eterno”, che equivale “dell’anno accettevole del Signore”, per Luca, lasciando da parte, “il giorno della vendetta del nostro Dio”, per il semplice motivo che Gesù non era stato mandato sulla terra per giudicare, ma per cercare e salvare ciò che era perduto (Luca 19:10).

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03/07/2011 00:06

2. GENTE CHE VA A GESÙ PER UDIRLO E PER ESSERE GUARITA

Poi, sceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante, con la folla dei suoi discepoli e con un gran numero di popolo da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, che erano venuti per udirlo e per essere guariti dalle loro malattie; e anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi erano guariti dalle loro malattie.... E tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una potenza che guariva tutti (Luca 6:17-19).

Nota preliminare

Anche se di questa folla che va a Gesù per essere guarita, se ne parla in Matteo 4:24; 14:36 e Marco 5:30, il contesto in cui Luca riferisce l’episodio, è in relazione al grande sermone, non quello che Gesù pronunciò sul monte, del quale parla ampiamente Matteo nei capitoli 5-7, ma quello che Gesù pronunciò, dopo di essere stato sul monte per pregare e scegliere gli apostoli. Luca accenna che la folla proveniva da tutta la Giudea e da Gerusalemme, — Matteo menziona la Galilea, la Decapoli e oltre il Giordano (Matteo 4:25) —, il fatto però che venga nominato il litorale di Tiro e di Sidone, — luoghi chiaramente pagani —, questo ci porta ad escludere che si tratti di un passo parallelo con Matteo. La chiara specificazione che fa Luca, di quella folla che era venuta per ascoltare Gesù, è un altro elemento di prova, che manca in Matteo. Tutti questi elementi messi insieme, ci portano a concludere che il testo sopraindicato di Luca, è materiale esclusivo di lui, e va considerato come tale.

Esame del testo

Il grande numero di popolo che accorre a Gesù per ascoltarlo e per farsi guarire dalle loro malattie, è diverso dalla folla dei suoi discepoli, non solo perché non appartengono al numero dei discepoli, ma anche e soprattutto perché in esso ci sono gli infermi. Gesù è là per accogliere tutti questi bisognosi e la sua potenza guaritrice è a disposizioni di quanti ne hanno bisogno.

Gli infermi che andavano da Gesù, col preciso intento di essere guariti, non rimanevano mai delusi, ma erano sempre guariti dalle loro infermità. Il fatto che l’evangelista non specifichi di che tipo di malattie si trattasse, denota chiaramente che per Gesù non c’era nessuna differenza tra il guarire una malattia cronica o un male inguaribile, secondo la scienza medica. Davanti alla potenza guaritrice di Gesù, non ci sono mali fisici che non possono essere guariti.

Non sempre gli ammalati, specie quando vanno in luoghi dove ci sono uomini che dicono di avere il potere divino per guarire, ricevono la guarigione. Spesse volte ritornano alle loro case delusi ed amareggiati, per non avere ricevuto la loro guarigione. Quando si tratta di un numero irrisorio di non guariti, si potrebbe parlare di mancanza di fede; ma quando la maggioranza degli ammalati rimane tale, dopo di avere assistito ad una riunione di cui si era fatto tanta propaganda, qui non si tratta più di dire semplicemente che l’ammalato non aveva fede, si tratta invece di affermare che la potenza guaritrice divina era assente, anche se si è fatto tanto rumore.

Ai nostri giorni, specie sulla terra americana, ci sono quelli che vanno sbandieranno di avere il dono delle guarigioni; si fanno riunioni in grande stile, allo scopo di attirare folle, con tanta di pubblicità a tutti i livelli, e poi, quando si dovrebbe assistere ad una manifestazione miracolosa, nel senso di vedere paralitici camminare, sordi udire, ciechi vedere, ecc. si vede solamente gente che cade a terra, come se tutto lo spettacolo fosse imperniato su queste manifestazioni.

Che differenza tra quello che avveniva ai tempi di Gesù e degli apostoli, e quello che succede ai nostri giorni! Oggi si ama far molto spettacolo, solo spettacolo e non si tiene presente che l’uomo, nell’evoluzione in cui vive e nello scetticismo in cui si muove, soprattutto nel campo religioso ha bisogno della vera manifestazione del potere divino, poiché esso è l’unico elemento che possa veramente portarlo penitente a Dio, e di vedere il bisognoso sollevato e l’ammalato guarito.

E tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una potenza che guariva tutti.

Qui non si fa riferimento alla donna dal flusso di sangue che vuole toccare il vestito di Gesù per essere guarita (Matteo 9:21 né a quella preghiera che venne fatta a Gesù per lo stesso motivo (Matteo 14:36), ma a una folla che fa a gara per un contatto, poiché da lui usciva una potenza che guariva tutti. Il peccatore, al pari dell’ammalato fisicamente, ha assoluto bisogno di toccare il divino, ch’è ben diverso dal toccare l’umano, per realizzare qualcosa che si verifichi nella sua vita.

Dal momento che è la potenza divina che può venire incontro a tutti i bisogni dell’uomo, siano essi spirituali o fisici, conviene andare a lui, anche perché il Signore non respingerà mai nessuno di coloro che ricorrono a lui (Giovanni 6:37).

3. LA RESURREZIONE DEL FIGLIO DELLA VEDOVA DI NAIN

E il giorno dopo egli si recò in una città, chiamata Nain; e con lui andavano molti dei suoi discepoli e una grande folla. E quando fu vicino alla porta della città, ecco che si portava a seppellire un morto, figlio unico di sua madre, che era vedova; e una grande folla della città era con lei. Appena la vide, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». Accostatosi, toccò la bara, e i portatori si fermarono; allora egli disse: «Giovinetto, io ti dico, alzati!». E il morto si mise a sedere e cominciò a parlare. E Gesù lo consegnò a sua madre. Allora furono tutti presi da meraviglia e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto fra noi» e: «Dio ha visitato il suo popolo» (Luca 7:11-16).

Nota preliminare

Il racconto di questa opera miracolosa di Gesù, narrata solamente da Luca, oltre a fornirci la prova di trovarci davanti a materiale esclusivo dell’evangelista —, dato che gli altri evangelisti, non contengono minimi accenni di questo racconto —, offre al lettore dei punti di riflessioni sulla natura divina di Gesù, sulla sua particolare compassione su un caso veramente disperato, nonché sulla sua prontezza ad intervenire, senza che qualcuno avesse fatto una minima richiesta.

