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Domenico34 – Gesù... Il Divin Guaritore – Capitolo 2. GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI MARCO

Ultimo Aggiornamento: 01/07/2011 00:23
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30/06/2011 00:07


Capitolo 2




GUARIGIONI CONTENUTE NEL VANGELO DI MARCO




Nota introduttiva

Dopo aver passato in rassegna i vari miracoli di guarigione operati da Gesù e riferiti da Matteo, Marco e Luca, ci accingiamo ora ad esaminare quei pochi racconti (tre per l’esattezza) di guarigione (che sono materiale esclusivo di Marco), poiché gli altri due evangelisti non li contengono. Questi racconti sono:

1) I pochi infermi guariti a Nazaret (Marco 6:5);
2) la guarigione di un sordo muto (Marco 7:31-37) e
3) la guarigione del cieco di Betsaida (Marco 8:22:26)

1. I POCHI INFERMI GUARITI A NAZARET

E non poté fare lì alcuna opera potente, salvo che guarire pochi infermi, imponendo loro le mani. E si meravigliava della loro incredulità; e andava in giro per i villaggi, insegnando (Marco 6:5,6).

Esame del testo

Anche se Matteo riferisce intorno a “Gesù disprezzato a Nazaret”, e riporta in 13:58 la frase opere potenti (come del resto fa anche Marco), non dice niente di quei pochi infermi che vennero sanati da Gesù. Per questa omissione, naturalmente, non possiamo seguire Matteo per questo episodio, dobbiamo attenerci a quello che Marco ci ha tramandato. La nota predominante che caratterizza questo episodio, è senza dubbio costituita dall’incredulità accentuata degli abitanti di Nazaret, nei confronti di Gesù. Eppure Gesù, non era un personaggio sconosciuto, come se egli non avesse trascorso gran parte della sua vita in questa città della Galilea, poiché è nominato
il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Iose, di Giuda e di Simone (Marco 6:3).

Nonostante ciò, Gesù non era giustamente apprezzato dai suoi paesani intorno alle opere potenti che faceva. Se questi suoi concittadini fossero rimasti solamente scettici nei sui confronti, ciò non sarebbe stato un granché, visto che anche altri, che abitavano in altri centri, manifestavano lo stesso scetticismo.

Ma il fatto che, pur non sapendo spiegare la sapienza che aveva Gesù e le potenti opere che venivano fatte per mano sua, non solo gli abitanti di Nazaret rimanevano scandalizzati a causa di lui, ma manifestavano anche una dose di incredulità, che non permetteva a Gesù di fare qui quello che aveva fatto in altri luoghi. I pochi infermi che Gesù guarì nella città di Nazaret, imponendo loro le mani, bastano a provare che, nonostante che l’incredulità fosse così evidente, la compassione di Gesù si manifestò ugualmente verso quei pochi infermi che guarì.

Anche se il testo non lo precisa, c’è tuttavia da supporlo che quelli che furono guariti dalle loro infermità, non si associarono a quelli che manifestavano apertamente la loro incredulità nei confronti di Gesù e del suo potere divino. L’incredulità è sempre e sempre sarà, il motivo principale della mancata manifestazione del potere divino verso gli uomini. Anche se Dio è sovrano nelle Sue azioni e può fare tutto senza l’aiuto dell’uomo, tuttavia Egli non intervieni mai se l’uomo non è nelle condizioni di permettergli di agire e questo naturalmente avviene, attraverso la fede. L’unica cosa che ostacola o limita la potenza divina nel compiere i miracoli di guarigione, è la sua incredulità. L’incredulità, che è l’opposto della fede, è il nemico più insidioso che priva l’uomo di godere e sperimentare, la manifestazione miracolosa della potenza divina.

Dei pochi infermi che vennero guariti da Gesù a Nazaret, non vengono specificate le malattie. Non ha nessuna importanza parlare della guarigione di un paralitico, di un cieco, di un sordo, di un muto, o di uno che soffre di dolori. Dal momento che la potenza divina guarisce un sofferente, è sempre un miracolo che si manifesta nella vita umana, degno di essere messo in evidenza, alla lode e gloria di Colui che opera, cioè Dio!

L’imposizione delle mani, a cui fa esplicito riferimento il nostro testo, anche se Gesù non usava sempre questo metodo per sanare gli ammalati, è sempre degno di essere considerato, per il suo benefico effetto che ha nella vita di un sofferente, soprattutto se si tiene in debito conto, quello che Gesù dirà più tardi, quando affiderà il Grande Mandato, ai suoi seguaci di andare per tutto il mondo e predicare l’evangelo ad ogni creatura. Marco, che riporta le parole del grande mandato, dice anche che, ... imporranno le mani agli infermi, e questi guariranno (Marco 16:18).