Inoltre, il fatto stesso che a seguito di questo straordinario miracolo, il popolo presente è portato a riconoscere un particolare intervento di Dio, con l’espressione: Dio ha visitato il suo popolo, ciò porta ad esaltare Dio, la cui grazia infinita si è manifestata in Cristo Gesù. Questi punti salienti, saranno maggiormente approfonditi, specialmente quando faremo le nostre riflessioni, allo scopo di ricavarne un ammaestramento utile per la nostra vita.

Esame del testo

La menzione di Nain, si trova solamente in questo testo di Luca.
«Questa località esiste ancora sotto il nome di Nein. Si trova all’angolo N.O. del Djebel ed-Duhy, collina chiamata anche Piccolo Hebron, a 3 Km. ad O-S-O d’Endor, ed a 8 Km. a S-S-E di Nazaret» [R. Pache, Nuovo Dizionario Biblico, pag. 582; H. Schürmann, Il vangelo di Luca I,, pag. 643].

Luca chiama Nain una città, non tanto per la quantità di popolo che vi abitava, (si pensa che vi fossero poche centinaia di persone) ma per il fatto che essa aveva porta e mura. Un piccolo centro di questa dimensione — ai nostri giorni, lo si chiamerebbe Villaggio. Questa località attirò l’attenzione di Gesù, poiché Egli si recò in vista sicuramente di quello che avrebbe dovuto fare. D’altra parte, Gesù non era venuto solamente per i grandi centri urbani, come Gerusalemme, Samaria, Capernaum, ecc. ma anche per quei piccoli, come era appunto Nain. H. Schürmann, a questo punto dice che, l’intenzione di Luca, nell’inserire molto adeguatamente il racconto, voleva illustrare la misericordia di Gesù verso i piccoli [H. Schürmann, Il vangelo di Luca I, pagg. 641-642].

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04/07/2011 00:14

Gesù, in quella circostanza, non si trovava solo, era seguito da molti dei suoi discepoli e da una grande folla. L’incontro con il corteo funebre, avvenne vicino alla porta della città. Era infatti usanza dei Giudei, seppellire i morti fuori della città. A questo punto, crediamo sia utile ricordare le parole di Godet: «La parola idou, (ecco), indica come fatto notevole, l’incontro inatteso delle due processioni, — quella che accompagnava il Principe della vita, e quella che accompagnava il Principe della morte» [R. G. Stewart, Commentario esegetico pratico del Nuovo Testamento, pag. 96].

Il morto che si portava a seppellire, era figlio unico di sua madre, che era anche vedova. Il fatto che dietro quel feretro ci fosse una grande folla della città, denota quanto fu sentito il dolore della gente di Nain, e come partecipasse al dolore di quella madre che, accompagnando il figlio al cimitero, piangeva.

La tragica situazione che si presentava davanti a Gesù, era veramente singolare, non solo per la morte in sé di quel giovane figlio, ma anche per la condizione in cui era venuta a trovarsi quella mamma, dopo la morte del marito. L’unica speranza per il suo sostentamento, era risposta in quell’unico figlio, dato che non poteva più contare sul proprio marito. Possiamo quindi immaginare quanto sia stato grande il dolore di quella mamma e che cosa volesse significare quel piangere dietro la bara.

Appena il Signore la vide, ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». C’erano tanti che vedevano quella mamma-vedova, distrutta da un dolore indicibile, ma nessuno di loro riusciva a vedere nella stessa maniera come vedeva Gesù. Il suo, infatti, non era un comune vedere; era il vedere del Dio fatto carne, di colui che aveva lasciato la gloria celeste per venire ad abitare in mezzo agli uomini. È Lui, il Signore dei signori, che ha compassione di quella mamma profondamente addolorata. La compassione di Gesù è quella che, mettendosi in azione, ordina a quella mamma di non piangere.

Cristo, accostandosi alla bara, la toccò, e i portatori si fermarono. Allora Gesù poté dire, con voce scandita e ferma: «Giovinetto, io ti dico, alzati». Che differenza tra le risurrezioni effettuate da Elia a Sarepta (1 Re 18:21); da Eliseo a Sunem, (2 Re 4:33); da Pietro a Lidda e a Joppe, (Atti 9:34-40); e quella di Gesù!

I primi l’ottennero dietro specifiche preghiere ed invocazioni, Cristo invece, con una semplice parola, parola che veniva dal Principe della vita, che in effetti rivelava tutta la pienezza della sua Deità, fece sì che il morto si alzasse e cominciasse a parlare.

Il miracolo è avvenuto, si mise a sedere, e cominciò a parlare. Solo davanti a questa evidente prova di vera risurrezione, Gesù poté consegnare alla madre, il figlio ormai vivente.

Allora furono tutti presi da meraviglia e glorificavano Dio, dicendo: «Un grande profeta è sorto fra noi» e: «Dio ha visitato il suo popolo» (v. 16).

Non c’è conclusione più bella di glorificare Dio, per tutto quello che Egli compie, nel venire incontro ai bisogno dell’uomo.

Riflessioni e ammaestramenti spirituali

Il racconto che abbiamo appena esaminato nei suoi punti salienti, è ricco di insegnamenti per la nostra vita pratica. Le riflessioni che faremo metteranno in evidenza tutto quello che potrà servire per la nostra utilità spirituale.

1. Nain, la piccola località in cui Cristo si recò

Non ci sono cose piccole per nostro Signore Gesù Cristo, per le quali non sia interessato. È lui che ha preso l’iniziativa di recarsi a Nain, anche se era accompagnato da un numero rilevante dei suoi discepoli. Se Gesù si recò a Nain, non fu certamente per fare visita a un piccolo centro abitato, o come turista, ma per portare sollievo e speranza, in quell’ambiente che le circostanze particolari, avevano spazzato via. Gesù non andò a Nain, in risposta ad un invito rivoltogli da qualcuno del luogo; Egli vi andò di sua iniziativa.

È sempre bello pensare che è il Signore che prende l’iniziativa e va incontro al bisogno dell’uomo, e non c’è problema grande o piccolo che sia che Egli non possa risolvere.

Quando si è discepoli di Gesù, e si cammina con lui (e discepolo è proprio colui che lo segue), non sarà una sorpresa vedere la manifestazione della potenza miracolosa di Dio. Quello che Gesù compì nei giorni della sua vita terrena, lo compie anche oggi, e, il discepolo che lo segue oggi, al pari di quelli di ieri, potrà essere testimone dell’opera che il Signore compirà in favore di quelli che hanno particolari problemi o si dovessero trovarsi in situazioni disperate, senza intravedere vie d’uscita.

2. Due cortei che si incontrano

Quando Gesù si recò a Nain, lo abbiamo già detto non era solo; era accompagnato dai suoi discepoli e da una grande folla. Che ci sia differenza tra il discepolo e la folla, non si fa tanta fatica per notarlo. Anche se i due componenti, di questo corteo, è costituito dai discepoli e dalla folla, sono sempre i primi che apprezzeranno maggiormente le cose che fa il Signore, e saranno pronti a renderne testimonianza.

Essere tra di coloro che seguono Gesù, perché sono attratti dal Suo insegnamento e da tutto quello che Egli compie, è una cosa, mentre trovarsi con la folla, forse perché spinti dalla curiosità o per interessi materiali (Giovanni 6:24-27), è ben’altro. Il primo corteo che va verso Nain, è capeggiato dal Principe della vita, il secondo, capeggiato da un morto, da una madre straziata dal dolore e da una folla che segue, esprimendo il suo dolore per la circostanza, è diretto verso il cimitero, luogo del silenzio.

Questi due cortei, si incontrano. Anche se questo incontro non era stato previsto e programmato da un uomo, Dio però, che è al disopra di tutti e che controlla tutto, ha fatto sì che si verificasse.

Questo incontro ha creato i presupposti per la manifestazione miracolosa di Dio. Nella vita di ogni giorno, ci sono tante situazioni che possono produrre sconforto, avvilimento, disperazione, tragedie. Se la persona che viene a trovarsi in questo stato, seguisse il suo corso normale, inesorabilmente andrebbe a finire al cimitero, luogo dove non ci sarà una via di ritorno, una prospettiva di benessere, una speranza di vivere. Ma se durante questo tragitto si incontrerà col divino, questo cambierà ogni cosa. L’uomo morto nei suoi peccati e nei suoi falli (Efesini 2:1), se si incontrerà con colui che è: Via, verità e vita (Giovanni 14:6), sarà liberato dai legami della morte, e potrà vivere la sua vita per colui che è morto e risuscitato (2 Corinzi 5:15).

3. La compassione di Gesù

La compassione di Gesù, che non è mera commiserazione, ma profonda comprensione, nel vedere quella mamma straziata dal dolore per la perdita di quell’unico figlio, s’impietosì. Chi meglio del Signore sa misurare la densità di un’angoscia, il travaglio di un cuore smarrito ed oppresso, la solitudine disperata di una vita umana!

Quella mamma che accompagnava il proprio figlio al cimitero, non piangeva solamente perché la morte aveva stroncato una giovane vita, ma piangeva anche perché quell’unico figlio che aveva, rappresentava la speranza del suo domani, poiché la morte gli aveva già portato via il marito. Il Salvatore, capì profondamente lo stato d’animo in cui si trovava quella donna, e, se egli si fosse comportato come tutti gli altri, in quella particolare circostanza, quella donna sarebbe rimasta schiacciata dal dolore e desolata per la sua condizione.

Era impossibile che colui che era stato unto e inviato per sanare il cuore rotto, restasse freddo ed indifferente davanti a quella tragica e crudele realtà, che appariva davanti alla sua compassione.

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05/07/2011 00:14

Non fu qualcuno dei suoi discepoli che destò l’attenzione del Maestro, o qualcuno della folla, e neanche la stessa madre che avesse rivolto una supplica al Signore, ma lui stesso si mosse a compassione. È la stessa compassione che si manifestò, allorquando Gesù vide le folle, stanche e disperse, come pecore senza pastore (Matteo 9:36); oppure, quando scendendo dalla barca, vide una grande folla e per amore verso quelle ne guarì gli infermi (Matteo 14:14; Marco 6:34), questa stessa compassione spinse il Signore a dire: Non piangere!.

Se Gesù si fosse limitato solamente a rivolgere quella parola a quella donna, sì, sarebbe stato considerato come uno dei consolatori, che in simili circostanze usa parole di incoraggiamento a colui che è colpito dal lutto: Coraggio, fatti animo, la vita continua ancora! Egli non era soltanto uno di questi consolatori; Egli è il consolatore per eccellenza, e fa quello che ness’ualtro consolatore è capace di fare.

4. L’autorità e la divinità di Gesù messe in evidenza

Quando Gesù disse al giovinetto: Io ti dico, alzati, non era la voce di un semplice uomo, era la voce del Signore dei vivi e dei morti, il Padrone dell’Universo, il Creatore di tutte le cose. Non c’è voce umana che abbia la capacità di farsi sentire da un morto; ce n’è uno solo, in tutto l’Universo che abbia questa capacità, ed è il Figlio di Dio (Giovanni 5:25).

Il suo Io, fermo e poderoso, che pronuncia nella forma di un comando, non è quello presuntuoso ed orgoglioso di un uomo, ma la parola del Supremo, dell’Altissimo, che tutti devono rispettare, e la morte stessa non potrà sottrarsi alla Sua autorità. Attraverso questo miracolo, Gesù manifesta di possedere uno dei tanti attributi divini, cioè l’onnipotenza, che si erge poderosa sulla morte, in virtù della quale la sua divinità non può essere messa in discussione, ma viene dimostrata.

5. L’evidenza di un vero miracolo

I veri miracoli che vengono compiuti da Dio, portano il segno inconfondibile dell’evidenza e della realtà. Fare aprire gli occhi a un morto o fargli muovere la testa, è un’opera allucinatoria che possono compiere i maghi, mediante le loro arti magiche. Ma fare alzare un morto, mettersi a sedere e cominciare a parlare, questa non è cosa che possono fare i mistificatori di menzogna. Si racconta nella letteratura apocrifa, che un giorno Simon mago, volle sfidare l’apostolo Pietro, dimostrandogli che anche lui risuscitava i morti. Al che Pietro rispose:

«Fare aprire gli occhi ad un morto e fargli muovere la testa, non è l’evidenza di una vera risurrezione, ma è solo l’opera che può compiere un mago. L’evidenza di una autentica resurrezione sta nel fatto che il morto si deve alzare e parlare».

La resurrezione del giovinetto di Nain, che Cristo compì, portava tutti i segni di una autentica resurrezione.