2. GUARIGIONE DI UN SORDOMUTO

Poi Gesù, partito di nuovo dal territorio di Tiro e di Sidone, giunse al mare di Galilea, in mezzo al territorio della Decapoli. E gli presentarono un sordo che parlava a stento, pregandolo di imporgli le mani. Ed egli, condottolo in disparte, lontano dalla folla, gli mise le dita negli orecchi e, dopo aver sputato, gli toccò la lingua. Poi, alzati gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: «Effata», che vuol dire: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava distintamente. E Gesù ordinò loro di non dirlo a nessuno; ma quanto più lo vietava loro, tanto più essi lo divulgavano. E, pieni di stupore, dicevano: «Egli ha fatto bene ogni cosa: egli fa udire i sordi e parlare i muti!» (Marco 7:31-37).

Esame del testo

Il sordomuto della Decapoli, pur non essendo un paralitico che non può camminare da sé, viene presentato a Gesù, con preghiera di imporgli le mani. Chi furono coloro che presentarono il sordomuto a Gesù, non ci viene dato di sapere; il fatto però che essi compirono una simile azione in favore di una persona che non sentiva e non parlava speditamente, ci porta a pensare che quelle persone, oltre a dimostrare un particolare interessamento per colui che si trovava in quella infelice situazione, erano sicuramente gente che credevano nel potere miracoloso di Gesù.

Manifestare interessamento per le persone che si trovano in disagio, è un’attitudine degna di essere elogiata. Vivere la propria vita pensando ed interessandosi per coloro che si trovano in qualche difficoltà, significa vivere la propria esistenza, non pensando solamente a sé stessi, ma anche agli altri. Questo, naturalmente, farà piacere a Dio, che vuole che tutti noi pensiamo più agli altri che a noi stessi (Filippesi 2:3). Così facendo si dimostrerà di seguire Gesù, il quale venne in questo mondo,
non per essere servito, ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti (Matteo 20:28).

Per la guarigione del sordomuto, Gesù agì in maniera particolare. Coloro che avevano presentato l’ammalato a Gesù, gli avevano fatto una precisa richiesta di imporgli le mani. Se quelle persone fecero una simile richiesta, vuol dire che essi credevano che con l’imposizione delle mani, il sordomuto sarebbe stato sanato. È strano che Gesù non fa come gli era stato richiesto. I metodi di Gesù, nel guarire gli ammalati, non erano sempre gli stessi. Questo ci dice che Gesù non seguiva metodi fissi per tutte le situazioni.

D’altra parte, Egli, nel Suo operare, non dipendeva né dall’uomo e neanche dalle circostanze che si determinavano di volta in volta. Poiché la Sua missione era divina e in stretta dipendenza dal Padre suo, secondo ché Gesù veniva guidato, a mezzo dello Spirito Santo, Egli agiva e si muoveva. Il risultato era sempre lo stesso, cioè portare sollievo, conforto e guarigione a quelli che ne avevano bisogno.

Prendere un ammalato e condurlo lontano dalla folla in disparte, non è qualcosa che leggiamo spesso nei racconti di miracoli; è l’unico caso, — stando a quello che ci hanno tramandato gli evangelisti — . Non si può pensare che Gesù abbia agito in quella maniera, per non essere disturbato o distratto in quello che Egli avrebbe fatto, o come si direbbe in termini moderni, per non essere ostacolato nell’esercizio della sua fede.

Si continuerà il prossimo giorno...
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La potenza di Gesù non dipendeva dalle circostanze, e neanche poteva essere negativamente influenzata o ostacolata dagli uomini (a meno che questultimi non avessero manifestato la loro incredulità), ma era sempre una spontanea e compassionevole manifestazione della Sua bontà e della Sua virtù.

Pensando a quello che Gesù avrebbe fatto al sordomuto, nel mettergli le dita negli orecchi e nel toccargli la lingua, dopo avere sputato, chi sa quello che avrebbero potuto dire le persone nel vedere questi gesti. Onde evitare ogni forma di distrazione per il sordomuto e una male interpretazione per l’azione di Gesù, da parte della folla, Egli preferì compiere tutto, in disparte e lontano dalla folla.

D’altra parte, non era la folla, che aveva bisogno di Gesù, ma il sordomuto; ed Egli, interpretando giustamente quella situazione, volle venire in aiuto a un uomo che non sentiva e non parlava speditamente.