6. Un confronto tra le resurrezioni operate dal altri e quelle operate da Gesù

La gente di Nain, nel dire: Un grande profeta è sorto fra noi, sicuramente avrà pensato, a quello che fece Elia, allorquando il figlio della vedova di Sarepta, venne risuscitato. Questa risurrezione fu il risultato dell’invocazione del profeta e del suo distendersi sopra il fanciullo per tre volte (1 Re 17:21). Anche la risurrezione del figlio della donna di Shunem, operata da Eliseo, fu il risultato della preghiera che venne elevata all’Eterno e il distendersi del profeta sopra il corpo del fanciullo (2 Re 4:33-35).

Per la risurrezione di Tabita, ci viene detto che Pietro, si pose in ginocchio e pregò; quindi, la sua risurrezione, fu il risultato della preghiera che l’apostolo innalzò al Signore (Atti 9:40). Ma le risurrezioni che Cristo operò, furono ben diverse da quelle che fecero Elia, Eliseo e Pietro, in quanto questi ebbero bisogno di pregare, Gesù invece operò in virtù della propria potenza a ridare la vita ai morti (Giovanni 5:21), senza avvertire la minima necessità di implorare il Padre o di compiere gesti particolari. La stessa parola creatrice, sia la luce e la luce fu, che troviamo nel principio (Gen. 1:3), fu quella che si rivolse al morto di Nain e a Lazzaro di Betania (Giovanni 11:43), in virtù della quale i morti ritornarono in vita, prefigurazione questa di una più vasta risurrezione che il Figlio di Dio compirà, quando chiamerà tutti i morti ad uscirne fuori dalle loro tombe (Giovanni 5:28,29).

4. LA MISSIONE DEI SETTANTA

E in qualunque città entriate... guarite i malati che saranno in essa e dite loro: Il regno di Dio si è avvicinato a voi (Luca 10:9).

Nota preliminare

Esaminando il racconto di Luca e confrontandolo con quello di Matteo (cap. 10), si intravede subito che la missione dei settanta, non è in parallelo con quella dei dodici apostoli, anche se certi tratti sono uguali. Indubbiamente, il materiale di questo racconto, è un’esclusiva di Luca e lui lo inquadra nella prospettiva di una particolare missione, senza togliere il merito che, questa missione, deve servire come modello anche per quella della Chiesa.

Nel numero «settanta», si è cercato di dare una corrispondenza ai settanta anziani di Es. 24:1 o ai settanta uomini sui quali si posò lo Spirito (Nun. 11:24,25), o ancora al numero del sinedrio, o secondo l’idea giudaica, fondata su Gen. 10, che la razza umana era composta di 70 o 72 popoli.

Qualunque sia stato il vero motivo che Gesù designò questi settanta, da inviare in ogni città e luogo dove egli stava per recarsi (Luca 10:1), sta di fatto che questa fu una missione “temporanea”, visto che non viene fatta nessuna menzione in tutto il N.T. né nei primi anni della Chiesa. Nonostante che questa missione abbia il senso della temporaneità, è sempre una missione autorizzata e voluta da Gesù, con dei precisi scopi e con un programma ben definito, che potrà ispirare ogni futura missione della Chiesa.

Ovviamente, secondo quello che ci siamo prefissi, di questa missione, prenderemo in esame, solo quella parte che ha a che fare con le guarigioni fisiche.

Esame del testo

Il comando che venne dato ai settanta fu: Guarite i malati.... Il fatto che non vengano specificate le malattie da guarire, è una prova che la potenza e la virtù concesse da Gesù a questi missionari, non aveva nessuna limitazione. Nella casa o nella città in cui sarebbero entrati, non dovevano soltanto portare il messaggio della pace, mangiare quello che gli avrebbero dato; dovevano anche guarire gli ammalati. In altre parole, l’attenzione di questi missionari non doveva essere rivolta solamente alle persone in buona salute, ma anche verso gli ammalati.

La guarigione degli infermi, faceva, quindi, parte integrante della missione dei settanta. Sorvolare questo particolare, come se fosse un elemento marginale, da non paragonarlo allo stesso rango del messaggio della pace, significa misconoscere la parola del Signore Gesù.

Convinti di queste due attività missionarie, la Chiesa di Gesù Cristo, dei nostri giorni, in modo particolare, ha tanto da imparare, ispirandosi ad esse, nell’attività nel suo ministero, per cui, l’attività riguardante la guarigione degli ammalati, deve avere lo stesso spazio e la stessa importanza che si concede alla predicazione della Parola, del regno di Dio, o al messaggio della pace.

Se poi si ribadisce il fatto che, Gesù Cristo è lo stesso: ieri, oggi e in eterno (Ebrei 13:8), ne consegue che il Suo ministero, a cui deve ispirarsi la Chiesa, deve essere visto e valutato nel suo duplice aspetto: quello di proclamare l’evangelo e quello di sanare gli infermi. Le due attività che Gesù svolgeva, nel tempo del suo ministero terreno, erano inscindibili e si completavano a vicenda, nel senso che, se la proclamazione dell’evangelo e del regno di Dio facevano conoscere agli uomini la vera volontà di Dio, le guarigioni fisiche, erano il segno dall’autenticazione della potenza e della virtù divine. Tenendo presente quest’aspetto del ministero di Gesù, si possono le parole meglio valutare:

E questi sono i segni che accompagneranno quelli che avranno creduto: nel mio nome scacceranno i demoni, parleranno nuove lingue; prenderanno in mani dei serpenti, anche se berranno qualcosa di mortifero, non farà loro alcun male; imporranno le mani agli infermi, e questi guariranno (Marco 16:17-18).

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06/07/2011 00:15

Davanti a simili parole, ben precise e circostanziate, è assurdo (a dir poco) pensare che il tempo dei miracoli è finito, e che ai nostri giorni Dio non dà più la fede per operarli. Accentrare tutta l’attività ministeriale della Chiesa, pensando solamente alla parte spirituale dell’uomo, e trascurare, o peggio ancora ignorare la parte fisica, che è appunto quella che riguarda le malattie, significa in ultima analisi, dare un’errata interpretazione ed assumere una preconcetta posizione, sul ministero di Cristo Gesù, che deve perpetuarsi nella vita e nel ministero della Chiesa.

5. GUARIGIONE DI UNA DONNA PARALITICA

Or egli insegnava in una delle sinagoghe in giorno di sabato. Ed ecco vi era una donna, che da diciotto anni aveva uno spirito di infermità, ed era tutta curva e non poteva in alcun modo raddrizzarsi. Or Gesù, vedutala, la chiamò a sé e le disse: «Donna, tu sei liberata dalla tua infermità». E pose le mani su di lei ed ella fu subito raddrizzata, e glorificava Dio. Ma il capo della sinagoga, indignato che Gesù avesse guarito in giorno di sabato, si rivolse alla folla e disse: «Vi sono sei giorni in cui si deve lavorare; venite dunque in quelli a farvi guarire e non in giorno di sabato. Allora il Signore gli rispose e disse: «Ipocriti!» Ciascun di voi non slega forse di sabato dalla mangiatoia, il suo bue o il suo asino per condurlo a bere? Non doveva quindi essere sciolta da questo legame, in giorno di sabato, costei che è figlia di Abrahamo e che Satana aveva tenuta legata per ben diciotto anni?» (Luca 13:10-16).

Per l’esame dettagliato di questo racconto, rimandiamo il lettore al nostro libro [D. Barbera, Il mondo degli spiriti, capitolo 13, pagg. 218-228].
Qui ci limitiamo a mettere in risalto il fatto che Gesù, vedendo quella donna nella sinagoga, mal deformata, senza che la stessa o altri avessero fatto esplicita richiesta di guarigione, intervenne, liberandola dallo spirito di infermità, in cui, per diciotto anni, era stata mantenuta in quella situazione, tutta piegata, senza potersi raddrizzare.

Questo ci dice, senza tema di essere smentiti che, quando Gesù vedeva persone che soffrivano a causa di una infermità, non rimaneva indifferente, interveniva e le guariva, così che le persone ammalate potevano sorridere e riprendere la loro vita normale, nello splendore di una buona salute fisica.

6. GUARIGIONE DI UN UOMO IDROPICO

Or avvenne che, come egli entrò in casa di uno dei capi dei farisei in giorno di sabato per mangiare, essi lo osservavano; ed ecco, davanti a lui c’era un uomo idropico. E Gesù, rispondendo ai dottori della legge e ai farisei, disse: «È lecito guarire in giorno di sabato?». Ma essi tacquero. Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo concedò (Luca 14:1-4).

La malattia dell’idropisia, di cui era affetto l’uomo del nostro testo, consiste in una raccolta di siero trasudato, producendo un rigonfiamento dell’addome, che assume l’aspetto quasi globoso, e produce anche un’insopportabile sensazione di sete. Non sappiamo come mai quell’uomo si trovasse in casa di uno dei capi dei farisei. Per Luca, che racconta questo episodio, non ha tanta importanza sapere questo, quanto di mettere in evidenza che, in quel giorno di sabato, a dispetto di quelli che lo osservavano, per poi poterne ricavare qualche accusa, Gesù guarì quell’ammalato.

La Sua compassione, è sempre rivolta particolarmente verso colui che si trova in una condizione di sofferenza fisica. Visto che quel giorno era sabato, — e secondo la concezione legalista dei farisei, non era permesso svolgere un qualsiasi lavoro (e guarire un ammalato in giorno di sabato, per loro equivaleva a lavorare) —, Gesù chiese: È licito guarire in giorno di sabato?

Il fatto che questi dottori della legge e i farisei, ai quali era rivolta la domanda, tacquero, è una prova eloquente che non trovavano un serio argomento per opporlo a Gesù. È davanti a questo atteggiamento che Gesù, prese per mano quell’idropico, lo guarì e lo concedò.

Tutti i preconcetti e i pregiudizi umani che si sollevavano nei confronti dell’operato di Gesù, non potevano fermare la Sua attività, né impedirne la sua esecuzione. A lui non interessava tanto che i suoi critici ed avversari rimanessero fermi nelle loro errate convinzioni, quanto di portare aiuto a quelli che realmente ne avevano bisogno. D’altra parte, lui era consapevole di essere il medico divino, non solamente per guarire la vita interiore dell’uomo, ma anche il suo corpo, quando questi era ammalato.

7. LA GUARIGIONE DEI DIECI LEBBROSI

Or avvenne che, nel suo cammino verso Gerusalemme, egli passò attraverso la Samaria e la Galilea. E, come egli entrava in un certo villaggio, gli vennero incontro dieci uomini lebbrosi, i quali si fermarono a distanza, e alzarono la voce, dicendo: «Maestro, Gesù, abbi pietà di noi». Ed egli, vedutili, disse loro: «Andate a mostrarvi ai sacerdoti». E avvenne che, mentre se ne andavano, furono mondati. E uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro glorificando Dio ad alta voce. E si gettò con la faccia a terra ai piedi di Gesù, ringraziandolo. Or questi era un Samaritano. Gesù allora prese a dire: «Non sono stati guariti tutti e dieci? Dove sono gli altri nove? Non si è trovato nessuno che sia ritornato per dare gloria a Dio, se non questo straniero?». E disse a questi: «Alzati e va’; la tua fede ti ha guarito» (Luca 17:11-19).

Esame del testo

Il racconto della guarigione del lebbroso, di cui Luca parla in 5:12-14, in parallelo con Matteo 8:1-4 e Marco 1:40-45, non ha niente a che vedere con la guarigione dei dieci lebbrosi, del nostro testo, per il semplice fatto che è un altro episodio, anche se c’è qualche particolare in comune. Analizzando il racconto summenzionato, si vede subito che ci troviamo davanti a materiale esclusivo di Luca.

Per quanto riguarda l’individuazione del nome del villaggio, di cui parla specificatamente l’evangelista, è pura fantasia e mera supposizione, fare riferimento al nome di Enon, dove Giovanni Battista battezzava, come qualcuno ha suggerito. Dal momento che il testo non lo dice, ogni supposizione che si potrebbe fare, non ha nessun fondamento biblico.

Il fatto che Luca non riporti il nome del villaggio, dimostra che per lui questo non aveva alcuna importanza; mentre descrivere come avvenne la guarigione di questi dieci lebbrosi, acquista un significato particolare e mette in evidenza la bontà di Gesù, nei confronti di queste persone che, a causa della loro malattia, erano state escluse e separate dal consorzio umano.