Quando le gesti sono ispirati e mossi dallo Spirito Santo, i risultati non sono incerti e deludenti, ma la virtù del Signore si manifesta e gli ammalati vengono guariti. L’alzare gli occhi al cielo, prima di eseguire un miracolo, era per Gesù una chiara manifestazione del fatto che tutto quello che Egli faceva veniva dall’alto e che dal Padre gli veniva ogni ispirazione per compiere le opere grandiose in favore degli ammalati. In occasione della prima moltiplicazione dei pani, quando i cinque pani e i due pesci furono nelle Sue mani, il vangelo dice che Gesù alzò gli occhi al cielo (Marco 6:41; Matteo 14:19; Luca 9:16).

La stessa cosa fece prima di ordinare a Lazzaro di uscire fuori dalla tomba (Giovanni 11:41). Prima che Gesù pronunciasse la grande preghiera, conosciuta come la preghiera sacerdotale, Giovanni dice che Gesù alzò gli occhi al cielo (Giovanni 17:1). Nel nostro caso, Gesù,

Alzati gli occhi al cielo, sospirò e gli disse «Effata», che vuol dire: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli occhi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava distintamente (Marco 7:34,35).

Ecco, la chiara evidenza del miracolo e la sua immediatezza! L’evangelista Marco ha una predilezione particolare nell’usare un termine, spessissime volte: esso è “subito”. Basta pensare che questa forma oggettivale, ricorre in tutto il N.T. 77 volte, dei quali: 10 volte in Matteo; 32 volte in Marco; 15 volte in Luca; 6 volte in Giovanni (Evangelo); 10 volte negli Atti degli Apostoli; una volta in Galati; una volta nella 2 Tessalonicesi; una volta in Giacomo e una volta in Apocalisse. Il divieto di non dire a nessuno, Gesù lo pronunciò diverse volte, sempre col senso di non cercare la gloria degli uomini; ma quanto più lo divietava loro, tanto più essi lo divulgavano (v. 36).

L’evangelista chiude il racconto della guarigione del sordomuto, nel dire che le persone che videro quel miracolo, pieni di stupore, dicevano: «Egli ha fatto bene ogni cosa: egli fa udire i sordi e parlare i muti (9. 37).

3. GUARIGIONE DEL CIECO DI BETSAIDA

Poi venne a Betsaida; e gli portarono un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli sputato sugli occhi e impostegli le mani, gli domandò se vedesse qualcosa. E quegli, alzando gli occhi, disse: «Vedo gli uomini camminare e mi sembrano alberi». Allora gli pose di nuovo le mani sugli occhi e lo fece guardare in alto, ed egli recuperò la vista e vedeva tutti chiaramente. E Gesù lo rimandò a casa sua, dicendo: «Non entrare nel villaggio e non dirlo ad alcuno nel villaggio (Marco 8:22-26)

Esame del testo

Anche se Matteo ha raccontato la guarigione di ciechi, non è sicuramente lo stesso episodio di cui parla Marco, nel riferirci la guarigione del cieco di Betsaida. Egli infatti, col parlarci di questo cieco, vuole soprattutto descriverci un’azione particolare che Gesù compì, nel fargli recuperare la vista.

Come del sordomuto, anche per questo cieco, Marco precisa, che fu portato da altri a Gesù, con preghiera che Egli lo toccasse. Le persone che conducevano infermi a Gesù, davano molta importanza al fatto che Egli li toccasse. Questo, perché credevano, non solo al fatto che il tocco di Gesù era ben diverso da ogni altro tocco, ma essenzialmente perché essi credevano che a mezzo di quel tocco, potesse sprigionarsi la virtù guaritrice di Gesù, e sanare gli infermi.

Gesù prende per mano il cieco e lo conduce fuori del villaggio. In questo suo procedere appare chiaro che le persone che portarono il cieco da Gesù, vennero lasciate da parte, non perché Gesù volesse fare una certa discriminazione, ma semplicemente perché in fin dei conti era il cieco che aveva bisogno di Lui. Del sordomuto abbiamo letto che Gesù lo condusse in disparte, lontano dalla folla; mentre per questo cieco viene precisato che fu condotto fuori dal villaggio. Quindi, appare chiaro una netta separazione, non solo dalle persone presenti in quel luogo, ma anche dal luogo.