Ai tempi di Gesù, tutti sapevano che la legge di Mosè, vietava ad un lebbroso di trovarsi in un centro abitato, e, a causa del suo stato, doveva stare in un luogo dove vivevano altri lebbrosi, indossare vestimenti stracciati e gridare: Impuro, impuro (Levitico 13:45). Come fecero questi lebbrosi a riconoscere che quell’uomo che veniva incontro a loro, era Gesù, non ci è dato di sapere. Il fatto però che essi implorarono la Sua pietà, — anche se non fecero esplicita richiesta di guarigione —, c’era in loro la consapevolezza che lo stesso Gesù, di cui avevano sentito parlare circa le opere di guarigione che aveva fatto in altri, avrebbe potuto farlo nella loro vita. Questa semplice invocazione che i dieci lebbrosi fanno a Gesù, è più che sufficiente per insegnarci che, quando una persona si rivolge al Signore e implora la sua pietà, essa verrà immancabilmente soccorsa e liberata.

Anche se Gesù non dice loro: «Andatevene in pace, siate guariti dalla vostra lebbra», — come egli avrebbe potuto fare —, ordinando loro di mostrarsi ai sacerdoti, gli unici autorizzati a rilasciare un certificato di guarigione, mette in moto la fede dei lebbrosi.
Il fatto poi che essi obbediscano, ciò rappresenta una prova che questi uomini credettero alla parola di Gesù; e, in conseguenza della loro obbedienza, la guarigione si verifica mentre sono in cammino. L’obbedienza alla parola del Signore, è un elemento importantissimo, se si vuole vedere la manifestazione della potenza e della virtù di Gesù, dato che questa la favorisce notevolmente. La lebbra di Naaman, venne nettata, non solamente dal fatto che egli si lavò nelle acque del fiume Giordano, ma perché Eliseo, uomo di Dio, disse a Naaman :

Va’ a lavarti sette volte nel Giordano, e la tua carne tornerà come prima e sarai mondato (2 Re 5: 10).

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07/07/2011 00:13

Se la nostra obbedienza alla parola del Signore non viene giustamente valutata e sottolineata, noi non possiamo essere messi in condizione di sperimentare la potenza e la virtù di Dio nella nostra vita. Questa non è una regola umana, è un principio divino, valevole per ogni situazione e per ogni tempo.

Il fatto poi che, uno dei dieci lebbrosi, vedendosi guarito, ritorni da Gesù, ringraziandolo e glorificando Dio ad alta voce, questa è una prova del senso di gratitudine del miracolato, nei confronti del suo benefattore. Nonostante che tutti i dieci lebbrosi fossero stati guariti, solo uno ritorna a Gesù e gli manifesta la sua riconoscenza. Anche se questi era un Samaritano, cioè uno straniero, non ebbe nessuna vergogna a gettarsi con la faccia a terra ai piedi di Gesù. Gesù che è molto sensibile ai sentimenti di gratitudine e di riconoscenza, rivolgendo la Sua parola a questo straniero gli dice: «Alzati e va’; la tua fede ti ha guarito».

È sempre in virtù della fede in Dio, che l’uomo di tutti i tempi, può realizzare e sperimentare nella sua vita, la virtù miracolosa di una guarigione, di una protezione e di una liberazione, sia per quanto riguarda la vita spirituale come anche la vita umana. A Dio sia la gloria!

8 LA GUARIGIONE DELL’ORECCHIO RECISO DEL SERVO DEL SOMMO SACERDOTE

E uno di loro colpì il servo del sommo sacerdote e gli recise l’orecchio destro. Ma Gesù... toccato l’orecchio di quell’uomo, lo guarì (Luca 22:50,51).

Nota preliminare.

Anche se i quattro evangelisti hanno ricordato l’arresto di Gesù nel Getsemani, dell’orecchio reciso al servo del sommo sacerdote e della sua guarigione, solo Luca ne, parla — e sicuramente egli avrà avuto qualche particolare motivo per inserirlo nel suo evangelo —. Infine, i particolari che Giovanni ha inserito nel suo evangelo, riguardante l’arresto di Gesù nel Getsemani, anche se non sono attinenti al tema di questo libro, vale sempre la pena considerarli, per meglio valutare ed apprezzare qualche riflessione.

Esame del testo

Dopo aver mangiato l’ultima cena pasquale con i suoi dodici apostoli, Gesù si recò nel giardino del Getsemani, accompagnato da undici apostoli, (nel frattempo, Giuda se ne era andato, dai capi sacerdoti per complottare il tradimento di Gesù). Là, con una accorata e ripetuta preghiera, Gesù chiese:

Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia volontà, ma la tua (Luca 22:42).

Dopo avere esortato i suoi apostoli a vegliare e a pregare per non entrare in tentazione (Marco 14:38,

arrivò Giuda, e con lui una grande turba con spade e bastoni, mandati dai capi dei sacerdoti e dagli anziani del popolo (Matteo 26:47).

Quando Giuda si avvicinò a Gesù e lo baciò caldamente, secondo il segno che aveva dato ai capi sacerdoti (Matteo 26:48) per effettuare l’arresto sicuro di Gesù, uno degli apostoli presenti, di nome Pietro, trasse la sua spada dal fodero e recise l’orecchio del servo del sommo sacerdote, di nome Malco (Giovanni 18:10).

Davanti ad una simile azione insolita e crudele, (qualcuno la potrebbe giustificare come una legittima difesa, non tanto per lui, quanto per Gesù), Gesù disse delle parole, che non sono riportate nella stessa maniera dai tre evangelisti, cioè, Matteo, Luca e Giovanni. Matteo, scrisse:

Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada (Matteo 26:52).

Luca, si limita solamente a dire: Lasciate, basta così (Luca 22:51). Prima però, di queste parole, l’evangelista mette in bocca agli apostoli, una domanda: Signore, dobbiamo colpire con la spada? (Luca 22:49). E senza che Gesù avesse dato la risposta, Pietro colpì. Questa sua azione così tempestiva, avrebbe avuto senso, se Pietro assieme agli altri non avesse fatto la domanda a Gesù; ma poiché la fece, a rigore, avrebbe dovuto aspettare la risposta, cosa che Pietro non fece. Per Giovanni invece si tratta di:

Riponi la tua spada nel fodero; non berrò io il calice che il Padre mi ha dato? (Giovanni 18:11).

L’evangelista Giovanni, non si limita solamente a riportare la frase relativa alla spada, aggiunge un particolare, degno di essere messo in evidenza, per il suo particolare significato che ha, in relazione alla deità di Gesù Cristo.

Gesù allora, conoscendo tutto quello che gli stava per accadere, uscì e chiese loro: «Chi cercate?». Gli risposero: «Gesù il Nazareno». Gesù disse loro: «Io sono!». Or Giuda che lo tradiva era anch’egli con loro. Appena egli disse loro: «Io sono», essi indietreggiarono e caddero a terra (Giovanni 18:4-6) [D. Barbera, Gesù Cristo è Dio?, pag. 267, per conoscere la nostra valutazione che abbiamo fatto intorno all’«Io sono»].

Siccome questo particolare, lo riporta solamente Giovanni, — e l’evangelista nel riportarlo, avrà avuto uno scopo ben preciso, poiché egli, più di tutti gli altri scrittori del N.T., tratta della deità di Gesù Cristo, in una maniera sorprendente, basta pensare al prologo del vangelo, 1:1-14 —, quella scena, va considerata in profondità,
nei suoi vari aspetti.

Nel nostro libro, “Gesù Cristo è Dio?”, appena citato, abbiamo fatto riferimento a questo testo, in relazione al valore e significato profondo dell’«Io sono», ora, vogliamo parlare della caduta delle guardie e dei soldati, per vedere se questo testo può essere usato agevolmente, per provare le morderne cadute che si verifichino, in certi ambienti cristiani e in determinate riunioni.

Questo, ovviamente, lo faremo nella riflessione che seguirà. Ma ritorniamo alla guarigione dell’orecchio reciso al servo del sommo sacerdote. Il testo di Luca dice chiaramente che Gesù: Toccato l’orecchio di quell’uomo, lo guarì. Poiché questo racconto miracoloso è l’ultimo della serie che l’evangelista riporta nel suo evangelo, vale la pena spendere qualche parola di commento, per meglio apprezzare e comprendere l’azione premurosa di Gesù.

La prima cosa che si presenta alla nostra riflessione è la seguente: Probabilmente, Pietro, per difendere il Maestro, aveva l’intenzione non solo di recidere l’orecchio a quel servo, ma, forse, di tagliargli addirittura la testa. Ora, se Cristo non fosse intervenuto, avrebbe avallato e giustificato l’azione di Pietro.

Questa, — anche se la consideriamo sotto il profilo umano —, è sempre un’azione violenta, da non poterla giustificare in nessuna maniera. Gesù Cristo, nel corso del suo ministero terreno, ha chiaramente insegnato la non violenza, a tutti i livelli. Basta pensare alle sue parole pronunciate nel grande sermone sulla montagna:

... se uno ti percuote sulla guancia, porgigli anche l’altra, e se uno vuol farti causa per toglierti la tunica, lasciagli anche il mantello. E se uno ti costringe a fare un miglio, fanne con lui due (Matteo 5:39-41).

Naturalmente, questo suo preciso insegnamento, che Egli aveva dato con forza, chiarezza e autorità, doveva essere dimostrato nella vita pratica, e, l’occasione dell’azione violenta che Pietro compì per difenderlo, Gesù lo dimostrò, sanando l’orecchio reciso al servo del sommo sacerdote. Il testo sacro dice che Gesù, toccò l’orecchio di quell’uomo. Per rimettere a posto l’orecchio tagliato, sarebbe stato sufficiente che Cristo avesse detto una parola, e quella parte staccata, si sarebbe rinsaldata, e tutto sarebbe ritornato come prima.

Ma Egli volle mettere le sue mani, nella maniera come fa un chirurgo, per guarire quella ferita inferta dal colpo di spada che Pietro brandì. Questo semplice gesto dimostra, non solo la virtù guaritrice che abita in Cristo, ma evidenzia con forza la sua compassione e il suo interessamento verso un uomo che era stato danneggiato da un suo discepolo.

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08/07/2011 00:16

Riflessione

L’episodio dell’orecchio reciso al servo del sommo sacerdote, ci porta a fare due riflessioni:

1) Sulla spada che Pietro usò in quella circostanza;
2) sulla caduta dei soldati e delle guardie mandati dai capi sacerdoti e dai farisei.

a) La spada usata da Pietro

La spada che Pietro usò, nella notte che Gesù venne arrestato, ci meraviglia, prima di ogni altra cosa, come abbia potuto fare l’apostolo a portarla con sé. Anche se Gesù aveva esortato i suoi a munirsi di una spada (Luca 22:36-38), non l’avrà detto sicuramente in vista di quello che sarebbe successo al Ghetsemani, senza che le stesse parole di Gesù Riponi la tua spada al suo posto..., perdano valore e credibilità. Nessuno degli undici apostoli se ne accorse che, Pietro aveva al suo fianco una spada? L’aveva con sé, durante la cena pasquale?

Non ci sembra che l’avesse, senza che lo stesso Giuda, che era presente in quella occasione, venisse a sospettare un intervento armato, da parte di uno dei dodici, dato che egli aveva già concordato con i capi sacerdoti, di consegnare nelle loro mani, Gesù. Lo stesso Gesù, se avesse visto la spada al fianco di Pietro, non solo gli avrebbe chiesto, perché di quell’arnese, ma avrebbe sicuramente intimato al suo discepolo, di mettere da parte quella spada.

D’altra parte, nessuno degli apostoli sapeva fino a quel giorno, che uno di loro, avrebbe tradito il Maestro, perché si sa con certezza che, quel piano diabolico, Gesù lo svelò, proprio durante l’ultima cena pasquale (Matteo 26:21; Marco 14:8; Luca 22:21-23). Davanti a queste considerazioni, è più logico pensare che Pietro si fornì della spada, prima che arrivasse nel giardino del Getsemani. Non si sa esattamente il tempo che trascorse, da quando Gesù, coi i suoi undici apostoli, si recò al Getsemani, fino alla venuta di Giuda, che faceva di guida, a quella turba di soldati e guardie, armati di lanterne, torce e armi (Giovanni 18:3; Atti 1:16). Dato che Pietro aveva con sé una spada quando venne nel Getsemani, l’avrà tenuta nascosta, per non creare sospetti nei suoi colleghi. Le cose nascoste, però, (secondo l’autorevole parola di Gesù (Marco 4:22; Luca 8:17), non possono rimanere per sempre così. Pietro, avrà portato la spada per una legittima difesa personale, o per proteggere la vita di Gesù? Alla luce delle parole di Gesù, rivolte a Pietro:

Pensi forse che io non potrei adesso pregare il Padre mio, perché mi mandi più di dodici legioni di angeli? (Matteo 26: 53),

(72.000 unità, secondo il numero che conteneva una legione romana), la spada di Pietro, serviva per difendere Gesù. Il testo evangelico precisa che Pietro, recise l’orecchio del servo del sommo sacerdote, (che poi Luca precisi che fu il destro) non ha nessuna importanza.