Per quale motivo Gesù compì una simile azione? Era forse il luogo in sé stesso che avrebbe potuto costituire un ostacolo all’operare di Gesù? Dal momento che Marco non ci rivela questo, ogni supposizione o ipotesi che si potesse addurre, non acquisterebbe nessuna importanza ai fini della manifestazione miracolosa di Gesù. Certo, il fatto stesso che Gesù prenda per mano il cieco di Betsaida, di per sé questo denota un particolare interessamento.

Siccome quell’uomo era cieco e coloro che lo avevano portato a Gesù, erano stati messi da parte, si rendeva necessario che qualcuno lo prendesse per mano. Trovarsi nella mano di Gesù, in tempi di particolari bisogni e farsi condurre da Lui, è la cosa più bella e significativa nello stesso tempo.

Al cieco di Betsaida, una volta che si trova fuori del villaggio, Gesù non gli impone solamente le mani, ma gli sputa sugli occhi. Ci viene da chiedere: Perché Gesù agì in questa maniera? Era credenza di allora di guarire la cecità mediante la saliva, perché si diceva che «la saliva di un uomo animato dal pneuma, di un carismatico segnato dallo Spirito divino, era particolarmente efficace; poiché essa infatti, analogamente al sangue, è fiato condensato» [R. Pesch, Il vangelo di Marco Parte prima, pag. 648, nota 9].

Ci viene da chiedere: Gesù, nel guarire la cecità, usando la saliva, si conformava con la credenza di allora? Sta di fatto che Gesù, secondo i racconti evangelici, usò la saliva in tre casi: Per la guarigione del sordomuto (Marco 7:33); per il cieco di Betsaida (Marco 8:23) e per la guarigione del cieco nato (Giovanni 9:6).

Indipendentemente da quella che era la credenza di allora, sappiamo che Gesù, nello svolgimento del suo ministero, particolarmente per ciò che riguardava la guarigione degli ammalati, agiva sempre guidato dello Spirito Santo, anche se quello che Egli faceva, altri lo facevano già.

Questo però, non significava che Gesù seguisse la credenza dei suoi tempi. È l’unico caso, — stando ai racconti evangelici — che la guarigione avviene gradualmente e non istantaneamente, come siamo abituati a leggere in tutti i racconti di guarigione operate da Gesù. Perché mai questo? Anche se non abbiamo una risposta precisa ed esauriente, non si può minimamente pensare che in Gesù, in quel particolare momento, non ci fosse abbastanza virtù per guarire istantaneamente il cieco di Betsaida.

Il fatto poi che Egli metta di nuovo le sue mani sugli occhi del cieco, è una prova che Gesù vuole la guarigione totale e completa di quell’uomo. Anche per questa guarigione Marco conclude che Gesù nel mandare a casa il cieco guarito, gli ordina due cose: 1) Di non entrare nel villaggio; 2) e di non dirlo a nessuno nel villaggio. R. Pesch, nel suo commentario, fa questa applicazione:

«Per la ricezione marciana di questa narrazione è decisiva la sua collocazione nel contesto. Dopo 8:18 e prima di 8:27-30 il cieco di Betsaida incarna il tipo dei discepoli ciechi, ai quali vengono aperti gli occhi da Gesù: «Ad essi Gesù deve aprire gli occhi dello spirito alla rivelazione che egli porta. L’intento rivelatore di Gesù ottiene effettivamente la sua prima percepibile risposta dal gruppo dei discepoli solo con la professione di Pietro. L’immediatamente precedente guarigione del cieco rende chiaro il fatto che la conoscenza dei discepoli, fino allora ciechi (e anche dopo la professione di Pietro), scaturisce dall’attività di Gesù. La guarigione del cieco viene dunque intesa da Marco in senso prevalentemente simbolico, come illustrazione di una dottrina che egli vuole impartire ai suoi lettori. Ad essi si rivolge infine anche il comando di segretezza del v. 26b. Essi devono capire che tutta l’attività di Gesù e anche la professione di Pietro (cfr. 8:30) sono poste sotto il riserbo pasquale, dopo 8:31-33; 9:9-30-32; 10:32-34, ciò significa che Gesù ‘deve’ prima soffrire la morte e risorgere (8:31) per rivelarsi nella sua vera natura» [K. Kertelge 164].

«Come il cieco nella storia del miracolo, anche la comunità può lasciarsi prendere per mano da Gesù ed essere liberata dalla sua ostinata cecità. Come Lui, essa può venire reinserita nello status integrationis escatologico e condotta sulla retta via» [R. Pesch, Il vangelo di Marco Parte prima, pagg. 652,653, nota 20].

PS: Se ci sono domande da fare, fatele liberamente e risponderemo con premura
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