La domanda che formuliamo è questa: Nell’intenzione di Pietro, c’era veramente di recidere l’orecchio, oppure di tagliare la testa a quel servo? A noi ci sembra che Pietro avrà sbagliato la mira, e invece di far cadere la testa, fece cadere l’orecchio. La stessa parola di Gesù, ci autorizza a fare una simile interpretazione:

Riponi la tua spada al suo posto, perché tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada.

La spada, per essere precisi, ha sempre divorato or l’uno or l’altro (2 Samuele 11:25); non è un’arma difensiva, ma offensiva che uccide (Ger. 15:3); non può essere usata come se fosse un sinonimo di pace, ma bensì di guerra. L’Eterno stesso non salva per mezzo di spada (1 Samuele 17:47). Nel tempo quando l’Eterno

sarà giudice fra molti popoli e farà da arbitro fra nazioni potenti e lontane. Con le loro spade forgeranno vomeri... (Mich. 4:3; Isaia 2:4).

Il fatto poi che Cristo affermi: tutti quelli che mettono mano alla spada, periranno di spada, dovrebbe portare (i cristiani in modo particolare) a riflettere seriamente, davanti alla severità della parola di Gesù. Non è con la spada della persecuzione, cruenta e spietata, che si potrà difendere l’ortodossia di una dottrina cristiana, (come, sfortunatamente avvenne durante l’inquisizione di Spagna), perché una simile arma, ha sempre disunito gli uomini, anziché unirli nel vincolo dell’amore.

E che dire della spada della maldicenza e della diffamazione, che ha fatto tante vittime attraverso i secoli, a tutti i livelli, che ha come riferimento la lingua, che l’apostolo Giacomo definisce un fuoco, il mondo dell’iniquità, che può contaminare tutto il corpo, infiammare il corso della vita, poiché è infiammata dalla Geenna? (Giacomo 3:6). Al nostro fianco, non ci deve essere una spada, perché può spandere sangue anche in tempo di pace (cfr. 2 Samuele 20:8-10), ma la cintura della verità (Efesini 6:14), quella verità che, veramente ci rende liberi (Giovanni 8:32), e che si incontra con la benignità (Salmi 85:10).

b) La caduta dei soldati e delle guardie

Senza alcun dubbio, quello che accadde ai soldati e alle guardie, in quella notte in cui Cristo venne arrestato nel giardino del Getsemani, non ha solamente del singolare, poiché un simile evento non si verificò mai per altri, ma mette principalmente in evidenza la potenza e la maestà dell’ “Io sono”, pronunciato dalla bocca di Gesù. Il terrore avrà certamente invaso la vita dei soldati e delle guardie, in quella notte memoranda, allorché indietreggiando caddero a terra.

Che la loro caduta sia stata prodotta dalla presenza del divino, appare in tutta la sua luminosità. Nonostante che la presenza del divino fosse presente nel giardino del Getsemani, e che l’ “Io sono”, pronunciato dalla bocca di Gesù, sia stato sentito distintamente anche dagli apostoli, solo le guardie e i soldati caddero a terra. Usare questo testo come prova scritturale che le cadute che si verifichino ai nostri giorni, siano segni evidenti della presenza e della potenza di Dio, ciò non quadra in simili contesti.

Quelli che caddero indietro in quella notte, erano nemici di Gesù e non suoi discepoli. È innegabile che, un discepolo di Gesù, venendo in contatto col divino, possa cadere ai suoi piedi come morto, come avvenne all’apostolo Giovanni e a Daniele (Apocalisse 1:17; Dan. 10:9). Si deve, inoltre notare che, la caduta del discepolo o dell’uomo di Dio, non si è prodotta perché toccati da una mano divina, ma ascoltando la voce del divino.

Se si esaminano tutti i passi del N. T. in cui si parla specificatamente dell’imposizione delle mani di Gesù sopra gli infermi, quindi un tocco della sua mano, non viene mai detto che la persona toccata, cadeva a terra. Lo stesso si può dire dell’imposizione delle mani che facevano gli apostoli. Il tocco delle mani di Gesù, non aveva lo scopo di far cadere la persona a terra, ma produrre la guarigione della malattia.

Se qualcuno osasse affermare che colui che tocca, avverte una straordinaria potenza divina nella sua mano e nella sua vita, non credo che si possa avere una potenza superiore a quella di Gesù.

Oggi viviamo in tempi in cui le azioni spettacolari, sono all’ordine del giorno. Più ce ne sono, più è evidente la presenza del divino e della sua potenza, dicono certuni. Nelle riunioni che si tengono da certi uomini, si vedono scene di persone che cadono a terra, non appena vengono toccate, manifestando anche un’espressione di terrore nella loro vita. In una riunione che ha lo scopo di guarire gli ammalati, si dà più enfasi ed importanza al fatto che le persone cadano a terra, piuttosto che i paralitici si alzino dai loro letti sui quali sono distesi, in testimonianza della loro guarigione.
Viviamo in tempi in cui c’è molto fumo negli occhi, e poca manifestazione reale della potenza guaritrice divina. Si cura più la parte spettacolare (e far cadere la persona a terra lo è), anziché far fronte al bisogno di un ammalato, con la sua reale guarigione, o liberare una persona dai legami di Satana, perché possa godere il beneficio di una vita veramente libera, per godere la pienezza della benedizione celeste.

Amici e fratelli, oggi è in azione lo spirito di seduzione, che agisce nella vita di certe persone, che invece di condurre le anime a Dio e a Gesù Cristo, li allontanano, con la funesta conseguenza che le persone non realizzano autentiche esperienze spirituali, atte a dare una svolta decisiva al corso della loro vita. Si guarda più all’uomo e a quello che esso fa, anziché fissare lo sguardo sul Signore, e dargli tutta la lode e la gloria, come veramente Egli lo merita.

Apriamo gli occhi per non cadere nella trappola dello “spirito di seduzione”, e seguiamo il Signore, soprattutto alla luce della Parola scritta, cioè la Bibbia, la divina Parola di Dio, dataci per nostra guida.

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura
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